“Falce” di Neal Shusterman

dicembre 7th, 2020 by Redazione

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a cura di Beppe Roncari

“Falce” di Neal Shusterman

 

Neal Shusterman, "Falce"

Neal Shusterman, “Falce”

Dopo aver conseguito l’immortalità, cosa resta da raggiungere al genere umano? Un mondo governato dal Thunderhead, un’intelligenza artificiale che da “Nuvola” (Cloud) si è evoluta in “Nube Tempestosa” (Thunderhead); lavori svolti come puro passatempo, senza una reale e impellente necessità; i drammi romantici come unica fonte di sani crepacuore vecchio stile; e poi… le Falci: le mietitrici di vite umane.

Sì, perché per quanto il mondo sia diventato un posto perfetto, le risorse perfettamente distribuite dal Thunderhead (vitto, alloggio, cure e ringiovanimenti) sono pur sempre limitate, e dunque qualcuno, di tanto in tanto, deve lasciarsi “spigolare” dalle Falci e… togliere il disturbo.

Nel mondo creato da Neal Shusterman per l’Arco della Falce, che ha inizio con il romanzo omonimo, l’unico aspetto di cui l’umanità non ha abdicato il governo all’intelligenza artificiale è quello del controllo della popolazione.

“Falce” è la storia di due adolescenti, Citra e Rowan, un ragazzo e una ragazza, che vengono scelti come apprendisti dall’onorevole Faraday, prestigioso membro del temuto quanto venerato Ordine delle Falci, alias gli uomini che hanno preso nelle proprie mani la somministrazione della morte, gli unici nel mondo a non essere soggetti al benevolo e onnisciente controllo del Thunderhead.

E se pensate di trovavi davanti al classico young adult di fantascienza distopica vi sbagliate. Proprio nella scelta del tema della mortalità e dei mille modi in cui l’uomo l’affronta o – preferibilmente – la ignora risiede l’originalità di “Falce”, uno di quei romanzi in cui la dimensione filosofica si trasforma senza soluzione di continuità in pura e appassionante narrativa di qualità.

Le scelte e i comportamenti dei personaggi della storia sono al tempo stesso originali e realistici, come quella di Tyger, uno splatter, il cui hobby consiste nel buttarsi dai palazzi o sotto i treni, per poi risvegliarsi tutto d’un pezzo nei centri di rianimazione del Thunderhead. Avvicinarsi alla morte per lui è solo un modo per provare emozioni forti e reali in un mondo troppo perfetto.

Altri scelgono la via del “crimine”, o di quanto di più simile al crimine possa esserci in un mondo in cui non esiste la fame, la povertà o la necessità, anche se alcune ineguaglianze sociali sono mantenute per dare la possibilità di “far carriera”. È lo stile adottato dai tipi loschi, gli unsavories in originale (in latino persona non grata), una sottocultura tollerata dal Thunderhead, che capisce come all’umanità sia necessario un certo livello di “regolata sregolatezza”, perché lo stimolo a infrangere le regole e le convenzioni fa parte della nostra natura.

Altri ancora scelgono la via mistica e si dedicano al culto tonista, da secoli alla ricerca della risonanza perfetta e della risposta al più bruciante di tutti gli interrogativi esistenziali, ovvero: “la nota emessa dal Grande Diapason è un la bemolle o un sol diesis?”

L’unico limite rimasto alla razza umana è quello di avere un solo pianeta, che rappresenta un hotel di lusso, certo, ma con posti numerati. I piani e i calcoli dell’intelligenza artificiale auto cosciente dovrebbero essere infallibili, eppure nemmeno il Thunderhead è riuscito a garantire all’umanità in perenne crescita una valvola di sfogo al di fuori del proprio pianeta natale, soprattutto dopo l’atroce fallimento delle colonie spaziali, finite tutte in tragedia. Tragedia autentica, perché dei corpi dei coloni bruciati dalle esplosioni e dispersi nello spazio non restava nulla da rivitalizzare.

È per questo che l’umanità ha ancora bisogno delle nobili e incorruttibili Falci, che non rispondono ad altra legge che alla propria e a quella del loro decalogo, che inizia con un’eco distorta dell’antico quarto, ormai obsoleto, comandamento: “Ucciderai”.

Vi lascio con una riflessione tratta dal Diario delle spigolature della Veneranda Madre Curie:

“Una volta all’anno, digiuno e medito sui comandamenti. Per la verità, ci rifletto ogni giorno, ma una volta all’anno lascio che essi siano il mio unico sostentamento. C’è del genio nella loro semplicità. Prima del Thunderhead, i governi avevano le costituzioni e massicci volumi di leggi. Eppure, queste venivano dibattute, messe in discussione e manipolate. Gli uomini si facevano la guerra perché avevano diverse interpretazioni della stessa dottrina. Quando ero ancora molto ingenua, pensavo che la semplicità dei comandamenti li rendesse impenetrabili […]. Dopo molti anni, ho scoperto con un misto di sorpresa e orrore fino a che punto potevano essere malleabili e flessibili.”

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One Response

  1. L'operatore Spaziale

    Un romanzo che è piaciuto un sacco, anche a neofiti della letteratura di genere e che non mi stupirei di vedere trasposto presto in serie tv/film…

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