[Dossier 50 anni nello spazio] “Korolev mi scelse per le missioni lunari”

aprile 10th, 2011 by Moderatore

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Un incontro esclusivo con il vecchio cosmonauta Georgi Grechko

Georgi Mikhailovic Grechko non è uno di quei nomi che fanno risuonare l’eco di imprese spaziali rimaste nella storia. Eppure fu uno dei collaboratori più assidui del mitico Sergej Korolev, era stato assegnato al programma lunare dell’Urss e ha
poi vissuto in prima persona il dramma della sua cancellazione dopo i successi delle missioni americane Apollo, trovando nuove motivazioni nel lavoro sulle piccole stazioni orbitali Salyut. Il suo ruolino spaziale conta infatti tre missioni sulle Salyut 4, 6 e 7 tra il 1975 e il 1985, per un totale di 135 giorni nello spazio. Nel ’92 lasciò il programma spaziale e fondò un istituto per la fisica atmosferica sotto l’ombrello dell’Accademia delle scienze.

Ho conosciuto Grechko nell’ottobre del 2008 a Bologna, in occasione del convegno dedicato ai cent’anni dall’ “evento Tunguska”, la spaventosa esplosione (pari a mille volte l’atomica di Hiroshima) che sconvolse la taiga siberiana il 30 giugno 1908. Un evento tuttora enigmatico, forse provocato dall’impatto di un piccolo asteroide – anche se manca tuttora la “pistola fumante”. Grechko (nato a Leningrado nel 1931, dottorato in matematica) si era appassionato al mistero di Tunguska proprio quando lavorava con Korolev sui missili intercontinentali che poi sarebbero serviti da booster per il razzo che portò in orbita i primi Sputnik. Era appassionato di fantascienza ed era rimasto affascinato (come, pare, lo stesso Korolev) dall’ipotesi lanciata nel 1946 dallo scrittore Alexander Kazantsev, secondo il quale a Tunguska poteva essere precipitata un’astronave aliena, distrutta dall’esplosione del suo motore nucleare. Così, nel 1960, Grechko fece parte di una spedizione che raggiunge la regione di Tunguska, senza comunque trovare traccia alcuna dei resti della fantomatica astronave.
Grechko era venuto a Bologna con un pezzo di tronco d’albero raccolto a Tunguska che mostrava anomalie negli anelli di accrescimento successivi al 1908. E aveva accanto a sé la moglie, medico spaziale, bella ed elegante, di almeno vent’anni
più giovane. Lui, appesantito dagli anni (e dal vorace appetito), non aveva tuttavia smarrito quella vis polemica che gli aveva procurato in passato più di qualche scontro sul piano professionale. Come quando aveva preso a contestare l’idea stessa di stazione spaziale abitata, sostenendo che sarebbe stato meglio mettere in orbita dei free flyer con laboratori automatizzati, magari raggiunti periodicamente dagli astronauti per la manutenzione e l’aggiornamento della strumentazione.
“Furono anni felici, quelli con Korolev”, mi raccontò a tavola nel suo broken English bizzarrro ma efficace. “Era un uomo onesto, entusiasta, che appoggiava le idee innovative. Lavorando accanto a lui sentivamo lo spirito dei pionieri. Tutto cambiò dopo la sua morte, nel 1966. Il nostro programma spaziale venne frammentato tra vari responsabili, spesso in rivalità tra loro. E niente fu più come prima…”.
Grechko, selezionato per lo spazio nel 1966, ha conosciuto bene Yuri Gagarin. Lo ricorda senza alcun alone di trionfalismo: “Era un buon pilota, ma al suo livello ce n’erano centinaia in Russia. Venne scelto per il primo volo umano nello spazio
perché era in ottime condizioni fisiche e perché era un bel ragazzo, molto bravo nei rapporti personali. Ma non era né un ingegnere né uno scienziato. Eppure, in poco più di un’ora, il suo nome divenne famoso in tutto il mondo…

Cominciò ad avere parecchie donne intorno a lui, ebbe qualche avventura sentimentale (anche con la nostra Gina Lollobrigida, secondo i gossip dell’epoca, ndr). Eppure la fama non l’aveva cambiato. Per la moglie, la famiglia, gli amici, Yuri era sempre quello di una volta. Aveva appena 34 anni, quando precipitò durante un volo di routine”.

Duro e ironico Grechko si dimostra nei confronti di Valentina Tereshkova: “Non godeva di grande popolarità tra i cosmonauti. Nello spazio si era sentita male, come del resto molti di noi. Ma lei non voleva ammetterlo, diceva che era tutta colpa del cibo avariato. Le chiesero quel cibo, volevano controllarlo. Ma lei rispose che dopo l’atterraggio l’aveva distribuito alle persone lì attorno…”.
Dopo Valentina, sarebbero passati quasi vent’anni prima che un’altra donna russa andasse nello spazio: Svetlana Savitskaya, che fu anche la prima donna a uscire da una navicella spaziale. “Svetlana venne scelta – sottolinea Grechko – perché era
particolarmente robusta per indossare lo scafandro Orlan che io avevo sperimentato per la prima volta nello spazio. Ma fu una decisione essenzialmente politica. Avevamo saputo che gli americani stavano addestrando una loro astronauta per effettuare una ‘passeggiata spaziale’ e si volle batterli sul tempo”.
Poi, nel 1994, fu la volta di Yelena Kondakova. Battuta caustica: “Era la moglie di Valery Ryumin, allora responsabile della missione. Scherzando con lui, gli chiedevamo perché mai volesse disfarsi di sua moglie in quel modo!”.
Appena tre donne russe nello spazio, dunque, rispetto alla quarantina di astronaute americane, alcune delle quali sono state comandante e pilota degli Shuttle, e una ha anche comandato la ISS, la Stazione spaziale internazionale. Perché questa disparità? Grechko tergiversa, guarda la moglie: “Lo spazio è un posto duro, difficile. Io non vorrei mai che mia moglie facesse l’astronauta”.
Grechko porta una cravatta con i disegni degli Shuttle, dono dell’astronauta americano John Fabian. Ha incontrato parecchi di quelli che erano stati gli antagonisti diretti ai tempi della Guerra fredda. Come Frank Borman, comandante dell’Apollo 8, che nel Natale 1968 entrò per la prima volta in orbita attorno alla Luna. E Buzz Aldrin, il secondo uomo sulla luna. Con i colleghi americani i rapporti sono cordiali, spesso amichevoli.
Ma proprio a quegli anni decisivi per la corsa alla luna è legato il suo ricordo più amaro. Nel 1966 erano state costituite due squadre, ciascuna formata da una decina di cosmonauti, in vista delle missioni lunari sovietiche. Georgi Grechko era stato inserito nel gruppo – guidato da Vladimir Komarov – destinato a circumnavigare il satellite (con loro c’era lo stesso Gagarin). L’altro gruppo, guidato da Alexei Leonov (il primo “pedone” dello spazio), era destinato invece a scendere sulla Luna. Ogni equipaggio sarebbe stato formato da due cosmonauti, rispetto ai tre astronauti dei veicoli Apollo, di maggiori dimensioni e più avanzati rispetto alle corrispondenti navicelle sovietiche. Voce ricorrente è che proprio a Leonov sarebbe toccato il compito di scendere (da solo!) per primo sulla Luna. Si puntava insomma a battere gli americani sul filo di lana.

Le cose andarono molto diversamente. Komarov perse la vita nel 1967 nel primo collaudo orbitale della Soyuz per la mancata apertura del paracadute in fase di rientro. I lanci di prova del vettore lunare N1 (di potenza paragonabile al Saturn V americano) fallirono clamorosamente uno dopo l’altro. Quando poi Apollo 8 si mise in orbita attorno alla Luna, da Mosca venne l’ordine di annullare ogni analogo tentativo sovietico. E con l’atterraggio di Apollo 11 nel Mare della Tranquillità tramontò definitivamente il “sogno lunare” dell’Urss. Dopo i trionfi colti nei primi anni dell’era spaziale, non si voleva mettere di fronte al mondo la propria inferiorità tecnologica.
Georgi Grechko è durissimo nel commentare quegli eventi: “Furono i dirigenti del Cremlino a decidere di abbandonare i progetti lunari. Con un veicolo del tipo Zond noi saremmo stati in grado di andare in orbita lunare, ma loro dissero che, dopo i successi degli americani, non ne valeva più la pena. Io sono uno scienziato, sono stato ingegnere di volo sulle stazioni Salyut, e resto convinto che sarebbe stato importante, dal punto di vista tecnico, andare in orbita attorno alla Luna. Avevo lavorato tanto per quell’obiettivo… Da noi si dice: se non sai fare nulla, fai il politico. E io detesto i nostri politici.

Fabio Pagan

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