Lo scorso febbraio il nostro Curatore ha compiuto venti anni alla guida di “Urania”: in attesa di più adeguate celebrazioni, festeggiamo l’anniversario con una chiacchierata che ci svela retroscena della storia e anticipazioni sul futuro di “Urania” e delle sue sorelle.
Giuseppe Lippi (Stella Cilento, 1953) non ha certo bisogno di presentazioni su queste pagine. Traduttore, saggista, autore di racconti, esperto di letteratura fantastica in tutte le sue molteplici declinazioni, oltre che di cinema (è autore, tra le altre cose, della guida definitiva al capolavoro di Stanley Kubrick: 2001 Odissea nello spazio: dizionario ragionato, pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Le Mani). È stato curatore per la Mondadori delle collane Oscar Fantascienza, Fantasy e Horror, ha curato l’opera completa in volume di H.P. Lovecraft ed è recentemente tornato in libreria con l’antologia Racconti fantastici del ‘900 (Mondadori, 2009). Da vent’anni è al timone di “Urania”, come l’ha definita un grande amico scomparso da poco: “la corazzata della fantascienza italiana”.
Vent’anni sul ponte di comando di “Urania”. Domanda interlocutoria al Capitano Lippi, alias P. Kettridge Jr.: cosa si prova a essere stato per tutto questo tempo il punto di riferimento della fantascienza in Italia?
GL: Si prova un giramento di testa, e infatti la mia non è più tanto giusta, da allora. E si pensa: sono vent’anni che mi trovo qui, poco meno del tempo che è trascorso da quando ho aperto la mia prima copia di “Urania” e quando ne sono diventato curatore. Tutta la vita racchiusa nelle sue pagine!
Secondo la “Storia tecnica” della corazzata della SF redatta da Ernesto Vegetti (apparsa in tre puntate sui numeri 1526, 1530 e 1532 di “Urania”, in occasione del suo 55simo anniversario nel 2007), hai assunto ufficialmente la guida della collana con il numero 1121, ma già da un anno ti apprestavi a prenderne la curatela. Cosa puoi raccontarci di quel periodo e dell’eredità lasciata dal tuo predecessore, Gianni Montanari?
GL: Oltre all’incarico di dirigere “Urania”, di quel periodo ricordo volentieri la chemioterapia che mi ha salvato da un linfoma di Hodgkin. Essendo sopravvissuto, ho potuto dedicarmi al nostro lavoro con più fiducia e soprattutto slancio vitale. Gianni Montanari mi aveva lasciato una ricca eredità (un anno di produzione) e ho rispettato le sue scelte nel modo più assoluto, lasciando che uscissero per tutto l’89. Solo nel febbraio ’90 hanno cominciato ad apparire le mie. Prima di congedarmi da questa domanda vorrei ancora ricordare il calore e l’affettuosità con cui venni festeggiato – già allora, novello curatore – nella redazione dei libri di genere. In particolare da Gianfranco Orsi e Stefano Di Marino, che a quell’epoca era redattore di “Urania”, ma anche da tutti gli altri: il nostro caporedattore Marzio Tosello, i grafici Nicola Giacchetti e Maria Lina Pirovano e la dolcissima segretaria di redazione, Cinzia Monaco.
Sotto la tua direzione “Urania” ha festeggiato traguardi importanti. Il numero 1500 ti ha offerto l’occasione per approntare una rassegna dei curatori che ti avevano preceduto in questo ruolo. Com’è evoluta “Urania” dalla sua fondazione, nel 1952?
GL: Negli anni Cinquanta “Urania” è stata una collana pionieristica, avrei detto “eroica” se non fosse già esistita una testata con quel nome. Nei Sessanta diventa una creatura sofisticata, nei Settanta rappresenta un po’ il supermarket del fantastico o l’Antigravitazione per tutti. Negli anni Ottanta scopre nuovi orizzonti, mentre a metà dei Novanta tenta la via della libreria, trasformandosi in un’elegante serie pocket. Un certo nocchiero che non starò a nominare l’ha traghettata allegramente nel XXI secolo e speriamo di vederne ancora nelle belle. Oh, a proposito: per “Urania” il 2012 sarà l’anno del sessantesimo compleanno, non certo quello delle profezie maya.
Una critica che viene talvolta mossa alla collana è di aver dato troppo spazio alle mode del momento. Personalmente ho invece l’impressione che nel corso della sua esistenza “Urania” abbia saputo mantenere una sua identità, dando sempre spazio sia alle novità che al gusto consolidato dei suoi lettori. In definitiva, non sono mai mancate le dimostrazioni di carattere. Come ti sembra che sia cambiata la fantascienza nel corso di queste due decadi, nella sostanza e nella percezione del pubblico?
GL: Il genere in sé ha subito varie trasformazioni, trionfando al cinema e rinnovandosi anche nella sua forma letteraria: vedi il fenomeno cyberpunk, il cosiddetto cyber-noir e l’imprevista rinascita della space opera, soprattutto grazie ai bravi autori inglesi. Con gli anni il pubblico degli appassionati è diminuito ma lo zoccolo duro è rimasto vigile, fedele e interessato. L’attenzione dei media verso la fantascienza letteraria, invece, è venuta a mancare, almeno in Italia. All’estero è diverso, “Le Monde” ed “El Pais” dedicano sempre una pagina al genere, mentre il critico del “Guardian” è nientemeno che John Clute, il compilatore dell’Encyclopedia of Science Fiction. In Italia, a parte alcune testate come “Il manifesto”, siamo più pressappochisti: ci piacciono i film con gli effetti speciali e scriviamo di quelli, mentre sui quotidiani e le riviste che contano la critica letteraria è di stretta osservanza e pratica l’apartheid, lasciando fuori la narrativa d’immaginazione.
Estrapolando dai dati della summenzionata “storia tecnica” estesa da Vegetti, sei ormai sulla strada per festeggiare i 500 numeri di “Urania”. A bruciapelo: potendo tornare indietro, quale scelta non ripeteresti?
GL: Oh my God, non ripubblicherei la serie di Paul Preuss Nome in codice: Sparta. Né la novelization di Alien: dentro l’alveare, anche se fosse firmata Sheckley. E neppure Ithaqua, il mostro di Brian Lumley, così isolato dal suo contesto come uscì negli anni Novanta. Quel ciclo andrebbe rifatto integralmente su “Epix”, anche se si tratta di robina divertente più che edificante. Per il resto, come diceva Michael Moorcock: bisogna difendere a spada tratta tutti i nostri libri. Dietro ognuno, anche il più traballante, c’è una scommessa, una scelta, un desiderio.
Le tue scelte sono state fondamentali per far conoscere ai lettori italiani scrittori del calibro di Joe R. Lansdale, Michael Swanwick, M. John Harrison, Valerio Evangelisti. Di quale titolo o iniziativa vai più orgoglioso?
GL: Vado fiero di tutti gli autori che hai citato, e fra i più recenti aggiungerei Greg Egan, Peter F. Hamilton e Alastair Reynolds. Ma il mio senso dell’orgoglio – se tale può essere definito quello di un mero tramite com’è un direttore di collana – si scioglie al burro su un’autrice in particolare: Amanda Prantera. Amanda è inglese, vive in Italia, scrive romanzi bellissimi e complessi e considero i suoi Il cabalista e Cerchio segreto tra i più bei titoli usciti su “Urania” nel campo del fantastico moderno. Senza dimenticare il fantasy La regina dei Fani, apparso in una collana da libreria ma ultra-meritevole di un’epix-fanìa.
Quale risultato o iniziativa ti ha maggiormente gratificato?
GL: Vent’anni di premio Urania hanno visto l’affermazione di autori come Vittorio Catani, Valerio Evangelisti, Luca Masali, Nicoletta Vallorani: mica male, come scuderia. Altri autori hanno lasciato il segno sulle loro orme, fino ai recenti Paolo Aresi, Dario Tonani e Giovanni De Matteo. A parte il premio, che mi ha indotto a occuparmi di fs italiana pur non essendone un partigiano sfegatato, direi che i miei ricordi più belli siano legati ai numeri off-beat, strani, spesso usciti per festeggiare ricorrenze particolari. E quasi sempre antologici. Ricordo qui il volume del quarantennale (Metà P metà S, 1992), quello del quarantacinquesimo (Tutti i denti del mostro sono perfetti a cura di Valerio Evangelisti, 1997), il libro d’oro del mezzo secolo (Cinquant’anni di futuro, 2002) e il n. 1500 (Tutta un’altra cosa, 2005). Ma anche l’antologia di fantascienza auto-referenziale Fantashow (uscita per il Natale 1995) e quella dedicata ad Halloween da Robert Bloch (Le escrescenze della luna, 2000). Nei vecchi “Classici Urania” la mia serie preferita è quella dedicata ai Grandi Maestri della sf, cioè i vincitori del Grand Master Award, mentre nel “Millemondi” mi ha dato grande soddisfazione la serie in due volumi Avventure nell’ignoto e Nuove avventure nell’ignoto (The Fantasy Hall of Fame a cura di Robert Silverberg). Anche la ristampa dei racconti di Richard Matheson, Shock, è stata una bell’occasione per il “Millemondi”. Ricorderei ancora i due volumi de La fantascienza di Playboy (in “Urania” nn. 1368 e 1373; 1999) e la prima antologia della sf cinese apparsa in Italia, L’onda misteriosa (n. 1511 del 2006). A proposito, una seconda antologia cinese uscirà nel 2010.
Un romanzo o un autore che avresti voluto pubblicare?
GL: Guarda, non è per dire ma noi abbiamo pubblicato tutti i maggiori talenti: da William Gibson a Bruce Sterling, da Lucius Shepard a Octavia Butler, e questo nei vari periodi della storia della collana. Se vuoi una confessione, mi sarebbe piaciuto “scoprire” Iain Banks che invece è stato fatto conoscere dall’amico Piergiorgio Nicolazzini per la Nord. O Paul Di Filippo, che abbiamo recuperato in seguito. Tra i classici mi piacerebbe fare una nuova traduzione di Clark Ashton Smith, il più misconosciuto del circolo Lovecraft. Magari negli “Oscar” e poi su “Epix”, o viceversa.
La tua attività non è cominciata con “Urania”. Chi e cosa ricordi più volentieri delle esperienze precedenti?
GL: La mia storia professionale comincia nel 1977 con “Robot”, la rivista edita da Armenia di cui sono stato redattore per due anni; all’epoca il mio mallevadore e amico fraterno è stato Vittorio Curtoni. All’inizio dell’esperienza in Mondadori ho avuto la fortuna di lavorare con editor di grande finezza e cultura come Glauco Arneri (dal 1980 al 1984) e Ferruccio Parazzoli (dal 1985 al ’95), direttori per lunghi anni dei libri economici. Qui ho messo in piedi un catalogo di fantascienza, fantasy e horror che per quei tempi era particolarmente ricco e agguerrito. In seguito, ho collaborato con gli “Oscar” di Massimo Turchetta e Antonio Riccardi, che oggi sono tra i massimi dirigenti dell’azienda, e ancora con Luigi Sponzilli e Fabio Di Pietro. Nel caso di “Urania”, il primo della lunga serie di editor è stato Leone Buonanno, che saluto qui cordialmente: un ligure che riuniva in sé le capacità di ottimo amministratore e la sensibilità di un lettore avveduto, mai schizzinoso e anzi amante di molti generi artistici. A lui sono seguiti Gianfranco Orsi, direttore-chiave del “Giallo Mondadori” ma anche di “Segretissimo” e “Urania”; Franco Amoroso, un manager puro amante delle belle donne e delle macchine veloci; Stefano Magagnoli, dirigente di valore con il quale abbiamo vissuto tante avventure, in primis il passaggio delle collane al formato tascabile e lo sbarco in libreria del 1996. Annalisa Carena è stata l’unica signora del gruppo: con lei facevamo lunghissime riunioni a Segrate e giù al bar, nelle after hours, quando il tempo non bastava. Sandrone Dazieri è stato il primo romanziere ad arrivare al timone della divisione edicola: ricordo che mi porgeva i suggerimenti di un suo lettore di fiducia, un appassionato di fantascienza che veniva dalla militanza leoncavallina ed era soprannominato l’Elefante. Dopo di lui c’è stato Marco Fiocca, il più giovane della serie.
Torniamo al presente. E al futuro. Da qualche anno ti ritrovi a collaborare a stretto contatto con l’editor Sergio Altieri, attuale direttore del mass market Mondadori. Insieme avete riaperto agli italiani al di fuori delle maglie del premio Urania e avete varato la nuova collana dedicata al fantastico, all’horror e alla weird fiction: “Epix”. Cosa avete ancora in serbo per i lettori?
GL: Molte cose. Per esempio, prevedo di allargare la mia area di consulenza allo spionaggio (una mia vecchia passione: vedi il recente volume dedicato a Jean Bruce, OSS 117: Romanza della morte, apparso come supplemento a “Segretissimo”) e al giallo d’autore. In questo campo ho progettato un volume con tutti i racconti di Ed McBain dedicati al personaggio di Matt Cordell e usciti negli anni Cinquanta su “Manhunt”. Sarà un “companion” del romanzo A un passo dalla tomba, curato da Mauro Boncompagni e uscito lo scorso anno. Nel campo per noi più ortodosso del fantastico, ho varie idee allo studio: su “Epix” dovrebbe uscire un secondo volume dei Miti di Lovecraft, con altri importantri racconti, e poi una riproposta del miglior Machen (ad esempio Il gran dio Pan). In campo fantascientifico, seguo varie linee di pensiero contemporaneamente: un’”Urania-rivista”, per esempio, con racconti e romanzi ma anche articoli, forum, eccetera. E poi un programma di e-book, sia classici che contemporanei. Infine, sono già al lavoro su alcune ipotesi per il numero speciale del sessantennale. Posso anticipare che Sergio Altieri condividerà la realizzazione di tutti questi progetti. Una curiosità: noi due ci siamo conosciuti più di trent’anni fa, quando lui era uno scrittore agli esordi e io redattore di “Robot”.
Se non sbaglio, “Urania Collezione” era stata originariamente concepita per durare 100 numeri. Avvicinandosi al traguardo, puoi dirci cosa succederà dopo?
GL: Credo che durerà molto di più. E’ una collana (concepita da Sandrone Dazieri, fra parentesi) che ha dato molte soddisfazioni e altre ne darà. A farla brillare in edicola pensano le belle copertine di Franco Brambilla, ormai entrate a buon diritto nell’olimpo dei classici dell’illustrazione di sf. Oserei dire, i primi veri classici italiani dopo quelli di Kurt Caesar, Karel Thole e Giuseppe Festino.
Il restyling di “Epix” ha esplicitato il suo legame con la collana madre (o sorella maggiore). L’esperienza di “Epix” è forse emblematica delle insidie dell’edicola. Una questione sollevata ripetutamente dai lettori, anche attraverso i commenti a questo blog, riguarda il problema della distribuzione che troppo spesso segue logiche imperscrutabili ai comuni mortali. Come cambieranno adesso le cose?
GL: La distribuzione è sempre sotto controllo da parte della direzione libraria, ma procede per grandi blocchi e forti numeri. E’ possibile, quindi, che a volte si verifichino disguidi e alcuni punti vendita siano coperti troppo, mentre altri rimangano coperti poco o niente affatto. E’ un dilemma stringente, quando si hanno tirature inferiori alle trenta o quarantamila copie. Confidiamo che il restyling aiuti la fidelizzazione dei lettori e li invogli verso un genere di esperienza che “Urania” sente vivamente il bisogno di coprire.
Ti va di darci qualche anticipazione? Quali titoli vedremo nei prossimi mesi su “Urania Collezione” ed “Epix”?
GL: Su “Urania collezione” avremo – non necessariamente in quest’ordine – Non-A di A. E. van Vogt, Pianeta d’acqua di Jack Vance, Paradosso cosmico di Charles L. Harness, Stella doppia 61 Cygni di Hal Clement, Shadrach nella fornace di Robert Silverberg, Furia di Henry Kuttner, Il cieco del non-spazio di Bob Shaw e Addio, Babilonia di Pat Frank. Su “Epix” sono in arrivo Beowulf di autori vari, Carni estranee di Adriano Barone, il Wolfman di Nicholas Pekearo, The Iron Dragon’s Daughter di Michael Swanwick, La signora oscura di Giulio Leoni, La città vampira di Paul Féval ritradotto da Massimo Cavaglione e I racconti dell’orrore di Robert E. Howard in due parti. Più altre cose.
Che cosa ci riserva invece il futuro di “Urania”?
GL: Innanzi tutto una doppietta di autori italiani, Claudio Asciuti ed Errico Passaro, con i due romanzi brevi Vento eclissale e Zodiac, poi Birmingham, 35 miglia di un nuovo autore, James Braziel, quindi Nova Swing di Michael John Harrison. Nel “Millemondi” di maggio avremo il colossale romanzo di Peter F. Hamilton The Dreaming Void, primo di una trilogia ad amplissimo respiro. E ancora, su “Urania” normale, The Digital Plague di Jeff Somers, Incandescence di Greg Egan, il premio Hugo di Vernor Vinge Rainbow’s End, Rollback di Robert J. Sawyer e in novembre, se tutto andrà secondo i piani, una nuova antologia della sf cinese curata per noi da un esperto del campo, Lorenzo Andolfatto. Nei “Millemondi”, infine, avremo l’antologia annuale del Meglio della sf e una corposa raccolta invernale dedicata ai maestri della science fiction europea.
Prima di chiudere, una domanda sulla tua carriera di scrittore di fiction. Nel sopracitato numero 1500 di “Urania”, Tutta un’altra cosa, era compreso anche uno dei tuoi rari racconti. Si chiamava “Il lago d’inferno” ed era ambientato sulle sponde del Golfo, nella tua Napoli, in una città insidiata da minacce tanto oscure quanto letali. Alla fine, il protagonista decideva di prestarsi alla delicata partita a scacchi tra i No e gli umani sopravvissuti alla loro invasione. Ce n’era abbastanza per un romanzo intero, ma la storia s’interrompeva sulla soglia del mondo fantastico che si schiudeva al di là di una tela che era anche un manufatto psichico, e al lettore non venivano concessi molti indizi su ciò che sarebbe accaduto in seguito. Scopriremo mai chi erano davvero i No e cosa è successo a Bill Ford?
GL: Spero di sì, anche perché uno dei limiti del racconto è proprio quello di interrompersi su un “cliffhanger”. Nella mia mente, i No erano l’anti-umanità personificata, a cominciare dal nome. Potentissimi controllori del mondo, di probabile origine interstellare, ai quali non potevi neanche pensare senza che ti scoprissero. Una sorta di Grandi Fratelli all’ennesima potenza, ma dai quali ci si poteva isolare grazie alla protezione di alcuni manufatti artistici, o, come dici tu giustamente, psichici. Chi li avesse fabbricati resta un mistero (almeno per ora), ma un antiquario russo trasferitosi in Campania ne aveva scoperto un esemplare particolarmente potente sul lago d’Averno del titolo. Nella seconda metà della storia, ritengo si possa scoprire che il mondo al di là della tela sia un universo perfettamente normale, simile al nostro, senza i No e i loro servitori camorristi (i Cutolo, alias Cthulhu). L’agente Ford, che ha accettato di passare il varco, scoprirà che si tratta di una dimensione situata nel passato recente, prima dell’avvento dei controllori. In che modo riuscirà a svolgere la tela e a sabotare il potente nemico, è quanto si vedrà nella nuova avventura. Potrei pubblicarla su “Segretissimo”, tanto la trama mi appare nera e spiona…
Ti ringrazio per questa chiacchierata, Giuseppe, e lo faccio oltre che da blogmaster soprattutto da lettore di fantascienza e scrittore italiano. A te l’ultima parola…
GL: Innanzi tutto, sono io che ringrazio te e i lettori per avermi dedicato tanta attenzione. Per concludere, dirò che far marciare una macchina periodica complessa come quella di “Urania” non richiede soltanto conoscenze, gusto oppure “la testa”. Le schegge del puzzle sono tante e ognuna deve andare esattamente al suo posto. Occorrono molta accortezza e, soprattutto, molta pazienza. Una volta ho coniato il motto “pazienza e fantascienza”: mi sembra quanto mai attuale.
[Per l’illustazione di apertura, opera di Franco Brambilla, si ringraziano Giorgio Raffaelli (per la foto di base), Selene Verri e Luigi Milani. In basso: Giuseppe Lippi a Roma, nel 1998.]