Oscar Vault
a cura di Beppe Roncari
“Murderbot – I diari della macchina assassina” di Martha Wells
Martha Wells, “Murderbot – I diari della macchina assassina”
È una macchina assassina, in parte robot, in parte umana. Senza sesso, senza nome (Murderbot è quello che si è data da sola) e senza libertà. Almeno finché non ha hackerato il suo sistema di controllo, prendendo in mano il proprio destino e decidendo di utilizzare questa sua nuova, appena scoperta libertà… per scaricare e guardare in segreto le sue serie tv preferite!
Mondadori Oscar Fantastica porta in Italia, rilegati in un solo volume, The Murderbot Diaries, i quattro romanzi brevi con cui Martha Wells ha dato vita a una nuova e scanzonata incarnazione di Robocop, l’uomo-macchina, un tema caro alla fantascienza fin dai tempi di Metropolis di Fritz Lang (1927), e con cui ha fatto incetta di premi.
Il primo romanzo, Allarme rosso (All Systems Red), ha vinto il premio Nebula 2017, l’Hugo 2018 e l’American Library Association’s Alex Award. Le altre tre novellas sono arrivate tutte insieme al ballottaggio degli Hugo anche nel 2019, tanto da far decidere all’autrice di accettare la candidatura solo per il secondo episodio della serie, Condizione Artificiale (Artificial Condition), con cui ha vinto. Gli altri due titoli della saga sono Protocollo ribelle (Rogue Protocol) e Strategia d’uscita (Exit Strategy).
L’elemento di novità della serie, come spesso accade, viene dal passato, e consiste nel recupero in chiave moderna di una formula narrativa antichissima: la diaristica. Fiore all’occhiello del romanzo gotico, a cui appartiene il capostipite della fantascienza contemporanea, Frankenstein di Mary Shelley (anch’esso dedicato a un umano “artificiale”), l’uso dei diari permette alla Wells di dare voce all’originalissimo punto di vista di una cyborg.
Come il mostro del dottor Frankenstein, anche Murderbot prova disagio di fronte all’umanità: teme di essere vista dagli altri come un mostro, un’aberrazione, o una spietata assassina senza cuore, e non vuole mostrare il proprio volto. In più le componenti sintetiche, logiche e asettiche, entrano in conflitto con le sue parti organiche, che provano sentimenti e pensano come qualsiasi altro essere umano.
La passione per le serie tv è un tramite attraverso cui Murderbot può osservare l’umanità senza essere vista, immedesimarsi, partecipare in modo vicario, proprio come faceva la creatura di Frankenstein quando spiava da una fessura del fienile la vita quotidiana di una famiglia contadina.
Gli umani di Murderbot sono la dottoressa Mensah e il suo gruppo di ricercatori, in missione esplorativa su un pianeta alieno. Pur avendo hackerato il proprio modulo di controllo, Murderbot continua a fingere di essere una semplice SecUnit (Unità di Sicurezza), almeno fino a quando non è costretta a gettare la maschera e a disobbedire agli ordini per salvare i suoi compagni.
D’altronde, la ragione stessa che l’ha portata a liberarsi dagli obblighi della sua programmazione risiede negli accadimenti di una precedente missione, quando l’obbedienza cieca alle direttive l’aveva portata a compiere una strage di umani. Questa oscura vicenda è un mistero che si dipana nel corso dell’intero volume, dato che i dettagli dell’accaduto non sono chiari nemmeno alla protagonista, a causa della prassi della Compagnia di “resettare” la memoria elettronica delle proprie unità. Ma ci sono ricordi e sensazioni impressi per sempre nella sua mente organica, che ha finito per prendere il sopravvento.
Quello di Murderbot è un viaggio nello spazio, certo, una space opera proprio come la soap “Sanctuary Moon” che tanto le piace, ma in realtà e innanzitutto è un viaggio dentro se stessa, alla ricerca della sua vera identità.
I comprimari che incontra sono tutti degli specchi per trovare un modo di definirsi: la dottoressa Mensah, leader di un pianeta dove ai robot è riconosciuta l’identità di persona, sebbene nel resto del cosmo rimangano dei “domestici” per cui deve garantire “il patrono”, un po’ come succedeva per gli schiavi affrancati nell’Ottocento. Ci sono poi gli “umani aumentati”, come Guranthin, che fa interrogare la protagonista su dove si collochi il confine fra esseri biologici e meccanici. Interessante infine, il rapporto di Murderbot con ART (“Astronave Rompiballe di Trasporto”), un’intelligenza artificiale priva di parti organiche ma dotata di coscienza, che prova affetto sincero per gli umani che trasporta, come una mamma chioccia protettiva, che si inquieta guardando serie tv con umani in pericolo.
In definitiva, una lettura obbligata per chi apprezza le storie scanzonate, che tuttavia nascondono temi più profondi e complessi, come nella migliore tradizione della fantascienza. Prendete esempio da Murderbot, non resterete delusi.