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Robert J. Sawyer

giugno 5th, 2011

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L’autore canadese ospite d’onore  alla Italcon di Milano torna con il  primo romanzo di un nuovo ciclo

Robert J. Sawyer, nato a Ottawa nel 1960, è considerato uno degli autori di punta della sf di lingua inglese ed è anche l’unico scrittore canadese di sf a tempo pieno; vive a Tornhill, nell’Ontario, con la moglie Carolyne. Di lui “Urania” ha pubblicato numerosi romanzi, tra cui Apocalisse su Argo (Golden Fleece, 1990), Starplex (id. 1996, giunto in finale al Premio Nebula), Mutazione pericolosa (Frameshift, 1997), I transumani (Factoring Humanity, 1998), Mindscan (2005) e Rollback (2008).

Apocalisse su Argo, il suo primo libro, è stato proclamato da Orson Scott Card “miglior romanzo del 1990″ (su “Fantasy and Science Fiction”). Starplex è giunto in finale al Premio Nebula. Anche Mutazione pericolosa ha vinto un premio, questa volta in Spagna. Tra i suoi romanzi segnaliamo ancora Illegal Alien (1997), Far Seer (1992), Fossil Hunter (1993), Foreigner (1994), End of an Era (1994). Sono in opzione i diritti cinematografici di Illegal Alien e The Terminal Experiment, che, come anche Golden Fleece, sono una mescolanza di giallo e fantascienza. Far-Seer, Fossil Hunter e Foreigner compongono la cosiddetta “Quintaglio Ascension Trilogy” e raccontano rispettivamente le storie degli equivalenti extraterrestri di Galileo, Darwin e Freud. Dal romanzo Flashforward (Avanti nel tempo) è stata tratta l’omonima serie televisiva. Il brillante ciclo del Neanderthal Parallax, una delle opere più acclamate della produzione di Sawyer, è uscito su “Urania”in tre volumi: La genesi della specie (Hominids, 2002, premio Hugo 2003; Urania n. 1536), Fuga dal pianeta degli umani (Humans, 2003; Urania n. 1542) e Hybrids (2004) . WWW: Wake, che qui traduciamo con il titolo WWW 1: Risveglio , è uscito in lingua inglese nel 2009 ed ha inaugurato la trilogia WWW, una straordinaria serie di ipotesi sui misteri del Web che “Urania” presenterà nella sua interezza.

Il “New York Times” ha detto di lui: “Robert J. Sawyer è uno scrittore di grande fiducia nei propri mezzi e un abile estrapolatore scientifico”. “Mystery News” aggiunge: “Al pari di giganti come Asimov ed Heinlein, Robert J. Sawyer ha capito, forse più di qualunque scrittore contemporaneo, che la fantascienza è letteratura di idee”.

Il sito online di Robert J. Sawyer è all’indirizzo http://www.sfwriter.com/index.htm

La sua bibliografia italiana è sul Catalogo della fantascienza, fantasy e horror: http://www.fantascienza.com/catalogo/A0738.htm#4719

(a cura di G.L.)

 

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[Dossier 50 anni nello spazio] Yuri Gagarin, il pioniere

aprile 10th, 2011

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Fu il primo uomo a volare oltre la Terra e morì  in volo nel 1968…

PROVIDENCE (USA) – «Gagarin era un eroe e mio padre era fiero di lui». Sergej Krusciov sembra riaccendere un vecchio orgoglio sovietico parlando del primo uomo dello spazio, Yuri Gagarin. Lo ricorda nelle sale illuminate del Cremlino assieme al padre Nikita o, sorridente, nella dacia, in maniche di camicia. C’ è un filo di nostalgia nelle parole: sono passati cinquant’anni e allora Sergej, figlio del più potente uomo dell’ Urss, era un giovane ingegnere costruttore di razzi. Per lui il futuro era il cosmo con la stella rossa. Ma la storia disegnò un corso diverso e ora è diventato cittadino americano. Da vent’anni è al Thomas J. Watson Institute for International Studies della Brown University, ospitato in una casa bianca di legno appollaiata su una dolce collina. Qui trascorre le sue giornate in una minuscola stanzetta sotto il tetto seguendo in tv i notiziari da Mosca e scrivendo del padre di cui ha pubblicato una biografia «uscita negli Stati Uniti e in Cina, e che forse sarà stampata anche in Russia». Da una fotografia con dedica appesa al muro, piove lo sguardo dell’ ex presidente Bill Clinton.

Si dice che Gagarin sia stato scelto da suo padre guardando le fotografie dei sei piloti in addestramento …. «Ho sentito questa storia. Korolev, il capo dell’ operazione, sarebbe arrivato con le immagini dei candidati. Ma è solo una delle tipiche fandonie che nascono intorno ai grandi eventi. La scelta fu degli esperti. Mio padre, invece, orientò la data del lancio».

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[Dossier 50 anni nello spazio] “Korolev mi scelse per le missioni lunari”

aprile 10th, 2011

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Un incontro esclusivo con il vecchio cosmonauta Georgi Grechko

Georgi Mikhailovic Grechko non è uno di quei nomi che fanno risuonare l’eco di imprese spaziali rimaste nella storia. Eppure fu uno dei collaboratori più assidui del mitico Sergej Korolev, era stato assegnato al programma lunare dell’Urss e ha
poi vissuto in prima persona il dramma della sua cancellazione dopo i successi delle missioni americane Apollo, trovando nuove motivazioni nel lavoro sulle piccole stazioni orbitali Salyut. Il suo ruolino spaziale conta infatti tre missioni sulle Salyut 4, 6 e 7 tra il 1975 e il 1985, per un totale di 135 giorni nello spazio. Nel ’92 lasciò il programma spaziale e fondò un istituto per la fisica atmosferica sotto l’ombrello dell’Accademia delle scienze.
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Edogawa Ranpo, il fabbricante di sedie umane

aprile 7th, 2011

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Al lettore occasionale di fantascienza il suo nome non dirà molto, ma al lettore tout-court e al bibliofilo che è in noi subito significherà: delizie. Bisogna risalire al n. 221 di “Galassia” del 1976 per trovare la sua precedente comparsa nelle collane specializzate, con quella “Sedia umana” che è tra i suoi racconti più noti; e tuttavia, è solo negli ultimi quindici anni che il grande scrittore mystery-fantastico del Giappone ha trovato udienza anche presso il nostro pubblico (grazie alla buona volontà degli editori Marcos y Marcos e Marsilio). Ranpo sfugge alle definizioni: giallo? Macabro? Mistero? Potete provare a incasellarlo come volete, al pari del suo mentore Poe vi stupirà ogni volta di più. Una lettura elettrizzante che qui concludiamo con la nota biografica dovuta a James B. Harris e scritta nella lontana, ma non remota, Tokio del 1956…

G.L.

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Paolo Aresi e il Costruttore Capo

aprile 7th, 2011

Un nuovo romanzo sul “senso dello spazio”

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Paolo Aresi nasce nel 1958 a Bergamo. La passione per la fantascienza risale alla prima giovinezza ed esce con il primo romanzo nel 1987 (Oberon, l’avamposto tra i ghiacci pubblicato dalla Nord). Gli hanno fatto seguito numerosi racconti pubblicati su riviste come “Futuro Europa” e nei volumi Pianeta Italia (Perseo), Alieni, mutanti e robot (Keltia), Fantasia (Millelire). “Labirinto della notte”, un racconto del 2003, è stato premiato e pubblicato da “Robot”. Tra  i romanzi ricordiamo ancora un noir dal sapore orientale edito da Granata Press, Toshi si sveglia nel cuore della notte (1995), Il giorno della sfida (Nord 1998), Oltre il pianeta del vento (Premio Urania 2003, n. 1492), fino al recente L’amore al tempo dei treni perduti (Mursia 2010). Lavora per il quotidiano L’eco di Bergamo e nella sua città ha fondato una scuola di scrittura creativa.

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Allen Steele

gennaio 14th, 2011

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 Lo scrittore americano ci porta  nell’universo di Coyote, ben  al di là del sistema solare

Torna su “Urania” uno degli autori più amati della moderna fantascienza americana, Allen Steele. Nato a Nashville, Tennessee, nel 1958, ha eletto a sua patria letteraria un credibile mondo tecnologico la cui dimensione predominante non è il cyberspazio ma lo spazio tout-court della sf interplanetaria. C’è un’altra differenza rispetto agli autori americani della sua generazione: soprattutto nei primi romanzi, Steele non è  propenso alla space opera barocca e all’avventura fine a se stessa, quanto alla convincente costruzione di uno scenario realistico in cui astronauti, tecnici e ingegneri di domani fabbricano con il metallo e l’energia, sotto i nostri occhi, immense stazioni spaziali, scali fra la terra e la luna e nuovi modelli di astronavi. E’ il cosiddetto ciclo del Ritorno allo spazio, o anche Near Space (lo Spazio vicino). Negli anni Novanta, “Urania” ha pubblicato per esteso questa sequenza, traducendo i romanzi:  Discesa sulla luna (Lunar Descent, 1991; n. 1270); La fortezza sulla luna (The Tranquillity Alternative, 1996; n. 1298); 2049: Contea di Clarke (Clarke County, Space, 1990; n. 1321); L’ultimo giorno di William Tucker (A King of Infinite Space, 1997; n. 1343) e Orbita Olympus (Orbital Decay, 1989; n. 1386). L’universo sul fondo (Oceanspace, 2000; n. 1411) si stacca solo relativamente dalla sequenza, introducendo una suggestiva ambientazione nello “spazio” degli oceani, ma mantenendo lo spirito dei romanzi precedenti. Un altro testo notevole degli anni Novanta è stato tradotto da Fanucci: Nel labirinto della notte (Labyrinth of Night, 1992, in “Solaria” n. 12).

Se già L’ultimo giorno di William Tucker esorbitava dai limiti dello Spazio vicino, mostrando di volerne allargare gli orizzonti, il successivo ciclo del Coyote – la luna maggiore del pianeta Orso, nel sistema della stella 47 Ursae Majoris – si svolge sui binari della più classica avventura spaziale, trasportandoci nell’universo al di là del sistema solare. I romanzi di questa nuova sequenza sono, in ordine cronologico: Coyote: A Novel of Interstellar Exploration (2002), Coyote Rising: A Novel of Interstellar Revolution (2004), Coyote Frontier: A Novel of Interstellar Colonization (2005), Spindrift (2007), il romanzo breve The River Horses (2007), Galaxy Blues (2008), Coyote Horizon (2009) e Coyote Destiny (2010). Il presente Galaxy Blues può essere letto in perfetta autonomia rispetto ai precedenti, ma il desiderio di “Urania” sarebbe quello di pubblicare anche i romanzi meno recenti del’ampia saga. Se riusciremo a trovare un compromesso tra la loro mole (talora davvero notevole) e le nostre esigenze di mercato, li tradurremo nel tempo.

Ne varrebbe la pena perché, anche quando si avventura sui binari della space opera, Steele rimane uno scrittore credibile e asciutto, competente e a suo modo veristico. Un traguardo non da poco, nell’epoca dei mondi virtuali, delle realtà simulate e delle varie forme del fantasy…

Il sito ufficiale di Allen Steele si trova all’indirizzo http://www.allensteele.com/

La bibliografia italiana integrale è al’indirizzo

http://www.fantascienza.com/catalogo/A0782.htm#5039

Quella americana è consultabile presso

http://www.isfdb.org/cgi-bin/ea.cgi?Allen_Steele

(a cura di G.L.)

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Arthur C. Clarke, sogno imperiale

gennaio 14th, 2011

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Arthur Charles Clarke è nato a Minehead, una piccola città del Somerset (nell’Inghilterra sudoccidentale) il 16 dicembre 1917. La scienza e le sue applicazioni lo avevano sempre affascinato: suo padre, contadino, l’aveva mandato alla vicina scuola elementare di Taunton e Arthur si era appassionato all’enigma dei dinosauri ma anche al misterioso alfabeto Morse. Difficile immaginare che da quelle semplici premesse sarebbe nata la brillante carriera scientifico-letteraria del futuro autore di 2001 Odissea nello spazio.

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Robert Silverberg

dicembre 22nd, 2010

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Nato nel 1935 da genitori ebrei, Robert Silverberg rappresenta un caso unico nella letteratura USA di fantascienza: il caso, cioè, di uno scrittore che ha cominciato a pubblicare senza alcuna apparente ambizione negli anni Cinquanta (legandosi ai mercati più umili e tradizionali) e che ha ripreso a scrivere negli anni Sessanta trasformandosi, nel giro di un decennio, in un artista maturo e personale, nonché uno dei profondi innovatori del genere. Attivo ancora negli anni Ottanta e Novanta, anche se non più col ritmo febbrile dei decenni precedenti, si calcola che abbia pubblicato oltre cento libri di science fiction e una sessantina al di fuori della narrativa.

Si distinguono, perciò, tre fasi nella sua carriera. Il primo Silverberg esordisce con un racconto del 1954, “Gorgon Planet”, e con un romanzo del 1955, Revolt on Alpha C (in italiano La pattuglia dello spazio, AMZ Editrice, 1960). E’ uno scrittore di avventura come tanti, si destreggia fra space-opera e storie d’azione o di mistero, nascondendosi volentieri dietro gli pseudonimi collettivi delle case editrici di pulp magazine, ma nel 1956 gli viene attribuito un tempestivo premio Hugo quale nuovo autore più promettente. Di quel periodo si ricordano i romanzi Master of Life and Death, 1957 (Padrone della vita, padrone della morte, tr. it. in “Galassia” n. 128, La Tribuna 1970), Aliens from Space firmato con lo pseudonimo di David Osborne (Stranieri dallo spazio, in “Galassia” n. 12, La Tribuna 1961), Invaders from Earth, 1958 (Invasori terrestri, Editrice Nord 1983) e Recalled to Life, 1962 (Anonima Resurrezioni, in “I romanzi del cosmo” n. 181, Ponzoni 1965). Su “Urania” appare Collision Course (1961) col fantasioso titolo de Il sogno del tecnarca.

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Alberto Cola: un autoritratto

dicembre 22nd, 2010

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Il vincitore del premio Urania

di quest’anno mette le carte

in tavola con umorismo

Non ho mai amato le interviste. Spesso investono l’autore di un’importanza che, quando mi è capitato, mi ha sempre messo a disagio. Così, davanti alla richiesta di Giuseppe di scrivere un paio di cartelle in alternativa alle domande istituzionali, ho tirato un sospiro di sollievo e accettato. Già sapevo che il mio ego non ne avrebbe troppo sofferto.

Suppongo questo sia il momento in cui ci si aspetti che l’autore dica qualcosa di estremamente interessante. Di mio ho sempre pensato che quello che di interessante l’autore aveva da dire dovrebbe essere già nel romanzo, o almeno spero. Dubito che a qualcuno possa trovare piacevole sapere che sono nato nel ’67, che vivo nelle Marche e pratico la professione di amministratore immobiliare. Ma tant’è…

Sono un po’ confuso. A quarantatré anni mi ritrovo su “Urania”, cioè quindici anni dopo il mio primo racconto pubblicato e addirittura a venti dalla prima, faticosa partecipazione a un premio letterario. Tanto, poco? Non lo so, sono un lento di natura e suppongo ciò rientri nell’ordine delle cose. Delle mie cose. Sta di fatto che dopo tre romanzi, Goliath e Kami per Delos Books e Ultima pelle per Kipple, più un bel po’ di altra roba sparsa, ci si sente quasi in obbligo di tirare le somme, anche se ogni traguardo che si raggiunge è sempre una nuova partenza, solo più subdola della precedente. Che poi, a pensarci bene, arrivare su queste pagine ha comportato un viaggio mica da ridere. Ma perché la fantascienza?, ancora mi chiedono. Eh, facile. Mi sono fatto un’idea in proposito: la fantascienza non si sceglie, è lei, da vecchia signora un po’ suonata con ancora qualche velleità nascosta sotto la gonna, a scegliere noi che ne scriviamo. Io poi arrivo da una famiglia di scarsi lettori, soltanto mia nonna aveva dei libri e da lì ho iniziato a farmi raccontare storie. Che fossero tutti Liala o Barbara Cartland è un altro paio di maniche; chiaro che se un amico, impietosito, alla fine ti dice di provare altro e ti presta un Asimov, come fai a salvarti dal fulmine che di lì a breve sta per colpirti? Per quanto mi riguarda non smetterò mai di ringraziare il Buon Dottore, anche se viene bistrattato e degnato di un sorrisetto di sufficienza da tutti quei lettori che inseguono gli autori del momento, più cool. Isaac fra trent’anni sarà sempre sullo stesso scaffale in libreria, gli altri non so. A me la fantascienza ha fatto soprattutto un dono: la possibilità di vedere le cose in modo differente, di grattare sotto questa patina fasulla di civiltà. Difficilmente le mie storie hanno un lieto fine; preferisco il gusto amaro della rivincita improbabile, ma non impossibile.

E soprattutto la fantascienza mi ha regalato molti amici e amiche. Non posso parlare di me senza pensare a loro perché, in un certo qual modo, è proprio grazie a loro se vi sto annoiando con tutte queste chiacchiere. Da Lino (Aldani) che per primo mi chiese dei racconti, a Franco che ci consumò sopra un intero pennarello rosso. Dal Vic per la storia del tonno e qualche altro miliardo di cose, al mai troppo compianto Ernesto che davanti a quel cool poche righe più sopra avrebbe storto il naso, poco ma sicuro. E tanti altri, troppi, per fortuna. Che poi scrivere fantascienza un po’ masochistico lo è, ammettiamolo. Siamo abituati agli epiteti più strani, alle facce più improbabili, ai “Sì, bravo, pubblicherai con Mondadori? Fantascienza? Be’, fammi sapere quando scriverai altro, ci tengo…”. Niente che già non sappiate. Di recente in un’intervista per Altrisogni mi è stato chiesto come vedessi il mercato italiano. Non so mai bene cosa rispondere a una domanda simile per rendere bene l’idea. Ma qualche giorno fa Michele Piccolino, un carissimo amico e scrittore di fantascienza, mi ha involontariamente fornito la risposta delle risposte. Partecipando alla selezione per un gioco a premi in TV, doveva abbinare il nome a un cognome che gli veniva citato. Quando gli è stato chiesto “Lippi?”, lui ha risposto, d’istinto, “Giuseppe!”, e l’altro “Chi?”. Un esempio che si adatta, direi.

È naturale, a un certo punto, voler anche tentare altro, giusto per mettersi alla prova, per aprire qualche orizzonte e staccare la spina. È capitato anche a me, soprattutto da quando sono entrato a far parte della Carboneria Letteraria, il collettivo di scrittura fondato da Paolo Agaraff. Altri amici e altre storie, diverse, da scrivere. Negli ultimi due anni sono passato dal thriller all’erotico, dal noir all’horror, con racconti apparsi in svariate antologie (“Uomini a pezzi“, “Onda d’abisso“, “365 racconti erotici per un anno”, “NeroMarche”…) ma sempre col gusto e la voglia di raccontare storie, l’aspetto per me più importante. Anche se la fantascienza, quella vecchia signora di cui sopra, ogni tanto torna a farsi sentire.

Ma veniamo al romanzo che avete appena letto (o che dovete leggere, se siete di quelli che amano partire dalla fine). Chi mi conosce avrà scoperto fin dalla prima riga che proviene dritto dritto dal racconto “Mishima Boulevard” che scrissi nel 1999 e che da allora, non chiedetemi il perché, in un certo qual modo e attraverso ripetute pubblicazioni mi ha sempre identificato agli occhi dei lettori (come molti altri racconti di ambientazione orientale o, nello specifico di “roba nippo”, come dice Elena Di Fazio, che spesso scioglie i miei dubbi). È il mio miglior racconto? Non ne ho idea, di certo è il più vissuto per quanto mi riguarda. A volte capita che un racconto vada al di là delle intenzioni dell’autore, e in fondo ho sempre saputo di non aver detto tutto, di non aver dato il respiro che quel racconto mi chiedeva. L’aspetto fastidioso dello scrivere è che non puoi lasciare il lavoro a casa, ti viene dietro, bussa, tira, scalpita e alla fine devi ascoltarlo per forza. Ed è quel che mi è capitato in questo caso. Voglio subito mettere in chiaro una cosa però: quello che avete tra le mani non è un romanzo con chissà quali pretese. È una storia, punto. Che poi mi sia divertito a metterci dentro un personaggio realmente esistito e molto controverso c’entra poco. Per scriverlo non ho letto saggi, trattati, dissertazioni… Ma soltanto i romanzi di Mishima che mi hanno costretto ad appassionarmi alla sua storia. Non era mia intenzione, e non lo è, dare una visione “altra”, rielaborare una figura, provocare dibattiti o chissà cosa. È la mia idea di scrittura: raccontare, prima di tutto. Un’idea deve essere al servizio di un romanzo, non viceversa.

Direi che possiamo anche chiudere qua. Se il romanzo vi è piaciuto, bene. In caso contrario, male, ma ormai è fatta. Ho qualche altro progetto nel cassetto, vorrà dire che ci penserò meglio prima.

Sayonara.

                                                                                                                                                                Alberto Cola

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Bob Shaw, l’arte della fantascienza europea

novembre 8th, 2010

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Quando “Urania” lo introdusse sul mercato italiano con Cronomoto (The Two-Timers, 1968, in realtà il suo secondo romanzo), i lettori capirono subito che quel libro denso e ingegnoso rappresentava l’avanguardia di una produzione ricca di idee. In seguito, apprezzarono come il suo autore rinverdisse i classici luoghi della science fiction con una sensibilità tutta europea; Bob Shaw era noto da tempo come attivista del fandom, il mondo degli appassionati , ed era già da alcuni anni un fan-writer, cioè una persona che pubblicava racconti lunghi o brevi senza (per il momento) fine di lucro. Ma nel 1967 aveva compiuto il balzo uscendo professionalmente con il romanzo che ripresentiamo in questo volume, Night-Walk, al quale Carlo Fruttero e Franco Lucentini attribuirono il titolo non-euclideo del Cieco del non-spazio. Per essere una prima prova è già brillantissima, e il successivo Cronomoto, e poi quel rarefatto capolavoro che è Altri giorni, altri occhi (Other Days, Other Eyes, 1972), confermarono appieno la diagnosi, giustificando le future aspettative.

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