Cronourania

Urania 1952-2012 – Terza parte

ottobre 29th, 2012

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Ovvero, come la macchina del tempo non si è mai fermata – 3

“Il mondo ormai sta cambiando”:

Urania negli anni Ottanta

Il primo numero sotto l’egida del successore di Fruttero e Lucentini, Gianni Montanari, esce nel 1985, ventitre anni dopo l’insediamento della coppia torinese. E’ il 1010° volume di “Urania”, Operazione Caos (Operation Chaos, 1971) di Poul Anderson, un romanzo dal gusto fantasy. Inoltre, proprio come era avvenuto saltuariamente all’epoca dei suoi precedessori, Montanari non esiterà a proporre opere eccentriche o dell’orrore, dal memorabile Scacco al tempo di Fritz Leiber (The Sinful Ones, 1953, nel n. 1015: un capolavoro della science fantasy) allo zombie-novel Occhi verdi di Lucius Shepard, uno degli autori importanti degli anni Ottanta (Green Eyes, 1984; n. 1025); dai cupi romanzi francesi di Serge Brussolo all’ultima produzione di Clifford Simak, in cui si respirava un’aria di sortilegio. Romanzi, raccolte di racconti, scoperta di nuovi autori:  i nomi di Lucius Shepard, Octavia Butler, Somtow Suchartitkul e William Gibson figurano tra i primi scelti dal nuovo curatore e testimoniano un deciso impegno verso la sf contemporanea, non importa quanto ambiziosa e complessa. Per il pubblico dell’edicola, l’iniezione periodica di questo tipo di romanzi rappresenta una novità.

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Gianni Montanari è nato a Piacenza il 23 marzo 1949. Dopo gli studi tecnici si è laureato in lingua e letteratura inglese all’Università statale di Milano, discutendo una tesi sulla fantascienza britannica. Appassionato lettore del genere ma, come ha più volte chiarito lui stesso, non in modo esclusivo e senza legami con l’ambiente del fandom, ha conosciuto il concittadino Vittorio Curtoni alla fine degli anni Sessanta. Il sodalizio si trasformò in attività professionale intorno al 1970, quando i due amici decisero di candidarsi alla curatela del mensile di fantascienza “Galassia”, pubblicato nella loro città dalla Tribuna Editrice. Quando, intorno al 1975, Curtoni abbandonò il lavoro di consulente della Tribuna per cercare un impiego stabile presso l’Armenia Editore di Milano, Montanari (che intanto aveva cominciato a insegnare inglese nelle scuole, la sua professione abituale) rimase solo al timone di “Galassia”. Alla chiusura di quella storica testata, che risale al 1979, Montanari cercò altre collaborazioni presso Longanesi, Rizzoli e Mondadori.

Questa esperienza fu determinante nel portarlo alla direzione letteraria di “Urania”. Nelle sue mani la gloriosa testata pionieristica degli anni Cinquanta e la sofisticata creatura degli anni Sessanta si trasformò in una cosa nuova, a metà strada fra “Galassia” e “Urania” stessa: il compito che attendeva Montanari, tuttavia, non riguardava soltanto le scelte dei testi ma la riorganizzazione delle collane e la creazione di nuove iniziative, tra cui una importante collezione rilegata, “Altri mondi”. Grazie a questa esperienza, il mercato conobbe un’alternativa alle edizioni dell’Editrice Nord e Fanucci. Tra il prodotto venduto in edicola e quello presente in libreria le distanze si accorciarono, mentre “Urania” poté dire di essersi lasciata alle spalle il periodo prettamente popolare.

La prima importante scoperta della nuova “Urania” fu Lucius Shepard, l’altra Serge Brussolo, un autore forse troppo in anticipo sui tempi ma che all’epoca in molti salutarono come una rivelazione. E poi arrivò il cyberpunk, il genere creato da Bruce Sterling e William Gibson. In capo a quattro anni, la nostra collana era ripartita e il compito di traghettarla nel XXI secolo sarebbe toccato a chi scrive queste righe, oltre che alla redazione che lo ha fiancheggiato.

Giuseppe Lippi

(3 – continua)

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Urania 1952-2012 seconda parte

ottobre 17th, 2012

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Urania 1952-2012

Ovvero, come la macchina del tempo non si è mai fermata – 2

Il new look degli anni Sessanta: Fruttero & Lucentini

 Possiamo ben dire che ai tempi di Monicelli si fossero costruiti gli stadi del razzo e lanciato il satellite in orbita. Nel decennio successivo, affollato di assemblee sindacali e persuasivi studi TV, di imminenti rivoluzioni sessuali e autostrade lanciate nel sole, la nuova “Urania” di Carlo Fruttero e Franco Lucentini avrebbe insegnato a gestire il futuro, a manipolarne la conquista. Non bastava più salire nello spazio, bisognava affacciarsi alle dimensioni del possibile, del sociale. Il futuro è già cominciato, recitava il titolo di un famoso pamphlet di pochi anni prima: ebbene, ora si trattava di viverci. Nel 1964, lamentando la paventata introduzione dell’obbligo a portare la cintura di sicurezza, Fruttero e Lucentini scrissero che si voleva obbligare il cittadino, già lanciato in mezzo a due allucinanti piste d’asfalto (l’Autostrada del sole), a mettere una bandoliera sul petto: ma qui, dove andremo a finire? Ma di questo passo, cosa ci aspetta all’ombra del Duemila? Gli anni Sessanta furono la scuola guida del futuro, con tutto quello che sarebbe costato.

Non è un caso se, con il primo volume della nuova direzione  (1962), “Urania” cambiasse veste grafica: il nome racchiuso in una losanga cangiante, che ogni volta s’ispirava ai colori dell’illustrazione. In basso, una barra ugualmente colorata conteneva prezzo, data e altri indicia. In alto, a destra della testata, autore e titolo erano composti in Arial nero su campo bianco, alternando maiuscole e minuscole. Era un aspetto decisamente più moderno, quasi da oggetto di design: e si sa come in quegli anni l’interesse per la grafica industriale fosse particolarmente vivo in Italia. Dal ‘62 “Urania” cercò di trasformarsi in qualcosa di più sofisticato, e grazie alle originali illustrazioni di Karel Thole si proiettò in una fase nuova, al passo coi tempi. Non era più un prodotto povero o puramente funzionale: proprio come altri oggetti umili di uso quotidiano – dalla caffettiera al frigidaire – aspirava a una linea gradevole che sottolineasse lo sforzo immaginifico dell’industria. Il nuovo progetto grafico fu opera probabilmente di Anita Klinz, l’art director tedesca che aveva portato Thole in Mondadori nel 1960; era come se l’”Urania” pop di Klinz-Thole-Fruttero & Lucentini dicesse al lettore: vai e affronta la Civiltà delle macchine! (Così si chiamava, tra parentesi, la rivista dell’IRI). Entra in fabbrica, trova la tua strada nel labirinto. Ricreati nei negozi del consumo, conquista il tuo posto nello stupendo ingranaggio, sali agli uffici del trentaseiesimo piano. E godi, godi, godi la forma dell’avvenire. L’arte pop è fatta su misura dei nuovi cittadini, della loro sensibilità per ciò che è bello nel brutto, come diceva Chesterton: cioè il “bello” della vita produttiva. Anche “Urania” cambia in questo senso, prova a inventare una veste per il futuro. Il risultato sarà il piano quinquennale 1962-1967, un progetto editoriale a medio termine in cui sembra esserci ancora un quantum of solace, un po’di spazio per il volto umanistico della futurizzazione. In quel periodo abbondano le antologie di racconti, le satire graffianti dei meccanismi sociali, il loro capovolgimento ironico; poco a poco gli extraterrestri diventeranno più mansueti e i robot-sorveglianti più minacciosi, finché sarà chiaro che gli extraterrestri siamo proprio noi, ospiti su un pianeta-lager. Ma prima della svolta autoritaria, prima dell’omologazione post-1968, potremo ancora tirare qualche boccata d’ossigeno grazie alla science ficton indipendente di “Urania” e compagnia.

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Carlo Fruttero, il nuovo reggitore delle sorti editoriali (Lucentini arriverà due anni più tardi, nel 1964), era nato a Torino nel 1926. Giovane intellettuale confluito nell’editoria, si era segnalato ben presto per aver curato, con Sergio Solmi, la famosa antologia Le meraviglie del possibile (Einaudi 1959). Alle sue spalle aveva un passato di studi in Francia e un vivo interesse per tutto ciò che è bizzarro in letteratura. Onnivoro lettore e uomo di cultura, il suo amore per il fantastico nacque forse nel 1943, quando aveva appena diciassette anni e, per sfuggire ai bombardamenti alleati, si rifugiò nel castello di Passerano presso Asti. Come ricorda in terza persona: “In quello stesso 1943 d’altra parte, gli studi liceali di Fruttero furono bensì interrotti dalle incursioni aeree angloamericane, ma prontamente sostituiti da un’assidua frequentazione dei classici angloamericani nonché francesi nella storica, multilingue biblioteca del castello…”. Fruttero approfittò della straordinaria occasione; e quando, parecchi anni dopo, dovette attingere il materiale per la nuova antologia Storie di fantasmi (1960), tornò nella casa del conte Roberto Radicati di Marmorito, trovandovi gran parte dei testi che gli occorrevano.

Alberto Mondadori si rivolse con fiducia a quest’uomo di lettere che era stato attivo collaboratore di Einaudi, invitandolo a rinnovare la sua collana di fantascienza: l’avventura di “Urania” venne così proiettata nel decennio dell’utopia nazionale. Quando Fruttero s’insediò, nel 1962, aveva trentasei anni; Monicelli ne aveva cinquantadue. Tra i due uomini passava una generazione e la loro visione era radicalmente diversa. Sognatore e romantico il secondo, nel senso migliore d’intellettuale vecchio stampo; agguerrito, ironico e mordace il primo, che aveva una formazione da scrittore moderno.

Anche il suo collaboratore era uno scrittore: “Lucentini Franco, il più anziano della coppia, è nato a Roma il 24.12.’20 ed ivi, dopo un intervallo carcerario per attività antifascista svolta all’Università, addottorato in filosofia nel 1943… Dopo la guerra visse all’estero, a Praga e a Vienna (producendovi un racconto poliglotta, I compagni sconosciuti, che inaugurò presso Einaudi la collana vittoriniana dei “Gettoni”) e infine a Parigi, dove nel ’52 conobbe Fruttero grazie ad amici comuni.”  Il loro sodalizio, d’altra parte, non nacque che nel ’57, quando si trovarono “a lavorare insieme da Einaudi in qualità di redattori oltre che traduttori dalle lingue più diverse, ma anche curatori di antologie piuttosto eterodosse a quei tempi nell’editoria di cultura: una di fantascienza e una di storie di fantasmi”. Prima di diventare il collaboratore artistico di Fruttero in una lunga serie di libri di successo, Franco Lucentini aveva pubblicato un altro importante testo narrativo, Notizie dagli scavi, oltre a posie, saggi e traduzoni borgesiane. E’ morto suicida a Torino il 5 agosto 2002, dopo una dolorosa malattia.

Insieme, i due avrebbero potuto vantarsi (ma non lo hanno mai fatto): “La fantascienza degli anni Sessanta e Settanta siamo stati in buona parte noi. L’abbiamo portata in tutte le case come la televisione, l’abbiamo data a grandi e bambini. Il nostro primo obbiettivo è stato divertire i lettori facendoli rabbrividire. Come Hitchcock, non crediamo nella narrativa tranche de vie ma in un bel trancio di torta. Abbiamo fatto il bello e il cattivo tempo perché eravamo i signori della più diffusa ed elettrizzante collana del settore. E se oggi vivete nel futuro, un po’ lo dovete anche a ‘Urania’. Cioè a noi”.

Avevano appassionato, pur fra le polemiche, una generazione di lettori e preparato la prossima; avevano introdotto la letteratura nel menù della sf (loro che teorizzavano l’indipendenza della fantascienza dai fatti letterari… ma per ragioni letterarie!). Erano stati civettuoli quanto basta, solleticando in questo modo la curiosità dei curiosi. Maestri di vita? Maestri di science fiction da divorare “per il puro piacere”, senza secondi fini, e da conservare nei casi più fortunati – Ballard, Disch, Dick, Lafferty, Silverberg, Lovecraft, Brown. Per il resto rivendere in bancarella, che male c’è. Con i due arbitri d’eleganza e di fs sarebbe tramontata un’epoca di magistero (e di fenomenali antologie di racconti) che, come tale, non si è più ripetuta.

Giuseppe Lippi

(2- continua)

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[Dossier 50 anni nello spazio] Valentina Tereshkova, primadonna dello spazio

aprile 10th, 2011

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Un’intervista con l’astronauta che ha superato le barriere della terra… e del suo maschilismo
“Quando ho sentito i motori accendersi e la navicella tremare e ho capito che mi stavo sollevando ho detto
ad alta voce: ‘Ehi, cielo, apriti che vengo verso di te’. E subito dentro al mio casco risuonò la voce di Yuri Gagarin che mi chiedeva cosa stessi dicendo. Infatti quelle parole non facevano parte del protocollo”.

Valentina Tereshkova è la prima donna ad avere varcato la soglia dello spazio. Il suo missile Semjorka partì dalla base spaziale di Bajkonour il 16 giugno del 1963. Valentina alloggiava nella Vostok 6, una scomoda navicella monoposto dove era quasi impossibile muoversi. Nei giorni del cinquantesimo anniversario del lancio dello Sputnik, avvenuto il 4 ottobre 1957, Valentina si trovava in Italia, a Bergamo, l’abbiamo incontrata e intervistata. Oggi la Tereshkova ha 74 anni, ancora lavora alla Città delle Stelle di Mosca. Ha uno sguardo da mezzobusto di eroe della Rivoluzione, due occhi inflessibili, azzurri, la fronte molto ampia.
Che cosa ricorda di quei primi anni dell’astronautica? Ha conosciuto Gagarin?

“Gagarin per me era come un fratello. Eravamo grandi amici. Lui era una persona dolcissima eppure molto esigente con se stesso e con gli altri. Gagarin era diventato il braccio destro del Costruttore Capo, Korolev. Era sempre presente ai lanci, alla preparazione degli astronauti.  Voleva che tutto fosse studiato nei minimi dettagli. Ecco, penso che la morte di Gagarin, come del resto quella di Korolev, abbiano fortemente influito sullo sviluppo del programma spaziale sovietico”.
 

In che senso?

“Soprattutto la morte di Korolev condizionò pesantemente il programma. Korolev era il padre della nostra astronautica, aveva realizzato lo Sputnik e la Vostok e i razzi Semjorka. Era un uomo di straordinarie capacità, intuizione, aveva la forza di trascinare progettisti e astronauti. Quando il governo sovietico gli chiese di realizzare una navicella a due o tre posti per fare fronte alla Gemini americana, Korolev fece l’impossibile e ci riuscì, adattando la Vostok nella nuova Voshkod. Proprio da una Voshkod uscì Leonov quando fece la prima ‘passeggiata spaziale’ della storia. Ma si trattava di una soluzione precaria, dovuta alle pressioni politiche. In realtà Korolev stava già lavorando alla navicella Soyuz, ma i tempi di elaborazione erano più lunghi… Venendo a mancare lui mancò un punto di riferimento. Korolev morì nel 1966, Gagarin nel 1968″.
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Sulla Luna con Apollo: c’eravamo anche noi

luglio 19th, 2009

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Introduzione a “Il mondo degli showboat”

luglio 9th, 2009

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Pubblichiamo l’introduzione all’Urania Collezione di questo mese, firmata dal nostro Curatore Giuseppe Lippi. 

Showboat World ci riporta sul Pianeta Gigante, una delle prime e più fortunate creazioni di Jack Vance, l’immenso mondo povero di metalli dove hanno trovato asilo i paria e i senza-regola della Terra, i quali hanno dato vita a un groviglio di civiltà anacronistiche e post-tecnologiche. Come tutti ricorderanno, il pianeta faceva mirabilmente da sfondo a uno dei romanzi più famosi dell’autore californiano, Big Planet appunto (L’odissea di Glystra, 1952), e il suo ritorno in Showboat World, un romanzo del 1975, indica in Vance il bisogno di un ambiente fantastico del tutto eccentrico rispetto alle correnti mode fantascientifiche.

E infatti la vasta regione del fiume Vissel, dove Showboat è ambientato, coi suoi colori, le sue brezze, i suoi vascelli e i gonfaloni, le strane tribù e i desueti costumi, i cappellacci ornati di piume, stivali, sciabole e schioppi è più prossimo a Salgari che a John Campbell; e ciò che di più fantascientifico possiede è l’humor culturale, quello strizzar l’occhio alle sinistre abitudini che talora così da presso parodiano le nostre (anche se la maestria di Vance giunge al punto da passare quasi con negligenza queste osservazioni, da farne solo uno spunto del suo merletto più ricco).

Come è chiaro nel romanzo, ciò che interessa Vance è anzi tutto l’esotica avventura; un’avventura non tanto vissuta nei modi amari e romantici di Conrad, di Melville, dei metafisici del mare insomma; ma in quelli più scanzonati, e leggeri, d’un immaginario operettista. Potremmo anzi dire con una certa dose di verosimiglianza che Showboat sia una River Opera e che dell’operetta Vance fornisca, lungo il romanzo, la ricetta ideale attraverso le simpatiche teorizzazioni di Apollon Zamp, Garth Ashgale e Throdorus Gassoon. Leggi tutto »

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Come ladro di notte: l’introduzione all’edizione del 1972

giugno 15th, 2009

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Riportiamo l’Introduzione all’edizione 1972 del romanzo Come ladro di notte di Mauro A. Miglieruolo, a firma dei curatori di Galassia Vittorio Curtoni e Gianni Montanari.

Eccoci dunque al terzo romanzo italiano che Galassia presenta ai lettori nella sua nuova veste. Più di un anno e mezzo ci è occorso per ritrovare e accomodare (grazie in special modo a Lino Aldani) quest’opera davvero unica che da parecchio tempo languiva in un cassetto, ma ora possiamo tenerla a battesimo con legittimo orgoglio.

Come ladro di notte (non ‘nella notte’ – vedere Prima Lettera ai tessalonicesi in: Ricciotti – Le lettere di San Paolo – Coletti Editore Roma 1958 – Pag. 14 paragrafo 5 – dizione questa che l’autore preferisce alle altre traduzioni) risale come prima stesura al 1966, pur essendo stato definito l’anno seguente. Come Miglieruolo tiene a sottolineare, e come l’opera stessa rivela chiaramente, il romanzo è stato scritto in un periodo di intensa trasformazione della sua personalità politica. La maturazione definitiva e successiva a quel periodo lo avrebbe poi costretto a rinnegare il tipo di impostazione filosofica e moralisticheggiante data al romanzo, ma fortunatamente non gli avrebbe impedito di conservarlo per tutti noi.

Il carattere che più si presenta evidente alla prima lettura è la davvero enorme mole di elementi che sono stati chiamati a costruirlo: Come ladro di notte è un romanzo che oseremmo chiamare apocalittico, oltre che per la bizzarra operazione di sintesi subita dal linguaggio, per il suo coinvolgere più o meno quasi tutti gli aspetti attuali e futuri del vivere civile. Forse l’unico difetto risiede proprio in questa sua molteplicità di intenti mai portati compiutamente a termine. A questo proposito è Miglieruolo stesso a offrircene una spiegazione.

“Il romanzo” egli dice “ha il difetto inevitabile di ogni opera concepita in periodi di rapida trasformazione. È parziale e spesso superfluo, nella misura in cui accenna o imposta problemi che poi non vengono sviluppati perché hanno perso il sostegno delle forze interiori che li ispiravano, o che rimangono esterne alle esigenze dell’azione e dell’ispirazione complessiva. Vedi per esempio il tema di Elio palesemente incompiuto rispetto agli sviluppi possibili; idem per i rapporti Zanzotto-Silvana e Zanzotto-crisi-Congrega.

Ma ciò che ci spinge soprattutto a non tenere conto di questo difetto è l’incredibile (e meraviglioso) universo che prende vita dalle pagine del romanzo. Mai nulla di simile era stato in precedenza tentato da uno scrittore italiano di fantascienza. Moduli e schemi classici vengono rilevati da Miglieruolo e deformati nella sua alchimia personale della parola, immersi in un bagno misterioso da cui emergono ricoperti di una patina affascinante. L’ideale cosmico di morte che pervade ogni mossa e ogni intento della Congrega appare come il punto fermo di un’intera concezione esistenziale. E il lento germe della corruzione si infiltra silenzioso in questo immenso apparato, mentre tutt’intorno si agitano le patetiche figure che intendono arrestarne o aiutarne la corsa maledetta.

Un grandioso affresco dipinto dagli uomini e da questi incrinato e condotto alla rovina. Una morale, forse? Oppure un atto di accusa?

Vittorio Curtoni e Gianni Montanari

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