Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo tributo all’amico Ernesto Vegetti di Vittorio Curtoni.
Trovarsi a vivere in un mondo senza Ernesto Vegetti è come precipitare in un incubo di Philip Dick o Edgar Allan Poe: un pezzo essenziale della realtà è scomparso, e hai voglia a cercarlo, proprio non c’è più. Quanto mi mancherano le nostre frequenti telefonate, gli incontri di persona, non riesco nemmeno a immaginarlo. Per adesso la sua essenza è solo un concetto astratto che quel grande bastardo del tempo si incaricherà di concretizzare.
In anni remoti non ci vedevamo molto di buon occhio, schierati come eravamo (e siamo rimasti) su fronti politici opposti, in tempi in cui la militanza ideologica aveva un peso decisivo. Mica come oggi, con tutto il froufrou del centro qui e centro là: noi due eravamo agli antipodi e ci fiutavamo maluccio. Sciocche intemperanze della gioventù. Quando abbiamo cominciato a frequentarci sul serio siamo diventati inseparabili, e al diavolo la politica (sulla quale lui era peraltro ferreo, oltre che preparatissimo). Al massimo ci scherzavamo su, non risparmiavamo nemmeno le battutacce, tanto nessuno dei due coltivava sogni da missionario. Andava bene così.
Ernesto era, come ha scritto Gianfranco Viviani, un uomo d’altri tempi: onestà, correttezza, senso dell’onore erano i suoi spiriti guida. Uniti a un meticoloso amore per la precisione, un’attenzione spasmodica al dettaglio, una cultura di amplissima portata, una natura cordiale e irruenta, una tendenza irrefrenabile alla sincerità, hanno fatto di lui una delle figure centrali della fantascienza (e affini) italiana. Promotore nei Settanta della World SF Italia, l’associazione che riunisce operatori e appassionati della sf, di cui è stato presidente per lunghi anni; ideatore e motore imprescindibile dell’annuale Premio Italia; creatore del grandioso Catalogo di Fantascienza, Fantasy e Horror (disponibile in rete su Fantascienza.com), l’opus magnum della sua vita; membro della giuria del Premio Urania e del Premio Galassia, nonché di chissà quanti altri premi letterari; estensore per le pubblicazioni del ramo di bibliografie impeccabili, strumenti preziosi messi a disposizione di tutti: questo, oltre a molto altro, era Ernesto Vegetti. Uomo, en passant, di una generosità sterminata, capace di dannarsi l’anima in settimane di ricerca pur di fornire tutte le informazioni che gli venivano chieste o di spendere interi giorni al telefono per rimediare ai disastri combinati col computer da analfabeti dell’informatica come il sottoscritto. Per non parlare della generosità materiale, concreta, dello spiccatissimo senso dell’ospitalità, della simpatia travolgente. Eccetera.
Oddio, ho come la sensazione di scrivere il ritratto di un santo, il che è l’ultima cosa che lui avrebbe voluto. Qualche difettuccio lo aveva, soprattutto a livello di assetto mentale: malleabile fino a un certo punto, tendeva alla testardaggine più coriacea una volta superato quello che considerava il livello di guardia. Fargli cambiare idea su qualcosa era impresa praticamente impossibile, a meno che non fosse lui stesso a percorrere la strada del cambiamento, da intelligente cittadino del mondo qual era. Ogni tanto attaccava discorsi interminabili, oppure si piantava a metà e si scordava di concludere. Altro non rimembro. Quisquilie e pinzellacchere, è ovvio. In effetti, a pensarci bene, è stato per me una sorta di incarnazione di angelo laico, molto terreno, molto solido. E ve lo dice uno che negli angeli non crede.
Lettore insaziabile, aveva cominciato da ragazzo con le storie western; poi, rendendosi conto che il mercato italiano non bastava a soddisfare la sua voracità, era passato alla fantascienza e al fantastico in generale. Amori tutti che non ha mai tradito, costruendo gradualmente, senza mai fermarsi, una biblioteca di dimensioni gigantesche. Ben adatte alla sua natura. Era anche (e potrà sembrare un paradosso, ma è la verità) timido, schivo: per anni ha esercitato in solitudine l’amore per i libri e soltanto nel 1977 si è deciso a uscire allo scoperto, diventando l’unico solo vero Vegetti nazionale. Grazie a me, debbo dire. È una di quelle cose di cui vado particolarmente orgoglioso. Ernesto lesse, sul quinto numero della rivista “Robot” (agosto 1976), il mio entusiastico editoriale sulla convention di Ferrara del giugno precedente. Si disse che non poteva perdere un evento del genere e l’anno dopo si presentò a Ferrara. Dove non trovò traccia delle molte persone di cui avevo raccontato, visto che, per sfortuna sua, l’edizione ’77 dello SFIR non fu esattamente un successo. Ma lui, impavido, non si perse d’animo, e insistette, e com’è andata a finire lo sappiamo tutti. Mi piace pensare che sia sempre esistito tra noi due un legame karmico che doveva, fatalmente, portarci al grande affetto che abbiamo condiviso.
Dire che Ernesto mi mancherà è l’eufemismo del millennio. Anche mentre scrivo queste rimembranze, sono pronto ad acchiappare il telefono e chiamarlo per quattro chiacchiere. Ohi ohi. Ma cosa diavolo è successo? Com’è che non mi rispondi?
A conti fatti, immagino che quel che mi mancherà di più saranno i viaggi in automobile con lui e Gianfranco Viviani, una volta l’anno, di marzo, andata e ritorno per Fiuggi. All’Italcon o morte! Ernesto e Gianfranco arrivavano da me, a Piacenza, verso le dieci del mattino. Si faceva colazione, poi si partiva. Tipo carro dei pionieri lanciato alla conquista del Far West, mutatis mutandis. Molto mutatis, è sottinteso. Sosta a un autogrill per il pranzo (veloce), magari un’altra fermata per incontenibili necessità fisiologiche, arrivo a Fiuggi nel tardo pomeriggio. Urrà, ci siamo! Il tutto condito da chiacchiere da vecchi amici (o vecchie baldracche, quali amavamo definirci) sulla fantascienza, sulle persone dell’editoria. Malignità e sghignazzi e applausi e lodi, imparzialmente. Straordinario senso di famiglia. L’appartenenza a un gruppo, un’amicizia cementata dagli anni, i lavori fatti in comune, l’amore che ci univa. Noialtri, tre dei grandi vecchi della fantascienza italiana.
E adesso uno non c’è più. Ma vaffa, va’.
Vittorio Curtoni
[Nella foto del 1992, tratta da Fantascienza.com, voltati verso l’obiettivo da sinistra: Vittorio Curtoni, Gianfranco Viviani ed Ernesto Vegetti, “tre dei grandi vecchi della fantascienza italiana”.]