Arthur C. Clarke, sogno imperiale

gennaio 14th, 2011

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Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

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Arthur C. Clarke

dicembre 18th, 2008

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Un profilo del maestro dell’hard sci-fi tracciato da Giuseppe Lippi.

Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

Del resto, nell’Inghilterra degli anni Cinquanta Arthur già parlava di astronavi e satelliti geostazionari per telecomunicazioni: vale a dire oggetti che, messi in orbita come il primo Sputnik, ruotassero in sincrono con il pianeta e potessero diffondere in un emisfero le trasmissioni ricevute dall’emisfero opposto, superando l’ostacolo della curvatura terrestre. Né si trattava di semplici fantasie: il progetto del satellite geostazionario è oggi ufficialmente attribuito a Clarke, che ne ha parlato nei suoi libri di divulgazione e ha sostenuto la fattibilità del volo spaziale fin da opere come The Exploration of Space (1951) e Il volto del futuro (1955, il cui titolo originale suona appunto “The Challenge of the Spaceship”: la sfida dell’astronave). In una recente intervista Clarke ha dichiarato di aver saputo dalla segretaria di Wernher von Braun, Carol Rosin, che il grande scienziato tedesco si basò proprio su The Exploration of Space per convincere il presidente Kennedy della fattibilità del viaggio sulla luna. Leggi tutto »

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Clarke & Pohl – Clarke

ottobre 18th, 2012

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Arthur Clarke, dallo spazio

alle spezie: un apprezzamento

e una testimonianza

 

Sulla Luna hanno messo piede per primi gli inglesi. Le astronavi, per i lunghi viaggi nello spazio, hanno bisogno di motori atomici. Su Marte ci sono piante e animali. I mari della Luna sono immensi bacini di polvere. Intorno alla Terra ruotano immense stazioni spaziali, vere isole nel cielo con a bordo centinaia di persone. Nel 2001 si raggiunge il nostro satellite regolarmente, si progetta un viaggio su Giove e le astronavi sono dirette da supercomputer senzienti… Sono tutte affascinanti “previsioni” contenute in libri di Arthur C. Clarke, e ovviamente non realizzate. E’ vero, accanto ad esse vi sono anche molte altre previsioni che abbiamo visto avverarsi, compresa quella, clamorosa, dell’impiego di satelliti artificiali in orbita geostazionaria per le telecomunicazioni, contenuta peraltro non in un suo racconto, ma in un articolo divulgativo.

E’ vero anche che tutto questo apparato parascientifico era proprio ciò che ci colpiva da ragazzi, e costituiva la pezza d’appoggio principale per difendere, negli anni Sessanta e Settanta dell’ahimè secolo scorso, la dignità del nostro genere letterario contro la critica togata, incline a supportare la famigerata battuta della buonanima di Mike Bongiorno, che infelicemente in tv lo definì “fantascemenza” (e ancor brucia il ricordo, in nostra tarda età). All’epoca, accanto a chi si basava proprio sui contenuti scientifici per sostenere che l’amata fantascienza era “una cosa seria”, c’era anche chi s’affannava ad additarne i magnanimi lombi in Platone, Luciano, Dante, Ariosto eccetera eccetera.

Poi, il tempo e l’ampliamento degli orizzonti culturali ci hanno fatto capire che l’importanza del nostro genere letterario non sta affatto nella “previsione tecnico-scientifica”. Non ha molta importanza se abbia o non abbia, ad esempio, previsto nei particolari la bomba atomica prima dell’esplosione di Alamogordo nel 1945, se abbia previsto le astronavi quando non c’erano neppure gli aerei di linea. Fosse veramente così – come ormai scriviamo da un bel pezzo – i risultati della tecnoscienza che viviamo ai giorni nostri e sulla nostra pelle, dovrebbero farci gettare il 90 per cento della fantascienza nella discarica delle delusioni letterarie: i cellulari e la Rete non se li è mai sognati, ad esempio, eppure deliziano e ossessionano i nostri giorni. Di personal computer non ha mai parlato, eppure ne stiamo usando uno per scrivere queste righe.

Ad altro, dunque, bisogna guardare per valorizzare la fantascienza e i suoi autori più importanti. Jean Baudrillard da tempo sostiene chel’immaginario fantascientifico è giunto a “ricoprire tutta la realtà”, per cui non è più possibile costruire dell’immaginario partendo dal mondo come oggi lo conosciamo e viviamo: il cosiddetto “genere del futuro” non avrebbe più insomma alcun futuro. Una posizione certo estrema ed eccessiva (la realtà offre ancora infiniti spunti per ipotesi futuribili), ma che in sostanza pone un problema: ci deve pur essere qualcosa d’altro, al di là dell’immaginare “previsioni scientifiche”, tale da poter far sopravvivere la fantascienza ad infinitum.

Prendiamo allora come esempio Arthur C. Clarke, che è come dire l’icona della fantascienza in Italia. E’ stato proprio lui, infatti, a far spalancare gli occhi e la mente dei ragazzi e degli adulti del 1952 sugli spazi sconfinati oltre la realtà del quotidiano (il quotidiano del dopoguerra, della ricostruzione, del Piano Marshall): intanto con i due alieni tentacolati sulla copertina del primo fascicolo di “Scienza Fantastica” che nell’aprile 1952 illustravano il suo racconto Missione di soccorso, e poi la città sotto la cupola e il razzo fusiforme sulla copertina del romanzo Le sabbie di Marte sul primo fascicolo de “I romanzi di Urania” del 10 ottobre 1952. Se c’è un nome con cui identificare la science fiction, per noi italiani, è proprio il suo.

Allo stesso tempo, però, voler misurare Clarke solo con il solo metro della previsione scientifica, cucendogli addosso l’abito dell’anticipatore par excellence, come si è spesso fatto e si continua a fare (magari insieme a Isaac Asimov), non solo è un errore ma anche una grave ingiustizia nei suoi confronti. Tutte le cosiddette “anticipazioni scientifiche” presenti nelle sue opere sono infatti niente altro che puri espedienti narrativi, e lui stesso (lo ha confermato personalmente a Sebastiano Fusco, che ha avuto la ventura d’incontrarlo) era il primo a dubitare che fossero corrette o che potessero realizzarsi mai. Lo spessore della figura di Clarke come scrittore e soprattutto come genio visionario si fonda su ben altri valori. Si fonda sulla grandiosità delle sue concezioni, sulla vastità della sua immaginazione e soprattutto sulla portata etico-morale del suo insegnamento. Insomma, su quello che in America, patria d’elezione del nostro genere letterario, è stato efficacemente definito sense of wonder, quel senso del meraviglioso che ti afferrava nel 1952 leggendo i primi “Romanzi di Urania” e che non sempre – purtroppo – oggi ti prende ancora leggendo la fantascienza contemporanea (e non si tratta di una questione d’età)…

Questo, in effetti, è vero per tutta la fantascienza nel suo complesso. E’ riduttivo considerarla semplicemente come “narrativa d’anticipazione” soltanto perché tratta, come diceva Edgar Allan Poe, di mellonta tauta, “cose che avverranno”. Prevedere cose che si potrebbero verificare non è poi molto difficile (anche Gianfranco de Turris nei suoi racconti di ventenne lo ha fatto, benché del tutto alieno da una cultura scientifica): basta fare centomila predizioni, e qualcuna di esse si avvererà per forza. Una letteratura che camminasse su queste sole gambe, andrebbe ben poco lontano. In realtà la fantascienza, come disse un altro intellettuale francese, Maurice Blanchot, è una mirabile manifestazione della funzione profetica.

Qui bisogna intendersi.

Il termine “profeta”, oggi, ha assunto il significato di “persona che conosce il futuro”. Un tempo, non era così. Indovinare l’avvenire non era compito dei profeti, bensì degli indovini: genìa di trista fama, usi smerciare le loro dubbie capacità in cambio di moneta, e non molto apprezzati perché in genere non ci azzeccavano o erano soliti nascondere la loro ignoranza dietro discorsi fumosi, come fanno oggi gli astrologi da rotocalco. I profeti biblici, o i vati della classicità (per non parlare degli oracoli, che erano diretta manifestazione di un dio), avevano tutt’altra funzione: loro compito era lanciare ammonimenti dal profondo significato morale, avvertendo interi popoli, o culture, o la stirpe umana nel suo complesso, che se avesse deviato dall’insegnamento divino, o dalle leggi etiche, o dai princìpi morali, o dal semplice buon senso, il destino avrebbe avuto in serbo per loro eventi assai poco piacevoli. O, di converso, ricordare che la speranza nel futuro riposa nell’osservazione dei precetti divini o dei retti giudizi umani (il che, se vogliamo, come insegnava Socrate è la stessa cosa).

Per fare questo, vati e profeti impiegavano visioni grandiose espresse in linguaggio lussureggiante, ricolme di simboli e allegorie. La biblica visione d’Ezechiele, o i sogni di Daniele, ne sono esempi. Non è un caso che siano stati presi come spunto per divagazioni fantascientifiche: l’avvento di creature aliene, il sorgere di nuove civiltà, e se ne siano azzardate financo ricostruzioni “astronautiche”.

Non è un caso, appunto perché la fantascienza, come ha acutamente osservato Blanchot, non prevede: ammonisce. Ci avverte, per esempio, che l’uso della scienza senza coscienza ci porterà alla rovina (e ce ne accorgiamo ora, che viviamo nell’incubo nucleare, nella paura del disastro ecologico, della penuria d’energia e chi più ne ha più ne metta). Ci mostra e dimostra che gli esperimenti sociali attuati a beneficio di una sola classe, quale che essa sia, aprono la strada alla tirannide. Che l’assopirsi della creatività dietro realizzazioni stultificanti porta al rimbecillimento culturale. Che manipolare la natura umana intervenendo sulle sue origini senza un preciso rigore etico a guidarci può portare alla perdita della nostra stessa identità. D’altro canto, c’insegna anche che la scienza usata rettamente può aprirci le porte dell’universo. Che la concordia è la chiave d’ogni progresso. Che l’uomo è perfettibile, ma deve trovare in se stesso la spinta all’elevazione. Gli esempi al riguardo, nella narrativa fantascientifica, sono infiniti: non faremo torto alle conoscenze dei lettori di “Urania” andando a indicare loro degli esempi, li conoscono già benissimo. Ne citiamo uno soltanto, per rendere omaggio al ricordo di un autore amatissimo, nostro amico per cinquant’anni, di recente scomparso: Ray Bradbury, che con Fahrenheit 451 ha profetizzato l’annichilimento della cultura se insisteremo a volerla sostituire con le sitcom e a demonizzare la libertà di pensiero espressa nei libri (di carta).

Orbene, di questo tipo di fantascienza “profetica”, la più nobile, una delle più grandi realizzazioni della letteratura, Arthur Clarke era l’indiscusso campione. Come detto, lui stesso per primo si rendeva conto che l’elemento “anticipatore”, la semplice previsione tecnologica, non andava visto come il centro della narrazione, ma come l’innesco per visioni più ampie, di portata autenticamente cosmica. Per questo, come disse a Sebastiano Fusco nel corso dell’incontro già citato, e su cui torneremo, scelse come “io narrante” di Preludio allo spazio, il romanzo in cui raccontava della conquista della Luna, non uno scienziato, un tecnico che aveva partecipato in prima persona alla realizzazione dell’impresa, bensì uno storico: ovvero un umanista, non un tecnocrate. Una persona che sapesse cogliere il senso dell’inizio dell’astronautica come il manifestarsi di una nuova sfida destinata al progresso dell’umanità non soltanto sul piano scientifico, ma soprattutto su quello etico e morale. Un testimone: ed è questa una delle funzioni precipue dei profeti, l’essere testimoni dei propri tempi. Non conta che la conquista dello spazio, malgrado le previsioni, sia ancora lungi dall’essere realizzata: ciò che conta è la rappresentazione dell’ansia faustiana che spinge l’uomo verso le stelle.

Quest’incombere del futuro, questo senso di sgomento di fronte ai destini dell’umanità, sempre in bilico tra l’elevazione e la rovina (e quanti esempi al riguardo ci fornisce la storia!) è presente in molti altri scrittori, ovviamente, non soltanto in Clarke. Ma quanti di loro hanno saputo raggiungere una tale grandiosità di visioni? Quanti una tale profondità di ammaestramento? Ci viene in mente un solo esempio, un autore stranamente da noi poco frequentato, anch’egli inglese: Olaf Stapledon. Poi, in parte, Philip K. Dick, in parte Robert A. Heinlein, in parte Isaac Asimov e A.E. van Vogt, e ben poco altro.

Quanti hanno saputo concepire una visione così elevata e rarefatta come quella di La città e le stelle, uno dei capolavori di Clarke? Un romanzo nel quale è tracciata non soltanto la diagnosi del male futuro, ovvero l’asservimento dell’uomo alla stessa tecnologia da lui creata, ma anche la terapia, ovvero il recupero della spiritualità attraverso la ribellione dell’artista verso il conformismo. Quale immagine simbolica dell’incombere del futuro è pari a quella dell’immensa torre alta trentaseimila chilometri di Le fontane del paradiso? Una struttura sconvolgente alla cui ombra l’umanità vale meno di una formica, e il cui unico parallelo si trova non nella tecnologia ma nell’arte, ovvero i mirabili affreschi tracciati nell’amata isola di Ceylon da un remoto e dimenticato maestro delle immagini. La vicenda scorre su due piani paralleli, il lontano passato e il lontano futuro, e racconta con plastica simbolicità una vicenda di elevazione e caduta: un’allegoria del cammino umano che sembra non dar luogo alla speranza, ma che ha in sé i germi della rigenerazione. All’antico artista vennero troncate le mani perché non potesse ripetere una seconda volta, per un altro re, un’opera così alta. All’umanità, rimane comunque il miraggio delle stelle.

E che dire dello straordinario soggetto di 2001: Odissea nello spazio, in cui si sono fusi gli ingegni di due fra i più grandi visionari del secolo scorso, Clarke e il creatore d’immagini Stanley Kubrik? Al di là delle anticipazioni tecnologiche (ben poco realizzate) ciò che conta nella vicenda è la mirabile conclusione (per molti criptica e oscura, mentre non lo è affatto), in cui emerge con grande potenza allegorica il sogno alchemico della coincidentia oppositorum, la fusione del microcosmo umano con il macrocosmo divino. Il germe dell’uomo che innesca il germe dell’universo. Il finale della pellicola riecheggia in modo suggestivo un antico testo chiamato Tavola di Smeraldo attribuito a Ermete Trismegisto, in cui viene narrata simbolicamente l’origine del Tutto. Fusco accennò a questa simmetria con Clarke, nel corso del suo incontro, chiedendogli se avesse mai letto la Tavola. Lo scrittore confessò di non averla mai sentita nominare. Quando Fusco gliela recitò (è molto breve, dodici frasi in tutto, tra cui famosissima la prima: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto per fare il miracolo della Cosa Unica”), Clarke ne fu impressionato e disse che gli sembrava un resoconto preciso dell’origine del cosmo, da parte di qualcuno che, chissà come, in epoche remote (la più antica testimonianza della Tavola risale al settimo/ottavo secolo di questa era) aveva compreso la necessità della Grande Unificazione, il Santo Graal della fisica, ovvero una formula in grado di unificare la Teoria della Relatività (il macrocosmo) con la fisica quantistica (il microcosmo). Per uno che di alchimia non si era mai interessato, è una straordinaria intuizione.

Chiudiamo con un ultimo ricordo personale, legato all’incontro con Fusco cui si è già accennato. Risale a una quindicina d’anni fa. Essendosi recato in India per questioni di lavoro, Fusco non sì fece sfuggire l’occasione di recarsi anche nello Sri Lanka, a trovare Clarke nella sua villa, situata su una collina a cui si arriva per una strada piuttosto scoscesa. Fusco era già da molti anni in corrispondenza con Clarke, ed anzi, poco più che ragazzetto, gli aveva inviato una lettera avvertendolo che in Italia i suoi libri erano apparsi, fino ad allora (parliamo dell’inizio degli anni Sessanta) in traduzioni pesantemente massacrate da tagli ed equivoci. Clarke se ne infuriò e mandò una lettera all’editore intimando che le ristampe eventuali dei suoi libri fossero corrette, come poi avvenne. Anche per questo, lo scrittore fu lieto di conoscere di persona il suo corrispondente.

Bene, Clarke era come lo si poteva immaginare: un inglese che più inglese non si può, di una cortesia che più cortesi non si può, e di una conversazione incredibilmente spiritosa. Dopo un’oretta di piacevoli chiacchiere, invitò Fusco a un giro nel giardino della sua villa: un itinerario incantato tra profumi esotici, piante lussureggianti, fiori enormi dagli splendidi colori. Giunto al centro, si fermò e con un ampio gesto della mano e un sorrisetto ironico, esclamò: “Odissea nelle spezie” (in inglese: A spice odyssey). La battuta doveva piacergli molto, perché a quanto pare la ripeteva praticamente ad ogni suo ospite. Comunque sia, questa è l’immagine di Arthur Clarke che ci è più cara: un gentile e ironico profeta nel giardino del paradiso.

Gianfranco de Turris

Sebastiano Fusco

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Clarke & Pohl: Pohl

ottobre 18th, 2012

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Mister fantascienza, l’uomo

che ha vissuto per intero

il secolo della sf

 

Nato nel 1919, sposato cinque volte (la sua terza moglie è stata Judith Merrill, grande antologista e scrittrice di fantascienza), attivo fin dagli anni Quaranta come autore, agente letterario e curatore di collane, Frederik Pohl è sinonimo di fantascienza americana come pochi altri scrittori. Nella prima parte della sua carriera pubblica sotto una fitta varietà di pseudonimi e collabora con altri membri della società del “Futurians”, nata a New York per raggruppare gli appassionati e autori dell’epoca: particolarmente fruttuoso si rivelerà il sodalizio con Cyril M. Kornbluth, un autore chiave degli anni Quaranta e Cinquanta insieme al quale Pohl scriverà eccellenti racconti. Questi testi sono reperibili oggi in tre antologie: The Wonder Effect del 1962 (tr. it. La civiltà dell’incubo, La Tribuna 1977), Before the Universe and Other stories (1980) e Our Best: The Best of Frederik Pohl and C.M. Kornbluth (1987). Sempre con Kornbluth, Pohl avrebbe dato alla fantascienza del dopoguerra il capolavoro The Space Merchants (1953, I mercanti dello spazio) e altri tre notevoli romanzi: Search the Sky del 1954 (Frugate il cielo, in Urania n.305, 1963;), Gladiator at Law del 1959 (Gladiatore in legge, ediz. più recente Editrice Nord,1989) e Wolfbane,1959 (Il segno del lupo, Editrice Nord 1975).

Nel 1940-41 Pohl entra nel mondo dell’editoria collaborando con Alden Norton alla cura di riviste come “Astonishing Stories” e “Super Science Stories”. Nel 1943 le due testate cessano la pubblicazione; Pohl viene arruolato nell’esercito americano e partecipa alle operazioni alleate in Puglia e Campania, con relativo soggiorno al Vomero (Napoli). Dopo la guerra, e tornato negli Stati Uniti, Fred Pohl diviene agente letterario e quindi assistente di Horace Gold alla direzione di “Galaxy”, una delle due riviste di sf più influenti del dopoguerra. In quel periodo pubblica, insieme con Lester Del Rey, il romanzo Preferred Risk (1955, tr. it. Rischio di vita, Fanucci 1976). Altro fortunato sodalizio letterario è quello con Jack Williamson, in collaborazione con il quale Pohl scrive la trilogia sottomarina Undersea Quest, Undersea Fleet e Undersea City (1954-1958, i primi due usciti su Urania come La città degli abissi e La giungla sotto il mare rispettivamente nel 1955 e 1960) e soprattutto il ciclo delle Scogliere dello spazio, ospitato prima su Urania e quindi raccolto in volume unico dalla Nord nel 1977. I romanzi che compongono il ciclo sono The Reefs of Space del 1964, Starchild del 1965 e Il conclusivo Rogue Star, apparso nel 1969. Sempre con Williamson Pohl dà vita nel 1975 alla prima parte della saga avventurosa The Farthest Star (tr. it. L’ultima stella, Editrice Nord 1978), cui farà seguito nel 1983 Wall Around a Star, riunito col precedente nel volume omnibus The Saga of Cuckoo (1983).

Tra il 1963 e il 1968 Pohl dirige le riviste “Worlds of Tomorrow”, “International Science Fictlon” e soprattutto “If”, una consorella di “Galaxy” che sotto la sua guida conquista per ben tre volte il premio Hugo destinato alla migliore pubblicazione professionale (1966-68). Ma le riviste non sono la sua unica specialità: tra il 1953 e il ’59 Pohl aveva già curato due delle più celebri serie di antologie di fantascienza: Star Science Fiction Stories e Star Short Novels, inaugurando un filone editoriale che nel dopoguerra, con la graduale perdita d’importanza delle riviste a favore del libro tascabile, si sarebbe rivelato determinante.

In proprio Pohl scrive una serie di romanzi che a volte sembrano meno brillanti di quelli creati con Cyril Kornbluth, ma in lui è in atto una maturazione che darà presto notevoli frutti: Slave Ship,1957 (Le navi di Pavlov, Urania l962), Drunkard’s Walk, 1960 (Il passo dell’ubriaco, Editrice Nord 1976), A Plague of Pythons, 1965 (La spiaggia dei pitoni, Editrice Nord 1977), The Age of the Pussyfoot, 1969 (Passi falsi nel futuro, Editrice Nord l971) e The Merchant’s War ,1984 (Gli antimercanti dello spazio, Interno GialIo 1991). Quest’ultimo libro rappresenta il seguito ideale dei Mercanti scritto nel ’53 con Cyril Kornbluth.

Nel 1976 il nostro pubblica sul “Magazine of Fantasy and Science fiction” il romanzo Man Plus (Uomo più, Editrice Nord l977), cui fa seguito nel 1979 JEM: The Making of a Utopia (tradotto come JEM, la costruzione di un’utopia dall’Editrice Nord, 1981). Quello stesso anno pubblica ancora Cool War (Guerra fredda, Editrice Nord 1982) e inaugura la fortunata serie di Gateway (La porta sull’infinito, Editrice Nord 1979), cui seguono Beyond the Blue Event Horizon (Oltre l’orizzonte azzurro, Editrice Nord l982), Heechee Rendezvous (Incontro con gli Heechee, Editrice Nord l984), The Annals of the Heechee (Gli annali degli Heechee, Editrice Nord 1987), la raccolta di racconti The Gateway Trip (1990) e ancora The Boy Who Would Live Forever (2004). Nel 1982 Pohl espande il racconto vincitore del premio Hugo “The Gold at the Starbow’s End” (l972) nel romanzo Starburst (Alla fine dell’arcobaleno, Editrice Nord 1983). Nell’83 ripete l’operazione con il bellissimo racconto del 1954 “Il morbo di Mida”, ricavandone il romanzo The Midas Plague. Nel 1984 racconta un’immaginaria storia di New York nel futuro con The Years of the City (Gli anni della città, Editrice Nord 1985). Del 1986 sono The Coming of the Quantum Cats (L’invasione degli uguali, Editrice Nord 1987) e il romanzo fantapolitico Terror, nel quale, per effetto di esperimenti nucleari, si scatena una catastrofe planetaria. Sul tema delle catastrofi Pohl torna nel 1987 con il realistico Chernobyl. I romanzi successivi rivelano un Pohl al pieno delle sue capacità creative, che volentieri torna allo humour nero e alla satira pungente delle sue opere più caustiche: Black Star Rising (l985), Narabedla Ltd (Narabedla, Sperling & Kupfer 1988), The Day the Martians Came, 1988 (Il giorno dei marziani, Sperling & Kupfer 1989), Homegoing,1989 (Il lungo ritorno in Urania n. 1289,1996) e The World at the End of Time, 1990 (Il mondo alla fine del tempo, Sperling & Kupfer 1993).

I racconti brevi di Pohl sono raccolti in una nutrita serie di antologie: Alternating Currents (l956), The Case Against Tomorrow, 1957 (Processo al domani in Galassia n.53, La Tribuna 1965), Tomorrow Times Seven (1959), The Man Who Ate the World (1960), Turn Left at Thursday (1961), The Abominable Earthman (1963), The Best of Frederik Pohl, 1975 (come Il tunnel sotto il mondo e Il marziano in soffitta, rispettivamente in Urania n. 802 e 804, l979).

Di notevole importanza l’autobiografia The Way the Future Was, 1978, in cui Pohl ricostruisce con cura e nostalgia il mondo della fantascienza attraverso quattro decenni cruciali. Non c’è pericolo di sovrastimare l’importanza di Frederik Pohl, sia come romanziere che come editor. Colto e mordace, dotato di un notevole senso dell’umorismo, si è trovato a suo agio tanto nel genere “sociologico” che lo ha reso famoso negli anni Cinquanta – in collaborazione con Kornbluth – quanto nelle storie avventurose scritte con Jack Williamson o nei numerosi romanzi in proprio. Negli anni Ottanta e Novanta Pohl ha dimostrato ancora di sapersi rinnovare e di poter offrire at lettore una fantascienza di alto livello, sia dal punto di vista delle idee sociali, che da quello delle audaci concezioni scientifiche e del puro divertimento. Ha coronato la sua carriera scrivendo, con Arthur C. Clarke, L’ultimo teorema che qui presentiamo, un romanzo sul quale il coautore americano si è espresso così: “Come progetto è nato poco più di quindici anni fa, quando, durante un viaggio in Italia, sono uscito dagli scavi di Pompei e ho detto a mia moglie: ho una grande idea per un libro, Pompei trasformata in un parco a tema. Proprio allora è arrivata l’offerta di Arthur per collaborare a The Last Theorem e ho messo da parte il mio libro ‘a solo’: è uscito in seguito, con il titolo Pompei. Questo perché Arthur aveva una data di consegna programmata, io no. Personalmente, preferisco non firmare un contratto prima di avere già scritto il libro, odio le date di consegna… Il libro racconta l’ossessione di un uomo per la matematica e il metodo scientifico.”

 

G.L.

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Clarke, visioni dall’oceano dello spazio

dicembre 23rd, 2008

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Ospite d’eccezione su Urania Blog, la giornalista del “Manifesto” Silvana Natoli con un ritratto di sir Arthur C. Clarke (già apparso sulle pagine del supplemento culturale del quotidiano, “Alias”), di cui potete attualmente trovare in edicola nella collana “Urania Collezione” l’antologia Spedizione di soccorso.

Se fosse esistita una collana editoriale dal titolo “gli incontri che ti cambiano la vita”, Clarke avrebbe certo scritto di Kubrick (2001: Odissea nello spazio, anno di grazia 1968). Lui è già autore di romanzi importanti e quando Kubrick gli chiede un’idea, appena un’idea, per un “proverbiale buon film di fantascienza”, Clarke rispolvera un suo vecchio racconto, “La sentinella” (1948), che narra la scoperta sulla Luna di una piccola piramide, messa lì da qualche civiltà aliena, a guardia e in attesa. Di cosa? La figura enigmatica della sentinella-piramide e la domanda senza risposta, mostrano che Clarke ha compreso il desiderio di Kubrick. Poi, la genialità di Kubrick muta uno spazio, la Luna, in un contro-spazio, Giove, e la piramide in monolito, facendone la figura di una nuova mitologia, dove il massimo di futuro si genera dal passato più remoto, l’astronave dalla clava primitiva.

Simak, in Anni senza fine, vede già prefigurato nell’arco e nella freccia, segno di morte e di guerra, il destino di estinzione dell’Uomo. La clava sembra invece spingere l’Uomo in alto, verso le galassie e la gloria, ma lo prepara ad un altro genere, più sottile ed inquietante, di estinzione. I veri protagonisti del film, con Giove, il più misterioso ed alieno dei nostri pianeti, sono Hal e il Bambino delle Stelle, due mutanti…

E’ questo, soprattutto, che Clarke e Kubrick hanno in comune, d’essere refrattari al “troppo umano”. Sono i mondi che li affascinano, e gli esperimenti al limite del possibile. Come nel bellissimo Incontro con Rama (1973) di Clarke, mondo-astronave che viaggia tra le stelle, alieno ed enigmatico come il monolito, imprendibile dagli uomini. Anche Rama è una domanda senza risposta. O come nell’esperimento di città del futuro (La città e le stelle, 1956), luogo iper-tecnologico e claustrofobico, alienità costruita dall’uomo, dove il tempo è circolare e la vita sterilizzata. Poi Clarke ha moltiplicato le Odissee, ma i cicli sono sempre pericolosi: se la prima è notevole perché clona il film, il resto della quadrilogia è mediocre. Si può anche ipotizzare che Kubrick sia il genio e Clarke il talento, secondo la mirabile definizione di Carmelo Bene, per cui il talento fa quello che vuole e il genio quello che può. Tra le idee più interessanti delle varie Odissee vi è il racconto di una missione congiunta di russi e americani, alla ricerca del monolito, la dedica ai sovietici Alexej Leonov, cosmonauta e Andrej Sakharov, scienziato e premio Nobel: il tutto nel 1983, in piena guerra fredda… E tra le idee più divertenti, l’invenzione della prima Cattedra Virtuale e delle prime Guide Turistiche ai Sistemi Solari.

Clarke è un esperto scienziato, laureato in matematica e fisica al King’s College di Londra, membro della British Interplanetary Society, autore di studi pionieristici sulla comunicazione intersatellitare, premiato con numerosi riconoscimenti scientifici. Quando lo scrittore e lo scienziato in lui, non si giustappongono e non prevarica la tentazione didascalica, quando la sua intelligenza scientifica si traduce in narrazione e visione, la scienza funziona come una condizione di possibilità. Gli permette di spostare costantemente i confini e di moltiplicare la domanda-tipo della fantascienza: “e se…?”.

La credibilità di cui Clarke ha goduto nella comunità scientifica ha riguardato, in maniera inseparabile, il suo lavoro di fisico e quello letterario. Anzi, è tra scienziati ed astronauti che ha avuto i lettori più entusiasti. All’epoca del film con Kubrick non erano neanche iniziate le missioni verso Giove e nessuno aveva ancora immaginato quel gigantesco pianeta e i suoi terribili e inquietanti satelliti, Europa Ganimede e Callisto. Nel ’70 gli astronauti di Apollo 13 raccontano di avere battezzato “Odissea” il modulo di comando e d’aver ascoltato, durante il viaggio, “Zarathustra” di Richard Strauss. Quando il modulo Falcon di Apollo 15 scende sulla Luna, gli astronauti regalano a Clarke la mappa in rilievo della zona di atterraggio, con l’iscrizione: “Ad Arthur Clarke dall’equipaggio di Apollo 15, con molti ringraziamenti per le sue visioni dello spazio”. L’università dell’Illinois si è spinta fino ad organizzare feste di compleanno di Hal… Ma l’omaggio più importante è avere dato il suo nome all’Asteroide 4923, scoperto nel 1981. Lui dichiarò che avrebbe preferito l’Asteroide 2001, ma che ahimé, “era stato assegnato a un tizio di nome Einstein…”.

Tutta l’opera di Clarke è disseminata di invenzioni, a volte estrapolate dalle ricerche scientifiche, a volte anticipatrici e profetiche: i wormhole, visualizzatori del tempo; il sistema di propulsione a mini-buchi neri; il vuoto che non è vuoto, ma ribollente di energie; gli ascensori spaziali, ispirati a vari progetti di anelli intorno al mondo e torri orbitali. Quando, con la navetta Atlantis (1992) si progetta un piccolo reale passo verso l’ascensore spaziale, l’equipaggio lo annuncia in conferenza stampa esibendo il romanzo di Clarke Le fontane del paradiso (1979). Che è il vero romanzo dello Sri Lanka, dove Clarke ambienta una storia doppia e sdoppiata tra il presente tecnologico e il passato mitologico dell’isola: un ascensore spaziale, costruito nel cuore dell’antica Ceylon, si eleva costeggiandone la montagna più alta, lo Sri Pada, la cui cima raggiunge i 2240 metri, e la sua storia si intreccia alle antiche leggende e mitologie della Montagna Sacra.

Nello Sri Lanka Clarke si è trasferito fin dal 1956, affascinato dall’oceano e dalla biologia marina, cui dedica due libri, “I guardiani del mare” (1957) e “Le porte dell’oceano” (1963). L’acqua ha un posto speciale tra i temi fondanti della fantascienza, con i mondi d’acqua di Lem (Solaris) e Ballard (Il mondo sommerso) per esempio e persino con il mondo di sabbia di Herbert (Dune) nonostante, e proprio perché, essa manca del tutto: “nella lingua di Dune la parola ‘annegato’ non esiste”. In Clarke l’attrazione per l’acqua è antica, anche Rama a suo modo è un oceano che viaggia tra le stelle, un oceano cilindrico con l’acqua che sale verso l’alto anziché cadere, e rotea circolarmente. Ne La città e le stelle, in un remoto futuro, nel lago (acqua) che è il cuore della vecchia Terra appare, come sospeso, un grande pesce argenteo: sembrava, scrive Clarke “l’essenza della forza e della velocità. Qui, incorporate nella carne viva, c’erano le linee slanciate delle grandi astronavi che avevano solcato i cieli della Terra”.

In quest’isola Clarke si costruisce una casa e vi resta fino alla morte. E’ un’isola selvatica, giungla e savana, acque indomabili e tsunami: “E’ singolare – scrive – udire l’Oceano Indiano sferzato dai monsoni ruggire a pochi metri dalla mia finestra…”. E’ il suo “oriente” personale, ma non ha niente a che vedere con le piccole mitologie occidentali, con i turismi esotici. Come per altri artisti, e scienziati e filosofi, l’oriente è un necessario spaesamento del pensiero. Il confronto con una cultura e sensibilità altra (eterotopia), con un sistema simbolico differente, decentra la propria visione delle cose, incrina il senso, rimette in gioco l’intelligenza, la rende impermeabile agli assoluti, soprattutto religiosi: “la religione – scrive Clarke – è un sottoprodotto della paura, una reazione a un universo misterioso e spesso ostile (…) e la paura conduce alla crudeltà. Il solo sapere che è esistita l’Inquisizione dovrebbe indurre chiunque a vergognarsi di appartenere alla razza umana”. L’assoluto è una risposta, che si crede veritiera e definitiva, e le risposte, scrive Herbert, “sono una presa pericolosa sull’universo. Sradica le tue domande dal loro terreno, e ne vedrai penzolare le radici. Altre domande!”.Silvana Natoli

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Urania novembre 2023

novembre 15th, 2023

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A novembre, esplorerete lo spazio sconfinato o andrete a spasso nel tempo?

 

Su Urania Jumbo, Arthur C. Clarke e Gentry Lee ci portano sull’immensa astronave “Rama II”, con un nuovo equipaggio di astronauti e scienziati pronti a tutto.

Per Urania Collezione, sfrecciamo verso l’“Eden” di Stanisław Lem, e lo facciamo a bordo di un’astronave terrestre che precipita su un mondo alieno, ma l’umanità sarà pronta al confronto con i suoi abitanti?

Su Urania, passiamo dall’esplorazione spaziale a quella temporale con “Il Figlio della Macchina” di Kage Baker, che tra cyborg immortali e personalità multiple, ci catapulta nell’eterna battaglia contro la Compagnia del Tempo.

 

E voi, verso quali letture fantastiche partirete?

 

Kage Baker, “Il figlio della macchina”, Urania n. 1720, novembre 2023

Kage Baker, “Il figlio della macchina”, Urania n. 1720, novembre 2023

Stanisław Lem, “Eden”, Urania Collezione n. 250, novembre 2023

Stanisław Lem, “Eden”, Urania Collezione n. 250, novembre 2023

Arthur C. Clarke, Gentry Lee, “Rama II”, Urania Jumbo n. 49, novembre 2023

Arthur C. Clarke, Gentry Lee, “Rama II”, Urania Jumbo n. 49, novembre 2023

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IL CAMPIONATO DI URANIA

marzo 16th, 2023

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Terminati i sedicesimi di finale, sarà predisposto il tabellone con gli scontri diretti per gli ottavi di finale del Campionato.

 

Le votazioni sul blog di Urania, che si sono svolte fino al 15 marzo, hanno decretato i titoli che si sono imposti negli scontri diretti dei sedicesimi di finale del Campionato. Alla battaglia per stabilire i migliori sedici romanzi di fantascienza di sempre hanno partecipato quasi duecento lettori, stabilendo a volte con facilità, altre con scontri fino all’ultimo voto utile, la rosa di titoli che andranno a comporre gli ottavi di finale, con gli accoppiamenti che potrete vedere nel tabellone che pubblicheremo sui fascicoli di Urania, Urania Collezione e Urania Jumbo del mese di maggio.

Il romanzo che ha ricevuto più voti in assoluto è stato “Hyperion” di Dan Simmons, seguito da “Dune” di Frank Herbert, “Fondazione” di Isaac Asimov e “Il fiume della vita” di Philip J. Farmer. Sul filo del rasoio alcuni confronti che la sorte aveva già stabilito come parecchio delicati, per esempio quello fra due opere dello stesso autore, Ray Bradbury, che vedeva contrapposti “Cronache marziane” e “Fahrenheit 451”, due autentici capolavori della science fiction. Ha avuto la meglio “Fahrenheit 451”.

Un altro scontro arrivato a termine con grande indecisione è stato quello fra “La mano sinistra del buio” di Ursula K. Le Guin e “La luna è una severa maestra” di Robert A. Heinlein, per cui la vittoria se l’è aggiudicata “La luna è una severa maestra”.

I romanzi che hanno ricevuto il minor numero di preferenze (anche in ragione della forza dei loro avversari), sono stati “Universo incostante” di Vernor Vinge, “Morire dentro” di Robert Silverberg e “L’uomo nell’alto castello” di Philip K. Dick.

Al termine delle votazioni ecco i 16 romanzi che daranno vita agli ottavi di finale del Campionato di Urania (in ordine di preferenze ricevute). I voti sono stati giudicati con una media ponderata a causa del fatto che diversi votanti non hanno dato preferenze per alcuni degli scontri, e altri ancora, avendo difficoltà a votare online ma avendo visto il tabellone sui fascicoli di Urania da loro acquistati, hanno preferito far arrivare i loro voti via mail:

1) Hyperion di Dan Simmons – 134 preferenze
2) Dune di Frank Herbert – 128 preferenze
3) Fondazione/Cronache della galassia di Isaac Asimov – 122 preferenze
4) Il fiume della vita di Philip J. Farmer – 117 preferenze
5) I reietti all’altro pianeta di Ursula K. Le Guin – 115 preferenze
6) Incontro con Rama di Arthur C. Clarke – 110 preferenze
7) 1984 di George Orwell – 109 preferenze
8) Neuromante di William Gibson – 96 preferenze
9) Ubik di Philip K. Dick – 95 preferenze
10) Farenheit 451 di Ray Bradbury – 93 preferenze
11) Fanteria dello spazio di Robert A. Heinlein – 91 preferenze
12) La luna è una severa maestra di Robert A. Heinlein – 89 preferenze
13) City di Clifford D. Simak – 89 preferenze
14) Fiori per Algernon di Daniel Keyes – 89 preferenze
15) Way Station/La casa dalle finestre nere di Clifford D. Simak – 89 preferenze
16) Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller – 87 preferenze

Come già indicato, il tabellone completo con gli ottavi di finale sarà pubblicato sui numeri di maggio di Urania, Urania Collezione e Urania Jumbo.

A quel punto sarà possibile votare fino al 20 maggio gli scontri diretti fra i 16 finalisti qui sul blog di Urania, nel post apposito che intitoleremo CAMPIONATO DI URANIA – GLI OTTAVI.

Dal 21 maggio la redazione di Urania verificherà l’esito degli scontri e predisporrà il tabellone dei quarti di finale, che sarà pubblicato sui fascicoli di Urania, Urania Collezione e Urania Jumbo del mese di luglio.

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IL CAMPIONATO DI URANIA

gennaio 14th, 2023

Ecco i 32 romanzi che si sono imposti nella fase di candidatura aperta a tutti i lettori e che andranno a riempire i posti riservati ai sedicesimi di finale del tabellone del campionato

Grazie alla nutrita partecipazione dei lettori, che hanno risposto in centinaia alla nostra “chiamata alle armi”, andando a inserire le proprie candidature sul blog di Urania, siamo in grado di stilare una classifica dei romanzi più apprezzati dal pubblico, per dare vita, partendo dai sedicesimi di finale, a un vero e proprio campionato con gironi all’italiana. Grazie alle vostre preferenze saranno eliminati o procederanno al turno successivo, passando per gli ottavi, i quarti, le semifinali e poi, con un rullo di tamburi, alla finalissima, che vedrà scontrarsi i due romanzi più graditi dal pubblico, per stabilire il libro di fantascienza che, a vostro giudizio, è il più bello che sia mai stato scritto.

Alla fase di candidatura dei romanzi hanno partecipato centinaia di lettori, proponendo in totale la bellezza di 340 titoli (alcuni sono stati eliminati per incongruenza con le regole del Campionato), il che è risultato forse un po’ dispersivo, anche se per quanto riguarda i primi 32, che sono quelli che fra poco elencheremo e che accedono ai sedicesimi di finale, le preferenze sono state davvero numerose, a dimostrazione che esistono dei libri che sono in grado di aggregare i gusti di moltissimi lettori.

Ma prima qualche considerazione più generica. Se i titoli proposti dai lettori sono stati 340 (ricordiamo che ogni lettore poteva candidare cinque opere ritenute fondamentali per questo genere letterario), gli autori candidati sono risultati 176. Fra questi, il più gettonato è stato Isaac Asimov, conaddirittura 15 romanzi . A seguire Philip K. Dick, con 14 titoli, poi Robert A. Heinlein, con 9 romanzi e Jack Vance, che si è distinto con 8 libri. Fra gli altri ad avere avuto più titoli candidati ci sono Arthur C. Clarke e Roger Zelazny con 6 libri a testa, Philip J. Farmer, A.E. Van Vogt e Robert Silverberg con 5 romanzi ciascuno, e Clifford D. Simak con 4. Tutti gli altri hanno avuto tre, due o un solo titolo candidato dai lettori, con eccezioni importanti, però, come per esempio Ursula K. Le Guin, che ha ricevuto tre nomination, due delle quali per titoli che sono entrati nei magnifici 32 che parteciperanno ai sedicesimi di finale. Oppure Dan Simmons, per cui i lettori hanno candidato tre opere, una delle quali è risultata la seconda più votata in assoluto. Oppure Frank Herbert, a sua volta proposto con soli tre titoli, uno dei quali è risultato però il più votato in assoluto. Dispiace un po’ per Zelazny, che nonostante l’alto numero di titoli candidati (6) non ne ha nessuno capace di accedere ai sedicesimi di finale (“Signore della luce” non ce l’ha fatta davvero per un soffio).

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Urania Jumbo 38: Alastair Reynolds, “Galactic North”

novembre 28th, 2022

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Alastair Reynolds , “Galactic North”, Urania Jumbo n. 38,  dicembre 2022

Alastair Reynolds , “Galactic North”, Urania Jumbo n. 38, dicembre 2022

Alastair Reynolds, “Galactic North”, Urania Jumbo n. 38, dicembre 2022

 

“Ho raccolto in questo libro otto storie, tutte appartenenti allo stesso scenario. Ho scritto altri due racconti lunghi e quattro romanzi ambientati nello stesso universo, e ho progetti per altri racconti e altri libri. Avrete ormai capito che mi piacciono le storie del futuro…” (Alastair Reynolds)

Allacciatevi le cinture, a dicembre si parte per il Nord Galattico!

Sulle pagine di Urania Jumbo arrivano otto novelle (tra racconti lunghi e romanzi brevi) che abbracciano l’intero sviluppo cronologico della saga Revelation Space, oltre ai suoi temi e personaggi principali.

Apre il volume la nascita dei Conjoiner (gli umani con una mente collettiva “alveare”), tra le persecuzioni e la natura della Transilluminazione con “La Grande Muraglia di Marte”, per poi passare alla scoperta di nuovi mondi e di nuove forme di intelligenza aliene in “Glaciale”, mentre protagonisti di “Una spia su Europa” sono la società Demarchista, l’ingegneria genetica e la nascita dei Denizen.

Nella quarta storia, Brezza”, sfrecciamo per la galassia grazie al sistema di volo stellare degli sfioraluce, il segreto dei motori Conjoiner e la cultura degli Ultra, cyborg umani adattati alla vita spaziale, mentre in “Sonno dilatato” ci aspettano le conseguenze della Peste Destrutturante e della sospensione criogenica. La rovina della società della Città del Cratere su Sky’s Edge e il rapporto fra umano e non-umano sono al centro della sesta storia, “Il bestiario di Grafenwalder”.

In “Nightingale” scopriremo cosa è successo in seguito alla guerra tra Nordisti e Sudisti, i crimini contro l’umanità e il ruolo delle Intelligenze Artificiali, e infine partiremo per un viaggio che abbraccia i millenni e i confini della Galassia, fra pirati spaziali, ipermaiali, Nidificatori, Giocolieri Mentali all’ombra della minaccia dei sinistri Inibitori nella novella finale, che dà il nome alla raccolta: “Galactic North”.

In questo volume incontrerete (o ritroverete) i personaggi più amati dell’universo di Reynolds, come Nevil Clavain, Galiana, Felka e Remontoire, e le ambientazioni più iconiche e spettacolari, come Marte, Europa, Yellowstone e la Cintura della Ruggine. 

Ecco cosa racconta il traduttore, Beppe Roncari:

Per chi ancora non ci si è immerso, “Galactic North” costituisce un perfetto punto di accesso all’Universo Rivelazione di Alastair Reynolds, e un magnifico compendio di storie nuove per chi è già appassionato a questo scenario.

Insomma… buon futuro a tutti!

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Urania: 70 anni di futuro… raddoppia!

giugno 21st, 2022

Continua il viaggio di Urania: 70 anni di futuro, in collaborazione con il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport.

Dopo il grande successo dei primi 25 titoli, ecco le prossime uscite:

 

IL PIANO DELL’OPERA

26 “La caduta di Hyperion” di Dan Simmons 27 luglio 2022
27 “Abissi d’acciaio” di Isaac Asimov 3 agosto 2022
28 “Il Portale degli Obelischi. La terra spezzata 2” di N. K. Jemisin 10 agosto 2022
29 “Il problema dei tre corpi” di Cixin Liu 17 agosto 2022
30 “Incontro con Rama” di Arthur C. Clarke 24 agosto 2022
31 “I biplani di D’Annunzio” di Luca Masali 31 agosto 2022
32 “Il Cielo di Pietra. La terra spezzata 3” di N. K. Jemisin 7 settembre 2022
33 “Aristoi” di Walter Jon Williams 14 settembre 2022
34 “Il mondo dei Berserker” di Fred Saberhagen 21 settembre 2022
35 “Le cronache di Medusa” di Alastair Reynolds & Stephen Baxter 28 settembre  2022
36 “Nessun domani” di Nancy Kress 5 ottobre 2022
37 “Radicalized” di Cory Doctorow 12 ottobre 2022
38 “La matrice spezzata” di Bruce Sterling 16 ottobre 2022
39 “Musica aliena” di Alan Dean Foster 26 ottobre 2022
40 “Cronache di Mondo9” di Dario Tonani 2 novembre 2022
41 “L’ultimo cerchio del paradiso” di Boris & Arkadij Strugackij 9 novembre 2022
42 “La canzone del tempo” di Iain R. MacLeod 19 novembre 2022
43 “Viaggio allucinante” di Isaac Asimov 23 novembre 2022
44 “La ragazza nell’atomo d’oro” di Ray Cummings 30 novembre 2022
45 “2001: Odissea nello spazio” di Arthur C. Clarke 7 dicembre 2022

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