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Leiber e il viaggio nel tempo

ottobre 8th, 2008

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Un intervento di Riccardo Valla su Fritz Leiber e Il grande tempo, che va a completare il profilo tracciato da Giuseppe Lippi.

Rispetto all’idea di viaggiare fino alla luna e al sole, un tipo di viaggio che compare già negli scritti di Luciano (II secolo d.C.), l’idea di visitare il futuro è abbastanza recente e nasce come variante dell’utopia. Invece di presentare stati immaginari di terre lontane, nel romanzo sul futuro si descrivono quelli ipotetici del domani.

Quanto all’identità del primo a presentare in una sua opera il viaggio nel futuro, i francesi citano Mercier (1770), gli inglesi l’anonimo autore di The Reign of George VI, 1900-1925 (1763), che descrive la vittoria dell’Inghilterra sulla Francia. Negli ultimi anni sono state anche citate due opere di polemica politica, S. Madden, Memoirs of the Twentieth Century, del 1733, e un opuscolo di propaganda a favore di Cromwell, Aulicus his Dream, del 1644. Nessuno di questi testi inglesi ebbe però il successo del romanzo di Louis-Sébastien Mercier, L’An 2440, rêve s’il en fut jamais, che descriveva le meraviglie del futuro, create grazie all’insegnamento delle scienze, e che ebbe subito versioni italiane e inglesi.

Rispetto a questi precursori, gli autori italiani sono nettamente distanziati, e il primo è Nel 2073! Sogni d’uno stravagante, di Agostino Della Sala Spada (1874), seguito poi con un grande distacco da L’Anno 3000 di Paolo Mantegazza (1897) e Dopo la vittoria del socialismo di Ulisse Grifoni (1907).

Tutti questi testimoni del futuro, comunque, vi giungevano in sogno, o tramite visioni ed espedienti. Il vero viaggio nel tempo, con una macchina che permette di andare avanti e indietro nell’arco dei secoli, ha poco più di cent’anni e risale al romanzo La macchina del tempo di Wells (1895).

In Italia, queste storie erano piuttosto rare, prima che con gli anni Cinquanta giungesse la Science Fiction americana, ma da allora in poi il tema  è sempre stato uno dei piatti forti della fantascienza italiana… da quando la fantascienza esiste, ossia da quando la parola fantascienza, coniata da Monicelli, è comparsa nel primo numero di “Urania” (allora “I Romanzi di Urania”). In quel mitico numero 1 compariva a puntate, in appendice, un romanzo di Simak sui viaggiatori nel tempo, Oltre l’invisibile. Nel romanzo, il protagonista, che vive in un lontano futuro, è coinvolto in un conflitto tra viaggiatori del tempo e si trova esiliato per un lungo periodo nell’America rurale degli anni Cinquanta.

Con il numero 12, Le armi di Isher di van Vogt, troviamo due viaggiatori nel tempo. Il primo è un giornalista della nostra epoca, che continua a oscillare tra passato e futuro, e il secondo è uno dei protagonisti, che torna indietro di qualche mese nel passato, portando con sé tutti i listini di borsa, e con i suoi guadagni mette in pericolo la stabilità finanziaria della sua epoca.

Prima di allora, i lettori italiani di storie di viaggiatori temporali avevano letto solo il romanzo di Wells. Al massimo, chi leggeva la rivista francese “Fiction” conosceva almeno per nome Le Voyageur imprudent di Barjavel, in cui, diversamente dalla Macchina del tempo, compariva un paradosso temporale, anche se un po’ ingenuo rispetto a quanto stavano scrivendo in America i vari Heinlein e Williamson. Nel romanzo di Barjavel, il viaggiatore, dopo un viaggio in futuro in cui l’umanità ha un’organizzazione da insetti sociali (operai, soldati, e una sola enome “regina” che si occupa della riproduzione) si reca ad assistere alle vittorie di Napoleone ed è ucciso da un proiettile vagante, Essendo morto in una data che precede quella della nascita, viene cancellato completamente dal flusso del tempo ed è come se non fosse mai esistito.

Intanto, negli Stati Uniti, nel periodo che va da Wells al 1950, vari scrittori avevano ripreso l’idea del viaggio nel tempo, a iniziare un autore poco noto in Italia, Ray Cummings, che nel 1924 scrisse The Man Who Mastered Time, in cui una macchina del tempo come quella di Wells portava il protagonista in varie epoche per sfuggire a una dittatura del futuro. Alcuni anni più tardi, nel 1931, appariva un interessante The Time Stream di John Taine, in cui un gruppo di studiosi di una civiltà del futuro si tuffava nel “flusso del tempo” per constatare la distruzione della civiltà e la nascita della barbarie. Nel romanzo, il tempo è circolare e il lontano passato coincide con il lontano futuro. Il romanzo ha una grande forza evocativa, ma evita di approfondire i paradossi.

Con la seconda metà degli Anni Trenta, comincia a delinearsi il tema del paradosso temporale, e il romanzo più significativo dell’epoca è La legione del tempo, di Jack Williamson (1938), in cui l’idea del viaggio nel tempo si unisce a quella dei “presenti alternativi” o degli “universi paralleli” che compariva nel romanzo di Murray Leinster, Bivi nel tempo (1934). In quest’ultimo, un cataclisma che coinvolge vari universi paralleli porta nella nostra realtà alcuni pezzi di Terre dove la storia ha seguito un altro percorso.

Williamson immagina invece che a indirizzare la storia lungo un percorso “alternativo” sia stato un intervento di viaggiatori del tempo provenienti dal futuro. Nel suo romanzo, due civiltà “alternative” del lontano futuro, ciascuna in grado di viaggiare nel tempo, si combattono ai nostri giorni per modificare la storia a proprio favore. Come nel film Ritorno al futuro, gli esponenti di ciascuna “sbiadiscono” e perdono realtà quando l’altra sembra sul punto di vincere.

A questi romanzi si accompagnano, negli anni attornmo al 1940, molti racconti che a volte propongono dei paradossi assai brillanti. Il più noto è quello di Heinlein, Un gran bel futuro (By His Bootstraps, 1941).

Il titolo del racconto è divenuto proverbiale. Significa “sollevarsi da solo, tirandosi su con le stringhe delle scarpe” (o, alla lettera, le cinghie degli stivali), tanto che il programma dei computer che serve per lanciare gli altri programmi si chiama “bootstrap” o “boot”. Però l’espressione non è di Heinlein perché era già in uso nella marina e Heinlein deve averla udita durante il servizio militare.

Nella storia, un giovane del nostro tempo riceve la visita di un viaggiatore del tempo, che lo porta in un lontano futuro. Là viene a sapere che una razza aliena ha invaso la terra e ha trasformato l’umanità in una razza di docili schiavi. Inoltre, prima di scomparire, ha lasciato varie apparecchiature come la macchina del tempo che ha trasportato nel futuro il giovane. In seguito, il viaggiatore si serve di lui come assistente, insegnandogli tutto quello che sa. Quando il viaggiatore scompare, il giovane comprende che il viaggiatore è lui stesso, e il ciclo temporale si chiude. Si è tirato su per le stringhe, ha fatto tutto da solo.

Vari anni più tardi, Heinlein riprese l’idea del “paradosso temporale chiuso” nel racconto Tutti voi zombie (1959), in cui l’autosufficienza del protagonista sale ancora di un grado. Il titolo si collega a una osservazione che s’incontra nelle storie sui viaggi nel tempo: “Se tornassi indietro nel tempo e uccidessi il padre del mio nemico” (o di Hitler, o di Napoleone ecc.) “lui non esisterebbe più”. Per ora è vivo, ma è una sorta di zombie, perché andando indietro nel tempo e uccidendo suo padre, non lo sarebbe più. Una variante è: “E se invece andassi indietro nel tempo e uccidessi mio padre?”, e la fantascienza ha risposto in vari modi: non riesce a uccidere suo padre perché ogni volta c’è qualcosa che glielo impedisce, o perché non è il vero padre, o perché l’azione crea un altro filone temporale o alla maniera di Fredric Brown: lui rimane, ma scompare tutto il resto dell’universo.

Heinlein si ferma alla formulazione originale, in cui ciascuna persona rischia di non esistere perché qualche viaggiatore del tempo, cambiando leggermente la realtà, può annullare le premesse che hanno portato alla sua nascita. Nella storia, una donna orfana dei genitori, che, senza saperlo, è una transessuale, viene sedotta e abbandonata e dà alla luce una figlia. La figlia scompare e lei in seguito cambia sesso. Divenuta uomo, si reca indietro nel tempo e seduce la protagonista (ossia se stessa quando era ancora donna). Naturalmente, con la macchina del tempo rapisce poi la bambina e la porta indietro nel tempo. In questo modo padre, madre e figlia sono una sola persona, a età diverse, e nessuno potrà mai alterare il passato, prima della nascita, e annullare la sua esistenza. (Potrebbe però alterare il futuro, dopo la sua nascita. Il racconto è brillante, come tutti i racconti di Heinlein, al punto da far scordare il filo logico.)

Il romanzo di Williamson dà inizio al filone principale di storie sui viaggi nel tempo, quello in cui la storia deve rimanere com’è e una opportuna polizia del tempo provvede a eliminare chi vorrebbe cambiarla. Tra i più noti romanzi di questo filone si possono ricordare La fine dell’Eternità di Isaac Asimov (1955) e la serie dei Guardiani del tempo (“Everard Cronodetective”, 1959) di Poul Anderson. Nel primo, una sorta di dittatura del tempo, chiamata “Eternità”, controlla gran pare dell’arco dei millenni, per quasi centomila anni. Le sue macchine del tempo però non riescono a superare quella data. Come scopre il protagonista, il blocco è stato messo da una civiltà del lontano futuro, che accusa l’Eternità di avere praticato uan politica isolazionista che ha impedito all’umanità di espandersi sulle stelle. Ora, gli uomini del lontano futuro intendono opporsi al sorgere dell’Eternità. Distruggendola, distruggeranno anche il loro filone temporale, ma l’umanità avrà l’occasione di spargersi in tutta la galassia.

I racconti di Anderson presentano un agente dei guardiani del tempo, Everard, il quale viene ogni volta mandato nel passato per impedire che qualcuno cambi la storia. Come nelle storie di spionaggio, i colpevoli sono altri agenti che hanno tradito, ma l’ambientazione è convincente e le storie sono ben raccontate. “Time opera” – space opera ambientata lungo il tempo – certo, ma di ottimo livello.

A volte si ha l’impressione che la tematica del viaggio nel tempo non sia stata ancora bene approfondita dalla fantascienza e che gli autori si siano limitati a una produzione brillante ma superficiale, trattando il tempo come se fosse lo spazio e disinteressandosi degli spunti maggiormente letterari, come per esempio l’incontro del protagonista con una propria copia più vecchia o più giovane: un romanzo di questo genere potrebbe forse evitare tutti i manierismi che rendono insopportabile a molte persone il solito romanzo d’introspezione.

Forse però la situazione non è proprio quella descritta da Ballard nel suo famoso articolo sullo “spazio interno” (1962), quando accusava gli scrittori di avere ridotto il tempo a niente di più che “una gloriosa ferrovia scenografica”, perché ci sono vari esempi di storie temporali che vanno al di là della trovata brillante, per esempio Il mondo che Jones creò, di Philip Dick, o La freccia del tempo di Martin Amis o Indietro nel tempo di Jack Finney.

Un primo tentativo di uscire dalla tradizionale storia di viaggi nel tempo è questo Il grande tempo di Leiber, che nel viaggio nel tempo e i conflitti tra chi vuole cambiare la storia e chi vuole mantenerla immutata vede il tentativo di costruire progressivamente una molteplicità di universi paralleli: quello che in seguito e sulla scia dei romanzi di Moorcock è oggi chiamato il “Multiverso”. I vari flussi temporali, compresi quelli annullati, sopravvivono sempre: ne sono testimoni i protagonisti, i quali vengono sia dal nostro flusso temporale sia da altri.

Leiber, però, non si limita a questo concetto, e sarebbe difficile ridurre a un solo spunto, anche se “universale”, il suo romanzo. Anzi, la ricchezza dei riferimenti fa pensare che il romanzo sia soprattutto un omaggio a Shakespeare.

Leiber è cresciuto tra esperienze teatrali, e dietro i suoi personaggi c’è sempre qualche riferimento alle scene. Il Grande tempo, a parte le riflessioni della protagonista (che potrebbero essere dei fuori scena: Greta Forzane si volta verso il pubblico e gli rivolge un monologo, mentre gli altri attori fanno finta di non sentire) sembra scritto per essere messo in scena. Anche i personaggi sono quelli del teatro: una soubrette brillante e pratica (Greta), due amorosi (il Ragazzo e la Ragazza Nuovi), un pedante, un rivale dell’amoroso, una sorta di “madre nobile” e varie comparse (la cretese, il romano, gli extraterrestri). E ciascuno ha una o più scene madri.

Lo stesso dialogo ha l’incisività dei testi per il teatro, ed è intercalato di piccole rivelazioni quasi proverbiali: per dirne solo una, l’opinione con una congiura si può spiegare sempre tutto, compresa l’origine dell’universo. E il testo ne è pieno.

C’è da chiedersi perché Leiber, che è autore di pagine memorabili, che scrive sempre a un alto livello stilistico, che è pieno di osservazioni e di situazioni illuminanti, non abbia mai raggiunto la fama di un Asimov o di un Heinlein, per citare due autori suoi contemporanei. Eppure le sue fantasy sono storie che a ogni successiva rilettura rivelano nuove sfaccettature e nuovi riferimenti interni, i suoi gialli sono perfetti, economici, e restano a lungo nella mente, la sua fantascienza non perde mai riferimento con la realtà, anche le sue recensioni che apparivano sulle riviste americane sono degne di un grande critico.

Forse perché il primo a non desiderarlo era lui. Forse, abituato a vivere a contatto con i testi recitati del padre, grande attore di teatro, pensava di se stesso: “O sei William Shakespeare o non sei nessuno”, e rispetto a quel modello si considerava un dilettante, ma alla maniera dei letterati cinesi classici, che scrivevano poesie perfette, ma solo per gli amici e i colleghi in grado di capirle, e non si curavano dei facili successi presso il pubblico grosso.

Riccardo Valla

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Fritz Leiber: Biografia

ottobre 6th, 2008

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Una nota biografica su Fritz Leiber firmata da Giuseppe Lippi.

Nato a Chicago nel 1910, da una coppia di attori come Poe (suo padre, Fritz Leiber senior, è riconoscibile nel ruolo dell’altissimo prete che accompagna Charlie Chaplin alla ghigliottina nel finale di Monsieur Verdoux), il giovane Fritz Reuter Leiber legge e studia volentieri, ma non ha una vita avventurosa né precoci esperienze amorose. Non a caso la sua autobiografia giovanile, uscita anche in italiano nel volume La luce fantasma, si intitola Poco disordine e poco sesso precoce. Questo giovanotto alto, magro e affascinante come il padre attore, è alquanto solitario; scrive lunghe lettere a H.P. Lovecraft, dal quale riceve incoraggiamento per la sua vocazione letteraria, e gradualmente si sforza di trovare una sua voce. Quando finalmente s’innamora è per sposare una donna eccezionalmente bella, Jonquil, da cui nascerà più tardi il figlio Justin. E’ la vigilia della Seconda guerra mondiale e Leiber ha già pubblicato qualche racconto, ma non ancora romanzi. Nel 1938, rielaborando una trama ideata con l’amico Harry Otto Fischer, Fritz scrive il racconto “Il gioiello nella foresta”, noto anche come “Due in cerca di avventure”: la prima avventura ambientata nell’immaginario mondo di Nehwon che diventerà la sua creazione fantastica più duratura. Il mondo di Nehwon (parola che rappresenta il rovescio di No When, “in nessun tempo”) è un universo magico dotato di una coerente geografia ed economia. La tecnologia è ferma a prima dell’invenzione delle armi da fuoco e nella corrotta capitale Lankhmar si muovono personaggi coraggiosi e pieni di curiosità, barbari e uomini civili, bellissime donne e poco raccomandabili negromanti. I protagonisti della serie – nota anche come ciclo delle Spade – sono due: il barbaro Fafhrd, venuto dal nord, e l’Acchiappatopi Grigio che è il suo scudiero, amico e aiutante. Veri e propri moschettieri senza moschetto, ma con spade affidabili e personalizzate, i due amici amano, combattono e soffrono come due autentici eroi della mitologia, mentre i maghi loro protettori e gli stregoni loro nemici si adoperano a tuffarli nelle avventure più impossibili, costringendoli a rischiare continuamente la pelle. Il modello su cui è basata la figura di Fafhrd è probabilmente Conan, il gigantesco cimmero creato da Robert E. Howard; ma si cercherebbe invano un equivalente dell’Acchiappatopi Grigio nella saga del barbaro howardiano: questo personaggio piccolino, mingherlino, incappucciato di grigio e abilissimo con il fioretto, è più vicino a certi saggi e disillusi eroi del romanzo picaresco che a qualsiasi personaggio della narrativa d’azione. Perché la fantasy di Leiber non è un genere soltanto avventuroso, e proprio l’Acchiappatopi serve a introdurre l’elemento beffardo o di riflessione che caratterizzerà, d’ora in poi, le loro incessanti peripezie. Al genere cui appartengono i romanzi e i racconti delle Spade, Fritz Leiber attribuisce un’etichetta di sua invenzione: si tratta, dirà giocando con le parole, di sword & sorcery, spada e magia, un po’ come si dice “cappa e spada” per indicare i romanzi di Alexandre Dumas. (Più tardi, sull’onda del grande successo popolare di Tolkien, a sword & sorcery si preferirà la nuova locuzione heroic fantasy, entrata anche nell’uso italiano come “fantasia eroica”.) Come vedremo fra poco, dopo un promettente inizio alla fine degli anni Trenta l’attenzione di Leiber verrà distratta dal genere fantasy per alcuni decenni; ma a partire dagli anni Sessanta vi tornerà con sempre più vigore, completando l’ultimo romanzo del ciclo delle Spade pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1992: e sarà un piccolo gioiello come Il cavaliere e il fante di spade.

Nonostante il tenace attaccamento al mondo di Nehwon, il primo romanzo scritto e pubblicato da Leiber non appartiene a quell’affascinante universo (i tempi non erano ancora maturi), bensì a un filone più in voga come il thriller soprannaturale. Il titolo del romanzo, pubblicato nel 1939, è Conjure Wife e significa più o meno “La moglie strega”, ma in Italia è uscito come Ombre del male. Fritz e Jonquil sono appena sposati: sul giovane scrittore, ex-casto, il matrimonio ha l’effetto di scatenare fantasie archetipali e Ombre del male è la storia di un professore universitario del New England il quale scopre che la moglie è dedita alla magia, anzi, che tutte le donne lo sono, all’insaputa dei maschi. La battaglia per il potere che esse conducono è pericolosissima, ma necessaria: molto spesso agiscono a fin di bene per proteggere o difendere i mariti. E’ un’idea scioccante, degna di essere sviluppata e messa a fuoco anche nei romanzi successivi. L’alba delle tenebre (Gather, Darkness!,1943 ) è una storia di lotta per il potere altrettanto visionaria. Si tratta del primo libro di fantascienza di Leiber, e racconta di una civiltà opprimente del futuro in cui le redini della politica sono nelle mani di una strana chiesa; streghe e stregoni rappresentano l’alternativa all’ordine costituito. Si vede subito che Leiber ha tutte le carte in regola per alimentare il nascente filone della science fiction “sociologica”; oltretutto, il mercato del fantastico va gradualmente restringendosi e il nostro decide di rivolgersi alle riviste di fantascienza. Tra la fine degli anni Trenta e la fine del decennio successivo Fritz tenta varie attività: insegnante in un piccolo college dell’Est (su cui modellerà l’università di Hempnell in Ombre del male), predicatore, redattore. Dopo la Seconda guerra mondiale, per lunghi anni lavorerà nella redazione del periodico “Science Digest” e scriverà nel tempo lasciatogli libero dall’ufficio e da un paio di gravi crisi personali segnate da problemi di alcoolismo (esasperate dalla morte della bellissima Jonquil). Nonostante tutte le difficoltà, porterà a termine molti importanti romanzi di science fiction: I tre tempi del destino (Destiny Times Three, una complessa storia di viaggi nel tempo), Il verde millennio (The Green Millennium, una storia di visitatori dal futuro) e Le argentee teste d’uovo (The Silver Eggheads), bellissima parodia dell’industria editoriale e della produzione letteraria in serie che si legge ancor oggi con gusto.

Questi romanzi, apparsi perlopiù negli anni Cinquanta, sarebbero bastati a chiunque per costruirsi una solida reputazione. In realtà, altri autentici gioielli del periodo sono i numerosi e originalissimi racconti brevi usciti su riviste come “Galaxy”, il “Magazine of Fantasy and Science Fiction”, “Amazing” e “Fantastic”. Sono queste storie macabre, raffinate, moderne a stabilire in tutto il mondo la fama di Fritz Leiber, facendone uno dei grandi innovatori del dopoguerra insieme a Sturgeon, Dick, Ballard.  Né l’interesse per il fantastico puro viene meno: un romanzo come Scacco al tempo (The Sinful Ones) si rivela un thriller memorabile in cui un uomo e una donna scoprono di essere le sole creature “vive” in un mondo di marionette manovrate da un diabolico burattinaio. Qui il terrore raggiunge livelli quasi astratti e l’avventura ha un ritmo incalzante, ricco di suspense.

Ma, come dicevamo, molte delle sorprese migliori vengono dagli ottimi racconti brevi. In “Brutta giornata per le vendite”, per esempio, assistiamo al dramma concentrato in poche pagine di un robot che è l’unico superstite dell’attacco atomico scatenato sull’America. In “Un secchio d’aria” la fine del mondo è vista attraverso gli occhi di una famiglia asserragliata in un rifugio dove l’aria congelata viene resa respirabile da un processo di liquefazione, dopo che la Terra è uscita dall’orbita e si è perduta nel buio e nelle bassissime temperature del vuoto esterno. In “Prossimamente”, un’altra crudele storia americana, un lottatore di catch sfoga la propria frustrazione picchiando e torturando una ragazza che gli resta vicina proprio per permettergli di farlo. E non sono che alcuni esempi fra i tanti. Intanto, verso la metà degli anni Sessanta Fritz Leiber abbandona il giornalismo per dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore. In questo periodo pubblica romanzi fondamentali come Il grande tempo (The Big Time, premio Hugo nel 1960) e più tardi Novilunio (The Wanderer, 1964), che lo consacrano fra i maestri del genere. Il grande tempo riprende e amplia un’idea che Leiber aveva già lanciato in una serie di racconti: quella della Guerra dei Cambiamenti, una partita mortale giocata fuori del tempo normale dalle due misteriose fazioni dei Ragni e dei Serpenti. Chi siano questi signori eternamente in conflitto non è dato saperlo: ma poiché lo scopo della guerra è proprio quello di modificare gli avvenimenti nel tempo normale, i soldati vengono reclutati fra le genti di tutti i pianeti e tutte le epoche storiche. Lo svolgimento della serie – che comprende, oltre a Il grande tempo, i racconti de La guerra e i labirinti – non concede molto al racconto d’azione fine a se stesso, anzi denota una notevole complessità di idee e una finezza stilistica che in alcuni episodi raggiunge il capolavoro. Il romanzo Il grande tempo, in particolare, sembra un lavoro teatrale: è tutto ambientato in un bar fuori dell’universo in cui gli ufficiali delle varie fazioni (e delle varie epoche) vanno a riposarsi nelle pause della Guerra dei Cambiamenti, un conflitto che uccide i ricordi e la storia prima ancora che la vita spirituale e materiale di miliardi di combattenti.

Dopo l’esperimento di Novilunio, altro romanzo vincitore del premio Hugo (1964) il cui pretesto è offerto dall’avvicinarsi alla Terra di un misterioso corpo celeste, ma che è in realtà un affresco della società americana nel decennio di più radicale trasformazione del dopoguerra, Leiber si concede una pausa. Tornerà alla fantascienza cinque anni più tardi, con la sua ultima opera lunga in questo campo, Il fantasma del Texas (A Specter Is Haunting Texas, 1969), una satira della rivalità fra Mex e Tex, cioè i messicani e i loro vicini texani che si risolve in una vera e propria scorribanda nell’umorismo nero.

Da questo momento in poi Fritz Leiber si concentra sulla narrativa fantastica: i racconti del soprannaturale che escono per tutti gli anni Sessanta su “Fantastic” e sul “Magazine of Fantasy and Science Fiction”, le nuove avventure del ciclo di Nehwon (fra cui il romanzo Le spade di Lankhmar, 1961-1968) e il romanzo del mistero Nostra Signora delle Tenebre (1975). Nei racconti del soprannaturale Leiber dipinge uno straordinario ritratto dell’America moderna: come Lovecraft aveva fatto per il New England dei primi del secolo, che è spesso il vero protagonista delle sue fantasmagorie, così Fritz Leiber disegna un panorama sensibile, evocativo e misteriosamente attraversato da presenze “estranee” della Chicago anni Cinquanta, delle spiagge californiane e di San Francisco, la città in cui finirà per trasferirsi. Così, in “La ragazza dagli occhi famelici” un nuovo tipo di vampiro ipnotizza le sue vittime da immensi cartelloni pubblicitari; in “Fantasma di fumo” lo smog e i residui tossici dell’industria materializzano uno spettro tipicamente moderno; nei racconti californiani “Il gondoliere nero” e “Un frammento del mondo delle tenebre” Leiber affronta un problema fondamentale della narrativa fantastica (e che sarà largamente ignorato nei decenni successivi a base di thriller irrazionali): come si possa rendere credibile un racconto soprannaturale oggi. Il mondo radiografato in storie memorabili quali “Ai raggi X”, “L’uomo che diventò amico dell’elettricità” e “Mezzanotte sull’orologio di Morphy” è il nostro mondo e, allo stesso tempo, un universo misterioso e imprevedibile che Leiber esamina fino nelle pieghe più nascoste. Ed è grazie a quest’analisi attentissima, mai superficiale che il lettore scopre, insieme all’autore, il volto segreto e non ufficiale della realtà. In un universo di meraviglie e paura com’è quello leiberiano, nessuno è veramente al sicuro ma a tutti è dato giocare una leale partita con l’Ombra, o se preferite con la Metà oscura: ne “I sogni di Albert Moreland” un uomo solo gioca, notte dopo notte, una partita a scacchi contro un avversario fantomatico che vede solo in sogno; dall’esito della partita dipenderà la sorte del mondo reale. Un’idea folgorante che si svolge in una dimensione onirica, del tutto al di là del banale tessuto quotidiano, eppure ricca di pathos; una dimensione notturna e pericolosa dove la tensione nasce dalla disperata solitudine del giocatore. Il genere di Leiber non è mai “l’orrore nel quotidiano” che verrà divulgato e banalizzato fino all’inverosimile nei decenni successivi, in particolar modo dal cinema; è invece un orrore aristocratico, elegante come un film in bianco e nero, capace di forti astrazioni. Infatti, la realtà accettata passivamente è priva di senso, un velo mediocre; solo squarciandolo, con un’operazione che sembra quasi un rito magico, si arriva a cogliere la realtà intima delle cose, il ponte gettato fra noi e l’abisso su cui camminano le entità paramentali e le creature fameliche dell’Altrove.

La stessa visione torna nei volumi del ciclo delle Spade, o nel romanzo dark Nostra Signora delle Tenebre, in cui uno scrittore di San Francisco dovrà affrontare un’antica maledizione letteraria e un mostro nato dalla sua devozione per i libri. Dalle minacce future della fantascienza ai mondi della fantasy, fino alle nere distese dell’horror cosmico: un autore completo come Fritz Leiber sembra fatto apposta per ricordarci che la vena di Poe e Lovecraft non si è affatto inaridita nella seconda metà del XX secolo, ma ha dato anzi gemme preziose e oscure che vale la pena dissotterrare.

Giuseppe Lippi

La bibliografia italiana completa è sul Catalogo SF, Fantasy e Horror a cura di Ernesto Vegetti.

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Mariangela Cerrino

ottobre 3rd, 2008

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Esordisce sulle pagine di “Urania” la celebre autrice della saga degli etruschi e di Lisidandra.

Mariangela Cerrino è nata a Torino, dove inizia giovanissima lo studio della storia presso il Centro Studi Americani. Come autrice esordisce a diciassette anni, pubblicando il primo romanzo presso Sonzogno. Per la celebre casa milanese scriverà, con lo pseudonimo di May I. Cherry, una lunga serie di romanzi western o comunque ambientati durante l’epopea USA.

Si avvicina alla fantascienza e fantasy all’inizio degli anni Ottanta. Il suo primo lavoro in questo campo, un racconto dal titolo “Passaggio ad Eridani”, è subito acquistato dalla RAI per la trasmissione Alba del domani. Cerrino vince il Premio Italia 1983 con “Il segreto di Mavi-Su”, tradotto in seguito in diversi paesi dell’Est europeo, e pubblica alcuni romanzi sulla rivista “Pulp” di Torino. Collabora con racconti ad “Omni”, a “Futura”, al “Millemondi” mondadoriano, all’Enciclopedia della SF Fanucci e a “Solaris”, oltre che con alcuni quotidiani e settimanali.

Nel 1989 pubblica il suo romanzo di fantascienza più importante, L’ultima terra oscura (Nord), che si aggiudica il Premio Italia dell’anno. Contemporaneamente si dedica alle Storie dell’epoca Mu, una raccolta di lunghi racconti concatenati ambientati in un lontanissimo passato della Terra. Le storie, in parte pubblicate su riviste specializzate, sono raccolte organicamente nel presente volume. In precedenza erano uscite, con il titolo Gli eredi della luce, presso l’editrice Nord (2001).

Nel 1990 Cerrino torna ad occuparsi di ricerca storica, unendola alla sempre esistente passione per l’archeologia: nasce così la Trilogia degli Etruschi per Longanesi: I cieli dimenticati (1992), La via degli dei (1993), La porta sulla notte (1995). Il primo e il terzo volume si aggiudicano nuovamente il Premio Italia. L’intero ciclo, raccolto in un unico volume di circa mille pagine, è stato pubblicato in Germania da Kruger-Fischer, ottenendo un notevole successo di vendita: nel 2005 è stata raggiunta la quarta edizione.

Nel 1998 la trilogia è proposta in una nuova versione, più semplice e rivolta ad un pubblico “meno preparato”, nel ciclo “Rasna”, la saga del popolo etrusco (TEA).  Questa versione è stata  proposta in Spagna da Emece nel 2001.

Nel febbraio 1999 vede la luce, sempre per la Longanesi,  il ciclo dell’anno Mille, composto di quattro romanzi ambientati in Italia e in Europa allo scoccare del secondo millennio. Sono libri a sfondo storico in cui si amalgamano vari generi: avventura, intrigo e una vena di fantastico.  I titoli sono Il segno del drago (1999) e Il segreto dell’alchimista (2000), entrambi pubblicati in Germania da Blanvalet Verlag come Das Drachenmal e Die Kunst des Alchimisten. Presto seguiranno i due volumi conclusivi, Il custode dell’arcobaleno e Il calice spezzato.

E’ del giugno 2008 la trilogia Lisidranda (L’albero della mondo, Le terre dell’anima, La coppa della vita), pubblicato da Armenia in un unico volume di circa ottocento pagine.

(a cura di G.L.)

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Mordecai Roshwald

ottobre 2nd, 2008

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Torna con un romanzo inedito l’autore di Livello 7, profeta della prossima apocalisse. Ce lo presenta Giuseppe Lippi.

Mordecai Roshwald è nato il 26 maggio 1921 in Polonia, da genitori ebrei, e ha vissuto in varie parti del mondo: Israele, Gran Bretagna, Stati Uniti. E’ un accademico che ha insegnato presso molte università, conquistandosi la stima e l’affetto di importanti colleghi. Bertrand Russell e Fred Hoyle salutarono con entusiasmo l’uscita del suo primo romanzo, Level 7 (1959); Russell, in particolare, lo definì “uno di quei libri che dovrebbero essere letti da qualunque persona adulta, sia nel blocco occidentale che in quello orientale”. Level 7 è apparso da poco in una nuova edizione della prestigiosa Library of America, la collezione che consacra i grandi libri prodotti nell’ambito culturale statunitense, e la traduzione che ne abbiamo riproposto l’anno scorso in “Urania collezione” è basata scrupolosamente su di essa. Nominato Professor Emeritus all’Università del Minnesota, Mordecai Roshwald vive attualmente nel Maryland.

Come autore di letteratura, la sua fama poggia su due soli libri: Level 7 appunto, che “Urania” tradusse per la prima volta nel 1960, alla fine della gestione Monicelli, e il presente A Small Armageddon (1962), che lo stesso autore ci ha inviato dopo essere entrato in contatto con il nostro editor Sergio Altieri. Entrambi i romanzi appartengono al genere fantapolitico o fantabellico, una forma di racconto a suspense che negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta esprimeva le preoccupazioni degli intellettuali sull’uso delle armi atomiche. Buona parte di quei racconti si servivano della forma dell’apologo, mostrando al pubblico, in modo spettacolare, le conseguenze di un uso dissennato del potere: alcuni ricorderanno film come L’ultima spiaggia (On the Beach, 1959) tratto dal romanzo di Nevil Shute e diretto da Stanley Kramer; A prova di errore (Fail Safe, 1964) di Sidney Lumet, e lo stesso, magistralcomico Dottor Stranamore (Dr. Strangelove, or, How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1964) di Stanley Kubrick. Level 7 appartiene alla medesima categoria e non a caso ne venne ricavato il film per la TV Level 7 (1966), diretto da Rudolph Cartier e andato in onda il 27 ottobre 1966 nel programma antologico Out of the Unknown, a quell’epoca alla seconda stagione. L’adattamento fu scritto da J.B. Priestley e una scheda in inglese del telefilm si trova all’indirizzo http://www.imdb.com/title/tt0279922/ .

La differenza tra fantascienza del dopobomba e racconti fantabellici è che la sf classica ama descrivere il mondo dopo l’olocausto, mentre, di solito, gli apologhi descrivono le premesse della crisi e la crisi stessa in presa diretta, come se la fine del mondo stesse svolgendosi sotto i nostri occhi. Un esempio cui sembrano calzare entrambe le definizioni è Lot di Ward Moore, ma non ve ne sono molti. A Small Armageddon, uscito tre anni dopo Level 7, è ambientato in un altro luogo claustrofobico, una specie di equivalente marino del tunnel del primo romanzo. Si tratta di un sommergibile atomico americano che sorveglia i movimenti dei russi sotto le acque della banchisa polare. Il problema, naturalmente, non nasce dal sommergibile o dalle testate nucleari in sé, ma dagli uomini a bordo. Consapevoli di trasportare gli ordigni della fine del mondo, questi uomini si sentono irrimediabilmente attratti verso l’unico peccato che gli antichi, più saggi di noi, considerassero davvero grave: la hùbris. Orgogliosi come dei, con varie testate atomiche sotto il cavallo, concepiscono un piano di distruzione totale commisurato ai propri interessi privati.

Nonostante che i personaggi di Roshwald si presentino a noi come i nuovi marinai nucleari, e dunque esseri prometeici, il racconto non sembra fare troppe concessioni al mitologico: A Small Armageddon resta innanzi tutto una secca storia di guerra all’americana. Quello che preoccupa Mordecai Roshwald non è tanto il sorgere di una razza di titani che diano la scalata al cielo “con la violenza dell’uragano” (oltretutto, avrebbero poche possibilità di goderne i frutti), ma il fatto che al giorno d’oggi un singolo gesto, una singola mossa sbagliata possa scatenare la distruzione della vita. Come il presidente impazzito de La notte di Camp David, l’ufficiale impazzito di A Small Armageddon vuole la distruzione del mondo come coronamento dei propri delirii d’(im)potenza.

Mordecai Roshwald sarà ricordato a lungo per questi due romanzi, classici moderni come è un classico moderno la bomba atomica loro ispiratrice. Enrico Fermi, Oppenheimer e gli altri padri dell’Energia liberata ne sarebbero orgogliosi.

Giuseppe Lippi

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Franco Brambilla: cartoline dal futuro

settembre 24th, 2008

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Franco Brambilla è il copertinista “ufficiale” di “Urania”, sua è la mano che mese dopo mese dà forma ai nostri sogni. I lettori che apprezzano la sua opera ci hanno chiesto di consocerne meglio il lavoro. E allora, sperando di fare cosa gradita, ripubblichiamo questo articolo apparso a suo tempo sulle pagine di Fantascienza.com.

Tutti gli appassionati di fantascienza avranno ormai imparato a familiarizzare con le visioni di Franco Brambilla sulle copertine della storica “Urania“, come pure della sua più recente e altrettanto fortunata sorella dedicata ai classici “Urania Collezione“. Adesso tutti i suoi ammiratori potranno trovare disponibili in rete molti dei lavori con cui hanno imparato (o continuato) a sognare il futuro. E’ infatti on-line da qualche giorno il nuovo sito dell’illustratore milanese, raggiungibile all’indirizzo www.francobrambilla.com.

Classe 1967, diplomato all’Istituto Europeo del Design in 3d Illustration, Brambilla lavora come professionista dal 1992. Nel 1998 ha fondato con Pierluigi Longo e Giacomo Spazio l’Airstudio, presto diventato un punto di riferimento nella progettazione grafica e nell’illustrazione per le maggiori case editrici italiane. Talentuoso creatore di scenari futuristici in computer grafica, le visioni che mensilmente ci accompagnano sulle collane Mondadori testimaniano la sua vecchia passione per la fantascienza. Con l’occasione, abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul suo lavoro e le sue passioni.

Franco, da alcuni anni le tue copertine su Urania danno forma al futuro. Per l’appassionato che trova Urania ogni mese in edicola, i tuoi lavori sono l’immagine della fantascienza. Quello che viene da chiedere, considerato anche lo stato del mercato, è: perchè la fantascienza e non il fantasy?

Non lo so, potrebbe derivare dalla marea di sci-fi che ho assorbito fin da  piccolo da libri, fumetti, cinema e tv. A quei tempi (io ho 41 anni) abbondava: i Thunderbirds, Il prigioniero, Ufo, Spazio 1999, Star Trek, Battlestar Galactica, Guerre Stellari, ma anche i fumetti di Jeff Hawke, Flash Gordon, Magnus dell’anno 4000 e naturalmente Gundam, Goldrake, Mazinga, Harlock, Daitarn e Geeg. I libri di Asimov e Clarke e ancora prima Verne, che leggevo nelle lunghe estati al mare, quando per farmi fare “il riposino” pomeridiano mi ci dovevano obbligare. E poi in casa mia il fantasy era appannaggio personale di mio fratello più piccolo gran lettore di Tolkien e master di D&D. E quando si è piccoli, spesso si apprezzano poco gli amori e le passioni dei fratelli ancora più giovani…

Se dovessi scegliere, quale sarebbe la tua copertina preferita tra quelle realizzate finora?

Difficile scegliere la copertina preferita… Spesso partorirne una è faticoso, frutto di compromessi con art, editor e curatore della collana (gli scrittori per vari motivi sono esclusi dal processo il 99% delle volte). Per fortuna sono amici e si fidano di me quindi è anche molto divertente creare immagini per Urania e soprattutto Urania Collezione. Di solito presento all’art almeno due proposte e qualche volta quello che viene pubblicato è un mix delle due. Spesso, dopo che l’immagine è stata approvata ed archiviata, la considero una storia chiusa e possono passare anche anni prima che ci torni a dare un’occhiata… Questa che ti mando è una di quelle che ancora mi piace guardare, anche se l’ho creata nel 2004. Si tratta della copertina per l’Urania Collezione n.10 dal titolo Guerra Eterna, scritto da Joe Haldeman. Un libro bellissimo.

Un libro spesso chiamato in causa quando si parla di un altro classico, il controverso Fanteria dello Spazio di Robert A. Heinlein.

Proprio insieme alla copertina di Fanteria dello Spazio di Heinlein (libro che affronta temi simili a quelli trattati da Haldeman ma in modo completamente diverso, bellissimo anche questo) questa immagine vuole essere anche un’omaggio all’artista giapponese Kow Yokoyama, creatore della mia serie preferita di modellini fantascientifici, che colleziono tutt’ora dagli anni ’80. Se qualcuno vuole saperne di più consiglio questo sito: http://maschinenkrueger.com/index.html, per farsi un’idea. Ma esistono anche parecchi libri e fumetti che li celebrano.

Se in libreria sue sono le copertine di pezzi da novanta quali Isaac Asimov, Dan SimmonsValerio Evangelisti, in edicola Brambilla continua a tenere in vita la consolidata tradizione dell’illustrazione fantastica e fantascientifica, rendendo onore a maestri leggendari come Kurt Caesar e Karel Thole. Ma l’artista milanese ha anche un lato nascosto più orientato al grottesco, come dimostra l’attitudine al paradossale della serie Invading the Vintage: raffinate rielaborazioni di cartoline elvetiche in cui l’intrusione dell’elemento fantascientifico (spesso dai marcati tratti retrofuturistici) rivela un gusto per il surreale che spazia dal divertissement all’inquietudine. A questo proposito, Franco dice: “è una cosa che ho “dovuto fare”. Mi diverte e mette insieme molte cose che mi piacciono: il vintage, il retro futuro, la fantascienza un po’ farlocca dei film di mostri giapponesi e i mercatini dell’usato. Il mio sogno sarebbe stampare le immagini di Invading The Vintage con il sistema lenticolare, che è quell’effetto 3D tipico delle cartoline di una volta, quelle in cui simulavano la profondità o le immagini cambiavano, e che naturalmente ho sempre adorato.”

E insieme ai sogni che ogni mese realizza per tutti noi, gli auguriamo che Franco riesca presto a mettere in atto anche il suo sogno.

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James E. Gunn

settembre 17th, 2008

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Un profilo di questo decano della fantascienza, autore de Gli immortali e Gli ascoltatori, a cura di Giuseppe Lippi.

James E. Gunn è nato nel 1923 a Kansas City, Missouri, ed è stato professore d’inglese all’Università del Kansas. Ha pubblicato romanzi notevoli come Questo mondo inespugnabile (1955), Si garantisce la felicità (1961), Gli immortali (1962), Tempo di streghe (1970) e Progetto stelle (1972); insieme a Jack Williamson ha scritto Un ponte tra le stelle nel 1955. In seguito si è interessato attivamente alla diffusione della fantascienza in ambiente scolastico e universitario. Oltre ad essere autore di una notevole Storia illustrata della fantascienza (1975), la più ricca dal punto di vista iconografico, Gunn ha curato una serie in più volumi intitolata The Road to Science Fiction che costituisce una antologia della sf dalle origini ad oggi, inclusi tutti i precursori. Solo il primo volume della serie è stato tradotto in italiano, con il titolo Le vie della fantascienza.

La riproposta di The Listeners su “Urania collezione” restituisce al romanzo il suo titolo originale ― nella precedente versione italiana era stato ribattezzato Progetto stelle ― e appare in una traduzione completamente riveduta da Laura Serra, che lo aveva già reso in italiano la prima volta. Gli ascoltatori segue un altro importante testo di Gunn che avevamo ripresentato su “Urania” un paio d’anni fa: Gli immortali, offerto  in una nuova edizione accresciuta dall’autore. Il desiderio, come nel caso precedente, è di rendere disponibili testi che ben rappresentano le qualità della fantascienza di ieri, e che per fortuna continuano ad influenzare quella scritta oggi.

Abbiamo rivolto all’autore alcune domande su Gli ascoltatori. Eccole, insieme alle sue gentili risposte:

Urania: Quando lei ha scritto il romanzo, il progetto di “ascoltare le stelle” suscitava molte speranze. Cos’è successo nel frattempo? Siamo stati delusi dal loro silenzio?

James E. Gunn: La ricerca di intelligenze extraterrestri (Search for Extraterrestrial Intelligence o SETI) continua, ma con finanziamenti privati. Tra coloro che sostengono il progetto vi è Paul Allen, co-fondatore della Microsoft. La più recente edizione americana degli Ascoltatori contiene due introduzioni di Paul Schuch, presidente della Lega SETI, e Thomas Pearson, presidente dell’Istituto SETI, nel riconoscimento del contributo che il romanzo ha offerto a quella lunga ricerca. Schuch mi ha confidato che Gli ascoltatori ha fatto per SETI più di qualsiasi altro libro.

U.: Il romanzo è scientificamente accurato e contiene personaggi interessanti. Può raccontarci qualcosa della sua genesi?

Gunn: Ho avuto l’idea dopo aver letto il libro di Walter Sullivan We Are Not Alone (tr. it. Non siamo soli, Garzanti 1966). Sullivan era responsabile scientifico per il New York Times e il suo libro raccontava la storia degli sforzi per comunicare con eventuali extraterrestri intelligenti, a partire da uno storico congresso tenuto a Washington, D.C., da cui la ricerca era uscita rafforzata e sarebbe culminata nel SETI. L’idea affascinante, per me, era quella di un progetto di ricerca che sarebbe potuto andare avanti per un secolo senza dare risultati, e la determinazione umana nel cercare la risposta a una domanda eterna, ma che avrebbe potuto fruttare continue delusioni.

U.: Lei ha insegnato all’università e pubblicato una Storia illustrata della fantascienza (tr. it. Armenia 1979). Cos’è cambiato dagli anni Settanta in qua, e come valuta oggi le fortune del genere?

Gunn: La fantascienza ha incontrato sempre maggior favore nel pubblico e presso i critici letterari, una situazione che è stata incoraggiata dalla maturità intrinseca del genere ma anche dal suo successo in altri mezzi di comunicazione: cinema, televisione, giochi, fumetti e una crescente popolarità ovunque, dagli articoli sulla stampa alla pubblicità. Gli scrittori mainstream si avventurano più di frequente nei territori della fantascienza, mentre gli autori di SF vengono letti anche dal pubblico generale e ne sono riconosciuti, accettati. Questa nuova popolarità e diffusione, tuttavia, comporta una maggior difficoltà nell’identificare le sue caratteristiche salienti e nell’individuare i libri migliori nella marea della produzione letteraria o affine; in questo modo, si è fatto più difficile rintracciare i capolavori che segnano la strada e da cui dipende l’evoluzione della SF. Ho la sensazione che in Europa la science fiction non sia mai stata ghettizzata come in America, per cui, forse, voi avete già trovato la soluzione del problema. Noi la stiamo ancora cercando, ma potrebbe venire dagli sforzi di studiosi e critici che hanno il compito di indicarne i valori e mostrare al lettore le opere più significative, quelle senza le quali il genere non può crescere nel suo tentativo di drammatizzare la condizione umana dinanzi al cambiamento. 

15 luglio 2008
(A cura di G.L.)

La bibliografia italiana completa è sul Catalogo SF, Fantasy e Horror a cura di Ernesto Vegetti.

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Kim Newman, il funambolo della SF inglese

settembre 4th, 2008

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Morso dal bacillus vampyricus in tenera età, il brillante autore di Genevieve la dama immortale si trasferisce, per una volta, in Italia. Ce lo introduce Giuseppe Lippi.

Nel 1959, una canzone di Bruno Martino legata alla colonna sonora del film di Steno Tempi duri per i vampiri (con Renato Rascel e Christopher Lee) cattura l’immaginazione della gente, assetata di morsi di celluloide ed evasioni fantastiche. Si diffonde persino sulle spiagge, dove la canticchiano un po’ tutti: maggiorate, bagnini, bambini. Il ritornello fa così: “Dracula, Dracula, Dra… vampiro dal nero mantello… perché non ti succhi un bel pollo… e lasci le donne campàr!” Quello stesso anno ― vedi caso ― nasce a Londra Kim Newman, che fin dalla culla ne rimane indelebilmente impressionato. Kim vuole essere morso a tutti i costi da Rascel, e a questo scopo diventa un esperto di cinema fantastico, scrive in proprio una trilogia di romanzi su Dracula, poi la trilogia continua e approda a questo Dracula cha cha cha del 2000, un finissimo romanzo fantadark. La tentazione di pubblicarlo su “Urania” si è fatta irresistibile, ma come intitolarlo? Fosse per noi avremmo optato subito per il titolo originale, ma c’era qualche perplessità. E se i lettori l’avessero trovato troppo ridanciano, troppo musicale, troppo tongue-in-cheek? Così, pensa oggi e ripensa domani, il tempo passava… Poiché, però, non poteva passare indefinitamente (anche le ucronie hanno le loro scadenze, soprattutto scadenze contrattuali), finalmente ci siamo decisi a offrirvelo nella versione che qui potete ammirare. Dracula cha cha cha, appunto (a rischio di far sussultare qualche lettore anti-rasceliano, ammesso che ne esistano). Tra gli altri titoli pensati, abbiamo l’onore di citarvi: Una minaccia per l’Italia , Operazione terrore, Vampyr blues e Stirpe di tenebra. Nessuno ci pareva lontanamente in sintonia con il sublime solfeggio dell’originale. Meglio così.

Come definire questo libro immortale? (Tutti i racconti che parlano di quella specie protetta, i vampiri, sono a rischio di non-morte.) Possiamo garantirvi che fantascienza sociale non è, cyberpunk neppure, steampunk… bleah! Niente, ai romanzi di Kim le etichette facili non si applicano. E’ piuttosto un sanguinoso arazzo su un periodo insospettabile dell’italica civiltà, un’èra che precede la strategia della tensione, i delitti politici, le bombe e il terrorismo, eppure… Fa già presagire, come in un frullar d’ali, i morti che verranno cha cha cha. Una ballata su Cinecittà, via Veneto, l’Alitalia non ancora morta vivente, le dive, i film di vampiri e un corso di storia alternativa che non avremmo immaginato. Se non fosse per Kim…

Non a caso Newman le diabolique, uno dei più sensibili autori della “new new wave” britannica, ha scritto il primo libro insieme a Neil Gaiman: Ghastly Beyond Belief (1985), un manuale della fantascienza delirante. Sono seguiti vari libri di cinema, numerosi racconti e, a partire dal 1989, i celebri romanzi. In alcuni di essi ha dato Vittoria regina in sposa a Dracula, riscrivendo la storia d’Inghilterra; in altri ha fatto scontrare il conte transilvano con il Barone Rosso: tutto in famiglia, insomma. In Italia sono stati tradotti Anno Dracula (1992), Il barone sanguinario (1995), Drachenfels (2001), Genevieve la dama immortale (1989, una storia non meno vampirica delle altre).

Kim Newman, che è collaboratore della rivista di cinema “Sight & Sound”, è un amico del festival triestino del film di fantascienza, Science plus Fiction, cui partecipa ogni anno. E’ uno degli autori che in modo più originale stiano rimappando le visioni della sf inglese.

In conclusione, ci sia consentito dedicare questa traduzione del suo opus a una delle vere artiste che diffusero il cha cha cha in Italia: Abbe Lane, stupenda moglie del grande Xavier Cougat. Ahi, Kim, essere morsi da lei… 

G.L.

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David Wellington

luglio 23rd, 2008

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Lo scrittore di zombie più popolare del momento, nato nella terra dei famosi morti viventi, in un profilo tracciato da Giuseppe Lippi.

David Wellington è nato a Pittsburgh, la città del primo Nickelodeon ma anche del primo terrificante zombie film di George A. Romero, La notte dei morti viventi (1968). Ha frequentato la Syracuse University e ha ricevuto un diploma in scrittura creativa alla Penn State University. Trasferitosi a New York, ha pubblicato numerosi romanzi dell’orrore: il presente Monster Insland (2006) è stato tradotto in italiano come Zombie Island in occasione della prima edizione rilegata. E’ l’inizio di un ciclo epico-avventuroso in cui una missione africana, composta in larga parte da adolescenti, sbarca in una Manhattan del futuro invasa dai morti viventi. Benché le traduzioni rilegate si siano interrotte dopo il primo episodio, “Urania” ha in animo di continuare  la serie, che è una delle più rappresentative del “new horror” di questi ultimi anni. I titoli successivi saranno Monster Nation (uscito in America nel 2006) e Monster Planet (apparso nel 2007). A parte la trilogia degli zombie, Wellington ha pubblicato anche altri titoli: 13 Bullets (2007), una storia di vampiri ambientata in Pennsylvania al giorno d’oggi e 99 Coffins (2007), che riprende le fila del racconto precedente per seguirne gli antefatti nel passato. Sono ora annunciati Frostbite, un romanzo ambientato nelle plaghe isolate del Canada settentrionale (che è già possibile leggere online) e Plague Zone, anch’esso in attesa di un editore cartaceo ma leggibile qui.

Il sito ufficiale dell’autore è all’indirizzo http://www.brokentype.com/davidwellington/.

G.L.

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Robert Sheckley

luglio 23rd, 2008

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Un profilo del grande Robert Sheckley, a cura di Giuseppe Lippi.

Nato nel 1928 a New York, comincia a scrivere negli anni Cinquanta e diviene in breve tempo una colonna della rivista “Galaxy” diretta da Horace Gold. La sua prima raccolta di racconti è Mai toccato da mani umane (Untouched by Human Hands, 1954, in “Urania collezione” n. 7) alla quale ne seguono altre, tutte pubblicate da “Urania”: Fantasma V, Giardiniere di uomini, Ma che pianeta mi hai fatto? e Il robot che sembrava me. Nel campo del romanzo ha spaziato dalla fantascienza al thriller e allo spionaggio, con opere memorabili come Anonima aldilà (1958), Scambio mentale (1960), Gli orrori di Omega (1960, in “Urania collezione” n. 34), L’agente X (1965) e Il difficile ritorno del signor Carmody (1968, storia del vincitore di un premio che, suo malgrado, viene precipitato tra i mondi di una galassia impazzita). Seguono Opzioni (1975), Dramocles: dramma intergalattico (1983) e Il matrimonio alchimistico di Aleister Crompton (1986). Dal suo racconto “La settima vittima” Elio Petri ha tratto il film La decima vittima con Marcello Mastroianni e Ursula Andress. Sheckley è morto nel 2005 lasciando numerosi inediti. La variante di Carmody cerca di colmare la lacuna, presentando anche al pubblico italiano il seguito de Il difficile ritrorno del signor Carmody (Dimension of Miracles Revisited) e, soprattutto, una scelta di racconti fra i molti da lui scritti negli ultimi anni. Uno Sheckley recente e per certi versi insospettabile, uno scrittore sempre a suo agio nel genere da lui portato a perfezione, la short story, e di cui questa raccolta può considerarsi una sorta di testamento spirituale rivolto al pubblico italiano che lo conosceva e stimava.

G.L. 

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David G. Hartwell & Kathryn Cramer

luglio 14th, 2008

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Giuseppe Lippi traccia un doppio profilo dei coniugi Hartwell, curatori da 13 anni di una delle antologie di maggior successo dedicate al meglio della narrativa breve apparsa in rivista e sul web.

Nato nel 1941, americano, David Hartwell è attivo nel campo della fantascienza dal 1971, prima con iniziative amatoriali e bibliografiche di un certo pregio (Science Fiction and Fantasy Authors: a Bibliography of First Printings of their Fiction and Selected Nonfiction, 1979, in collaborazione con L.W. Currey) e poi con un’intensa attività di giornalista e consulente editoriale. Dal 1988 recensisce le novità di fantascienza sulla “New York Review of Science Fiction”, pubblicazione edita dalla Dragon Press di cui Hartwell è diventato, negli anni, proprietario. E’ stato consulente o editor per numerose e importanti case editrici, sempre in bilico tra le necessità commerciali di queste ultime e la sua ricerca del nuovo. Non a caso l’Encyclopedia of Science Fiction definisce questa attività una “tightrope walk”, una passeggiata sulla fune.
Hartwell, tuttavia, sembra aver trovato un suo preciso equilibrio e ha svolto un’opera encomiabile per Signet Books (1971-3), Berkley/Putnam (1973-8), Gregg Press (una casa editrice universitaria specializzata in ristampe di classici, 1975-86), ecc. Per il gruppo Pocket Books/Simon & Schuster (1978-83) ha creato la celebre collana di romanzi Timescape, mentre, conclusa quell’esperienza, è passato alla Tor Books – forse il principale editore americano di sf – in qualità di consulente. Ha compiuto altre esperienze presso Arbor House e William Morrow. Come antologista ha curato ampie raccolte dedicate all’horror (The Dark Descent, in italiano Il colore del male, ed. Armenia) e alla fantascienza, di cui ha voluto compendiare la storia attraverso tutto l’arco del XX secolo (Ascent of Wonder: The Evolution of Hard sf, ecc.) In America, la serie The Year’s Best Science Fiction è già arrivata al 13° volume.

Kathryn Cramer, scrittrice di racconti e antologista, collabora da anni con David G. Hartwell che è suo marito. Cramer è cresciuta a Seattle, nel nordovest degli Stati Uniti, ma ora vive tra Pleasantville, New York e Boston. Diplomata in matematica (BA) alla Columbia University, nello stesso ateneo si è laureata in studi americani. Tra i suoi molti libri si contano antologie di hard sf, fantasy (The Year’s Best Fantasy) e horror (Walls of Fear), ma anche manuali (Staying on Top When Your World Turns Upside Down: How to Triumph over Trauma and Adversity). Il suo racconto In Small & Large Pieces ha suscitato l’entusiasmo di Terry Bison e ha indotto Bruce Sterling a dichiarare: “Sono cose che nessun essere sano di mente può capire”. In effetti è la storia di due fratelli, la femmina psicotica e il maschio suicida. Recentemente, Kathryn Cramer ha fondato uno studio di consulenza per editori elettronici.

Il racconto americano di fantascienza. A lungo il racconto è stato la spina dorsale della fantascienza americana, e anzi, negli anni dal 1926 al 1945 ha costituito il 90% della produzione ospitata sulle riviste (i pulp magazine, il primo dei quali fu “Amazing Stories”). Oggi le due migliori raccolte annuali del “Meglio” sono quelle curate da David G. Hartwell (che “Urania” e “Millemondi” hanno tradotto fin dall’inizio) e da Gardner Dozois. Quest’ultima è una gigantesca antologia per noi poco praticabile (per questioni di mole, ma in passato ne abbiamo tradotte alcune in edizione rilegata e poi ne abbiamo ristampato il contenuto in due volumi della serie “Millemondi”).

G.L.

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