Ovvero, come ce la cavammo dopo la fine del mondo… un intervento su Pat Frank a cura di Valentina Paggi e Giuseppe Lippi.
Quello che ai lettori piace di più, nei romanzi catastrofici, sono ovviamente le scene di catastrofe: quando l’uragano arriva, il finimondo è bello fresco e case e persone vanno a pezzi. Ma quanto dura? C’è un romanzo di Philip K. Dick, in italiano Cronache del dopobomba, in cui dopo un preavviso di una decina d’anni si scatena l’apocalisse e una pioggia di bombe H cade sulla California settentrionale. Dopo le prime scene veramente forti, in cui una villetta crolla in testa alla proprietaria (che però poi esce e va a fare l’amore col primo che capita) e un negozio cade intorno a un tecnico focomelico (che sopravvive a differenza del titolare, tranciato in due sulle scale), si instaura una sequela di situazioni normali o para-normali, in cui we get along nonostante il fallout. Dick è molto bravo a descrivere personaggi credibili e normali in situazioni tese, e Cronache del dopobomba potrebbe essere uno dei suoi bei romanzi realistici della California, da Confessioni di un artista di merda a Voci dalla strada; invece l’anno è il 1981, che per l’epoca era il futuro, e varie situazioni weird ci assicurano che siamo dalle parti della fantascienza. Il focomelico, per esempio, ha poteri paranormali ed è un genio della meccanica in grado di costruirsi una macchina che lo trasporti e faccia per lui il lavoro delle braccia e delle gambe. Una bambina di sette anni, Edie, ha un gemello sapiente accovacciato nel suo fianco e solo un ex-psichiatra, Stockstill, sa che le sue non sono fantasie. Un astronauta lanciato proprio il giorno della bomba continua a orbitare intorno alla Terra, esausto, senza che nessuno possa recuperarlo. Un ragazzo nero dimostra un talento geniale per gli affari eccetera, sicché, man mano che gli anni Ottanta scivolano via, la vita riprende come se niente fosse (o quasi). L’unico a rodersi il fegato come prima è il dottor Bluthgeld, che vorrebbe dire “Soldisporchi” come Strangelove voleva dire Stranamore. Bluthgeld è il fisico atomico, nato a Bucarest, che ha fatto esplodere per errore un fascio di bombe negli strati alti l’atmosfera, e questo una decina d’anni prima della guerra vera e propria. Dire che il rimorso lo perseguiti sarebbe un eufemismo: lui ha paura di essere riconosciuto e ammazzato, per cui emigra nella bucolica contea di Marin, si mette ad allevare pecore e spera di nascondersi sotto il nome di Jack Tree. I fisici atomici non saranno popolari, dopo la terza guerra mondiale, ma per il resto si cercherà di tirare avanti. Ecco, è a questo punto che il lettore di fantascienza catastrofica può sentirsi defraudato: va bene il mondo dipinto a colori smorti, va bene il sapiente realismo, mais où sont les bombes d’antan? Il macello, ov’è mai più?
Attenzione, verrebbe da dirgli, non essere precipitoso. Il caos, la deflagrazione, lo scoppio che si ripercuote senza fine, a ben guardare c’è. Solo che non provoca calcinacci e lingue di fuoco come nelle prime, bibliche pagine, ma terremoti, conflitti ciechi e orrori della mente. La vita dopo la bomba è come la vita nei cimiteri, si dice a un certo punto nel libro di Dick. Il terrore, la nausea, il rimpianto non sono tormenti inferiori a quelli somministrati dai diavoli dell’inferno, sebbene i personaggi più vitali sentano che nonostante tutto si può andare avanti. Lo stesso principio vale nel caso di un romanzo meno frequentemente ricordato di quelli dickiani, ma molto famoso all’epoca in cui apparve e ancora oggi circondato da un discreto culto internazionale: Addio, Babilonia di Pat Frank. Il libro, del 1959, potrebbe aver ispirato non solo qualche episodio del Dopobomba (che invece è del 1965), ma la stessa concezione del romanzo successivo. Lo dimostra il giudizio che ne dà in quarta di copertina Gianni Montanari, in occasione di una ristampa – vedi coincidenza – del 1981:
“Addio, Babilonia elabora l’agghiacciante ritratto di un frammento di provincia americana alle prese con gli orrori del dopobomba, orrori che consentono all’autore una critica spesso impietosa di uno spaccato ideale del ceto medio del suo paese. A differenza di molte opere simili, infatti, questa aggredisce con coraggio la difficile indagine sotto un profilo precipuamente sociale e politico, connotando con tocchi sapienti un piccolo campionario di umanità capace di imprimersi indelebilmente nella mente dei lettori, e di rammentare loro che certe catastrofi sono sempre in agguato… anche se le armi finali mutano forma e nome”.
Il libro è l’opera di Harry Hart Frank, in arte Pat, giornalista e scrittore che fu anche consigliere del governo (come più tardi Paul Linebarger alias Cordwainer Smith e Alice Sheldon alias James Tiptree, jr.). Nacque a Chicago il 5 maggio 1908, visse a Washington e a New York e durante la Seconda guerra mondiale lavorò per i servizi d’informazione della Difesa, trasferendosi all’estero. Nel 1960 fu membro del Comitato nazionale del Partito Democratico, nel ’61 diventò consigliere del National Aeronautics and Space Council. Sempre nel 1961 ricevette un importante premio letterario, l’American Heritage Foundation Award. Morì a soli cinquantasette anni a Jacksonville, Florida, di pancreatite acuta. Ha pubblicato i romanzi Mister Adam (Mr. Adam, 1946), storia di una grave forma di sterilità che colpisce tutti i maschi e che in Italia uscì nella “Medusa”; An Affair of State (1948); Hold Back the Night (1952); Forbidden Area (1956), storia di un proditorio attacco sovietico all’America portata sugli schermi TV con Tab Hunter (nota anche con il titolo Seven Days to Never); e Addio, Babilonia (Alas, Babylon 1959). Nel 1962 Frank fece uscire il saggio How to Survive the H Bomb and Why (Come sopravvivere alla bomba all’idrogeno e perché), che potrebbe essere letto in un corso propedeutico ad Addio, Babilonia. (Tuttavia il romanzo sembra mettere in scena il consiglio opposto: come non è bene sopravvivere all’olocausto. Ma questo fa parte del dramma…). The Long Way Round (1953) è un libro di viaggi e memorie, mentre è uscito postumo (1967) un libro sulla guerra nel Pacifico intitolato Rendezvous at Midway – USS Yorktown and the Japanese Carrier Fleet, firmato da Frank con Joseph D. Harrington.
Benché il primo romanzo, Mister Adam, sia frequentemente citato a causa del tema genetico, il suo capolavoro resta Addio, Babilonia, un’opera che ha il respiro profondo del “novel” moderno ed è l’antitesi del racconto sensazionale. L’azione si svolge a Fort Repose, in Florida, una cittadina immaginaria ma basata su quella reale di Mount Dora. I personaggi sono molti, sfaccettati e credibili: Randy Bragg, leguleio senza uno scopo; il colonnello Mark Bragg, suo fratello, che gli dà l’avvisaglia del disastro; Helen, la moglie di Mark; Elizabeth Lib McGovern, l’attuale donna di Randy; il banchiere Quisenbery, il politico Logan, il medico Dan Gunn, l’ex-amiraglio Sam Hazzard, fino al presidente USA Josephine Vanbruuker-Brown, la prima donna eletta alla Casa Bianca come effetto dell’emergenza. Il bombardamento atomico della Florida è una delle catastrofi centrali del romanzo, ma gli Stati Uniti riescono nonostante tutto a vincere la guerra. Il prezzo è altissimo: i morti non si contano e il paese è ridotto a una potenza di trascurabile importanza, ricattata da nazioni dell’ex-Terzo mondo come il Venezuela e il Brasile. Alla conclusione del romanzo, Fort Repose sembra essere la sola città rimasta in piedi in Florida, costretta ad affrontare il futuro in una solitudine senza precedenti.
Come molti libri letti nella giovinezza, Addio, Babilonia (la frase deriva dalla Bibbia di re Giacomo, al capitolo 18:10 dell’Apocalisse: “Guai, guai immensa Babilonia, possente città: in un’ora sola è giunta la tua condanna!”), lascia nel lettore un’impressione indelebile che la rilettura adulta giustifica, per fortuna, ampiamente. È un libro degli anni Sessanta che si inserisce non tanto nella scia di Red Alert (1958), il romanzo di Peter George da cui sarà tratto Il dottor Stranamore, ma dell’Ultima spiaggia (On the Beach di Nevil Shute, 1957, che tuttavia parla dell’Australia) e annuncia Il buio oltre la siepe di Harper Lee (To Kill a Mockingbird, 1960), di cui condivide i toni psicologici e l’allarme politico. La metafora del buio al di là del giardino, e cioè la casa del vicino sconosciuto, è quella intorno a cui ruota il libro di Lee, impregnato dell’analisi di una comunità violenta e del tema del razzismo; il romanzo di Pat Frank, che pure è basato sull’esame di una cittadinanza, allude a un peccato più grave, più irreparabile che non “uccidere un mockingbird”, cioè un mimo o un usignolo. Qui la vittima non è un uccello innocuo e canterino, non è la città di Babilonia ma l’umanità intera, suicida in un gesto di proporzioni bibliche. Non senza una nota di speranza, in fondo: se nel Buio oltre la siepe i tempi non sono ancora maturi per evitare la morte del pur innocente uomo di colore, in Addio Babilonia la Bomba è ’a livella. Ricchi e poveri, bianchi e neri non solo possono, ma devono convivere fianco a fianco per la sopravvivenza della comunità, e quando nel parco pubblico le due fontanelle con la scritta “solo bianchi” e “solo gente di colore” smettono entrambe di funzionare, l’antica differenza perderà di significato, e giovani studenti bianchi e neri sederanno vicini sui banchi di scuola (con ben cinque anni di anticipo sul Civil Rights Act del 1964).
C’è grande spazio infatti per i giovani, nella civiltà postatomica. I ragazzini, figli della Guerra Fredda e della paura della Bomba, sono quelli che accettano prima e meglio la nuova era, e i primi a gestire la situazione d’emergenza, mentre gli adulti ben inseriti nella società saranno le prime vittime del nuovo status quo: il banchiere si rifiuterà di accettare l’idea di un mondo in cui il denaro equivale a carta straccia, gli anziani di abbandonare l’albergo privo di risorse di sopravvivenza, e gli avidi di separarsi dai gioielli contaminati che pur costituiscono un pericolo mortale. Del resto un’impietosa selezione naturale fa sì che anche i malati e i più deboli siano i primi a soccombere in un mondo che non si può più prendere cura di loro, ma che nonostante tutto continua ad andare avanti.
E dunque, lungi dai facili finali moraleggianti, la verità, paradossale, sarà questa: in una civiltà resa più “dura” e “pulita” dalla scopa manzoniana dell’atomica si prospetta un futuro – anche se remoto – che potrà reggersi soltanto sull’energia nucleare. Non c’è un’accusa della tecnologia tout court, semplicemente dell’uso improprio che può farne l’uomo.
Quel che convince di più è che il romanzo non si riduce, banalmente, al ritratto di “una catastrofe” o del “mondo dopo l’olocausto”: libri come questo sono in realtà esercizi di stile sulla vita di un campione di gente qualsiasi. La guerra atomica è il catalizzatore, ma le storie che seguono provengono dall’ambiente di tutti i giorni, da angosce che rodono l’anima, sensi di colpa sfibranti e la pace che non c’è più (se mai c’era stata).
Valentina Paggi e Giuseppe Lippi
Bibliografia Italiana di Pat FRANK (ps. di Harry Hart FRANK)
A cura di Andrea Vaccaro
(I titoli dei racconti sono in tondo, fra virgolette, quelli dei romanzi in corsivo. Le opere sono indicate in ordine alfabetico di titolo italiano, senza tener conto dell’articolo)
Addio, Babilonia (Alas, Babylon, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1959)
La Bussola n. 3 [SFBC 17], Casa Editrice La Tribuna, 30 giu. 1965
Biblioteca Universale Rizzoli L L337, Rizzoli, lug. 1981
“L’isola della morte”(non indicato)
Supergiallo. Settimanale di Racconti Polizieschi n. 19, Tip. Novissima, 24 ago. 1946
Mister Adam (Mr. Adam, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1946)
Medusa CCXXXVII, Mondadori, set. 1949
Altre opere, non tradotte in Italia (dei romanzi viene indicato il genere all’interno di parentesi quadre)
An Affair of State, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1948 [fantapolitica]
“The Bomb”, Colliers, Jul 8 1939
“Burden on the Family”, The Saturday Evening Post, Apr. 29 1950
“Capital Gains”, Cosmopolitan, Dec. 1955
“The Christmas Bogey”, This Week Literary Cavalcade, Dec. 1955
“Complete Protection”, Colliers, Jul. 15 1939
“Danger in the Stars”, Redbook, Feb. 1955
“A Date in Bethesda”, Colliers, Apr. 1 1944
“Deciding Score”, Colliers, Jun. 4 1949
“The Empty Desert”, The Saturday Evening Post, Mar. 17 1962
Forbidden Area, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1956 [fantapolitica]
“The Ghosts of Montfaucon”, Liberty, Jan. 10 1942
Hold Back the Night, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1952 [guerra]
How To Survive the H Bomb And Why, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1962 [saggio]
“Ill Wind”, Colliers, Sep. 14 1946
“In Enemy Hands”, The Saturday Evening Post, Dec. 6 1958
“The Last Man on Puang”, Colliers, Aug. 5 1939
The Long Way Round, J.B. Lippincott, Philadelphia, 1952 [diario di viaggio]
“The Loneliest Island”, Colliers, Apr. 20 1946
“The Madman”, Argosy, Sep. 1947
“The Man Who Told the Truth”, Bluebook for Men, Feb. 1961
“Midget’s Moon”, The Saturday Evening Post, Mar. 7 1959
“The Nightmare”, Playboy, Feb. 1964
“On Edge”, Colliers, Jul 22 1950; EQMM, Aug. 1954
“Only the Brave”, Woman’s Home Companion, Dec. 1939
“The Pentagon Spy”, The Saturday Evening Post, Feb. 23 1957
“Prexy Was a Pin-Up”, The Saturday Evening Post, Oct. 23 1954
“Russian Agent”, The Saturday Evening Post, Mar. 17 1951
“The Skipper Couldn’t Take It”, Colliers, Mar. 14 1942; Argosy (UK), Jul. 1942
“Stranger in the Sky”, The Saturday Evening Post, Dec. 7 1957
“Target: Treason”, Colliers, Jun. 22 1946
“This One Is on the House”, Playboy, May 1958
“Victory”, Country Home Magazine, Sep. 1939
La bibliografia italiana completa è sul Catalogo SF, Fantasy e Horror
La bibliografia in lingua inglese è alla pagina dell’Internet Speculative Fiction DB.