Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973) è uno dei romanzi più affascinanti di Clarke e, probabilmente, di tutta la fantascienza.
E’ un libro che va al di là delle mode e dei calcoli di convenienza; è un capolavoro dell’avventura moderna e uno dei pochi romanzi ad aver generato tre seguiti che, per ricchezza inventiva, stanno ben alla pari con il testo originario. Questi seguiti, scritti in collaborazione con Gentry Lee, sono: Rama II, The Garden of Rama e Rama Revealed.
Il successo del libro si deve a molti fattori: le accurate ipotesi scientifiche di Clarke, oggi tornate alla ribalta con la paura degli asteroidi minacciosi vaganti nello spazio; la grandiosa immagine di un manufatto exraterrestre – di fatto, un’astronave – che tuttavia è così grande da potersi definire un mondo autonomo e misterioso; il fascino delle civiltà perdute, di cui quella ramana costituisce un perfetto aggiornamento. E naturalmente, l’emozione del primo contatto con un’altra forma di vita intelligente. Ma ci sono altre ragioni, che fanno di Incontro con Rama un nuovo tipo di avventura nello spazio paragonabile a ben pochi altri testi degli anni Settanta o anche successivi (uno di essi è il ciclo di Ringworld di Larry Niven).
I vari elementi del romanzo sono fusi con maestria nel racconto dell’esplorazione che una squadra scientifica umana intraprende a bordo dell’oggetto Rama, arrivato dai confini dello spazio e diretto verso il nostro sistema solare. Questa parte del libro è anche la più vicina allo spirito avventuroso – nel senso di avventura intellettuale – che contraddistingue il Clarke degli anni Settanta, cioè l’uomo che è da poco emerso dalla grande odissea di 2001. Il film di Stanley Kubrick, da Clarke in parte ideato, si poneva nel 1968 come un ponte gettato fra una concezione provinciale del racconto di fantascienza e la sua nuova, più complessa dimensione “multimediale”. Rendezvous with Rama continua, nel 1973, quel discorso e illustra l’idea di pluralità dei mondi, così cara alla sf come alla filosofia, da un punto di vista “alieno”, cioè dall’interno di un’architettura definitivamente estranea all’uomo. La misteriosa, impenetrabile natura di Rama è l’equivalente dell’appartamento rococò in cui è arrivato Dave Bowman in 2001: una volta, naturalmente, che siano state tolte le tende e smontati i baldacchini.
Per la fantascienza d’ambiente spaziale è una sorta di rinascita, ma su basi completamente nuove; basi che devono la loro robustezza, e certo tutta la loro originalità, al penchant metafisico di Arthur C. Clarke, già visibile nelle premesse di 2001 – e cioè nel racconto “La sentinella” – ma anche in altre opere, da “I nove miliardi di nomi di Dio” in avanti.
È accaduto così che un autore ingiustamente tacciato di arido tecnicismo si aprisse a un’esplorazione di orizzonti cosmici impensati, a visioni dell’universo che non sono per nulla aride o tecnicistiche, ma anzi ci riportano alle radici stesse della ragion d’essere della fantascienza.
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