Orizzonti

Barrington J. Bayley (1937-2008)

ottobre 17th, 2008

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Ci ha lasciati un altro autore storico. Barrington John Bayley, scrittore inglese nato a Birmingham, è scomparso lo scorso 14 ottobre  a seguito dell’aggravarsi del tumore all’intestino che gli era stato diagnosticato da tempo. Pur non avendo raggiunto la fama dei colleghi più illustri, Bayley seppe farsi interprete di una rilettura personale del genere, incentrando le sue storie sulle idee e partecipando attivamente alla lunga stagione di rinnovamento portata dalla New Wave.

Dopo il suo primo racconto, “Combat’s End” apparso sulla Vargo Statten Science Fiction Magazine nel 1954, a partire dagli anni ’60 fu collaboratore fisso di New Worlds, del cui curatore Michael Moorcock divenne amico. Fu proprio questa amicizia a spingerlo verso il movimento di sperimentatori e “scapigliati” della New Wave. Il suo primo romanzo fu Star Virus (1964). Il primo tradotto in Italia fu invece Empire of Two Worlds, pubblicato da “Urania” nel 1972 con il titolo Dai bassifondi di Klittmann City (n. 605). Le sue opere più compiute secondo la critica restano La caduta di Cronopolis (The Fall of Chronopolis, 1974) e Rotta di collisione (Collision Course, 1973), entrambe pubblicate dalla Nord, rispettivamente nel 1976 e nel 1977. La speculazione sulla natura del tempo e sul suo divenire è centrale nell’opera di Bayley, che in questi lavori mette in scena affreschi sofisticati e complessi senza disdegnare atmosfere metafisiche.

La sua influenza è stata riconosciuta su autori del calibro di M. John Harrison. Il sito Astounding Worlds of Barring Bayley include questo profilo di Bayley, che viene definito “il maestro zen della moderna space opera“.

Fonti: Locus, WikipediaStrategie Evolutive.

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Rassegna stampa di fine estate

settembre 27th, 2008

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I titoli presentati da “Urania” per accompagnarci attraverso l’estate 2008 hanno riscosso un interesse gratificante. Particolare successo hanno incontrato i classici di “Urania Collezione”, che hanno incassato due recensioni molto positive da parte di Giampaolo Rai su Fantascienza.com: nello specifico si tratta di L’odissea di Glystra (n. 66) e Stanotte il cielo cadrà (n. 67).

Sempre Stanotte il cielo cadrà è al centro di questo articolo apparso su Next-Station.org.

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Premio Urania 2007: quattro chiacchiere con Donato Altomare

luglio 28th, 2008

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Giuseppe Lippi intervista Donato Altomare, fresco vincitore del Premio Urania 2007 con Il dono di Svet. Una discussione sul suo romanzo e sulla fantascienza con uno dei protagonisti più attivi del panorama italiano.

Puoi raccontarci come ti è nata l’idea del Dono di Svet?

Circa tre anni fa un amico che si interessa della realizzazione di fumetti mi chiese di creare un nuovo personaggio. Mi raccomandò un certa originalità, raccomandazione superflua, e aggiunse che, secondo le previsioni, nei prossimi anni sarebbero state richieste storie giallo-fantascientifiche. Mi chiese anche di far presto perché aveva un ottimo disegnatore da mettere al lavoro.
Ero perplesso. Non soltanto non è facile realizzare un personaggio originale nel campo dei fumetti dalla sera alla mattina, per la verità non lo è in nessun campo, ma il giallo non rientra proprio tra i miei generi preferiti. Risposi semplicemente: ci provo, anche se avevo grossi dubbi, e intanto mi chiedevo come mai, in una carriera che dura da anni, tu inventi centinaia di personaggi ma te ne chiedono sempre ‘un altro’.
Cominciai a procedere per gradi. Quale personaggio poteva interessare tanto il lettore maschio che femmina senza entrare in contrasto con uno dei due o addirittura entrambi? E per di più che funzionasse per ogni età.
La risposta non è stata facile. Nei fumetti antichi c’era sempre un eroe (più o meno super) che dopo alcuni numeri veniva affiancato da una eroina (più o meno super). L’altra metà del mondo non poteva mancare. Allora ho pensato di partire dall’inverso, creare un personaggio femminile da affiancare, in seguito, a uno maschile. Così è nata Svetlava Tereskova, per gli amici Svet. E l’ho messa a capo della Polizia Metropolitana di NY. Come mai una russa in quel posto di grande responsabilità? Si tratta di un’oriunda? Una naturalizzata americana? No, ne riparleremo. Ovviamente il personaggio mi ha dato del filo da torcere per renderlo credibile e interessante. Fatto sta che una settimana dopo telefonai al mio amico e gli esposi l’idea. Fu subito entusiasta. Butta giù qualcosa e mandamela, mi disse. Come fossero focacce! Ma più mi si mette alle strette più mi sento sfidato. E scrissi la prima parte che gli mandai la settimana seguente e sulla quale si mise al lavoro. Poi scrissi altri episodi e così via.Un anno dopo mi sono trovato tra le mani un personaggio molto ben delineato, un mondo altrettanto ben immaginato e una bella storia di fantascienza. La voglia di farne un romanzo era grande, ma avevo creato un personaggio per i fumetti. Bisognava lavorarci sopra per trasformare poco più che sceneggiature in un vero romanzo. Ci ho lavorato, e parecchio, così è finalmente nato Il dono di Svet.

Chi è la sua protagonista? Puoi descrivercela in breve, senza rivelare troppo?

Una donna giovane (Svet ha poco più di trent’anni), vedova, (si scoprirà in seguito la fine misteriosa del marito), a capo di una struttura potente, appunto la Polizia Metropolitana di NY, una donna che ama la sua motocicletta ed è sempre in prima linea, odia le scartoffie, odia le ingiustizie. Insomma il prototipo, non troppo originale, dell’eroina. Come inizio poteva andare, ma bisognava portare il personaggio ‘verso la gente normale’, altrimenti si correva il rischio che risultasse banale o addirittura antipatica. Così le ho aggiunto un figlio avuto da giovanissima. Un figlio che la fa madre e che le ‘regala’ tutti i problemi che hanno le madri che lavorano, con l’aggravante di un lavoro non certo ordinario. E ho aggiunto un ‘dono’, la capacità, incontrollabile da parte sua, di attraversare gli universi paralleli a causa di eventi traumatici.
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Daniel F. Galouye: Se la vita è un sogno

luglio 24th, 2008

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Un puntuale intervento di Gianfranco de Turris su Daniel F. Galouye e Stanotte il cielo cadrà, Urania Collezione di agosto.

“La vita è un sogno”, proclamava nel Seicento Pedro Calderon de la Barca. Due secoli dopo si chiedeva Edgar Allan Poe: “Non è tutto quel che vediamo o sembriamo / un sogno in un sogno soltanto?” Erano d’accordo con loro H.P. Lovecraft, Lord Dunsany, Gustav Meyrink, H.H. Ewers e, finalmente, Jorge Luis Borges.

Ma chi sogna, e che cosa? Il problema della realtà, del valore e della consistenza da darle, e da qui il problema della creazione e dell’io, sono sempre stati al centro di speculazioni religiose e filosofiche, diversamente affrontate e risolte in oriente e in occidente. Non sembri curioso né presuntuoso che esse lo siano state anche da una letteratura popolare come la fantascienza, spesso da molti considerata incolta, giungendo a soluzioni sue proprio grazie a moduli, schemi, trovate e idee del tutto specifiche: il rapporto fra l’essere umano come individualità e il mondo che lo circonda è talmente fondamentale che non poteva essere ignorato da una narrativa che è nella sua essenza una speculazione sull’uomo e la società proiettati in mondi alternativi. Singolare, piuttosto, che queste problematiche non siano nate negli anni Sessanta, periodo in cui unanimemente si riconosce il sorgere di una maggiore autocoscienza e maturità del genere, per esempio con Philip K. Dick, che ha fatto del rapporto io/realtà e vero/falso il centro di tutte le sue opere maggiori, ma assai prima, addirittura negli anni Quaranta e Cinquanta, l’epoca del pulp e del boom delle riviste specializzate: si pensi a Un uomo bene informato (Don’t Look Now, 1948) di Henry Kuttner, Vieni e impazzisci (Come and Go Mad, 1949) di Fredric Brown, Siamo tutti soli (You’re All Alone, 1950) di Fritz Leiber, solo per citare alcune storie famose, diverse fra loro ma accomunate dalla scoperta che la Realtà non è quella che è, o che appare essere. Leggi tutto »

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Tutti a Zanzibar, con l’acqua alla gola

luglio 15th, 2008

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(DELINQUESCENZA L’avete commessa aprendo questo libro. Continuate. Non chiediamo di meglio. – Chad C. Mulligan, Lessico della Delinquescenza)

(COINCIDENZA Ti è sfuggita l’altra metà di ciò che stava accadendo. – Chad C. Mulligan, Lessico della Delinquescenza)

L’occhio di Brunner è un satellite che scruta la Terra dalla sua orbita quasi-polare, 800 km sopra le nostre teste. Ma non è un comune occhio elettronico. Ha la capacità di cavalcare le maree del tempo e addentrarsi con precisione chirurgica nel suo tempo futuro, che poi è il nostro tempo presente, restituendocene un’istantanea in colori desaturati che fotografa senza pietà i limiti, le contraddizioni, i problemi attuali e venturi del nostro mondo.
Pubblicato in un anno cruciale come il 1968, vincitore l’anno successivo del Premio Hugo, Tutti a Zanzibar (in originale Stand on Zanzibar) è uno dei capisaldi della New Wave montante all’epoca, ma si spinge anche molto più in là, caricandosi di una valenza simbolica che lo rende dannatamente attuale ancora al giorno d’oggi. Questa sua persistenza, questo perdurante insistere su tematiche che continuano a riguardarci da vicino come la sovrappopolazione, la bioetica, l’onnipresenza degli stimoli consumistici, il divario economico tra paesi e continenti e l’impiego razionale delle risorse del pianeta, sicuramente ha tratto un certo beneficio dall’approccio sperimentale di John Brunner, che qui rasenta l’avanguardia. La storia, già di per sé complessa nel suo intrecciare le vite di numerosi personaggi disseminati in ogni angolo del globo, viene resa nel modo più efficace possibile attraverso la scelta di una composizione frammentata, servita da un montaggio frenetico. Brunner riversa sul lettore una vera e propria pioggia di informazioni, particelle elementari che bersagliano la coscienza come una cascata di raggi cosmici. Stralci di notiziari, slogan pubblicitari, brani saggistici, scampoli di conversazioni costruiscono il rumore di fondo in cui l’autore immerge i suoi personaggi, in un bagno di realtà che al lettore può risultare tanto ostico al primo impatto quanto vivido riesce a rivelarsi sulla distanza. L’effetto è quello del sovraccarico d’informazione che si può sperimentare leggendo altri autori che hanno iniettato le loro visioni fantascientifiche attraverso una prosa sperimentale, da William Burroughs a William Gibson (qui la scheda su LibriMondadori.it), passando per James G. Ballard. Leggi tutto »

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Thomas M. Disch (1940-2008)

luglio 7th, 2008

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thomasdisch.jpgIl grande Thomas M. Disch si è tolto la vita il 4 luglio scorso all’età di 68 anni. Ne apprendo la notizia da Fantascienza.com, dove potrete trovare maggiori dettagli sulle circostanze del suicidio.

Disch, poeta, saggista, narratore, iconoclasta, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 era stato uno dei protagonisti della New Wave. Nella sua sterminata produzione risaltano almeno due romanzi scritti proprio in quegli anni: Campo Archimede (Camp Concentration, del 1968, un inno alla libertà ambientato in un campo di concentramento dei futuri USA, sotto il tallone di ferro di una Amministrazione McNamara, in cui i detenuti diventano le cavie per esperimenti sulla coscienza) e 334 (romanzo-mondo del 1972 che, attraverso le vicende di un gruppo di inquilini di un edificio della Manhattan del 2025, traccia un parallelo tra la decadenza dell’Impero Romano e il declino degli Stati Uniti). Il primo dei due era stato pubblicato l’ultima volta in Italia nei Classici di “Urania” (n. 147) nel 1989.

Disch è stato un grande sperimentatore, a suo agio con l’audacia delle avanguardie e l’anticonformismo dei geni. Per ricordarlo, non può esserci di meglio che rileggere i suoi lavori.
R.I.P.

[Leggi anche il necrologio del New York Times]

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