Urania 1952-2012
Ovvero, come la macchina del tempo non si è mai fermata – 2
Il new look degli anni Sessanta: Fruttero & Lucentini
Possiamo ben dire che ai tempi di Monicelli si fossero costruiti gli stadi del razzo e lanciato il satellite in orbita. Nel decennio successivo, affollato di assemblee sindacali e persuasivi studi TV, di imminenti rivoluzioni sessuali e autostrade lanciate nel sole, la nuova “Urania” di Carlo Fruttero e Franco Lucentini avrebbe insegnato a gestire il futuro, a manipolarne la conquista. Non bastava più salire nello spazio, bisognava affacciarsi alle dimensioni del possibile, del sociale. Il futuro è già cominciato, recitava il titolo di un famoso pamphlet di pochi anni prima: ebbene, ora si trattava di viverci. Nel 1964, lamentando la paventata introduzione dell’obbligo a portare la cintura di sicurezza, Fruttero e Lucentini scrissero che si voleva obbligare il cittadino, già lanciato in mezzo a due allucinanti piste d’asfalto (l’Autostrada del sole), a mettere una bandoliera sul petto: ma qui, dove andremo a finire? Ma di questo passo, cosa ci aspetta all’ombra del Duemila? Gli anni Sessanta furono la scuola guida del futuro, con tutto quello che sarebbe costato.
Non è un caso se, con il primo volume della nuova direzione (1962), “Urania” cambiasse veste grafica: il nome racchiuso in una losanga cangiante, che ogni volta s’ispirava ai colori dell’illustrazione. In basso, una barra ugualmente colorata conteneva prezzo, data e altri indicia. In alto, a destra della testata, autore e titolo erano composti in Arial nero su campo bianco, alternando maiuscole e minuscole. Era un aspetto decisamente più moderno, quasi da oggetto di design: e si sa come in quegli anni l’interesse per la grafica industriale fosse particolarmente vivo in Italia. Dal ‘62 “Urania” cercò di trasformarsi in qualcosa di più sofisticato, e grazie alle originali illustrazioni di Karel Thole si proiettò in una fase nuova, al passo coi tempi. Non era più un prodotto povero o puramente funzionale: proprio come altri oggetti umili di uso quotidiano – dalla caffettiera al frigidaire – aspirava a una linea gradevole che sottolineasse lo sforzo immaginifico dell’industria. Il nuovo progetto grafico fu opera probabilmente di Anita Klinz, l’art director tedesca che aveva portato Thole in Mondadori nel 1960; era come se l’”Urania” pop di Klinz-Thole-Fruttero & Lucentini dicesse al lettore: vai e affronta la Civiltà delle macchine! (Così si chiamava, tra parentesi, la rivista dell’IRI). Entra in fabbrica, trova la tua strada nel labirinto. Ricreati nei negozi del consumo, conquista il tuo posto nello stupendo ingranaggio, sali agli uffici del trentaseiesimo piano. E godi, godi, godi la forma dell’avvenire. L’arte pop è fatta su misura dei nuovi cittadini, della loro sensibilità per ciò che è bello nel brutto, come diceva Chesterton: cioè il “bello” della vita produttiva. Anche “Urania” cambia in questo senso, prova a inventare una veste per il futuro. Il risultato sarà il piano quinquennale 1962-1967, un progetto editoriale a medio termine in cui sembra esserci ancora un quantum of solace, un po’di spazio per il volto umanistico della futurizzazione. In quel periodo abbondano le antologie di racconti, le satire graffianti dei meccanismi sociali, il loro capovolgimento ironico; poco a poco gli extraterrestri diventeranno più mansueti e i robot-sorveglianti più minacciosi, finché sarà chiaro che gli extraterrestri siamo proprio noi, ospiti su un pianeta-lager. Ma prima della svolta autoritaria, prima dell’omologazione post-1968, potremo ancora tirare qualche boccata d’ossigeno grazie alla science ficton indipendente di “Urania” e compagnia.
Carlo Fruttero, il nuovo reggitore delle sorti editoriali (Lucentini arriverà due anni più tardi, nel 1964), era nato a Torino nel 1926. Giovane intellettuale confluito nell’editoria, si era segnalato ben presto per aver curato, con Sergio Solmi, la famosa antologia Le meraviglie del possibile (Einaudi 1959). Alle sue spalle aveva un passato di studi in Francia e un vivo interesse per tutto ciò che è bizzarro in letteratura. Onnivoro lettore e uomo di cultura, il suo amore per il fantastico nacque forse nel 1943, quando aveva appena diciassette anni e, per sfuggire ai bombardamenti alleati, si rifugiò nel castello di Passerano presso Asti. Come ricorda in terza persona: “In quello stesso 1943 d’altra parte, gli studi liceali di Fruttero furono bensì interrotti dalle incursioni aeree angloamericane, ma prontamente sostituiti da un’assidua frequentazione dei classici angloamericani nonché francesi nella storica, multilingue biblioteca del castello…”. Fruttero approfittò della straordinaria occasione; e quando, parecchi anni dopo, dovette attingere il materiale per la nuova antologia Storie di fantasmi (1960), tornò nella casa del conte Roberto Radicati di Marmorito, trovandovi gran parte dei testi che gli occorrevano.
Alberto Mondadori si rivolse con fiducia a quest’uomo di lettere che era stato attivo collaboratore di Einaudi, invitandolo a rinnovare la sua collana di fantascienza: l’avventura di “Urania” venne così proiettata nel decennio dell’utopia nazionale. Quando Fruttero s’insediò, nel 1962, aveva trentasei anni; Monicelli ne aveva cinquantadue. Tra i due uomini passava una generazione e la loro visione era radicalmente diversa. Sognatore e romantico il secondo, nel senso migliore d’intellettuale vecchio stampo; agguerrito, ironico e mordace il primo, che aveva una formazione da scrittore moderno.
Anche il suo collaboratore era uno scrittore: “Lucentini Franco, il più anziano della coppia, è nato a Roma il 24.12.’20 ed ivi, dopo un intervallo carcerario per attività antifascista svolta all’Università, addottorato in filosofia nel 1943… Dopo la guerra visse all’estero, a Praga e a Vienna (producendovi un racconto poliglotta, I compagni sconosciuti, che inaugurò presso Einaudi la collana vittoriniana dei “Gettoni”) e infine a Parigi, dove nel ’52 conobbe Fruttero grazie ad amici comuni.” Il loro sodalizio, d’altra parte, non nacque che nel ’57, quando si trovarono “a lavorare insieme da Einaudi in qualità di redattori oltre che traduttori dalle lingue più diverse, ma anche curatori di antologie piuttosto eterodosse a quei tempi nell’editoria di cultura: una di fantascienza e una di storie di fantasmi”. Prima di diventare il collaboratore artistico di Fruttero in una lunga serie di libri di successo, Franco Lucentini aveva pubblicato un altro importante testo narrativo, Notizie dagli scavi, oltre a posie, saggi e traduzoni borgesiane. E’ morto suicida a Torino il 5 agosto 2002, dopo una dolorosa malattia.
Insieme, i due avrebbero potuto vantarsi (ma non lo hanno mai fatto): “La fantascienza degli anni Sessanta e Settanta siamo stati in buona parte noi. L’abbiamo portata in tutte le case come la televisione, l’abbiamo data a grandi e bambini. Il nostro primo obbiettivo è stato divertire i lettori facendoli rabbrividire. Come Hitchcock, non crediamo nella narrativa tranche de vie ma in un bel trancio di torta. Abbiamo fatto il bello e il cattivo tempo perché eravamo i signori della più diffusa ed elettrizzante collana del settore. E se oggi vivete nel futuro, un po’ lo dovete anche a ‘Urania’. Cioè a noi”.
Avevano appassionato, pur fra le polemiche, una generazione di lettori e preparato la prossima; avevano introdotto la letteratura nel menù della sf (loro che teorizzavano l’indipendenza della fantascienza dai fatti letterari… ma per ragioni letterarie!). Erano stati civettuoli quanto basta, solleticando in questo modo la curiosità dei curiosi. Maestri di vita? Maestri di science fiction da divorare “per il puro piacere”, senza secondi fini, e da conservare nei casi più fortunati – Ballard, Disch, Dick, Lafferty, Silverberg, Lovecraft, Brown. Per il resto rivendere in bancarella, che male c’è. Con i due arbitri d’eleganza e di fs sarebbe tramontata un’epoca di magistero (e di fenomenali antologie di racconti) che, come tale, non si è più ripetuta.
Giuseppe Lippi
(2- continua)