Urania Jumbo 17: N. K. Jemisin, “Il portale degli obelischi”
N.K. Jemisin, “Il portale degli obelischi”, Urania Jumbo n. 17, marzo 2021
[*** QUESTO È IL SECONDO VOLUME DI UNA TRILOGIA: NON LEGGETE L’ARTICOLO PRIMA DI AVER LETTO “La Quinta Stagione” SE VOLETE EVITARE SPOILER ***]
A marzo, con Urania Jumbo, torniamo nel continente Immoto fra orogeni, mangiapietra e custodi.
Una devastante, nuova Quinta Stagione sta cambiando volto alla vita sul pianeta, ma stavolta l’evento non è naturale, bensì provocato da un singolo orogeno: Alabaster.
Essun, alias Syenite, la potente orogena protagonista della saga, ha trovato rifugio nell’antica com di Castrima, una città sotterranea scavata in tempi remoti all’interno di un’enorme geode. Nel nuovo rifugio il potere degli orogeni è fondamentale per la sopravvivenza, e dunque la loro esistenza viene tollerata dalle persone “normali”. Essun ritrova e si confronta con il suo ex compagno e amante, Alabaster… o meglio, con ciò che ne rimane.
L’utilizzo del potere ha mutato gran parte del corpo dell’orogeno in pietra, e sembra non gli resti molto da vivere. Alabaster crede che solo Essun potrà richiamare un obelisco dal cielo e portare avanti l’ingrato compito di mettere fine alla sofferenza e alla schiavitù del mondo in cui sono nati, il mondo del crudele Padre Terra, in cui gli orogeni vengono trattati alla stregua di mostri, massacrati, sfruttati in modi terribili o tenuti al guinzaglio come cani ammaestrati dagli spietati custodi, e così le insegna a sfruttare al massimo i suoi poteri.
Intanto la piccola Nassun, l’unica figlia superstite di Essun, arriva con il padre Jija a Ultima Luna, una com che pullula di custodi e giovani orogeni come lei. Lì la bambina incontra Shaffa, il custode di sua madre, con cui sviluppa un legame particolare. Anche Nassun, parallelamente a Essun, percepisce che oltre all’orogenia esiste un potere ancora più forte e misterioso, di cui cerca di dipanare il mistero.
Sia Essun che Nassun, inoltre, sentono parlare per la prima volta di un misterioso satellite chiamato “Luna” che un tempo, si dice, gravitava nei cieli del Pianeta. Tanti secoli fa, prima che Padre Terra si arrabbiasse con gli uomini e li punisse con le Quinte Stagioni.
N. K. Jemisin è nata ad Iowa City nel 1972. Ha scritto otto romanzi e diverse raccolte di racconti, per i quali ha ricevuto molti premi, fra cui tre premi Hugo come miglior romanzo per tutti e tre i romanzi della Terra Spezzata nel 2016, nel 2017 e nel 2018.
The Obelisk Gate è il secondo romanzo della trilogia della Terra Spezzata, seguito di “La Quinta Stagione”, Urania Jumbo n. 12.
Buona lettura!
EBOOK DISPONIBILE A MARZO
Posted in Ebook, Urania Jumbo
febbraio 25th, 2021 at 08:49
Ottima uscita: la copertina del Jumbo con la foto che continua oltre il cerchio mi convince sempre di più!
febbraio 25th, 2021 at 18:34
spero che non dovremo aspettare un anno o più per il terzo volume
febbraio 27th, 2021 at 20:19
Nel suo genere sarà anche ben confezionato, ci avrà pure tutte le ragioni del mondo (un tema importante trattato a dire il vero in maniera alquanto didascalica) ma questo è uno degli esempi di letteratura fantastica moderna (perché non la considero fantascienza solo perché è ambientata nel futuro) che proprio non mi parla.
Mi sembra un buon prodotto e forse è per questo che non mi parla: perché mi sembra un prodotto. Tutto è un prodotto, anche i dischi delle mie etichette indipendenti preferite, ma il fatto è che quando li ascolto riesco a non pensare a quanto è ben confezionato è il prodotto e inoltre penso di non essere neanche il target per cui questo (buon) prodotto è stato pensato.
Pazienza: il mio genere letterario preferito se la caverà benissimo anche senza di me.
marzo 5th, 2021 at 15:30
Silver Apple ha esposto un pensiero forse non articolato al meglio… però ha sfiorato un tasto interessante. Le scrittrici attuali di fantascienza hanno una narrativa molto “fanta” e poco “scienza” nel senso che fanno un uso intenso dei dialoghi fini a se stessi e descrizioni che descrivono poco. Penso ad esempio a Eon di Greg Bear o “l’anello di caronte” di Allen e così molti altri autori dove le descrizioni ambientali della fantascienza narrata, fanno toccare con mano certi luoghi. Ann Leckie con il primo Urania Jumbo ha avuto dei momenti di originalità ma strada facendo a volte leggevo davvero delle ingenuità (magari é un problema di traduzione, ma di solito i nostri traduttori sono davvero in gamba a mantenere l’atmosfera originale e usare i termini più appropriati). Questo non vuole dire che scrittori blasonati non abbiano le loro lacune, vedi il recente James Gunn (che riposi in pace) con il suo “oltre l’ignoto” che ho fatto davvero molta, molta fatica a finirlo. Tornando a sopra, credo che le scrittrici attuali siano un po’ sopravvalutate, oppure si dovrebbe classificare le loro produzioni come genere Fantasy, a mio avviso molto più appropriato. Scusate l’excursus …
marzo 5th, 2021 at 22:01
Io non penso e non volevo intendere che “le nuove scrittrici siano sopravvalutate”.
Il problema secondo me è alla base della fantascienza statunitense young adultizzata e netflixizzata che si scrive in base tre. Ultimamente sono molte le donne che ne stanno scrivendo molta (E tutto va in proporzione). Lo fanno anche bene, forse in maniera un po’ scolastica per un pubblico evidentemente di un certo rilievo, più giovane e meno sgamato di me (e composto, immagino, per lo più di giovani ragazze più sgamate di me in tutto tranne che nel gusto letterario che si costruisce lettura dopo lettura negli anni), per un genere letterario che ne ha bisogno per rinnovarsi e pure per reagire a certe tensioni che con un certo eufemismo definirei conservatrici. Riempirle tutte di premi e definire tutti i loro romanzi dei capolavori solo per farla in barba ai troll fascisti mi sembra disonesto e pure paternalista nei loro confronti. Io valuto la loro proposta per quello che è più che per quello che rappresenta o serenamente anche solo in base al mio gusto personale. Non avevo voglia di uscire dalla mia comfort zone per passare mille pagine in compagnia di uno science-fantasy al femminile (e anche questo mi sembra uno stereotipo… sei una tipa e devi per forza mettere un elemento fantasy), scritta da una che come persona per carità non nego che sia buona come il pane.
Qui in Italia queste tensioni nel fandom non le ho avvertite, mi arrivano solo da oltreoceano dei romanzi che possono essere anche discreti accompagnati da strilli istericamente entusiasti mentre io leggo cose tipo “Oval” o le raccolte sul solarpunk o quelle di fantascienza vietnamita curate da Francesco Verso. Non per fare campanilismo ma se proprio devo confrontarli con altri romanzi scritti per forza da altre donne quelli pubblicati dalla Delos mi sembrano molto piu interessanti anche solo a livello di proposta quando devo scegliere cosa leggere.
marzo 14th, 2021 at 10:02
Lo sto leggendo ora, e mi piace molto. Saluti
marzo 16th, 2021 at 21:15
Non entro nel merito del dibattito sulle nuove generazioni di scrittrici americane, nè sulla commistione di generi.
Il libro è scritto benissimo e la vicenda è affascinante, a prescindere dalle etichette e dai premi ricevuti.
Un assalto al cielo (in senso letterale) in seconda persona singolare.
Impossibile non leggervi uno spaccato dell’America contemporanea e delle sue contraddizioni (pre e post Black Lives Matter).
Consigliatissimo.
Colonna sonora suggerita:
Sault- Untitled (Black is & Rise)
marzo 28th, 2021 at 16:37
Anche se leggermente diverse nelle conclusioni concordo con le considerazioni di Silver Apple e Mariner. Quanto al discorso del -prodotto- è vero, tutta o quasi la produzione letteraria deve ormai tener conto di ineludibili esigenze editoriali. E lo affermo con cognizione di causa perché anch’io, appartenendo alla bizzarra specie di quelli che scrivono romanzi, a volte ne ho dovuto accettare i dettami. L’importante è appunto, come mi pare voglia dire Silver Apple, che la confezione non abbia il sopravvento sulla sostanza e la forma dei contenuti.
Che poi gli scritti in questione possano piacere o meno, dipende da molti fattori tra i quali la formazione culturale e il gusto personale. Per finire, se mi è permesso dirlo, auspicherei da parte dell’editore un maggior rigore quando sceglie di stampare in una collana di fantascienza quello che, a mio parere, dovrebbe rientrare nel fantasy.
marzo 29th, 2021 at 08:36
Ciao Damiano,
la saga della Jemisin è considerata a tutti gli effetti fantascienza (e chi ha letto tutti e tre i volumi sa perché).
D’altro canto, il confine tra fantascienza e fantastico può essere labile, spesso esistono delle contaminazioni e alcuni romanzi possono essere difficilmente collocabili in uno o l’altro ambito. Storicamente Urania ha dato spazio a entrambi.
Buona giornata e Stay Tuned!
marzo 29th, 2021 at 09:11
Gentile redazione, tra quanti hanno qui scritto non mi pare di esser l’unico ad aver definito fantasy – il portale degli obelischi-. Come pure ho intuito che dietro la parola –magia- deve nascondersi ben altro: anche perché sarebbe offensivo verso i lettori di questa collana se fosse diversamente. Il fatto che infine e come posso presumere nel terzo romanzo della serie si spieghi tutto come frutto di una scienza avanzata, non modifica il mio giudizio sull’opera. Credo di aver diritto di giudicare anche le opere singole e non solo i loro proseguimenti, nati e concepiti peraltro per motivi di cassetta e non di necessità espressiva. D’altra parte, Urania è libera di pubblicare ciò che vuole; come lo sono io di valutare assai più attentamente quando sia il caso di non comprare la sua produzione.
aprile 6th, 2021 at 04:03
Secondo me non è neanche così importante se la tecnologia descritta in un libro sia fantascientifica al 100%, posso fare l’esempio del nanopunk che descriveva una tecnologia completamente fantascientifica che ha finito con l’essere sovrapponibile alla magia. Il genere ha esaurito il suo potenziale in pochissimo producendo pochissime opere degne di nota. Basta pensare a come è finita male la serie wetware di Rudy Rucker.
Io sospetto che stia succedendo una cosa analoga con l’intelligenza artificiale.
Il nodo è la funzione che la tecnologia svolge all’interno della trama più che la plausibilità della tecnologia, ma in realtà non penso che non sia neanche così importante che la tecnologia abbia un ruolo centrale. In una delle antologie dei connettivisti c’erano racconti che potrebbero essere definiti futuri racconti non di fantascienza in cui persone normali vivono vicende normali e subiscono le ricadute del progresso tecnologico, che è quello che succede a tutti.
Secondo me sarebbe ora che la fantascienza diventi definitivamente letteratura e basta, con storie mature e personaggi dotati di tridimensionalità e non roba fatta con lo stampino.
Sinceramente il tipo di storie in cui solo un uomo può salvare l’universo, solo un ragazzino di tredici anni con i poteri particolari può opporsi allo strapotere della potente confraternita dei guardiani che tiene schiavizzata l’umanità mi ha stancato.
Questo rientra all’interno di un discorso sull’appiattimento nella letteratura statunitense che nasce già omologata nei corsi di scrittura creativa e poi oblitera ogni possibile voce diversa con l’editing.
Appartenere ad una categoria al centro del dibattito non ti dota automaticamente di una voce diversa se fai una narrativa perfettamente omologata. Io trovo più interessante un autore che esercita la sua differenza rispetto all’esistente tramite il suo lavoro sulla forma all’interno dell’opera d’arte, la sua posizione all’interno della società è secondaria come del resto la sua biografia mentre la tendenza è mettere l’autore al centro e se poi entri in un dissing sui social l’isterismo è assicurato. Puoi benissimo scardinare le forme ed esseee perfettamente inserito, puoi perfino scrivere un libro interessante essendo uno di quei porci schifosi che si ostinano ad essere maschi, bianchi ed eterosessuali. È quando le due cose vanno di pari passo che la miscela è esplosiva. (La terza opzione è che sei un sociopatico che scrive male).
Il massimo in questo senso è William Burroughs che ha fatto un lavoro sulla forma estrema ancora adesso, non ha mai fatto una bandiera della propria diversità (diffido di chi viene venduto come “la nuova voce di…”),impossibile da addomesticare, impresentabile e perfino controproducente nel processo di rendere l’omosessualità socialmente accettabile. Anche senza arrivare a questi livelli ci sono tante mezze misure, ma queste trilogie science fantasy young adult tanto decantate come qualcosa di diverso da/la nuova voce di etc etc come se avessero trovato il nuovo James Joyce e invece se va bene sono “solo” storie normalissime raccontate con un’espediente che si discosta di un millimetro dale forme più comuni. Ecco… non mi sembrano così tanto “altre” rispetto all’esistente. Non è che ogni cosa che leggo deve essere super sperimentale ma visto che mettono così tanto l’accento si questo aspetto mi sento di ridimensionare la portata di questa roba.
Una delle cose “più diversae da” la sto leggendo proprio in questi giorni ed è stata scritta circa novant’anni fa: sono gli unici due romanzi editi in Italia di Henry Stephen Keeler che ha un’ inventiva infinita, smonta e rimonta in maniera diversa i meccanismi del giallo da camera chiusa, gioca col mezzo con una sensibilità postmiderna ed erano gli anni trenta, era considerato un paperback writer da due soldi ma in realtà credo che sia l’unico a potersi fregiare di essere stato un antesignano di quello che avrebbe fatto Thomas Pynchon.
È peggio osannare un libro comune in tempo reale o aspettare novant’anni per riconoscere un genio?