I capolavori di Urania 1605: Ossa della terra

aprile 3rd, 2014

OSSAPREVRichard Leyster si occupa di dinosauri e il suo mondo naturale è il Mesozoico, ma quando gli viene offerta l’impensabile opportunità di andarci, si imbatte in una forma di vita molto più misteriosa del previsto. Tramutatosi in investigatore, dovrà scoprire cosa si nasconde nel
passato e al tempo stesso, non fare niente che possa creare una contraddizione nel flusso cronologico. Se il sogno dei paleontologi è visitare altre epoche, Leyster dovrà tenere conto anche del fattore umano e prevenire gli scopi poco chiari di gente disposta a tutto, compresi i fanatici del suo tempo. Ma la passione per il mistero resta la più forte e Richard Leyster va…

PREMIO HUGO 2000 NELLA VERSIONE BREVE:
SCHERZO WITH TYRANNOSAUR
MICHAEL SWANWICK Nato nel 1950, vive a Philadelphia in Pennsylvania. È senz’altro uno dei maggiori autori americani degli ultimi trent’anni ma anche, paradossalmente, uno dei meno celebrati. Ha al suo attivo molti racconti e romanzi di successo e ha vinto il premio Nebula con Domani il mondo cambierà (Stations of the Tide, 1991, pubblicato in “Urania” n.”1236). Tra i suoi romanzi più noti ricordiamo anche Il tempo dei mutanti (In the Drift,1984) e L’intrigo Wetware (Vacuum Flowers, 1987). Ossa della Terra (Bones of the Earth) è un piccolo capolavoro del 2002.

EBOOK DISPONIBILE

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Robert A. Heinlein: il futuro è un maestro di vita

luglio 22nd, 2013

imagesUn autore sempre amato torna con i due tra i romanzi brevi più originali della sua carriera

 Robert Anson Heinlein è nato a Butler, Missouri, nel 1907 ed è morto nel 1988. Dopo aver dovuto rinunciare alla carriera di ufficiale navale a causa di una malattia, si è dedicato alla fantascienza e scrivendo sulle riviste di John W. Campbell Jr. (“Astounding” e “Unknown”) è divenuto in pochissimo tempo uno dei suoi maestri moderni. Nel periodo maturo della sua carriera ha firmato alcuni tra i libri per ragazzi più riusciti non solo della science fiction ma di tutta la narrativa avventurosa, come Cittadino della galassia (Citizen of the Galaxy, 1957) e Fanteria dello spazio (Starship Troopers, 1959). Ha affrontato molti temi classici, aggiornandoli: la subdola invasione aliena in Il terrore dalla sesta luna (The Puppet Masters, 1951), il viaggio nel tempo in La porta sull’estate (The Door Into Summer, 1957), il futuro della tecnologia in Waldo (id., 1942); ma ha anche introdotto concetti nuovi, dal confronto tra scienza e magia in Anonima stregoni (Magic, Inc., 1940) all’astronave generazionale di Universo (Orphans of the Sky o Universe, un testo degli anni Quaranta riveduto nel 1963), il cui tema è stato poi largamente sfruttato; fino al capovolgimento in termini della questione razziale in La fortezza di Farnham (Farnham’s Freehold, 1962), romanzo che abbiamo già presentato in versione integrale su “Urania collezione”.

Molti dei suoi racconti, a cominciare dalla “Linea della vita” (1939), possono essere visti come il tentativo di raccontare il futuro storicamente, traendone gli insegnamenti che stanno a cuore a Heinlein e a molti della sua generazione: americani pragmatici, decisi a vincere la Seconda guerra mondiale, a trasformare il mondo in senso tecnocratico e ad amministrarlo come un meccanismo a orologeria. Nei racconti della “Storia futura”– così battezzata dallo stesso Heinlein – vi è la presa di coscienza che l’America è ormai ben altra cosa rispetto ai tempi dei Padri fondatori, ma anche di Abramo Lincoln. Il fatto è che il grande paese si è automatizzato, alterando la propria fisionomia e la volontà che l’accompagna; d’ora in poi la felicità, il diritto all’autorealizzazione, la fede in Dio eccetera non passeranno più per i boschi di Walden o per le riflessioni dei trascendentalisti, ma per le fabbriche, i campi d’aviazione e le catene di montaggio.

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Urania I Capolavori 1596 – Waldo

luglio 3rd, 2013

waldoprevRobert A. Heinlein non ha sistemato i suoi racconti soltanto nella classica sequenza della Storia futura, ma ha esplorato una serie di percorsi “laterali” di cui fanno parte i due romanzi raccolti in Waldo. Il primo è la storia di un personaggio straordinario che non può vivere sulla Terra e che, per ovviare alle proprie difficoltà fisiche, ha sviluppato straordinarie doti… ingegneristiche. Non a caso i “waldo”, le braccia meccaniche che da lui prendono il nome, hanno trovato sorprendenti applicazioni nella realtà della tecnologia moderna e in medicina. Anonima stregoni, che completa il volume, sfida l’immaginazione del lettore con una imprevedibile visione dell’universo: se le arti magiche potessero esistere, la loro pratica sarebbe regolata da leggi non meno ferree della fisica. Un testo di grande attualità, un manifesto dell’anti-irrazionalismo.

ROBERT A. HEINLEIN (1907-1988) è stato a lungo identificato con il concetto stesso di “science fiction” americana. Autore di romanzi e racconti che si inquadrano in una complessa storia futura, da Requiem a La luna è una severa maestra, da Universo (1941, vers. ampliata e definitiva 1963) ai Figli di Matusalemme (Methuselah’s Children, 1941 e 1958), ha immaginato coerentemente lo sviluppo del suo paese nel XXI secolo. Accusato a volte di militarismo (soprattutto a causa di Fanteria dello spazio, un romanzo per giovani poi trasposto in film), ha esplorato tenacemente i temi della civiltà tecnologica in romanzi come Straniero in terra straniera, La via della gloria, Non temerò alcun male, Lazarus Long l’immortale, Operazione domani. Al cinema, cui Heinlein ha collaborato fin dagli anni Cinquanta con la sceneggiatura di Destinazione Luna, si è visto anche un adattamento del suo romanzo d’invasione Il terrore dalla sesta luna.

EBOOK IN VIA DI PUBBLICAZIONE

 

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Lo spazio è la mia patria: Arthur C. Clarke

maggio 21st, 2012

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Incontro con Rama (Rendez-vous with Rama, 1973) è uno dei romanzi più affascinanti di Clarke e, probabilmente, di tutta la fantascienza.

E’ un libro che va al di là delle mode e dei calcoli di convenienza; è un capolavoro dell’avventura moderna e uno dei pochi romanzi ad aver generato tre seguiti che, per ricchezza inventiva, stanno ben alla pari con il testo originario. Questi seguiti, scritti in collaborazione con Gentry Lee, sono: Rama II, The Garden of Rama e Rama Revealed.

Il successo del libro si deve a molti fattori: le accurate ipotesi scientifiche di Clarke, oggi tornate alla ribalta con la paura degli asteroidi minacciosi vaganti nello spazio; la grandiosa immagine di un manufatto exraterrestre – di fatto, un’astronave – che tuttavia è così grande da potersi definire un mondo autonomo e misterioso; il fascino delle civiltà perdute, di cui quella ramana costituisce un perfetto aggiornamento. E naturalmente, l’emozione del primo contatto con un’altra forma di vita intelligente. Ma ci sono altre ragioni, che fanno di Incontro con Rama un nuovo tipo di avventura nello spazio paragonabile a ben pochi altri testi degli anni Settanta o anche successivi (uno di essi è il ciclo di Ringworld di Larry Niven).

I vari elementi del romanzo sono fusi con maestria nel racconto dell’esplorazione che una squadra scientifica umana intraprende a bordo dell’oggetto Rama, arrivato dai confini dello spazio e diretto verso il nostro sistema solare. Questa parte del libro è anche la più vicina allo spirito avventuroso – nel senso di avventura intellettuale – che contraddistingue il Clarke degli anni Settanta, cioè l’uomo che è da poco emerso dalla grande odissea di 2001. Il film di Stanley Kubrick, da Clarke in parte ideato, si poneva nel 1968 come un ponte gettato fra una concezione provinciale del racconto di fantascienza e la sua nuova, più complessa dimensione “multimediale”. Rendezvous with Rama continua, nel 1973, quel discorso e illustra l’idea di pluralità dei mondi, così cara alla sf come alla filosofia, da un punto di vista “alieno”, cioè dall’interno di un’architettura definitivamente estranea all’uomo. La misteriosa, impenetrabile natura di Rama è l’equivalente dell’appartamento rococò in cui è arrivato Dave Bowman in 2001: una volta, naturalmente, che siano state tolte le tende e smontati i baldacchini.

Per la fantascienza d’ambiente spaziale è una sorta di rinascita, ma su basi completamente nuove; basi che devono la loro robustezza, e certo tutta la loro originalità, al penchant metafisico di Arthur C. Clarke, già visibile nelle premesse di 2001 – e cioè nel racconto “La sentinella” – ma anche in altre opere, da “I nove miliardi di nomi di Dio” in avanti.

È accaduto così che un autore ingiustamente tacciato di arido tecnicismo si aprisse a un’esplorazione di orizzonti cosmici impensati, a visioni dell’universo che non sono per nulla aride o tecnicistiche, ma anzi ci riportano alle radici stesse della ragion d’essere della fantascienza.

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La regina della (nuova) space opera

gennaio 12th, 2012

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Quando nel 1986 uscì L’apprendista ammiraglio, primo episodio della lunga avventura di Miles Vorkosigan, negli ambienti della fantascienza si capì subito che era spuntato un nuovo talento e che un intero genere – quello della bistrattata, stantia space opera – sarebbe risorto dalle ceneri con nuovo orgoglio e nuove cose da dire. I numerosi titoli di cui si compone la serie, indipendenti l’uno dall’altro e leggibili in modo perfettamente autonomo, hanno confermato questa impressione. Vorkosigan è un personaggio credibile, addirittura realistico nelle sue avventure e sventure, e il futuro galattico in cui si muove è ben circostanziato. Se dovessimo indicare un ideale successore del “realismo” asimoviano – il ciclo delle Fondazioni, certo, ma anche quello dell’Impero – non esiteremmo a dichiarare che questo continuatore sia McMasters Bujold, l’autrice che più di tutti ha saputo traghettare un certo tipo di sf classica verso le esigenze dela produzione moderna. Quali sono queste esigenze? Innanzi tutto la serialità e in secondo luogo l’ampio respiro di ogni romanzo, che non solo racconta una lunga avventura ma costituisce un affresco, se il termine non sembra troppo abusato, di un angolo di galassia e di un aspetto della civiltà interstellare che si svilupperà in un domani barocco e tuttavia ancora riconoscibile.

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In passato, “Urania” non ha potuto avvicinarsi alla grande saga bujoldiana per ragioni di mole e perché i diritti erano detenuti da altri editori, ma oggi, compiendo uno sforzo non indifferente, ci siamo assicurati la ristampa de I due Vorkosigan – uno dei titoli più ricercati della serie – e nello stesso tempo abbiamo acquistato il recente inedito Cryoburn (2010), che pubblicheremo prossimamente. Ne I due Vorkosigan la lotta fra due fratelli è il filo conduttore di un’aspra vicenda che sembra riecheggiare Il conte di Montecristo, ma il cui piacere non sta solo nell’intreccio o nei progetti di vendetta. Sotto la malizia e addirittura l’odio, infatti, cova un sentimento di libertà, un desiderio di realizzazione che soltanto lo spazio può appagare. I due Vorkosigan è davvero una grande space opera, dove il vorticare della galassia si sente anche nelle scene e nelle situazioni più claustrofobiche. Lois McMasters Bujold è nata a Columbus (Ohio, Stati Uniti) nel 1949. Ha vinto quattro volte il premio Hugo per il miglior romanzo di sf.

G.L.

 

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Guido Morselli e la fantascienza

marzo 22nd, 2011

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Esiste, come ho avuto occasione di scrivere in varie occasioni, una vena sotterranea che percorre tutta la narrativa italiana del Novecento, che nel suo complesso viene genericamente etichettata come “verista”, “realista”, “neorealista” e simili. Una vena sotterranea che sarebbe improprio definire una vera e propria “tradizione”, perché non è mai stato un filone evidente e riconosciuto come tale pur avendo avuto grandi nomi a rappresentarlo, ma che è sicuramente un impulso, una curiosità, una eccentricità che ha contagiato più o meno quasi tutti gli autori italiani e che di solito non viene mai fatta emergere con il dovuto interesse critico: ed è la vena di quel che io definisco complessivamente l’Immaginario. Certo, si dirà, tutta la narrativa è etichettabile come tale, non trattandosi di saggistica, ma bisogna intendersi sul significato delle parole che si adottano. Personalmente definisco Immaginario quel che sottintende la sua etimologia, che viene da imus, cioè profondo, e dal profondo della ispirazione di un artista non può che venire in superficie quel che si potrebbe definire un mundus imaginalis, per usare il termine coniato dall’orientalista francese Henry Corbin in una accezione però più settoriale e filosofica: vale a dire quella serie di simboli primigeni che hanno costituito il sottofondo della mitologia, generale e personale, dell’umanità tutta e dell’uomo singolo, e che il mondo moderno disprezza o svilisce. Insomma, come qualcuno l’ha definito, si tratta di un vero e proprio “Intramondo” che parla attraverso i simboli. Ed esso non ha nulla a che vedere con quel che comunemente s’intende per Realismo e narrativa realistica o neo-realista. Talché, nell’ambito dell’Immaginario comprendo alcuni aspetti di quella che oggi comunemente si chiama “narrativa di genere”: da un lato la narrativa non razionale come il fantastico e l’orrore, dall’altro la razionale, come la fantascienza, e gli ormai innumerevoli sottogeneri che a loro si collegano e che ormai vengono accettati senza troppi problemi filologici. Ad esempio, la science fantasy, la heroic fantasy, la urban fantasy; ovvero, la fantastoria, l’ucronia, il cyberpunk e lo steampunk, tanto per fare qualche nome spesso più noto con i termini inglesi che italiani.

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Arthur C. Clarke, sogno imperiale

gennaio 14th, 2011

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Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

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Bob Shaw, l’arte della fantascienza europea

novembre 8th, 2010

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Quando “Urania” lo introdusse sul mercato italiano con Cronomoto (The Two-Timers, 1968, in realtà il suo secondo romanzo), i lettori capirono subito che quel libro denso e ingegnoso rappresentava l’avanguardia di una produzione ricca di idee. In seguito, apprezzarono come il suo autore rinverdisse i classici luoghi della science fiction con una sensibilità tutta europea; Bob Shaw era noto da tempo come attivista del fandom, il mondo degli appassionati , ed era già da alcuni anni un fan-writer, cioè una persona che pubblicava racconti lunghi o brevi senza (per il momento) fine di lucro. Ma nel 1967 aveva compiuto il balzo uscendo professionalmente con il romanzo che ripresentiamo in questo volume, Night-Walk, al quale Carlo Fruttero e Franco Lucentini attribuirono il titolo non-euclideo del Cieco del non-spazio. Per essere una prima prova è già brillantissima, e il successivo Cronomoto, e poi quel rarefatto capolavoro che è Altri giorni, altri occhi (Other Days, Other Eyes, 1972), confermarono appieno la diagnosi, giustificando le future aspettative.

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“Mille notti più una”, un racconto di Mina Argento

giugno 23rd, 2010

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Mina Argento… chi è costei? Un’autrice tanto promettente quanto elusiva. Il suo racconto è apparso a stampa nel numero di “Urania” di giugno e ci è parso tanto valido – questo aggettivo che vuol dire tutto e niente – da indurci oggi a diffonderlo in rete. (Fra parentesi, c’è qualcuno, lì in Piemonte, che l’abbia conosciuta o almeno avvicinata di persona? Finora noi stessi abbiamo avuto, con la sfuggente neo-autrice, soltanto rapporti epistolari e non ci dispiacerebbe farle un’intervista.) Crediamo che in Mina Argento si nasconda il cuore di una donna ricca di esperienza e la mano di una narratrice nata. Insomma, ci è piaciuta. Un criticoide oggi squalificato, ma un tempo molto “auscultato” (sic!) ci  ha tediati con una lunga e-mail post pubblicazione paragonandola alla Ursula K. Le Guin del XXI secolo. Vedrete da voi che il paragone è a dir poco belante, pecoreccio addirittura: perché Mina – ah, Mina! – non ha paragoni nel Terzo millennio. E’ una donna d’altri tempi e non a caso sceglie per questa sua prima prova la materia di cui son fatti i sogni, le donne stesse: immagini della notte intrecciate nel nome di Sheherazade, la suprema narratrice. Ma il rimando all’immortale novelliere arabo è solo il modo d’incominciare, di introdurci a una riflessione sulla narrativa tout-court che speriamo susciti tutta la vostra approvazione e stimoli i commenti più lusinghieri, e soltanto quelli.

G.L. 

Il Sultano strinse le bende attorno ai polsi della sua prigioniera.
Scheherazade sussultò.
— Raccontamela tu una storia, stanotte. C’è bisogno di cambiamenti qui.
— Non ho il talento per raccontare storie — si lamentò il Sultano. Guardò fuori dalle finestre dell’attico dell’harem, verso i fianchi risplendenti come stelle degli edifici più alti del mondo.
— Posso suggerirti degli spunti per le tue storie. Sono un uomo d’affari, so cosa vende di più.
Scheherazade gemette. — I fumetti vendono. Io non scrivo fumetti. Non so disegnare. — Mordicchiò un punto che risaltava nitido tra le fitte suture dei polsi.
— Sì, il moderno mercato globale ha bisogno di trasposizioni cinematografiche e diritti accessori. Ecco perché i film tratti dai fumetti hanno a disposizione i budget più ricchi di Hollywood.
Scheherazade addentò la stanghetta degli Chanel bifocali. — Non voglio sentire certe cose! Perché non mi fai giustiziare subito? Mi faresti un favore enorme.
Il Sultano scosse la testa avvolta nel turbante, carico di smeraldi e zaffiri. I decessi dei membri del suo harem letterario si ripetevano con lugubre regolarità. Morivano per le solite ragioni: alcol, droga, disperazione e disastri aerei durante i tour promozionali. Scheherazade minacciava o tentava il suicidio ogni volta che la notte incontrava l’alba. Tuttavia, era incredibilmente dura a morire.
— Viviamo in tempi che si vanno rapidamente oscurando — dichiarò il Sultano. — Il nostro mondo ha bisogno di narrazioni chiare e semplici. Di una speranza facile e a buon mercato. Di storie forti, dal forte contenuto morale. È compito tuo fornire quel contenuto.
Scheherazade si strattonò il pigiama blu notte coperto di lustrini. Fremette di fronte al prolungato silenzio del Sultano. Era abituata alle incessanti pubblicità, promozioni, manchette, presentazioni e imbonimenti del suo signore, ma quando diventava cupo, stoico e silenzioso le dava sui nervi.
— Potrei raccontare la storia di Mosè, il salvatore del suo popolo.
— Ottimo! — Il Sultano sbucciò un mango con un coltello di plastica, di quelli consentiti a bordo degli aerei. Leggi tutto »

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J.G. Ballard

aprile 21st, 2009

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Il grande J.G. Ballard, cantore dell’apocalisse postmoderna e delle nuove frontiere dell’immaginario, nel ricordo di Giuseppe Lippi. Con in appendice una sezione F.A.Q. per chi volesse saperne di più sull’autore e sulla sua opera.

La scomparsa di J.G. Ballard dispiace per tanti motivi, tra cui la perdita dell’uomo che ha spazzato via la vecchia fantascienza e all’inizio degli anni Sessanta ne ha creata una personalissima, al limite irriducibile. Ma fra le ragioni del rimpianto vi è sicuramente il maltrattamento del Ballard gagliardo e vulcanico degli esordi a favore della figura più pacata (e più paludata, verrebbe da dire) che è emersa dal 1984 in poi, con L’Impero del Sole e titoli successivi. Dall’Impero, come tutti sanno, è stato tratto un film di Steven Spielberg e da allora si è fatto ogni sforzo per dimenticare, almeno in Italia, buona parte del Ballard visionario; tanto che l’editoria nostrana si è spaccata tra le edizioni ufficiali dei suoi romanzi mainstream (curati soprattutto da Feltrinelli, che ne detiene i diritti) e i sacrosanti ripescaggi delle opere estreme o saggistiche, come l’ottima raccolta Visioni riproposta da Shake. In mezzo, e cioè al cuore della fantascienza ballardiana, stanno soltanto i tre volumi con Tutti i racconti tradotti ecomiabilmente da Fanucci ― ma non più immediatamente disponibili e forse in via di esaurimento ― e a malapena due romanzi: Foresta di cristallo (un’occasione “remainder” da Baldini Castoldi Dalai) e Il mondo sommerso nell’Universale economica Feltrinelli. Chi vuol leggere i capolavori Il vento dal nulla e Terra bruciata deve, da anni, pazientare o procurarsi l’edizione inglese; mentre, se i formidabili racconti dovessero uscire di scena (un’ipotesi catastrofica che respingiamo con scongiuri), il pubblico sarebbe privato di un tesoro dell’immaginario. A dirla francamente, i romanzi mainstream del Ballard acclamato non sempre ci ispirano: e quando abbiamo provato a leggerne alcuni, da Super Cannes a Un gioco da bambini, ci è sembrato che fossero versioni addolcite dei grandi romanzi fantastici. Lo stesso Condominio, che Feltrinelli ha da tempo nel catalogo dell’Universale, è un buon romanzo ma nulla più e non sta alla pari del Vento dal nulla o del Mondo sommerso.
J.G., non ce ne volere: è che ci avevi abituati troppo bene. Tu sei un gran distruttore, un Icaro-Montgolfier-Wright junghiano, un annegatore di mondi con annesso brevetto di devolutore. Hai scolpito le nuvole a Vermilion Sands e a Coral-B, e quando uno scolpisce il cielo, non può più atterrare impunemente.

J.G. Ballard FAQ

In che modo Ballard ha rivoluzionato la sf?

Nei primi anni Sessanta c’è stato un forte movimento innovatore delle arti, in Europa ed anche in America. Era il frutto di alcune tendenze radicali del decennio precedente, la narrativa americana beat e quella francese del nouveau roman, un po’ surreale. Non si poteva più guardare il mondo nello stesso modo e la cosa diede risultati importanti anche al cinema, da Fellini alla Nouvelle vague. Ballard è stato un po’ il Fellini della fantascienza, e negli stessi anni in cui il maestro riminese dirigeva La dolce vita e Giulietta degli spiriti, Ballard ne concepiva la versione apocalittica: Il vento dal nulla, Deserto d’acqua (noto pure come Il mondo sommerso), Terra bruciata e Foresta di cristallo. Storie, ma meglio sarebbe dire ampie visioni, in cui non conta solamente quello che avviene ma in che modo avviene, e perché. Romanzi e racconti che sono soprattutto il ritratto di un mondo mutato, o, visto che molto spesso somigliano a sogni, di un mondo interiore.

Lo “spazio interno” teorizzato da Ballard, che cos’è?

E’ proprio questo, una dimensione interiore che tuttavia non coincide soltanto con le profondità dell’anima individuale, ma collettiva. Il romanzo realista si occupa, di solito, della psiche del singolo, mentre Ballard ― e in questo sta la natura fantascientifica dell’operazione ― si riconnette al serbatoio inconscio dell’intera umanità. E di quello che è venuto prima…

Lo spazio interno spodesterà quello esterno?

No, perché in fondo sono due facce della stessa medaglia. Lo spazio interno è il microcosmo della specie, l’anima ancestrale del mondo; quello esterno, per quanto rispettabile e maestoso, sovente si modella ai nostri occhi come una proiezione dell’altro, viene popolato dai contenuti dell’altro (almeno per noi esseri pensanti). Potremmo concludere che lo spazio interno non sia altro che il pensiero del grande universo. E il suo inconscio.

In che modo Ballard lo scoprì?

Non è che Ballard abbia scoperto lo spazio interno, come Fellini non ha scoperto la memoria. Ognuno a suo modo, i due artisti hanno sommato alcune esperienze precedenti e ne hanno fatto qualcosa di originale, un mondo narrativo. Ballard ha fatto finta, un po’ come Bradbury ma con maggior rigore, che si possa ricordare il futuro come normalmente si ricorda il passato. Il risultato è che il tempo e il mondo in cui viviamo diventano improvvisamente strani, popolati da inquietanti figure che hanno un valore misterioso, quasi sacrale. Feticci e reliquie dell’immaginazione come le rampe di lancio a Cape Canaveral, gli attentati politici visti alla televisione, o semplicemente il vecchio mondo sconvolto da catastrofi che non sono soltanto naturali, ma psichiche. Ballard è stato un maestro nel descrivere tutto questo, schegge di un altro tempo e un altro spazio impastate drammaticamente con il nostro.

Come sono le traduzioni italiane?

Quelle degli anni Sessanta sono irrimediabilmente superate ed anche parziali. Purtroppo non abbiamo ancora traduzioni aggiornate del Vento dal nulla e Terra bruciata, mentre del Mondo sommerso c’è una versione più recente. Tradurre Ballard non è facile: il periodare è lungo, le ellissi frequenti, le allusioni molteplici. Ci vuole un narratore sensibile alla materia, capace di inventare quando c’è da inventare.

Sono migliori i romanzi o i racconti?

I racconti sono stupendi, mentre i romanzi vanno divisi in due categorie: pre-Impero del sole (1984) e successivi. I successivi hanno ricevuto larghi consensi in tutto il mondo, ma sembrano spostarsi verso un’altra sensibilità: non più il futuro che assedia il presente, non le memorie di domani ma gli scandali, i delitti, le atrocità d’oggi. Questi temi già si affacciavano in opere come Crash e appunto La mostra delle atrocità. A tutto ciò si è unita, dagli anni Ottanta in poi, una vena autobiografica che nell’autore sembra avere un’importanza notevole, come l’ha avuta in Fellini.

Ma in fondo, cosa vuole questo Ballard?

Proviamo a farcelo dire da una vecchia quarta di copertina di Urania, il n. 976 Mitologie del futuro prossimo: «Con le sue allucinate e allucinanti narrazioni Ballard non finisce mai di sorprenderci, emozionarci, entusiasmarci, ma anche, diciamolo pure, di irritarci. Che cosa vuole significare? Con chi ce l’ha? Da che parte sta? Che senso hanno in definitiva le sue torbide atmosfere e le sue mortali angosce, i suoi incubi eternamente ricorrenti? Questa antologia dei suoi ultimi racconti, proprio perché spinge l’ambiguità oltre ogni limite, ci fornisce probabilmente una chiave di interpretazione. Gli incubi più neri di Ballard assolvono paradossalmente una funzione liberatoria: sono altrettanti “viaggi al termine della notte” che finiscono per riportare letteralmente (come nella storia che dà il titolo alla raccolta) “verso il sole”. Mentre è in situazioni apparentemente “rosa” (come nei “Saluti da Las Palmas”, nel “Sorriso” o nell’atroce “Riunione di famiglia”) che Ballard si riafferma come il più lucido, impassibile e spietato tra i moderni profeti di orrori».

G.L.

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