Editoriale di servizio del nostro curatore Giuseppe Lippi.
Come saprete, ultimamente il blog di Urania si è trovato sotto attacco. In gergo informatico, ciò significa che uno o più utenti hanno bombardato questo forum libero e aperto a tutti con messaggi provenienti da IP sospette e indirizzi e-mail abusivi. I troll in questione – altro termine di gergo con cui dobbiamo convivere – hanno assunto diverse personalità fittizie, allo scopo di moltiplicare i loro interventi critici o insultanti senza pagarne le conseguenze.
Naturalmente, in questo caso il blogmaster Giovanni “X” De Matteo ha cancellato gli interventi dei troll appena si è reso conto che erano tali. Sottolineo che la colpa non è del loro contenuto, anche se qualche volta un messaggio può essere stato volgare o virulento: la prova è che i post in questione erano regolarmente passati e in un primo momento sono apparsi sul blog. Il problema è che alcune delle firme non corrispondevano a persone reali e indipendenti, ma erano semplicemente “avatar” del troll. Chi legge dall’esterno non può rendersene conto, ma un blogmaster vede gli identificativi di provenienza di ogni computer ed è in grado di tirarne le somme.
Nella mitologia nordica il troll è uno spirito selvaggio, un umanoide odioso o quantomeno dispettoso. E a questo si sono ridotti alcuni sapientoni che volevano così far passare le loro iperctitiche a “Urania”, nella fattispecie alla traduzione del numero di maggio. Del resto, ultimamente si sono scatenate polemiche anche sulla pubblicazione di un autore come L. Ron Hubbard in “Urania collezione” (dove, peraltro, era già uscito un precedente romanzo, Ritorno al domani) e polemichette sui trenta centesimi di aumento del prezzo.
Tirando le somme di tutto questo, vorrei dire tre semplici cose prima di ricavarne le conclusioni.
1) Critiche sulle traduzioni o il contenuto editoriale possono sempre essere fatte, ma è evidente che perdono ogni rilievo e qualsiasi interesse se provengono da personalità fittizie o dallo stesso vigliacco che si nasconde sotto pseudonimi di comodo.
2) In questa redazione non esistono pregiudiziali ideologiche contro nessun autore. Da parte mia, come curatore di “Urania” non ho mai applicato censure e non lo farò in futuro. Nel caso di L. Ron Hubbard, sia ben chiaro che noi pubblichiamo la sua fantascienza classica che non ha nulla a che vedere con i successivi insegnamenti delle discipline dianetiche o scientologiche. Il tenente è un romanzo che nella sua forma definitiva porta la data del 1948 e la cui concezione è ancora antecedente. Accusarci solo per aver fatto circolare il nome di questo autore classico della sf è demenziale e sa di Index librorum prohibitorum, una istituzione che la stessa chiesa cattolica ha abolito nel 1966.
3) La querelle sull’aumento del prezzo (30 centesimi, da euro 3,90 a 4,20) è l’argomento che mi sconforta di più. Pur di prendersela per qualcosa, questi incontentabili – uno dei quali invoca il diritto a “farci lamentare”, sacrosanto quando non è per futili motivi – si attaccano ai 30 cent in più che in tempi di congiuntura farebbero lacrimare. Lo nego! Chi mi dicesse che trenta poveri centesimi fanno una differenza nel suo budget, fosse pure sommato al prezzo delle altre collane da noi pubblicate ogni mese, si sentirebbe rispondere che è un depresso cronico e più specificamente un tormentoso, abitante in qualche buio girone della vita dal quale voglio invitarlo a uscire porgendogli una mano. Come? Comprandogli “Urania” di tasca mia e chiedendogli solo il disturbo di venirlo a ritirare. Già mi pare di sentirlo rispondere: “Ah, ma il biglietto del tram o della metro costa! Un viaggio di andata e ritorno sono ben due euro, scherziamo? Il gioco non vale la candela”. Ed ecco chiuso il cerchio dell’incontentabile. Ripeto: un conto sono trenta centesimi (o dieci, o cinque) sull’aumento del prezzo della benzina, un conto sono quelli che si spendono per un bene come un libro. E’ tutta qui la fondamentale differenza. “Urania” costava fino a un mese fa meno di quattro viaggi in autobus, oggi costa quattro viaggi e una spanna. Vi domando: c’è un solo altro libro in Italia che costi meno, o altrettanto poco? La risposta è no: siamo la collana più economica del mondo sviluppato, o quello che sembrava tale. E per essere un genere superfluo, non di prima necessità, lottiamo per mantenere un prezzo che invece è quasi da bene primario. Un prezzo politico, se volete, che solo un grande editore può permettersi di offrirvi. Se c’è qualcuno che protesta lo stesso, gli rispondo con Totò: “Ma mi facci il piacere!”.
Da tutto questo, Sergio Altieri ed io abbiamo tratto una conclusione sconfortante. Che c’è gente alla quale piace sempre e comunque attaccare, blaterare, distruggere. Non è una novità, per “Urania”, la quale non è pubblicata da una casa editrice minuscola (vivaddio, sarebbe costata il triplo), non è recensita dalle riviste snob e per sua fortuna non rientra nel Gotha delle letture obbligatorie, ma vuole accontentare il suo pubblico di appassionati e collezionisti, lo stesso che legge fantascienza da sempre e resta lo zoccolo duro del mercato. A questo pubblico si sovrappone, di tanto in tanto, una categoria di biliosi che pretendono di avere la ricetta del futuro tra le mani. Non ce l’hanno: sono solo dei disturbatori, deboli-di-pensiero che a volte si nascondono persino dietro nomi falsi. Lo scopo è evidente: insinuare il dubbio, l’acredine, mostrarsi più bravi di chi fa questo lavoro per mestiere.
Stavolta ci siamo limitati a smascherarli, ma la prossima dimostreremo come di professorini non ci sia alcun bisogno. Semmai, di professionisti.
Giuseppe Lippi