Urania 1952-2012
Ovvero, come la macchina del tempo non si è mai fermata
Ottobre 1952: sessant’anni fa usciva il primo numero dei “Romanzi di Urania”. Novembre 1952, a distanza di un mese appariva nelle edicole anche “Urania” rivista. Per festeggiare la ricorrenza, vi anticipiamo quattro momenti della lunga avventura editoriale delle nostre collane. Il tutto dalle pagine del volume Il futuro alla gola: una storia di Urania 1952-2012 di Giuseppe Lippi che uscirà all’inizio del 2013 (per gentile concessione dell’editore Profondo Rosso, Roma).
Il re Giorgio
Nel raccontare la storia della nostra collana, molto spazio è stato dedicato alle figure dei fondatori, in primo luogo Giorgio Monicelli (1910-1968) che ha curato la rivista “Urania” e i suoi “Romanzi” fin dal 1952, partendo da un progetto che gli stava a cuore dall’anteguerra. Ma benché la figura di Monicelli sia diventata giustamente leggendaria, come quella di un Jules Verne o almeno uno Hugo Gernsback dei nostri lidi, non bisogna dimenticare che ben difficilmente un giornalista solitario ― per quanto nipote di Arnoldo Mondadori ― avrebbe potuto varare una nuova linea editoriale di successo. E’ per questo che va dato il giusto credito ad Alberto Mondadori (1914-1976), secondo figlio di Arnoldo e cugino di Monicelli, che fiancheggiava il padre nella direzione della casa editrice al tempo della rinascita. Nell’Italia di Giorgio Monicelli e Alberto Mondadori, si decise di varare non una, ma due collane di fantascienza: “Urania” sarebbe stata una rivista di racconti e rubriche; una collana parallela, “I romanzi di Urania”, avrebbe ospitato i testi più lunghi. Furono questi ultimi ad uscire per primi il 10 ottobre 1952, al prezzo di 150 lire per 160 pagine; la rivista di racconti avrebbe visto la luce il mese dopo. Il direttore responsabile delle due testate era Gino Marchiori, il curatore Monicelli. L’editor o meglio il publisher ― se volessimo usare in anticipo questi termini aziendali molto più recenti ― era Alberto Mondadori (che, in qualità di editore, non figurava nel tamburino redazionale). Per il momento “Urania” non aveva una redazione vera e propria: oltre ad esserne curatore, Giorgio Monicelli ne era anche redattore letterario e a volte traduttore. In seguito, i compiti più tipicamente redazionali sarebbero stati affidati ad Andreina Negretti, a sua volta abile traduttrice, che rimase l’unica responsabile del lavoro quotidiano dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, quando venne affiancata da Lea Grevi e poi da Marzio Tosello.
Ma per tornare ai tempi eroici di Monicelli, diremo subito che “Urania” rivista non fece presa come si era sperato e cessò le pubblicazioni nel dicembre 1953, dopo appena quattordici numeri. E’ un peccato, perché la formula della rivista di racconti avrebbe permesso di trasmettere appieno l’impatto della science fiction moderna, che negli anni Cinquanta aveva la sua punta di diamante nel racconto breve. Storie mature sul piano stilistico, ingegnose e spesso paradossali venivano pubblicate ogni mese nella moltitudine di riviste anglo-americane: in Italia se ne sarebbe avuta la prova definitiva qualche anno più tardi, con l’antologia di Sergio Solmi e Carlo Fruttero Le meraviglie del possibile (Einaudi, 1959). Nei quattordici numeri di “Urania” rivista sono raccolti numerosi capolavori della fantascienza: racconti come “Le maschere” di Fritz Leiber, “Terrore” di Richard Matheson, “Esodo nero” di Ray Bradbury (un episodio delle Cronache marziane), una versione breve di Fahrenheit 451 pubblicata con il titolo Gli anni del rogo, “L’ultimo marziano” di Fredric Brown, “I mangiatori di loto” di Stanley G. Weinbaum (un classico degli anni Trenta sempre fresco e attuale, o rara avis). Inoltre, la rivista mondadoriana avrebbe tradotto la produzione corrente di scrittori come John Wyndham, Katherine MacLean, John D. Macdonald, Damon Knight, Frank G. Robinson, Murray Leinster, Clifford Simak e Isaac Asimov, tolta dai mensili americani “Astounding Science Fiction”, “Amazing Stories”, “The Magazine of Fantasy and Science Fiction” e soprattutto “Galaxy”. Su “Urania” rivista non ci sono state concessioni alla nostalgia, al passato remoto, a velleitarismi di alcun genere. Il vezzo principale è consistito nel pubblicare, talora a puntate, romanzi per ragazzi come I vampiri di Venere apparso nel primo numero: un testo che, per quanto scritto da un noto astronomo come Philip Latham, venne condensato nella versione italiana ed era del resto, fin dall’origine, un prodotto per giovanissimi.
Si è dunque trattato di una bella e precoce pubblicazione soffocata dalla sorella maggiore, la collana di romanzi che avrebbe finito per surclassarla. Se “I romanzi di Urania” attecchirono è perché si diedero alla robusta forma dell’intrattenimento generale, del romanzo d’azione oltre che di idee. Ed escono tuttora, benché con il n. 153 del giugno 1957 la testata sia diventata “Urania” tout-court. L’ultimo numero firmato da Giorgio Monicelli come curatore è stato il 267, nell’ottobre 1961. Ma chi era il leggendario pioniere dei “Romanzi” e probabile inventore del neologismo “fanta-scienza”? Com’era cominciata la sua meteorica carriera? Le cose stanno così: Arnoldo Mondadori aveva cominciato l’attività editoriale insieme all’amico Tomaso Monicelli e ne aveva sposata la sorella, Andreina. A Tomaso erano nati due figli, Giorgio e Mario, sia pure da diversa madre. Giorgio, futuro fondatore di “Urania”, era un figlio illegittimo dell’attrice Elisa Severi e sarebbe cresciuto in casa dei Mondadori, sotto le cure personali della zia Andreina. Era nato a Tradate il 21 maggio 1910, sarebbe morto a Milano il 20 novembre 1968. Dalla prima moglie, Italia Buzzi (sposata nel 1937), aveva avuto tre figlie: Diana, Fede ed Eva. In seguito aveva abbandonato la famiglia per andare a vivere con Maria Teresa Maglione, detta “Mutti”, che collaborava con lui in campo editoriale e avrebbe tradotto numerosi romanzi sotto pseudonimo.
In un’intervista raccolta per “Urania”da Lorenzo Codelli nel 1997, il regista Mario Monicelli ci ha lasciato il seguente ritratto del fratello: «Giorgio era più grande di me di sette od otto anni: tra noi c’è un altro fratello, Franco, poi vengo io e quindi Mino che ne ha quasi cinque meno di me. Voglio precisare che Giorgio era figlio di un’altra madre, un’attrice teatrale molto nota ai primi del Novecento: mio padre aveva avuto con lei una relazione, ma la signora non aveva mai voluto sposarlo. Ricordo che da ragazzo andavo spesso a trovare Giorgio in casa dell’altra signora. Mio fratello aveva soltanto la licenza liceale, non so se si fosse mai iscritto all’università; trovò presto da guadagnare come traduttore e mio padre, da parte sua, aveva altre gatte da pelare, per cui non fece sforzi particolari per convincerlo a continuare gli studi. Giorgio è entrato alla Mondadori e piano piano si è fatto strada. Ha curato diverse collane e per la “Medusa” ha scoperto molte belle cose. Prima della guerra ha diretto anche dei settimanali, tra cui, mi pare, uno dedicato alla narrativa poliziesca che si chiamava “Il cerchio verde”. Era un appassionato di astrofisica, leggeva trattati divulgativi e ricordo che nei primi anni Trenta voleva spiegarmi la relatività di Einstein, una cosa che non capiva neanche lui! Credo che “Urania” sia nata da questa passione, Giorgio aveva avuto l’intuizione che dovesse essere una collana popolare. Leggeva l’inglese e quindi aveva a disposizione testi che non arrivavano in Italia. Traduceva anche, ma non parlava né capiva la lingua viva: aveva imparato l’inglese sulla carta e leggeva quei segni come fossero il sanscrito…
«Per cominciare, e prima di collaborarvi stabilmente, Giorgio acchiappò da Mondadori qualche traduzione dal francese; in seguito si trasferì a Milano ed entrò nella casa editrice come correttore di bozze e traduttore. Mio fratello era considerato un artista, un rompiballe; come il suo amico Cesare Zavattini non voleva orari fissi, arrivava in ritardo e perciò veniva continuamente multato. Facevano strani scherzi, da goliardi, come attraversare la stanza del direttore editoriale a piedi scalzi! Contrariamente a Zavattini, mio fratello non ha mai potuto o voluto fare lo scrittore vero e proprio. Aveva provato a scrivere qualche racconto, ma non ne era rimasto soddisfatto; io stesso ne ho letti un paio, ma erano cose truci piene di gente complessata che si uccideva. Comunque, ebbe sempre un certo rimpianto per questo abbandono. Giorgio passava le sue nottate con un tipo ancora poco considerato nell’ambiente, Giorgio Scerbanenco, giornalista e autore di racconti gialli ambientati a Milano in un’epoca in cui si doveva ambientare tutto in Inghilterra o chissà dove. Frustrati, gran bevitori di vino tutti e due, la sera erano sempre ubriachi, in quegli anni anteguerra. Durante la guerra mio fratello Giorgio entrò in una formazione partigiana; per un anno o due fu anche questore di una città importante, Varese mi pare. Alla liberazione del Nord tornò in ditta: Arnoldo Mondadori, durante il conflitto, era scappato in Svizzera per paura di requisizioni o sequestri, ma ora l’attività si andava riorganizzando. Voglio ancora dire che mio fratello è stato il primo ad aver tradotto in ltalia Malcolm Lowry, anche se quando lo scrittore venne in ltalia per conoscere il suo traduttore, i due non riuscivano a comunicare! Allora si misero a bere barbera e a sghignazzare, insieme a Scerbanenco, come si può immaginare. Giorgio è morto prima di aver compiuto sessant’anni, di cirrosi epatica…”
Giuseppe Lippi
(1 – continua)
Un intervento di Giuseppe Lippi sul portale Mondadori