I premi Italia di Urania

aprile 18th, 2010 by Admin Urania

Annunciati all’Italcon/Deepcon di Fiuggi i vincitori del premio Italia 2010. 

Ieri sera, nella serata di gala dell’annuale convention italiana di fantascienza, sono stati annunciati come da tradizione i premi Italia. L’edizione 2010 ha visto l’affermazione di “Urania” in tre delle categorie più prestigiose: i votanti l’hanno giudicata migliore collana di fantascienza dell’anno, il premio per il miglior curatore è andato a Giuseppe Lippi, mentre Il Quinto principio di Vittorio Catani si è aggiudicato il primo posto nella rosa dei romanzi finalisti (con L’algoritmo bianco di Dario Tonani in terza posizione).

Da segnalare l’affermazione di Giuseppe Festino tra gli illustratori, con la piazza d’onore occupata da Franco Brambilla. Meritato riconoscimento anche per il miglior sito web amatoriale, categoria che ha visto imporsi il Catalogo SF, Fantasy e Horror creato e curato fino alla sua prematura scomparsa da Ernesto Vegetti, ormai da tempo punto di riferimento per ogni appassionato.

La lista completa dei premi è consultabile su Fantascienza.com e nell’Albo d’oro del premio sul sito ufficiale della World SF Italia.

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54 Responses

  1. Antonino Fazio

    Congratulazioni a Lippi e Catani, e un plauso a Urania!

  2. Attilio Funel

    Non c’erano dubbi che Il Quinto Principio spiccasse come una supernova nel panorama abbastanza desolante della sf nostrana degli ultimi tempi.

  3. Antonino Fazio

    Non sarei così pessimista sulla fantascienza italiana. Possiamo citare Tonani, il Millemondi con Bonera/Frusca e Fambrini/Carducci, e così via… Insomma, la sf italiana non sta poi così male. Il n. 123 di Delos fa giusto il punto della situazione, e Salvatore Proietti ne parla qui: http://www.fantascienza.com/magazine/speciali/13641/salvatore-proietti-un-sogno-per-la-sf-italiana/

  4. Kronos H

    Complimenti anche a Festino, che con i suoi disegni evocativi riesce a creare un’atmosfera all…interno di Urania.
    Strano che nel blog non si dia spazio anche alle sue immagini…

  5. Palmer

    Senza assolutamente sminuirli, ma sono i soliti (onestissimi e bravissimi) noti.
    Diciamocelo, non c’è un vero mercato né vera competizione. Piccole tirature, poche edizioni per pochi editori, ristampe inesistenti, scarse novità internazionali. Apprezzo quello che c’è ma fuori dai confini territoriali c’è tutto un altro mondo.

    (intervento dai propositi provocatori :) )

  6. castle_rock

    ok, ma da noi si pubblica poco perchè manca il lettore, o manca il lettore perche si pubblica (o si è pubblicato ) male.
    La Nord ha chiuso (almeno quella che conoscevo io) per, diciamo, discutibili scelte negli ultimi anni di vita ? E la libra, strozzata dalla distribuzione ho letto da qualche parte, ma magari le ultime scelte erano non propriamente azzeccate? (cioè, rilegati, costosi, di Rocklynne e Coblentz…). Ed oggi, a parte Urania e C., chi pubblica regolarmente “romanzi” di Fantascienza ? Ed anche Urania… che in verità pubblica mediamente materiale buono… possibile che potendo sceglire tra centinaia di romanzi che vengono pubblicati ogni anno nei paesi anglosassoni, debba di tanto in tanto propinarci …

  7. X

    Considerando che ogni invito alla ragionevolezza e a pesare i propri interventi è destinato a passare inosservato con certi commentatori, per una volta rivolgo l’invito ai lettori ragionevoli che frequentano queste pagine, e lo faccio come si usava sulla rete già ai tempi delle usenet.

    Please, don’t feed the trolls!

    Ve ne sarò grato.

  8. Luigi

    Chi è un autore italiano? La domanda può sembrare banale e lo è per certi versi. Supponiamo che Catani decida di scrivere un libro in lingua inglese (o decida di farselo tradurre in lingua inglese, magari anche dopo la pubblicazione italiana), cercando un mercato internazionale, sarebbe egli ancora un autore italiano? La sua sf sarebbe ancora italiana? Non lo so, forse sì, credo di sì. Quello che voglio dire è che il mercato lo si deve anche cercare. Gli autori italiani sono disposti a cercarlo? Sono disposti a misurarsi, rischiando concretamente, con gli standard internazionali?

  9. Palmer

    Non vorrei passare per quello con la coda di paglia X, ma a chi ti riferisci in questo contesto?
    Scusa ma se “pesare i propri interventi” e “certi commentatori” è riferito a me, mi permetto di dissentire.

    Comunque il mio pensiero, ridotto all’osso, è che i lettori di fantascienza in Italia sono pochi, tanto pochi da non giustificare un mercato ricco e interessante.
    Questo senza nulla togliere all’ottimo lavoro che tanti editori e appassionati svolgono.
    L’intervento di Salvatore Proietti è estermamente interessante. Tuttavia il discorso non può essere ridotto solo alla FS di produzione italiana: il punto è che manca l’interesse di un pubblico mainstream, una solida base popolare allargata, e non solo quella degli appassionati storici e della loro discendenza. Tra i miei coetanei, universitari, professionisti, geeks e bibliofili il disinteresse è palpabile, tangibile.
    Concludo con il mio sogno (letterario of course) più grande: l’archivio urania in formato e-book.
    E io sono uno di quelli che pensa che nulla è gratuito, e sarei disposto a pagare per avere un bell’ UC in formato ebook con una bella copertina di Brambilla e qualche tavola di Festino!

  10. Dario Tonani

    @ Luigi: il solo ventilare l’ipotesi che gli autori italiani non siano disposti a misurarsi con il mercato internazionale mi fa arrossire e inorridire. E perché mai poi? Vergogna, pudore, complesso d’inferiorità, provincialismo, “ritrosia intellettuale” o soltanto pigrizia? E, scusa poi, ma a che rischi alludi? Intendo, rischi che non siano gli stessi, speculari, per gli autori stranieri in Italia? D’accordo essere periferia dell’impero, ma mi sembra davvero che un atteggiamento di questo genere sia come offrire la giugulare al vampiro :-)

    Ok, mi fermo qui. E con questo rispondo anche ad Attilio Funel, che credo avrebbe reso un doveroso (e più apprezzato) omaggio a Catani e al suo “Il quinto principio” se non gli avesse sostanzialmente detto “In un paese di ciechi l’orbo è un re”. :-)

    A proposito, Vittorio, Giuseppe L. e Giuseppe F., complimenti vivissimi! Ciao

  11. Luigi

    @Dario
    Nell’ambito della ricerca universitaria italiana (parlo almeno di quella di cui ho conoscenza) non c’è competizione e le tematiche affrontate sono tematiche obsolete e assai poco interessanti dal punto di vista della comunità internazionale di ricercatori (la quale non ha una caratterizzazione nazionale precisa, benché la lingua parlata sia l’inglese). Per un giovane ricercatore si pone il problema di scegliere di lavorare in un ambiente angusto, pubblicando monografie reazionarie (non alludo a etichette politiche) presso case editrici locali, garantendo un certo bacino di compratori, gli studenti, oppure confrontarsi con gli standard internazionali della ricerca. Quest’ultima scelta è la più difficile e rischiosa, comporta p. es. scrivere anche in inglese, inviare articoli a riviste i cui filtri sono molto sottili (molto più facili le monografie con pubblicazione certa e compratori pochi ma sicuri!). Significa confrontarsi con la mentalità del profitto intellettuale, molto diversa dal rilassamento meditativo che pervade i ricercatori del primo tipo.

    Qualcosa di analogo credo si possa dire anche della sf. Come un ricercatore può scegliere di mettersi sul mercato o preferire la campana di vetro (forse non molto entusiasmante, ma, se parliamo dei ricercatori, ben retribuita), così una scelta analoga si pone per gli scrittori di fs. Offrire la giugulare al vampiro? Certo, forse gli americani e i britannici andranno fieri del fatto che la migliore ricerca è in lingua inglese, ma questo non dipende sostantivamente dal loro arsenale atomico. La ricerca e la letteratura sono una cosa (ricordo le parole che Croce tuonava contro il nazionalismo di Heidegger), la geopolitica un’altra.

  12. Dario Tonani

    Grazie, Luigi. Capisco il raffronto, ma nella scrittura chi non si mette in gioco, più che sotto una campana di vetro è barricato sotto una campana di ghisa. Con tutto quello che ne consegue, a cominciare dal rischio di perdere quell’osmosi fondamentale con la realtà, che è poi l’ingrediente primario della scrittura (anche, ovviamente, nella fantascienza)…

    Penso che l’ultima cosa che vogliono gli scrittori sia d’imbrigliare il proprio bisogno di comunicare e raccontare storie, circoscrivendolo in confini ristretti. Anzi, soffriamo proprio della sindrome opposta (il che non è detto sia sempre un bene). :-)

  13. Quiller

    Se potessi dare un consiglio a uno scrittore FS italiano gli direi di testare il mercato tedesco, dopotutto un prodotto senza pretese come Perry Rhodan va avanti da migliaia di puntate. Anche la serie di Alan B. Akers con protagonista Dray Prescot proseguì solo in Germania.
    Certo bisognerebbe ambientare il romanzo nello spazio, o almeno su qualche pianeta esotico, e la penna italica spesso ha grande ritrosia a staccarsi dal pianeta azzurro… :-)

  14. Attilio Funel

    @Dario: No, no, il romanzo di Catani è eccellente in assoluto. Altrimenti, da buon appassionato di astronomia, mi sarei limitato a parlare di “nova” 😉

  15. Alessandro

    @Luigi
    Mi sembra che le tue parole siano dettate da luoghi comuni piuttosto corrivi. E’ vero che l’accademia italiana è tutt’altro che un idillio, ma l’esterofilia spesso è solo il prodotto di ambizioni frustrate. L’alternativa non è affatto tra “scegliere di lavorare in un ambiente angusto, pubblicando monografie reazionarie presso case editrici locali” e “confrontarsi con gli standard internazionali della ricerca”, ma confrontarsi con gli standard internazionali della ricerca e pubblicare articoli brillanti e monografie innovative. C’è chi lo fa e chi no, chi ce la fa e chi no, come in ogni altro settore: dopotutto, le capacità personali sono irriducibili a un cliché. Ad esempio, la comunità scientifica di cui faccio parte ha la sua dignità e la sua rispettabilità in ambito internazionale (anzi si nutre per sua natura di internazionalità, avendo come oggetto una letteratura non italiana).
    Ma a parte ciò, perché dovrebbe funzionare l’analogia tra mondo accademico e fantascienza? Sembrerebbe che per pubblicare buona fantascienza sia necessario scriverla in inglese: il che non è solo palesemente falso, è assurdo, e oltretutto è un argomento che presuppone un elemento “genetico” che suona alquanto sinistro. Gli autori italiani usano il materiale (linguistico e non) che hanno a disposizione, lo fanno più o meno bene, e nel momento in cui scrivono si espongono al confronto con la produzione internazionale: questa stessa discussione sta a dimostrarlo. Altro che campana di vetro.

  16. Luigi

    @Alessandro
    Io ho descritto le cose come stanno in quell’ambito di ricerca che conosco più direttamente, senza la pretesa di dare un quadro della ricerca universitaria tout court. In discipline come la logica, l’epistemologia, la filosofia analitica del linguaggio, la filosofia della scienza, occorre studiare e scrivere in inglese, perché le pubblicazioni importanti sono tutte in lingua inglese. È un dato di fatto. Gli stessi convegni della SIFA, che si svolgono in Italia, sono in lingua inglese. Alla lingua italiana è relegato il compito delle divulgazioni o della didattica. Io trovo non poche difficoltà nella lettura di testi in inglese, ma non ho alternative: devo studiare in inglese, perché le cose più importanti e le ricerche più innovative sono in quella lingua. Mi piacerebbe anche scrivere in italiano, ma i circuiti della ricerca e delle pubblicazioni è inglese.

    “Sembrerebbe che per pubblicare buona fantascienza sia necessario scriverla in inglese”

    Sembrerebbe a chi? Io non ho scritto niente del genere! L’analogia riguardava semplicemente l’esigenza per gli autori italiani di cercare la competitività e il mercato laddove competitività e mercato non mancano. Questo non significa scrivere necessariamente in inglese: significa innanzitutto proiettarsi su circuiti internazionali, allargando il mercato a monte, cioè già a livello di lettore ideale (non solo astrattamente, ma anche concretamente, con il proposito cioè di pubblicare anche all’estero). Quando Pieraccioni fa il suo buon film di Natale, il suo pubblico ideale (a cui pensa quando inventa la storia, scrive le battute etc.) è quello italiano, meglio se in qualche modo fidelizzato (c’è p. es. chi compra gli urania comunque!). Non stupisce poi che i film di Pieraccioni non saranno venduti all’estero.

  17. Alessandro

    @Luigi.
    Scusa se ti ho frainteso sulla questione dell’inglese, ma mi sembrava che lì tu andassi a parare. Del resto, se scrivere in inglese è l’unico modo per apparire sull’orizzonte del dibattito internazionale, ne discende che tutto ciò che non è scritto in inglese praticamente non esiste. Il che può essere anche vero da un punto di vista pratico, ma è una bella bestialità morale.
    Comunque, come epistemologo e filosofo del linguaggio, dovresti sapere che il motivo per cui Pieraccioni non vende all’estero non è la sua (riconosciuta) insulsaggine, ma piuttosto la specificità del fattore comico. All’estero sono sconosciuti anche Sordi, Tognazzi, Totò. Probabilmente i più grandi comici del cinema europeo del Novecento sono quelli della Olsenbande: ma chi li conosce al di fuori della Danimarca? Perché ciò che fa ridere tedeschi o francesi non funziona in Italia, e così via dicendo? La comicità, a quanto pare, non è così facilmente esportabile, costituita com’è da tanti linguaggi che non riguardano solo situazioni e battute, ma coinvolgono contesti espressivi e sociali e modelli di comportamento.
    Ciò a parte, è vero che la situazione del cinema assomiglia un po’ a quella della fantascienza: le opere che presentano specificità non assimilabili, che deviano dallo standard (hollywoodiano o fantascientifico/ortodosso) sono meno abbordabili, meno immediatamente fruibili. Ma per questo valgono meno, a priori? Perché si sottraggono alla logica di un linguaggio globalizzato, comodo per il lettore ma povero di complessità? Non credo. Nello spiazzamento che provocano, spesso, c’è il senso stesso di quello che almeno io cerco nella fantascienza: la vertigine, la prospettiva inaudita, la sfida intellettuale. Elementi che non sono legati a lingue, a mercati, a cliché.

  18. vittorio catani

    Salve.

    Sono rimasto ad osservare cosa accadeva.

    In quanto autore presente sul mercato sf (italiano) dal 1962, posso dire… ben poche cose. Anzitutto, i diritti del mio romanzo restano di Mondadori per alcuni anni. Se volessi farlo tradurre io, dovrei sborsare non so quanti quattrini, probabilmente più di quanti poi ne incasserei dalle eventuali vendite all’estero. Ci sono persone molto note nell’ambito editoriale che mi hanno promesso di adoperarsi per cercare di farlo rieditare in Italia con una collocazione meno effimera o di farlo tradurre e pubblicare all’estero. Rimango alla finestra. Fra l’altro, il mercato estero non m’interessa. Ho pubblicato parecchie cose in Paesi che prima si mostravano molto disponibili: Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Francia, Germania, Finlandia. Ma chiedevano solo racconti. Solitamente senza neanche pagarli (ma altre volte sì). Il pubblicarli (anche più d’uno per Stato) non ha smosso di un dito la mia situazione, né quella degli altri partecipanti alle eventuali antologie italiane esportate in Germania, Francia, Ungheria etc. etc.
    Penso che della sf italiana, alla Francia (per es.) importi tanto, quanto importa a noi della sf francese. Della quale, peraltro, un tempo si traducevano da noi numerosi autori, talora anche interessanti, (per tutti, cito Jacques Sternberg), soprattutto perche’ “diversi” da noi (ma penso che per il lettore dal vestito grigio, per così dire, questa della diversità fosse uno handicap anziché un pregio).

    Quanto ai Paesi di lingua inglese, meglio dimenticarsene. Finora l’unico autore sf (?) tradotto negli Usa, e che entro’ perfino nella finale del premio Hugo (ma non vinse!!), molti anni fa, fu… Italo Calvino (“Cosmicomiche”)
    Considerato tutto ciò, preferirei quindi semplicemente affermarmi nel mio Paese, sempre che quanto scrivo risulti leggibile.

    Prima di approdare a “Urania”, per il mio romanzo ho provato a farmi un giro presso editori generalisti, visto che – a quanto molti mi dicono – la mia fantascienza ha una scrittura che spesso si avvicina al mainstream. Ciò mi è costata la perdita di qualche ulteriore anno, in attesa di risposte editoriali mai pervenute, perfino da chi mi aveva assicurato che me le avrebbe inviate.
    Quindi ringrazio ancora una volta Mondadori:-)

    Comunque non scrivo solo sf, e ho pubblicato articoli e racconti anche con editori non specializzati.
    Secondo me la sf non attecchirà mai al di fuori del suo orticello, anche perché è divenuta più che mai una letteratura “specializzata”. Chi non è avvezzo alla sf e legge una pagina di Egan o di Stross o anche di altri, resta spiazzato e stordito dalle ambientazioni, dalle fanta-tecnologie, dalle situazioni, dal vocabolario. Spiazzato e anche maldisposto. L’unica sf che si può proporre a un pubblico generico è – a mio modestissimo parere – quella soft, in cui cioé c’è uno spunto sf che resta sullo sfondo, anche se è indispensabile alla narrazione. Non tutti sono in grado di scrivere una sf del genere che sia credibile e leggibile, e soprattutto che non ricalchi situazioni e idee vecchie e ammuffite. Roba del genere dovrebbe essere scritta dagli autori della sf corrente. Forse solo così, pian piano (altri decenni) la sf verrebbe metabolizzata dal mercato editoriale, “in toto”. Ma da miei sondaggi, i nostri autori non amano questo genere di sf soft.

    Ma personalmente io non vedo, al momento, altre soluzioni. E’ il tipo di sf che scrive – per dirna una – Avoledo. Il quale peraltro, come dicevo, a volte scopre roba già scritta decenni fa, per es. da Dick. Ma il lettore generalista non se ne accorge.

    Saluti,
    Vittorio

  19. vittorio catani

    Dimenticavo…

    qualcuno dei nostri autori, negli anni ’90, con un mercato un tantino più movimentato, ha avuto traduzioni all’estero (Europa: Francia, Germania…):Masali, Evengelisti, forse anche la Vallorani, Ricciardiello.
    E’ tutto qui.
    Come foglie al vento…:-)

    Vittorio

  20. The Babe

    Niente di più sbagliato, amico mio! Non so perché ma il tuo atteggiamento “arrendevole” mi deprime… Perché mai non dovrebbe interessarti il mercato estero? Non è ambizione di uno scrittore farsi leggere e apprezzare dal più ampio bacino possibile di lettori, italiani e non? Se tutti gli autori ragionassero a questa maniera saremmo chiusi in un pallido limbo… Mi piace ciò che scrivi (soprattutto i tuoi ottimi racconti) e non capisco perché non ci si debba provare ma in maniera più seria a sbarcare all’estero… Credo che l’ingrediente più giusto sia una notevole intraprendenza di tutto il settore nostrano, cioè scrittori e soprattutto editori… Bisognerebbe cercare di costruire giorno dopo giorno, poco alla volta un legame, uno scambio culturale tra editori nostrani ed editori stranieri (francesi, tedeschi, che so), anche se il primo passo toccasse a noi! è necessario creare una base per la nostra fs anche nel resto d’Europa e oltreoceano e per far ciò abbiamo bisogno di un apripista (uno potresti essere tu, ma assieme a te molti altri scrittori italiani di qualità!), qualcuno che costruisca solide basi per un serio “assalto” ai mercati stranieri… quello che credo manchi è senza dubbio l’intraprendenza dei nostri editori, le iniziative di promozione e scambio interculturale, la voglia di migliorare e allargare i nostri orizzonti… sempre nel limite del possibile, s’intende. Ho parlato da profano in quanto non addetto ai lavori, quindi spero almeno di aver reso l’idea, il mio messaggio… Dalle parole di Vittorio sembra che ci si debba accontentare di essere dei “grossi” pesci in uno stagno piccolo piccolo e questo sarebbe un messaggio davvero sbagliato da comunicare a scrittori esordienti che lo leggono e al nostro ambiente in generale… Intraprendenza e ottimismo, mai rassegnazione! (potrebbe volerci del tempo, è ovvio, ma ne varrebbe senza dubbio la pena…)

  21. vittorio catani

    Ciao,

    ringrazio “The Babe”, come ringrazio gli autori dei precedenti interventi, anche per la stima dimostrata nei miei confronti. Purtroppo io non saprei rispondere ai tuoi giustissimi interrogativi. So soltanto che la sf è in calo pazzesco ovunque. In Francia se non sbaglio – altrimenti vi prego di correggermi – non ci sono più riviste sf. Le altre nazioni, tutte, tirano i remi in barca. La recente scelta in aumento di autori italiani, d’altronde, e senza voler sminuire i pregi di tante opere di casa nostra edite negli ultimi tempi, va anche a favore di una riduzione dei costi, perché si risparmia sugli agenti e sulle traduzioni.

    Certo che a me – e credo a tutti gli altri colleghi – piacerebbe raggiungere anche il mercato estero, ma giustamente come tu scrivi, queste cose non si possono fare da soli. Magari può farlo uno scrittore che sia già ben affermato, ovvero che raggiunga tirature davvero degne di nota. Il singolo può solo, se conosce, inviare il suo racconto – o il suo romanzo – all’amico agente o editore francese, finlandese etc., ma questo crea il singolo caso… nella migliore delle ipotesi.

    Già la sf italiana deve lottare in Italia per affermarsi tra gli stessi lettori di fantascienza… Credetemi, sono nell’ambiente da mezzo secolo e basta ripercorrere la storia della sf italiana dagli anni ’50 ad oggi per rendersi conto.
    Per questo, sostengo – e credo di non avere torto – che “oggi”, nonostante tutto, è uno dei pochissimi momenti favorevoli alla sf nostrana, tra i pochissimi che si sono presentati in cinquant’anni. Su quali ne siano state le cause, se vi siano responsabilità, e di chi… be’, ci sarebbe da discutere settimane – e lo si è già fatto tante altre volte, fino allo sfinimento, in interminabili interventi sulle vecchie fanzine o nelle mailing list…:-) – ma magari non saremmo mai d’accordo, o non giungeremmo a una conclusione…

    Saluti,
    Vittorio

  22. Luigi

    Ciao, Vittorio. Capisco molto bene il tuo pessimismo anche se non lo giustifico. Per gli intellettuali onesti la vita è dura, è molto dura. In ogni caso, mi preme sottolineare che la questione della solitudine e dell’orticello non è solo una questione di forma, è anche una questione di contenuti. Rispondo così a Alessandro che considerava una bestialità morale mettere da parte la lingua italiana: l’alternativa è scrivere in italiano con la conseguenza che ti condanni all’isolamento, e l’isolamento incide sui contenuti, nel senso che se nessuno ti legge, nessuno sarà in grado di formularti suggerimenti e obiezioni a quel che scrivi, i risultati non saranno entusiasmanti.

    La tesi della sf come letteratura specializzata è molto interessante. Meriterebbe d’essere approfondita. È molto interessante. Penso comunque che si possa fare sf soft o tradizionale senza per ciò stesso rinunciare alla sperimentazione narrativa, stilistica etc. Occorre sempre ancorarsi alla tradizione, sia per testare la tenuta delle sperimentazioni sia per far condividere, attraverso quel sostrato comune, le novità.

  23. Attilio Funel

    Io la vedo come Catani, il cui garbo e intelligenza trasudano a ogni riga, anche quando non fa narrativa. Il problema del “linguaggio tematico” della fantascienza (o gergo, per dirla in parole povere; ma attenzione: è tutto un modo di scrivere e di immaginare che sa di “settario”), che la riduce a un orticello per iniziati, è un grosso grosso problema. Molto difficile uscirne, visto che il 90% degli scrittori nostrani non si rende conto del problema, purtroppo.

  24. Dario Tonani

    Si sta sviluppando una riflessione molto interessante, che meriterebbe forse un thread a sé. Colgo nelle parole di Vittorio un po’ di amarezza e di “stanchezza”; comprendo entrambe, ma personalmente non riesco a condividerle al 100%.

    Non ho come lui mezzo secolo di esperienza nel settore, ma annaspo anch’io in questo angusto stagno da una trentina d’anni e mi sforzo di mantenere un atteggiamento positivo. Quando parlo di scrittura, “stanchezza” e “insofferenza” non mi appartengono (forse pigrizia sì).

    La lingua? E’ un problema, lo ammetto: come ho ribadito più sopra siamo periferia dell’impero, terra di conquista (a dire il vero ben poco appetibile editorialmente), ciò non toglie che l’aspirazione al salto debba comunque pervadere e impregnare tutto quello che scriviamo.

    Siamo in un mondo globalizzato, e anche l’editoria – pur con le sue mille barriere – è un enorme calderone che si nutre anche dei minuscoli contributi che possono arrivare dall’hinterland galattico.

    Non precludiamoci a priori l’appartenenza a una famiglia meno ristretta, anche se linguisticamente siamo fortemente penalizzati: di editori e agenti che lavoro abitualmente con l’estero ce ne sono tanti, l’osmosi culturale è continua. E sopratutto imprescindibile.

    Tu, Attilio, dicevi che il 90% degli scrittori italiani non si rende conto di sguazzare in uno stagno. Ho capito giusto? Beh, non mi sembra. Siamo autori di SF, ma il realismo non ci manca, e forse neppure il buon senso. Magari – questo è vero – facciamo operativamente poco per allargare i “nostri” confini. Ma temo che la risposta che molti di noi sceglirebbero potrebbe non piacere a tutti: mi riferisco all’essere un po’ più – oddio, ho persino qualche remora a dirlo – “commerciali”. Io non aborro (scusa, Mughini) questo termine come la peste: preferisco, se e dove posso, contaminarlo con la qualità. Ma, ripeto, non lo trovo né disdicicevole né compromettente a priori.

    Che cosa intendi, Vittorio, quando dici “Da miei sondaggi, i nostri autori non amano questo genere di SF soft”? Davvero non mi è chiaro. Cos’è soft? A mio modesto parere si sono battute molte vie “soft”, anzi nella SF italiana non c’è proprio nulla di “hard”: penso, per esempio all’ucronia e al “future noir”, solo per citare gli orientamenti più diffusi e recenti.

    O forse per “hard” intendi “autoreferenziale” al genere e quindi per forza di cose destinato ad avvitarsi su se stesso senza riuscire ad allargare il suo pubblico? Perché in questa accezione, ti do ragione in pieno, siamo masochisticamente “soft”. :-)

    @ Attilio: sono anch’io un appassionato di astronomia e astrofilo della prima ora. E d’accordissimo sulla qualità da supernova del romanzo di Vittorio, solo mi permettevo di dirti che gli avresti fatto un servizio migliore se non lo avessi messo a confronto con la desolazione buia dello spazio attorno :-)

    Ciao

  25. Quiller

    Per quel poco che conosco della FS italiana, sono d’accordo con Tonani nel ritenere che ci sia ritrosia a scrivere in ottica commerciale. Forse il ragionamento che ci sta dietro è del tipo: “Siccome le probabilità di sfondare in Italia con la fantascienza sono prossime allo zero, tanto vale scrivere quello che veramente voglio e non compromettere la mia passione”. E allora proliferano allegorie, ucronie, antiutopie, storie col famoso “messaggio”.
    Magari bisognerebbe “sporcarsi” le mani, ragionando a livello commerciale anche nei temi scelti, magari affrontando temi controversi presi dall’attualità italiana per garantirsi una minima copertura mediatica, un titoletto sui giornali o in TV. Oppure creando personaggi un pò pulp ma con un appeal di mercato. Mi sembra che si vada in questo senso solo cercando di sfruttare ancora, dopo decenni, gli scenari alla Blade Runner ormai spolpati fino all’osso.
    La mia è solo una sensazione, beninteso, non ho fatto alcuno studio approfondito della situazione.

  26. Dario Tonani

    @ Quiller: “Blade Runner”? Mai film fu più dannatemente ingombrante per tutto quello che sarebbe venuto dopo. A Fiuggi si è persino ventilata l’applicazione di una tassa – a carico degli autori – per chi voglia far piovere nelle proprie storie… :-)

    Certi stilemi sono duri a morire almeno quanto certi pregiudizi. 😉

    Circa l’ottica commerciale, ribadisco: invito tutti gli autori di casa nostra a vincere il pudore di “compromettersi”. Purtroppo in italia, culturalmente da sempre, chi è commerciale viene declassato in serie B o C e bandito con ignomia da qualsiasi circolo che conta. Dimenticando mercato/pubblico/lettori/fruibilità della lettura/investimento sulle nuove generazioni di lettori…

  27. Quiller

    @Dario Tonani: :-) Dev’essere un pò come il divieto nei negozi di chitarre USA di eseguire il riff di “Smoke on the water”…

    Io devo ammettere di essere vittima di pregiudizi e incallito nelle mie abitudini. Perchè diffido della SF italiana, quando ad esempio, i Segretissimo che compro sono solo quelli di autori italiani? Non lo so, ma è così.
    Però una bella Space Opera scritta da autore italiano, con battaglie tra astronavi e superscienza la proverei senz’altro. Ce ne sono di recenti?

    Mi viene in mente, en passant, che anni fa Altieri aveva annunciato un progetto “Terminal War”. Non se ne è fatto niente, anche se la probabile matrice “Mad Max” l’avrebbe fatta nascere già vecchia. Una possibilità gliel’avrei data, comunque.

  28. Attilio Funel

    Un esempio che mi viene in mente è quello di Evangelisti con Eymerich. Un mix intelligente di fantascienza, ma comprensibile anche ai profani con un minimo sforzo (anche se delle volte non ci capisco niente nei suoi capitoli sf, non di meno sono paurosamente “ben” scritti), dicevo un mix di sf comprensibile e di suggestioni storiche che forse sono molto “europee” e più vicine alla mentalità del lettore medio.

    Certo, mi rendo conto che trovare una “formula” altrettanto vincente è dura, in un mondo in cui quasi tutto sembra già essere stato inventato. Però bisogna darsi da fare. Un libro che rimescoli cyberpunk, videugiochi, ucronia può anche andare bene per qualche ora di spasso la sera, perché no. Ma da lì a fondare un movimento letterario, o a rilanciarlo, ce ne passa.

    @Quiller. Di autori americani o inglesi che pubblicano space opera stantia e ripetitia ce ne sono a bizzeffe. Perché gli italiani dovrebbero imitarli? Oppure: certo, ben vengano, ma allora che abbiano la potenza narrativa e narratoria di un Peter F. Hamilton, altrimenti è normale che si perderanno anche loro nel marasma.

  29. Quiller

    @Attilio: sinceramente io mi accontenterei di molto meno. Senza scadere nello stantio, si può fare riferimento a modelli consolidati in maniera piacevole e avvincente senza aver la pretesa di reinventare la ruota. Anzi, il riferimento a modelli esistenti. Dammi uno scenario galattico (su questo non transigo!), dei conflitti avvincenti, un personaggio interessante, una scrittura ricca e scorrevole e qualche tratto di originalità (e/o di italianità non macchiettistica), e anche se non sei Iain M. Banks o A.Reynolds, io ti compro. Poi se hai la stoffa consolidi una voce tua e magari diventi un fenomeno, ma anche se rimani un solido intrattenitore avrai i miei soldi.

  30. Quiller

    Ehm, scusate ma c’e’ una frase non completa “Anzi, il riferimento a modelli esistenti è oramai una scelta obbligata”. Sorry

  31. Attilio Funel

    @Quiller. Certamente sono d’accordo con te. Ma un “solido intrattenitore” (ben vengano: in fondo può essere un’ottima definizione dell’ottimo romanzo di Catani) non fa rinascere la fantascienza in Italia. Mancano personaggi di carisma quali Asimov o Clarke, o il loro equivalente italiano (che secondo me è esistito solo per un po’ in Evangelisti, ma ora è in calo).

  32. tortellino

    @Attilio Funel. Onestamente non vedo in giro nomi così altisonanti in America, o quanto meno nei paesi anglosassoni, paragonabili a quelli che te hai citato… è vero che sono stato ‘fuori dal giro sf’ per svariati anni, ma a parte w. Gibson, ora non mi appaiono altri nomi…
    Forse parte della colpa è anche di noi lettori, se ci ghettizziamo troppo…mah.
    Quello che voglio dire è che se come lettori e scrittori si sf ci sentiamo discriminati, come se fosse letteratura di serie B, siamo noi che dovremmo ribattere ad alta voce il contrario. Io sono un lettore di fumetti, e per anni ho sentito parlare di letteratua di serie B. Poi ho sentito entusiastiche voci su Toppi, Magnus, Giardino, Manara, Crepax…ma la loro base era sempre il fumetto, e se non ci fossero stati i vari uomo ragno, diabolik, tex, topolino (e tanti altri ancora) magari loro non sarebbero venuti fuori nello stesso modo.
    comunque ora, quando leggo urania in treno, la copertina la tengo in ‘bella mostra’, visto che io stesso quando vedo altre persone leggere guardo sempre con curiosità cosa stanno leggendo. Ed è successo pure che ci scambiassimo commenti sul libro letto.

  33. vittorio catani

    Salve,

    le questioni che sollevate sono complesse, non saprei rispondere a tutte. Posso solo dire (o chiarire meglio) alcune cose.

    1) a ben pensarci, nel corso dei decenni non poca sf italiana è stata tradotta all’estero (Francia, Germania, ex Rep. Ceca, Ungheria, Polonia, Finlandia). Si trattava spesso di antologie, interamente di italiani. Più raramente qualche romanzo. Risultato? Credo che il tutto sia semplicemente passato inosservato. Non è emerso nessun particolare interesse di editori e lettori alla faccenda, eppure il materiale era quasi sempre di notevole qualità. Per es., l’antologia pubblicata in Francia, “Le livre d’or de la science fiction italienne” (anni ’70), era curata da Aldani e Jean Pierre Fontana, il che era già una garanzia. E so bene che i racconti erano tra i nostri migliori. Eppure non c’è stato alcun seguito. Stesso identico discorso per gli altri, in anni e decenni successivi. Si converrà che la faccenda è scoraggiante: perché affannarmi a trovare spazi altrove (non è facilissimo) quando forse con minor fatica pubblico in casa mia?
    Sia chiaro, lo stesso discorso si può fare per la sf non anglosassone tradotta in Italia. Eppure, in questo caso specifico posso assicurarvi che sono stati tradotti racconti e romanzi francesi assolutamente notevoli, come pure racconti di autori del Sudamerica (per es. Carlos Gardini, autore addirittura lodato da Borges!) senza smuovere foglia in Italia.

    Forse (dico: forse) una ragione c’è, magari solo una delle tante. Nonostante che oggi la letteratura tenda – purtroppo – a omologarsi e appiattirsi sui moduli più richiesti e magari commerciali, la fantascienza, anzi “le fantascienze” conservano ancora, spesso, un loro sapore nazionale, che le diversifica subito dalla produzione-madre, quella made in Usa, e le diversifica anche tra loro. Quella italiana non viene meno alla regola. E d’altronde, a pensarci, non può che essere così: ciascun autore scrive di astronavi o guerre future, ma con i linguaggi e i cliché mutuati dalla propria lingua e cultura. Evidente che la sf italiana sarà sempre diversa da quella Usa, e se la copierà, l’originale sarà sempre migliore della copia. Ciò non toglie che un romanzo francese, sebbene con sapore diverso, possa essere un ottimo romanzo. Ma il problema è che il lettore ha una sua idea di sf e non gradisce mutazioni stilistiche, espressive, simboliche, o strane commistioni della scienza con allegorie e surrealismo (spesso la sf francese, per es., ha seguito questi sentieri). E così come ragiona il lettore “medio” italiano (posto che esista) per la sf francese, probabilmenre altrettanto fa quello francese per la sf italiana.
    Obiettivamente non so se le cose stiano ancora in questi termini, forse esagero, ma certamente in passato era così.

    2) Quanto al discorso della diffusione della sf italiana presso i lettori non di sf: il mio – diciamo – sospetto non cambia. La sf “da collana”, quella “pura”, insomma “tosta” quanto a linguaggio specialistico e a situazioni e scenari fortemente caratterizzati, risulta certamente ostica al lettore non abituato, anche il più ben disposto. Inutile stare a girarci intorno: è una realtà. Io – ma non solo io – che pure leggo sf di tutti i generi dal 1952, confesso di aver avuto problemi nel seguire alcune opere di Egan o di Stross (e altri). Se ho proseguito nella lettura, è stato perché mi piaceva molto il contesto, e mi rendevo conto di aver a che fare che due geni della fantascienza. Ma ditemi, di grazia, perché un lettore non avvezzo deve scervellarsi su 350 pagine per lui incomprensibili. Se Egan è il suo primo impatto con la sf, state certi che quel lettore ormai è irrecuperabile. Dico Egan e Stross, ma potrei dirne di 100 altri: oggi le tecnologie si sono evolute moltissimo, e il romanzo sf non può prescinderne, ma la cultura scientifica del lettore generico è sempre più bassa e piena di lacune.
    Tra le critiche portate al mio “Quinto principio”, non vi sembri strano se annovero anche quelle di lettori – soprattutto non di sf, ma non solo… – che mi hanno addebitato una scrittura troppo tecnica, specie nei primi capitoli.

    A me, in quanto scrittore, piacerebbe essere compreso da tutti, anche dalla famosa casalinga di Voghera. Per questo motivo in passato ho scritto lavori di sf “soft”. Cioè storie correnti, ambientate solitamente ai nostri giorni, nelle quali appare un elemento fantascientifico, essenziale alla narrazione. Uno di questi, per esempio, presentava una tecnologia in grado di nascondere (non cancellare) i ricordi sgradevoli – per esempio un amore finito tragicamente – per poi restituirli molto gradualmente al soggetto, facendogli rivivere l’esperienza in modo meno traumatico. Forse ora è chiaro cosa intendo per sf “soft”. Questo lungo racconto (un’ottantina di pagine) l’ho diffuso presso parenti amici e conoscenti che non avevano mai letto sf: ne sono rimasti tutti entusiasti. (Il racconto, “Reincantamento” o anche “Replay di un amore”, è presente nel volumone pubblicatomi dalla Elara). Da questo traggo un insegnamento che magari non va generalizzato, ma è certo che sf del tipo incontra e incontrerebbe una piu’ ampia risposta dei lettori. I quali, si noti bene, sono sempre interessati alle “meraviglie tecnologiche”, ma non le gradiscono in dosi massicce o in linguaggi per loro incomprensibili.
    Credo anche che il successo di Avoledo, che peraltro è un ottimo autore, sia dovuto proprio a questo: i suoi temi sf sono accessibili e non necessitano di complicate mappe per decifrarne il linguaggio…

    La prossima volta sarò meno logorroico, giuro…:-)

    Saluti,
    Vittorio

  34. Giovanni De Matteo

    Mi sembra che da queste parti si sguazzi un po’ troppo nella fantasia. Ora si incoraggiano gli autori italiani ad osare, a liberarsi dai vincoli della loro cultura e dal complesso del ghetto (?), a tentare il brivido dell’esperienza fuori casa, ma fino a non molto tempo fa, anche da queste parti, non mancava chi ci invitava bonariamente, con garbo e sottigliezza, a dedicarci ad altro. D’altro canto, neanche in questa discussione sono mancati gli esempi di chi non trova in Italia paladini del calibro dei maestri anglosassoni.

    In ordine sparso, voglio esprimere anche le mie considerazioni:

    1. Non esistono, allo stato attuale, i preuspposti per delle mode, in Italia. Il mercato è talmente contenuto nei numeri, e al contempo variegato nell’offerta, che semplicemente non avrebbe senso incoraggiare una moda e, allo stato dei fatti, nessun editore lo sta facendo, meno di tutti “Urania” che, con le scelte di Lippi, negli ultimi 3-4 anni ha dato spazio a: noir, contaminazioni, connettivismo, satira, ucronia, distopia e – con UC – anche alla space opera. La fantascienza italiana è viva e vegeta e lo dimostra sul campo.

    2. Se dovessi smettere di far piovere nelle cose che scrivo per evitare il paragone improponibile con Blade Runner, allora per onestà e coerenza dovrei indire ogni volta un sondaggio tra i lettori per avere un’idea chiara di quali sensibilità non dovrei andare a urtare con quanto mi appresto a scrivere. Se poi questo è tutto quello che resta dopo la lettura di un libro italiano, ovvero l’eccesso di pioggia, be’… allora forse il lettore farebbe bene a lamentarsi di tutto il resto, che sarebbe sicuramente più importante di una banale scelta estetica per l’ambientazione.

    3. Sbarcare all’estero… no, ma dico, ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando? Quale autore italiano non vorrebbe essere tradotto all’estero? Purtroppo non è che uno riesca in qualcosa solo perché lo vuole (anche se con Next International lo si è fatto, benché in una dimensione numerica assolutamente simbolica). Non è l’autore a decidere e, se qualcuno è davvero convinto che chi scrive in italiano possa padroneggiare una lingua straniera sul piano della narrativa (non della letteratura scientifica, intendiamoci, per quella basta la conoscenza scolastica dell’inglese: la letteratura è un’altra cosa), allora avrebbe bisogno di una seria immersione nella realtà dei fatti. Ditemi voi: quanti scrittori mainstream italiani conoscete che abbiano scritto qualcosa in inglese per ampliare il loro bacino di lettori? Per essere pubblicati all’estero, ovviamente, a loro come a noi scrittori di SF serve l’interessamento di un editore estero, che si fa logicamente interprete dell’interesse e della curiosità dei propri lettori: senza, non vale nemmeno porsi il problema. E infatti le testimonianze riportate da chi l’estero lo ha provato sono significative.

    3. Che manchino maestri anglosassoni, in giro, francamente la trovo un’assurdità e lo si può dimostrare con i fatti: Iain M. Banks, Ken MacLeod, Charles Stross, Richard K. Morgan, Alastair Reynolds, Vernor Vinge, Bruce Sterling, Rudy Rucker, Peter Watts, M. John Harrison, John Shirley sono solo alcuni scrittori di prima fascia che mi vengono in mente. E di questi, due o tre in prospettiva reggono tranquillamente il confronto con i numi tutelari del genere. Pensate che tutti questi autori, comunque, si pongano il problema di essere tradotti all’estero mentre sono alle prese con la stesura dei loro libri? Oppure che i francesi Ayerdhal, Dunyach, Dantec (molto tradotti anche qui da noi) facciano altrettanto? Uno scrittore fa il suo mestiere, che spesso è un mestiere part-time al confine con l’hobby: scrivere. Non è suo compito preoccuparsi delle lingue in cui verrà o in cui potrebbe essere tradotta la sua opera.

    La natura pretestuosa della questione è confermata da un altro dato di fatto emerso da questa discussione (come da tutte le discussioni analoghe che l’hanno preceduta nel tempo): ci sono lettori che sostengono che uno scrittore italiano dovrebbe perseguire la specificità della propria cultura, evitando prima di tutto le tentazioni delle mode straniere; e ci sono lettori che invitano a un approccio più globalizzato, capace di attecchire anche in background culturali diversi da quello specificamente italiano. Dunque, che cosa dovremmo fare ogni volta, un sondaggio per capire quale corrente ha più sostenitori?

  35. Luigi

    Se si crede che la sf italiana sia in stagnazione (è stato detto in questo dibattito ed è anche l’opinione di V. Evangelisti), allora è così pretestuoso imputare qualche colpa agli autori di sf?

    Se invece si crede che la sf italiana sia viva e vegeta (è anche questo è stato detto), è così pretestuoso chiedersi perché a questo vigore non corrisponda un mercato florido e una diffusione internazionale almeno paragonabile a quella degli autori anglosassoni citati nell’ultimo commento? In che senso allora sarebbe viva e vegeta?

  36. Giovanni De Matteo

    Rispondo solo alla seconda, perché non devo rendere conto delle opinioni altrui e odio gli esercizi di stile: sì, è pretestuoso. Perché non sono gli autori intervenuti in questa discussione, dimostrando anche una grande apertura al confronto oltre che professionalità, a dover rendere conto di alcunché, né in questa sede, né altrove.

    E’ stato detto: in passato sono stati tentati degli esperimenti di esportazione, non tutti sono riusciti. Ti domando, Luigi: perché dovrebbe essere l’interesse da parte dell’estero il segnale esclusivo della vitalità della SF italiana?

    Parli inoltre di “una diffusione internazionale almeno paragonabile a quella degli autori anglosassoni citati nell’ultimo commento”! Ma, dico, starai scherzando? Stiamo parlando di autori che praticano la scrittura per mestiere: in Italia quando mai abbiamo avuto uno scrittore di genere che potesse permettersi di vivere esclusivamente della propria scrittura nel campo della fantascienza? I mercati non sono confrontabili e anche per questo non ha alcun senso ricercare nella risposta dai mercati esteri il segno della salute della SF italiana.

    In che senso allora sarebbe viva e vegeta? A questo rispondo molto volentieri: nel senso che l’offerta tematica sta vivendo in questi ultimi anni una fioritura forse senza precedenti; nel senso che i tempi di interazione con le scene degli altri mercati si sono notevolmente accorciati grazie a internet (con proficue ricadute per gli stimoli tematici); nel senso che ci sono delle realtà tipicamente italiane propositive e vivaci come lo sono stati i vari movimenti che hanno fatto la storia della SF in America e nel Regno Unito; nel senso che gli italiani stanno meritando uno spazio crescente, come dimostrano le ultime stagioni di “Urania”. Vuoi che continui?

  37. Luigi

    No, non voglio che continui. Voglio solo dire che nessuno (tanto meno io) obbliga nessuno a rendere conto di chissà che. Spero che gli autori che sono intervenuti in questo dibattito siano intervenuti non perché qualcuno li chiamasse a rendere conto del loro lavoro, ma liberamente perché abbiano trovato interessante il dibattito. Tu dici che intervenendo in questo dibattito hanno dimostrato apertura al confronto. Sì, ma non più e non meno di chiunque altro abbia partecipato.

    Quanto alla domanda che mi rivolgi, cioè “perché dovrebbe essere l’interesse da parte dell’estero il segnale esclusivo della vitalità della SF italiana?”

    Penso che i parametri siano fondamentalmente due: il numero di copie vendute, il parere della critica. Quanto al primo, tu stesso dici che gli scrittori italiani, a differenza degli scrittori anglosassoni da te citati, non lo sono di mestiere. E dunque, il problema è semplicemente spostato: perché non lo sono di mestiere? Mentre altri invece sì? Quando invece dici che “i [due] mercati non sono confrontabili”, ti invito a considerare che i mercati non sono dati naturali incontrovertibili! Ma tu ne parli come se fossero tali.

    La critica letteraria, d’altra parte, come è stato detto da Lippi in una sua intervista pubblicata su questo blog (non ricordo esattamente quale), non si occupa di fantascienza. Non ci sono giudizi critici professionali tali da sollecitare la letteratura sf a fare meglio (gli autori italiani non possono contare sull’ausilio di critiche professionali indipendenti). Anche a me non va più di continuare, soprattutto quando si attribuiscono inesistenti atteggiamenti pretestuosi e inquisitori laddove ci sono solo interrogativi.

  38. vittorio catani

    Comunque: sfondare sul mercato di lingua inglese è praticamente impossibile, ma non accade solo per la sf: è risaputo, Usa e Inghilterra sono mercati estremamente chiusi. Anche i migliori nostri (o francesi, o tedeschi etc.) autori mainstream hanno vita molto, molto dura in materia.
    Circa le altre nazioni, la sf più tradotta da noi è stata la francese. Ma sempre in modo molto, molto marginale. Ancora più marginali gli italiani in Francia etc.
    Perché?
    Non lo so. Ma immagino che ciascuno si richiuda sul suo orticello, che oggi stenta ovunque a mantenersi vivo. Magari – dico per dire – ogni romanzo italiano in Francia – specie in periodi di magra – è un romanzo rubato a un autore francese. Poi ci sono i costi della traduzione.
    Se questo interscambio non esiste, nonostante i numerosi tentativi, vuol dire che economicamente non risulta conveniente, o che comunque la spesa non vale l’impresa. Semplice legge di mercato.
    Abbiate fede;.)
    Saluti,
    Vittorio

  39. Quiller

    Da quanto leggo in Internet e dalle liste dei libri pubblicati, mi sembra che anche nel mercato anglosassone il libro di SF pura per un pubblico adulto, non legato a serie di film o telefilm, non se la passi troppo bene, con un numero di uscite limitato, segno che i lettori calano.
    Ipotizzo quindi addirittura che, visto che i libri di SF scritta da italiani sono aumentati negli ultimi anni, i loro lettori siano in un trend (percentuale) positivo, quindi in controtendenza. In assoluto saranno numeri molto piccoli, ma di questi tempi un segno + davanti a un indice è sempre confortante :-)

  40. The Babe

    Mi sembra che Giovanni de Matteo esageri un po’… “nel senso che ci sono delle realtà tipicamente italiane propositive e vivaci come lo sono stati i vari movimenti che hanno fatto la storia della SF in America e nel Regno Unito”. Come dire: connettivismo (sono sicuro che a questo ti riferisci, dato che non vedo altri movimenti di genere qui da noi) sullo stesso piano del cyberpunk, steampunk o che so io… Questo è senza dubbio pretestuoso!
    Per il resto sono d’accordo con quanto affermato da Luigi

  41. The Babe

    Precisazione: non intendo dire che non ci siano bravi autori in circolazione, anzi… Catani, Tonani, Aresi e molti altri sono degli ottimi autori e credo avrebbero grandi potenzialità… però per quanto riguarda movimenti letterari di livello, bè, non ne scorgo nemmeno uno… O almeno il paragone proposto è piuttosto forzato (un puro eufemismo! :) )

  42. vittorio catani

    Giovanni De Matteo ha detto:

    “Dunque, che cosa dovremmo fare ogni volta, un sondaggio per capire quale corrente ha più sostenitori?”

    Per me ha ragione da vendere. Qualunque sia il parere del lettore, esso va ovviamente valutato e tenuto presente, ma alla fine chi decide dev’essere chi scrive: ben consapevole che lo fa a suo rischio, sia chiaro.

    Certo è che bisogna cercare sempre di migliorarsi, lo fanno anche i grandissimi. Ma per altro verso, non si può stare a seguire desideri e consigli dei lettori solitamente contrastanti fra loro. Magari, da un numero X di critiche (purché costruttive) a un romanzo, possono emergere elementi comuni, che fanno pensare a una effettiva specifica manchevolezza notata da più lettori: ed è un caso da tener ben presente.

    Ma di solito non accade così, e spesso si raccolgono critiche diversissime, su punti diversissimi dell’opera. Che fare?

    Né va dimenticato che il parere anche di 50 lettori (peraltro a loro volta esigua élite rispetto a chi non scrive alle redazioni o nei gruppi e nelle liste e sui blog), se così diversificato, è per forza di cose, sempre “poco” rispetto a 10 mila (o quante sono) copie vendute.

    Volente o nolente, in una simile situazione l’autore può fare solo una cosa: procedere a una sua personale scrematura e per il resto proseguire per la sua strada.

    Saranno le vendite dell’opera successiva (se opera successiva ci sarà) a sancire il giudizio di maggior peso…

    Saluti,
    Vittorio

  43. iguana jo

    Sarà il periodo, che se ne parla parecchio anche sul mio blog, ma a me non dispiace veder discutere in maniera decisa ma corretta, sullo stato della fantascienza italiana.
    Da quel che leggo mi pare che ci sia più di una persona con le idee mooolto chiare su cosa impedisca alla fantascienza scritta in italia di decollare.
    Da parte mia sono convinto che la situazione sia un pochino più complessa e credo che se qualche sforzo va fatto per far crescere la scena fantascientifica nostrana questo andrebbe forse richiesto più ai lettori che non agli autori, che mi pare facciano già del loro meglio con i pochi mezzi a loro disposizione.

  44. S*

    L’elenco dei premi è ora disponibile anche nell’Albo d’oro del sito Italcon. Grazie per avermelo ricordato :-)

  45. Antonino Fazio

    Per intervenire sui lettori, i punti essenziali mi sembrano due: primo, curare al meglio tutti gli elementi che possono invogliare qualcuno a comprare un libro (copertina, formato, quarta, promozione, ecc.); secondo, fare in modo che, una volta comprato, il libro abbia tutte le qualità per piacere (che vuol dire, ovviamente, qualità, ma anche tener presente quel che diceva Heinlein sulla sf, cioè che fa parte del circuito dell’intrattenimento). Detto questo, che gli italiani siano costituzionalmente incapaci di produrre buona fantascienza non lo credo e non lo crederò mai. Del resto, nessuno direbbe che gli italiani non sappiano scrivere, che so, gialli. Purtroppo, però, esistono pregiudizi contro la sf in generale (da parte del lettore comune) e contro la sf italica (da parte degli appassionati). Che fare? Non so, si potrebbe proporre, solo per gli italiani, una cosa tipo “soddisfatti o rimborsati” :-) Forse la direzione intrapresa da varie case editrici (con la Mondadori che ha definitivamente sdoganato gli italiani) è quella giusta. Basta aspettare…

  46. S*

    A mio avviso non sussiste un problema “autori italiani”. Sì, c’è sempre qualcuno che ha pregiudizi, ma anche se magari si fanno sentire in forum o blog non sono statisticamente rilevanti. I libri di autore italiano vendono un pochino meno dei libri di autore straniero solo perché l’autore italiano è in genere un autore sconosciuto, per forza di cose; quando non lo è, le vendite sono uguali o maggiori.
    Uno dei problemi più gravi del mercato della sf a mio avviso è che non escono i libri. E vi dico anche chi è il colpevole: sono certi agenti che hanno in mano tutti gli autori più importanti e che piuttosto che vendere i diritti a prezzi bassi non vendono, e i libri restano inediti. Il mercato oggi è piccolo e in genere non è in grado di rendere plausibili le cifre richieste, se non in casi particolari – e Urania è uno di questi.
    Questi agenti dovrebbero rendersi conto che se si vuole ricostruire un mercato bisogna cominciare a mettere le cose in vendita. Ma a loro interessa poco: rappresentano magari mille autori di ogni genere, e che qualcosa resti a marcire nei loro cassetti è tutto sommato ininfluente.

  47. Luigi

    “I libri di autore italiano vendono un pochino meno dei libri di autore straniero solo perché l’autore italiano è in genere un autore sconosciuto, per forza di cose; quando non lo è, le vendite sono uguali o maggiori.”

    Mi pare che questo sia semplicemente falso. Insomma, è stato detto: gli autori italiani non riescono a vivere del proprio mestiere di scrittori. In soldoni, questo significa poche copie vendute rispetto invece a chi riesce a vivere (magari nel lusso) di scrittura.

    Se invece ci riferiamo esclusivamente ai numeri di Urania, credo anch’io che le differenze nelle copie vendute non siano rilevanti. Ma ci riferiamo a una situazione di non-mercato o di quasi mercato. Io non ho mai la possibilità di scegliere tra Ken Macleod e, poniamo, Francesco Verso; perché il primo uscirà a maggio, l’altro a giugno. Inoltre, il prezzo dei numeri di Urania è tutto sommato abbordabile e io escludo perfino che chi sia stato deluso la prima volta da un autore italiano sia poi portato a non acquistarne il romanzo successivo. La tendenza può esserci, ma penso che non sarà mai tale da far verificare flop pazzeschi.

  48. manuel cecchinato

    non so perchè ma sono sempre stato attirato dai romanzi o racconti di fantascienza italiani, hanno una atmosfera che percepisco in modo diverso, non so perchè ma è così, esempi di lettaratura italiana ottimi ce ne sono, meno conosciuti all’estero forse ma perchè non meglio? intanto cerco di scrivere anche io! fatica su fatica per rendere bene le idee che ho! spero un giorno di poter pubblicare qualcosa! viva urania! e la fantascienza italiana!

  49. Antonino Fazio

    Essere attirati dalla fantascienza italiana, proprio perché italiana: ecco il sogno! Impossibile? Forse. Ma, se si dovesse realizzare, come potrebbe avvenire? Secondo me, c’è un modo veloce, e uno lungo. Il modo veloce implica l’intervento di qualcuno che riesca a fare per la fantascienza italiana ciò che Sergio Leone ha fatto per il western, reinventandolo. Il modo lungo è quello già avviato. Si publicano gli italiani insieme agli stranieri, in una percentuale accettabile. Se il materiale è buono, la percentuale può aumentare, fino ad arrivare anche al 50 per cento (e magari oltre). A quel punto è fatta. Certo, bisogna fare i conti con le difficoltà della SF in generale, come dice Proietti nell’articolo che ho linkato giorni addietro, ricordando che, in un momento in cui la SF vendeva bene, Cosmo pubblicava già autori italiani (ma sotto pseudonimo, per aggirare il pregiudizio dei lettori).
    C’è poi la domanda: cosa si intende per fantascienza “italiana”? Direi che “italiana” può voler dire tre cose: è scritta in italiano, ha un’ambientazione italiana, è scritta da un italiano. Il secondo criterio è un rafforzativo. Il primo implica che la traduzione in un’altra lingua non snatura “l’italianità” (penso ad Aldani). Il terzo implica che, se un autore italiano scrive direttamente in inglese, il prodotto è ancora “italiano”.

  50. Antonino Fazio

    “publicano” è ovviamente “pubblicano”.

  51. Luigi

    Forse la migliore cosa da fare per la fantascienza italiana è non fare nulla per la fantascienza italiana! Almeno se fare qualcosa per la fantascienza italiana significa politiche editoriali in qualche modo, direttamente o indirettamente, protezionistiche o anche promozionali. Insomma, niente politica delle quota rosa! :-)

  52. Antonino Fazio

    Protezionismo no di certo, ma neanche esterofilia… :-)

  53. tortellino

    Voto Antonino, mi trova d’accordo con il suo ultimo intervento.
    Magari Urania in futuro potrebbe uscire con una sorta di millemondi con cadenza fissa per pubblicare esclusivamente autori italiani. Oppure questo servirebbe a ‘ghettizzare’ ancora di più?

  54. Antonino Fazio

    Ti dirò, preferirei che l’alternanza tra italiani e stranieri seguisse esclusivamente il filo della qualità, da cui dovrebbe dipendere, io spero, un eventuale infittimento dei titoli di italiani. Poi è chiaro che c’è anche una questione di programmazione.

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