Non-A, ovvero L’utopia del ragionare corretto
Pubblichiamo un intervento del traduttore e critico Riccardo Valla sul Non-A e i meccanismi narrativi adottati da A.E. van Vogt nei suoi romanzi.
Più che nella fantascienza, Non-A andrebbe collocato tra i romanzi utopici, dato che è una delle ultime utopie scritte nel Ventesimo secolo (epoca in cui si sono scritte soprattutto anti-utopie).
Naturalmente, come per le altre utopie, la sua forma segue quella del romanzo della sua epoca, e infatti Non-A non è privo di componenti avventurose e di spunti fantascientifici come gli imperi galattici, le macchine pensanti e i viaggi tra i pianeti. ovvero, per dirla con alcune parole dello stesso van Vogt, è uno di quei “romanzi aristotelici in cui vince sempre l’eroe” (cap. 4). Ma anche Il mondo nuovo era più vicino al romanzo dei suoi tempi – nel suo caso abbiamo il romanzo dello sviluppo della personalità del Selvaggio – che ai lunghi fervorini delle utopie del Settecento, le quali, da parte loro, appartenendo a un’epoca in cui gli scrittori filosofeggiavano a ogni pie’ sospinto, sono diverse dai racconti di viaggio che costituivano la forma delle prime utopie. Quindi non c’è da stupirsi di trovare un’utopia nella forma del romanzo fantascientifico anni Quaranta, con tutte le componenti “pulp” o “space opera” ereditate dal quindicennio precedente. Del resto, il patrimonio di immagini sviluppato dalla fantascienza fino a quel momento – astronavi, pianeti alieni abitati, nuove scienze dell’elettrone e dell’atomo, intelligenze artificiali, mutanti, androidi – è ancora valido oggi, dopo settant’anni, come dimostra il successo di Guerre stellari.
A detta dell’autore, Non-A è il suo libro di maggiore successo. Nella introduzione all’edizione riveduta del 1970, van Vogt scriveva:
Dopo la seconda guerra mondiale, è stato il primo romanzo di fantascienza scelto da uno dei più importanti editori americani per essere pubblicato in volume.
Ha vinto il premio del Manuscripters Club.
L’Associazione delle Biblioteche di New York l’ha incluso tra i migliori romanzi del 1948.
In Francia, Jacques Sadoul afferma che il romanzo, quando ne comparve la prima edizione, creò virtualmente da solo il mercato francese della fantascienza. Quella prima edizione vendette più di 25.000 copie.
La pubblicazione del romanzo ha richiamato un forte interesse sulla Semantica generale. Numerosi studenti, per merito suo, sono affluiti all’Istituto di Semantica generale di Lakeville, nel Connecticut, per studiare con il conte Alfred Korzybski; lo stesso Korzybski si è fatto fotografare mentre legge il romanzo.
È stato tradotto in nove lingue.
E in realtà, con la sua scusa di ritrarre un futuro mondo basato sulla Semantica generale – un’utopia, dunque – il romanzo è davvero un’efficace presentazione di quella scuola.
Del romanzo esistono nella lingua originale tre versioni: quella apparsa in tre puntate sulla rivista “Astounding”, dall’agosto all’ottobre 1945, quella pubblicata in volume rilegato nel 1948 da Simon & Schuster a cui accenna van Vogt nel passaggio citato, e la revisione del 1970 per i tascabili della Berkley Books. A detta dell’autore, la revisione del 1970 è stata eseguita per accogliere alcune vecchie osservazioni di Damon Knight, risalenti anch’esse al 1945 e poi ripubblicate nella raccolta degli articoli di Knight. Dice van Vogt nella introduzione del 1970:
Poco tempo dopo che il romanzo fu pubblicato a puntate, un appassionato di fantascienza, il cui nome mi giungeva nuovo, mandò a una rivista ciclostilata un attacco, assai vigoroso e circostanziato, contro quel romanzo in particolare e contro tutte le mie opere scritte fino a quel momento in generale. L’articolo terminava (cito a memoria), con la frase: “Come scrittore, in realtà, van Vogt non è affatto un gigante come si dice; è soltanto un pigmeo che usa una gigantesca macchina per scrivere”.
Il giovanotto era Knight, allora 23-enne e in seguito fondatore dell’Associazione degli Scrittori di Fantascienza. Van Vogt osserva che quella di Knight è una critica assai citata, ma che non ha trovato grandi consensi e che:
Dunque, non dovrei farmene una preoccupazione. Ma allora, perché sottoporre a revisione il romanzo? Mi sono sobbarcato a tutto questo lavoro per un singolo critico?
Ehm, sì.
E come mai, chiederete voi?
Vedete: il potere va rispettato, su questo pianeta.
E Knight ne ha?
Sì, Knight ne ha.
Il fatto che quelle accuse non abbiano trovato seguito dipende anche dal fatto che la critica – prima che lo riscoprisse come “maestro” di Philip K. Dick – si è raramente interessata di van Vogt e per molto tempo i commenti su di lui sembravano limitarsi al vecchio articolo di Knight in cui veniva messa in dubbio la coerenza interna delle sue storie. Van Vogt stesso è intervenuto poche volte a parlare dei propri scritti e la sua principale “autodifesa” è un articolo sulla “complicazione nella fantascienza”, con cui contribuì a un volume collettivo del 1947, in cui gli scrittori parlavano del loro modo di lavorare. In quell’articolo, van Vogt sembra voler rispondere alle accuse di Knight in questo modo: per essere efficace sul lettore, un romanzo deve presentare una sorpresa ogni quattro o cinque pagine. Ossia, se un autore cerca la sorpresa non può badare molto alla coerenza. Che è quel che in italiano si esprimeva col noto verso “è del poeta il fin la meraviglia” e secondo un critico del genere fantastico, Punter, corrisponde all’estetica del romanzo gotico del Settecento, dove non si badava alla plausibilità ma alla forza della storia.
In realtà, quella della coerenza è un’accusa irrilevante. Come osserva uno dei pochi che si siano occupati di van Vogt, John Clute nella Enciclopedia della fantascienza, van Vogt – pur scrivendo storie adatte alla produzione romanzesco-popolare-avventurosa delle riviste di fantascienza,
accentuava l’impatto emotivo e la complessità di queste storie con i suoi mostri alieni quasi invincibili, i lunghissimi intervalli temporali a cui faceva riferimento, i paradossi temporali, i superuomini quasi messianici che prendono possesso della scena con il procedere della narrazione, gli imperi galattici che quei superuomini finiscono per dominare e l’onnipotenza solitaria e trascendente a cui sono destinati, il tutto in una prosa che usa colori duri e cupi, ma che trasmette con una convinzione da sogno un forte senso di meraviglia. Le brusche complicazioni della vicenda narrata, caratteristica che è divenuta fin troppo nota, e che è stata ferocemente derisa per la sua illogicità e la sua assurdità, per di più in romanzi che pretendevano di presentare al lettore qualche forma superiore di logica, si possono meglio analizzare e comprendere se i bruschi cambiamenti di prospettiva, di logica e di scala vengono visti come qualcosa di analogo al procedere di un sogno. Sono questi “sogni di fantascienza scientifica”, così seducentemente privi dei vincoli e dei manierismi surrealistici che caratterizzano molta narrativa onirica, ad avere tanto colpito varie generazioni di ragazzi e di adolescenti.
E continua:
I critici come Damon Knight tendono a vedere la tipica storia vanvogtiana come un tentativo fallito di scrivere un racconto di fantascienza scientifica (…) ma le space opera di van Vogt, come detto, sono sostanzialmente la trasposizione narrativa di sogni che esprimono i bisogni e i desideri profondi e simbolici dei suoi lettori.
Dato che la logica delle storie di van Vogt è quella del sogno e che le sue storie fanno risuonare le corde profonde dell’emozione del lettore: accusare van Vogt di non essere coerente è come accusare Picasso di non essere iperrealista.
Anche se dalle parole di van Vogt si ricaverebbe che ha ripreso in mano Non-A per l’edizione del 1970, le modifiche principali erano già avvenute nel 1948, quando apparve la versione in libro, che è quella tradotta in Italia nel 1953 nei “Romanzi di Urania” con il titolo Non-A. (A questo proposito si può ricordare un particolare curioso: l’anno citato nelle edizioni originali e il 2560; sia nella edizione in rivista, sia nel testo del volume. Il solo punto dove sia riportato il numero 2650 è il risvolto di copertina del libro del 1948.)
L’edizione in libro presenta notevoli differenze rispetto all’edizione su rivista, con la soppressione di brevi osservazioni, come di solito avviene nei casi di questi passaggi da rivista a libro, ma anche di interi capitoli.
Probabilmente la revisione è stata fatta per poter scrivere il seguito, Le pedine del Non-A, apparso su rivista alla fine del 1948, e la cui storia contraddice alcune affermazioni del romanzo del 1945, soprattutto nel rapporto tra Gosseyn e Patricia Hardie.
In genere, la versione su rivista è più “semantica”, nel senso che descrive più dettagliatamente i ragionamenti con cui Gosseyn, all’inizio della storia, cerca di distinguere il vero dal falso, tanto nei suoi ricordi quanto negli incontri della giornata. In genere sono brevi frasi, ma a nostro parere, alcune di quelle brevi notazioni erano utili per presentare il personaggio e la sua società e le abbiamo ripristinate.
Per dare un esempio, prendiamo il riferimento di Gosseyn alla “pausa semantica” occorrente per raggiungere “l’integrazione corticale-talamica”. Nella cabina della Macchina, il primo giorno delle Gare, la versione in libro dice:
Gosseyn s’irrigidì. “Sì. Mi sono state impiantate nella mente alcune idee false. È stato fatto per uno scopo ben preciso?”
La prima versione su rivista diceva, invece di “s’irrigidì”:
Raccolse automaticamente i pensieri, fece la pausa semantica necessaria per l’integrazione corticale-talamica e parlò.
Quando Gosseyn è nell’auto degli agenti che si fingono gangster, e rivolge una domanda a uno degli uomini per trarre qualche informazione dalla risposta, la “pausa” è di nuovo citata. A parte il fatto che Gosseyn, nella vecchia versione, rivolge la domanda a due uomini e il primo non gli risponde, quella prima versione diceva:
I comuni malfattori non parlavano così. L’uomo aveva risposto senza la pausa necesaria all’integrazione corticale-talamica.
Aveva risposto senza pensare.
Questi precedenti accenni hanno una certa importanza, perché preparano all’episodio in cui Thorson ironizza sul Non-A, dopo avere sorpreso Gosseyn chiamandolo “superuomo”:
“Ah, non risponde” disse lentamente l’uomo. “La classica pausa non-Aristotelica, vero? Entro pochi istanti, la sua presente situazione sarà integrata e portata sotto il controllo della corteccia cerebrale, e ne scaturiranno parole di profonda saggezza semantica!”
Nell’edizione del 1948 sono state eliminate anche molte citazioni che comparivano agli inizi di capitolo, come se ci fosse stato un ripensamento. Ne citiamo una, che in origine precedeva la misteriosa fuga di Gosseyn I dal suo carcere:
Le guarigioni miracolose si verificano raramente. Tuttavia, nonostante il loro esiguo numero, dimostrano l’esistenza di processi organici e mentali a noi sconosciuti. E mostrano come taluni stati mistici (…) abbiano un effetto rilevabile.
In seguito, nella terza puntata apparsa su rivista, van Vogt osserva che il Non-A ha integrato anche i fenomeni parapsicologici. Nell’edizione in libro la frase è sparita e così la citazione di inizio capitolo.
Come si diceva, altre differenze riguardano lunghi passaggi, fino a interi capitoli. Una prima sostanziale diversità tra le due versioni si ha quando Gosseyn I è prigioniero nel palazzo presidenziale. Dopo l’esame a cui è sottoposto da “X” e Thorson, per “fotografare” la sua corteccia cerebrale, Gosseyn è trasferito in una cella sotterranea. Nella versione su rivista è legato alla sedia e alcuni operai portano un tavolo e gli strumenti occorrenti per le nuove analisi. Poi giunge Thorson, che dice: “Questa volta l’esame le farà male e le danneggerà il cervello, ma non possiamo fermarci davanti a simili sottigliezze”. Un istante più tardi, Gosseyn è in un corridoio del palazzo e fugge. Non ricorda come abbia fatto ad arrivare laggiù.
Entra nello studio di Hardie “passando attraverso la parete” (o così gli sembra) e Hardie non lo vede. Lo vede però Patricia, e fa capire che Gosseyn può rifugiarsi nel suo appartamento. Gosseyn però vuole raggiungere la Macchina per affidarsi alla sua professione e fugge (come? Esce sul balcone e vede davanti a sé i prati e i viali della Macchina. Nella frase successiva leggiamo: “Era a cento piedi dalla Macchina quando fu circondato.” Un altro spostamento “miracoloso” di cui non si rende conto neppure Gosseyn?). Poi è ucciso dagli uomini di Thorson.
Quei misteriosi spostamenti non sono giustificati da van Vogt, ma la spiegazione più semplice è che in un momento di grande tensione il “distorter organico” di Gosseyn entri in funzione e lo teletrasporti altrove. È una idea che si incontra spesso – il “talento” non coltivato o inconscio che compare in momenti di stress; potrebbe risalire a Charles Fort e alle sue serie di articoli sui fenomeni inspiegabili della mente umana: èanche quanto succede nel romanzo di un autore che usa a sua volta la tecnica incalzante di van Vogt: Alfred Bester. In La tigre della notte il teletrasporto viene scoperto in quel modo: grazie a un uomo in pericolo di vita che si è teletrasportato altrove e che è inconsapevole di averlo fatto.
Nella versione in libro, invece, non compaiono i poteri di teletrasportarsi di Gosseyn I. A far uscire Gosseyn dalla prigione sotterranea è semplicemente Patricia Hardie, che approfitta dell’assenza delle guardie. Poco dopo, l’incontro tra Patricia e Crang – cui assiste Gosseyn senza essere visto – compare solo nella versione in libro.
Un lungo brano che è stato eliminato è quello successivo, quando Gosseyn II riprende i sensi su Venere. Si risveglia nella casa-ospedale di Prescott e, mentre i due lo credono ancora addormentato, ascolta i discorsi di Prescott alla moglie (in questa versione, Gosseyn non ha udito le parole di Crang e non sa che Prescott è un congiurato; inoltre, durante il suo esame nel palazzo presidenziale, nessuno ha parlato di “galattici”). Apprende che è stato trovato privo di sensi vicino alla Macchina (quella di Venere, perché ce n’è una anche lì) e un “agente della Macchina” (un aeroplano-robot) lo ha portato al loro ospedale. Dato che è un clandestino, i detective di Venere arriveranno presto per ucciderlo a vista, come vuole la legge del pianeta. Anche qui, Gosseyn riesce a prendere prigionieri i due e racconta loro la sua storia; i Prescott lo aiutano a fuggire. Gosseyn vaga nella foresta per un paio di settimane, e alla fine viene prelevato – anche in questa versione – da un altro “agente della Macchina”, il quale gli ordina di consegnarsi a Crang. Prima di lasciarlo, però, lo avverte che la Macchina sospetta la presenza di alieni su Venere. Gosseyn entra nella casa di Crang e aspetta che il padrone di casa lo catturi.
Nella prima versione ci sono alcune descrizioni di Venere che sono state eliminate e che riguardano soprattutto le ipotesi sui nativi del pianeta, che nessuno ha mai visto ma di cui si scorgono talvolta le tracce. La spiegazione che viene offerta è che siano abilissimi nel mimetizzarsi e a dire il vero non è molto convincente, in un mondo dove tutti praticano la scienza del ragionare corretto. In questa versione, Venere è il pianeta lussureggiante della vecchia fantascienza e la sua flora è quella nativa; nella versione successiva il clima di Venere è stato modificato dall’uomo e la sua flora è stata importata dalla Terra.
Però, questa correzione lascia aperto un problema. Se è accettabile che la base galattica fosse sul pianeta-foresta descritto nella prima stesura, la terraformazione comporta che sia stata costruita quando Venere era ancora un mondo privo di vita e surriscaldato dall’effetto serra. Infatti, nel discorso tra Enro e il rappresentante della Lega, questi dice che la base è stata costruita cinquecento anni prima.
Dopo il ritorno di Gosseyn sulla Terra, prima che gli venga mostrato il corpo di Gosseyn I, nella prima versione non riceve le varie visite clandestine (Patricia, il Presidente, Prescott). Patricia – che nella versione del 1948 è legata a Eldred Crang, come Gosseyn ha saputo per caso prima di essere ucciso – quando va a salvare Gosseyn dal suicidio dopo la distruzione della Macchina, gli rivela che il suo terzo corpo è stato distrutto. Quando vede la sorpresa di Gosseyn, commenta:
“Vuole dire che non lo sa? Che non ha idea di quanto è successo? Non posso fermarmi a spiegarglielo. Legga i giornali.”
Si alzò dalla poltroncina. “Ricordi: porti il distorter a casa del giovanotto di cui le ho parlato” (versione del 1948).
Nell’edizione su rivista, non c’è nessuna relazione tra Patricia e Crang e si legge:
“Vuole dire che non lo sa? Che non ha idea di quanto è successo?” Il suo tono cambiò. “Ora capisco la sua ostinazione. Cominciavo a credere di avere sposato uno stupido.” [in orig.: dumbbell]
Si alzò di scatto, mordendosi il labbro. “Oh! Questo sì, che è stato un lapsus. Meglio che me ne vada, prima di raccontare troppo. Ricordi: porti il distorter a casa del giovanotto dabbasso” (versione del 1945).
Gli lancia le chiavi delle manette e lo saluta chiamandolo darling. Gosseyn per qualche minuto continua a chiedersi che relazione ci fosse tra lui e Patricia. Questo spunto, del matrimonio tra i due, ricompare anche più avanti nell’edizione in rivista ma è stato tolto dall’edizione in libro.
Per qualche pagina, da questo punto in poi, la nuova versione e la vecchia sono uguali. L’incontro tra Enro e l’ambasciatore della Lega è identico. In entrambe le versioni, Gosseyn e Lyttle recuperano il distorter, Gosseyn lo attiva involontariamente e si trova su Venere dove scopre la base galattica.
Nella versione in libro, quando esce dall’albero incappa in un trabocchetto e si trova nelle mani di Thorson. Nella versione del 1945, tra l’uscita dall’albero e la cattura invece passano quindici giorni e in quel periodo Gosseyn ha varie avventure: incontra i Non-A di Venere e comincia ad addestrare il suo cervello soprannumerario.
Dato che la prima versione si differenzia dalle altre, diamo qui di seguito un sunto di quanto accade nella versione su rivista dopo il ritorno di Gosseyn su Venere. Lasciamo da parte i punti rimasti uguali nelle due versioni.
Gosseyn porta con sé il distorter e lo nasconde entro l’albero, vicino all’uscita dal tronco. Poi, per prima cosa, quando scende dall’albero, Gosseyn si accorge della presenza di uomini a terra. Sono due agenti del nemico; Gosseyn ne uccide uno e scopre che il secondo è una sua vecchia conoscenza, Blayney. Uno degli uomini di Crang: quello che l’aveva colpito durante la sua prima visita a Venere.
Lascia libero Blayney e si muove tra gli alberi, ma poco più tardi è catturato da un gruppo di venusiani. Riconosciuto come Non-A, racconta la sua storia e i venusiani gli riferiscono della loro lotta contro gli invasori: hanno un gran numero di caduti, ma ogni giorno si impadroniscono di grandi quantità di armi e di equipaggiamento.
Aiutato dai venusiani, Gosseyn comincia ad addestrare il suo cervello supplementare, ma non ottiene risultati e giunge alla conclusione che per addestrarlo gli serve il distorter, tuttora nascosto nell’albero. Gosseyn guida i compagni all’albero e là finisce nel trabocchetto di Thorson.
Nel complesso, la parte eliminata occupa una decina di pagine e contiene alcuni spunti su cui soffermarsi. A parte il tentativo di spiegarsi il suo matrimonio (la sola spiegazione a cui riesca a giungere è che fossero sposati e che tutt’e due si siano messi a disposizione del misterioso giocatore di scacchi, il quale ha fatto entrare Patricia tra i congiurati e a Gosseyn ha cancellato la memoria), i venusiani vengono a sapere da Gosseyn dell’esistenza della base sotterranea. Ragionando sull’informazione, i Non-A giungono alla conclusione che se la base è stata nascosta è segno che nella Galassia ci sono varie potenze; però ritengono che, per motivi di politica galattica, nessuno verrà ad aiutare Venere, perché:
In una crisi, le grandi potenze di quel tipo hanno l’abitudine di concedere facilmente all’avversario beni che non appartengono a loro, ma a terzi, e questo per evitare di dover combattere.
Un secondo filone dei discorsi è quello che riguarda gli alieni. Esistono altre razze senzienti? Finora, tutti i galattici da loro visti sono uomini.
In questa prima versione i riferimenti all’ignoto “giocatore di scacchi” sono più numerosi che nelle successive. Una delle citazioni è nelle pagine eliminate. Il venusiano che aveva parlato di alieni continua:
“Quanto alla distruzione della Macchina delle Selezioni, non rinpiangerla troppo, Gosseyn! Non è stata costruita da esseri umani. Cinquant’anni fa, il piano di costruirne una su Venere è fallito perché abbiamo scoperto che le nostre conoscenze scientifiche erano insufficienti.
“La conclusione più logica è che il tuo invisibile giocatore di scacchi sia in circolazione da un bel numero di anni. Senza dubbio la Macchina è stata una buona cosa, all’inizio, ma alla lunga non vogliamo che il nostro destino sia modellato da un’entità aliena.”
Caduto nel trabocchetto mentre va a recuperare il distorter, Gosseyn finisce nelle mani di Thorson, che gli propone un’alleanza. Nella prima versione il galattico si dilunga sul fatto che in tutta la Galassia (il plenum, nell’originale) si incontri una sola razza intelligente, quella umana. Il fatto più curioso, dice, è che sui pianeti abitati ci sono animali che potrebbero essere gli antenati dell’uomo, ma il fatto che gli uomini siano uguali su tutti i pianeti fa supporre che vi sia stata una civiltà umana estesa a tutta la Galassia e di cui non restano tracce. (La spiegazione verrà data alla fine del secondo romanzo, Le pedine del Non-A, dove si parla di astronavi che nel lontano passato hanno raggiunto tutti i mondi della Galassia per diffondervi la struttura più complessa dell’univeso, il cervello umano; detta così, sembra solo una trovata da space opera per stupire i lettori, visto che le parole di Thorson sono state tolte dalle edizioni successive; del resto, era poco probabile che Thorson avesse quel genere di dubbi, visto che la religione di Enro si basa su quell’antica migrazione.)
Thorson racconta anche della sua carriera militare e Gosseyn, nell’udire i metodi da lui seguiti, pensa: “Un’intera Galassia di uomini psicologicamente non integrati!”. Apprendiamo inoltre che la Lega (quella specie di parlamento galattico che cerca di fermare il Massimo Impero di Enro) conosce il Non-A, ma non lo ha mai incoraggiato perché lo giudica una dottrina troppo pacifista.
Poi Thorson accompagna Gosseyn in una sorta di istituto per ritardati mentali che si trova nella città sotterranea di Venere e gli dice che la quantità di ritardati è il cruccio della civiltà galattica. Gosseyn gli suggerisce alcune tecniche Non-A per istruirli, ma Thorson scuote la testa perché non vuole che ricevano “troppo addestramento”. Non è chiaro se van Vogt avesse scritto quelle poche pagine per parlare della superiorità del Non-A o se servano a suggerire che da quegli istituti per minorati vengono i soldati del Massimo Impero.
Quando successivamente Gosseyn incontra Patricia, la donna gli spiega i suoi precedenti riferimenti al loro matrimonio. Entrambi, gli dice, hanno un corpo nuovo, dato loro da “un uomo con la barba”. Erano sposati da molti anni quando lei è morta in un incidente, proprio come ricordava Gosseyn all’inizio del romanzo. Patricia, comunque, ha fatto in tempo a ricevere un corpo nuovo e anche Gosseyn lo ha ricevuto perché, al risveglio di Patricia, non ci fossero differenze di età tra loro.
Tornato sulla Terra con Thorson per cercare il “giocatore”, Gosseyn arriva all’Istituto di Semantica generale, che nell’edizione in libro è vuoto. Nella edizione su rivista, a Thorson viene portato un uomo, arrestato nell’Istituto, che lo accusa e che si rivela per un delegato della Lega Galattica. Nel complesso, l’Istituto risulta contienere quindici delegati e Thorson li fa passare per le armi perché non vuole lasciare testimoni.
Giunti all’interno, Gosseyn e Thorson si fanno accompagnare nello studio di Lavoissieur, il quale spiega come il cervello soprannumerario sia frutto di una mutazione avvenuta in una delle sue copie precedenti e da allora mai più ripetutasi. In seguito, nelle rivelazioni che fa a Gosseyn prima di morire, gli spiega più dettagliatamente il proprio passato. Nella versione su rivista dice:
“Gosseyn, più di cinquecento anni fa avevo già il segreto dell’immortalità… io promossi il Non-A, che all’epoca era come una piccola pianta fiorita in un deserto di erbacce. All’epoca in cui andai su Venere possedevo già il cervello mutato; è grazie a esso che ho scoperto la base dei galattici. Usando le loro conoscenze scientifiche ho diretto la costruzione della Macchina delle Selezioni perché soltanto una macchina, in quel primo momento, poteva governare le orde indisciplinate di coloro che vivevano sulla Terra. Poi visitai le stelle.
“Quando tornai, scoprii che era già in fase avanzata un complotto per distruggere il Non-A…”
Come detto, più che per seguire le osservazioni di Damon Knight, i cambiamenti tra le due versioni sembrano fatti per poter scrivere il seguito Le pedine del Non-A, dove si dà una diversa spiegazione per le azioni di Patricia Hardie e l’attenzione si sposta dal misterioso “giocatore” all’impero di Enro.
In ogni caso, Non-A mostra parecchie somiglianze con altre sue opere di quegli anni e in particolare con il ciclo di Isher, anch’esso scritto e modificato in quel periodo. Un primo elemento di somiglianza è l'”apparecchio della verità”, che compare anche in Isher e che, anche in Isher, è una invenzione “celibe”, dato che si presenta isolata rispetto al resto della tecnologia che vediamo nel romanzo. (A quanto si desume, è una sorta di intelligenza artificiale che legge i pensieri; logicamente ci si aspetterebbe la presenza di altre macchine che sfruttino l’intelligenza artificiale e la lettura della mente. Per esempio, guidare con pensiero le macchine, tanto per dirne una.) Un secondo elemento è l’importanza data al “giudizio negativo”. In Isher abbiamo l'”uomo-no”, Gonish, che, nelle parole di van Vogt, “eliminando le ipotesi false – ‘non è questo, non è quello…’ – giunge alla scoperta della verità”; in Non-A incontriamo il motto di questo procedimento logico: “Il giudizio negativo è il culmine dell’attività mentale” (mentality, in inglese). (Oltre a una citazione del cap. 20, in cui l’inibizione – siamo in un discorso sulla trasmissione degli impulsi nervosi – viene uguagliata a una forma negativa di eccitazione.)
Una somiglianza è però stata eliminata. Nella prima versione, il cervello supplementare di Gosseyn era sorto per una mutazione in una delle precedenti copie, mutazione che non si era mai ripetuta altrove. Apparteneva dunque a quelle scoperte meravigliose ma irriproducibili che abbondano in Isher, dove la stessa immortalità di Hedrock è una mutazione (“non è un caso”, dice van Vogt, perché se lo fosse avrebbe una sua frequenza; probabilmente è da leggere come “una probabilità bassisima, tanto da non essersi mai più verificata”… l’alternativa è che sia un miracolo divino!), oppure le scoperte che Hedrock tiene nascoste per millenni. Nella successiva versione, il cervello esiste in tutti ma non è sviluppato (spiegazione che si collega a quanto verrà poi detto nelle Pedine.)
Le parti più caratteristiche – quelle scientifiche, quelle utopiche – sono però già tutte nella versione del 1945, come del resto l’immagine più forte del libro, l’uomo dai due corpi. Questa è una delle idee fondamentali della “metafisica della fantascienza americana”, ossia la concezione che la personalità (l'”anima”) sia costituita dai ricordi. Trasferendo i ricordi in un altro cervello si ha l’immortalità della persona: questa idea permea molta fantascienza dei decenni centrali del secolo scorso, ma van Vogt è stato il primo a esprimerla con la forza con cui la si trova espressa in Non-A.
Le correzioni del 1948 e il secondo romanzo arrotondano la trama e presentano – nelle Pedine – molti spunti avventurosi anche geniali come il Seguace, i Profeti (un’idea dickiana ante litteram!), il Dio Dormiente, ma privi di quella capacità di coinvolgere il lettore che caratterizzava il primo libro. Infatti, in Non-A, a Gosseyn succedono cose che il lettore non può fare a meno di applicare emotivamente a sé: scoprire di non sapere chi è – e che ci sono altri che ne sanno più di lui – scoprire di essere mosso da forze che non capisce, essere ucciso e rinascere più forte di prima. Materiale emotivo esplosivo, soprattutto se lo si incontra nell’adolescenza come dice Clute. E anche l’immaginazione scientifica (la Macchina, il distorter, le descrizioni del Non-A) possiede quel tipo di ottimismo che era una caratteristica della vecchia fantascienza, da Verne a Campbell. Invece, nelle Pedine, la storia di Secoh troppo fedele al suo dio, quella delle trame galattiche, i salti tra i pianeti e le guerre tra migliaia di navi spaziali sono avvenimenti esterni al lettore, che muovono la sua curiosità ma non la sua emotività e dunque lo lasciano freddo.
In genere si attribuisce il calo di produzione di van Vogt – che per molti anni scomparve dalla fantascienza – alla sua adesione alla Dianetica verso il 1950, ma, almeno a giudicare da questo tipo di confronti, sembrerebbe che già nel 1948 avesse perso gran parte dell’entusiasmo. Mentre in precedenza scriveva romanzi aggrovigliati ma pieni di emozioni dirette, ora scrive racconti perfetti, ma basati sul paradosso logico, come Villaggio incantato, e romnzi privi di personalità come La casa senza tempo. La stessa variazione si trova nel suo ciclo di Linn, che, apparso in numerose puntate (un po’ come la Fondazione: uscivano nello stesso periodo sulla stessa rivista, l’impero di van Vogt e quello di Asimov), nel corso degli anni, dopo un inizio avvincente si accosta sempre di più alla space opera. Da autore pieno di nuove idee avvincenti, van Vogt sembra infine diventare quella figura ben nota delle storie letterarie, lo “scrittore impotente” per ciò che riguarda la sua creatività.
Forse la trasformazione che vediamo in van Vogt dipende dall’avere esaurito il suo repertorio di psicologie osservate (aveva esordito con “storie vere”, quotidiane), forse è davvero legata al suo interesse non per la Dianetica, come si dice sempre, ma per la Semantica generale (che della Dianetica sta alla base ma la precede di quindici anni). Le emozioni che all’epoca dei suoi primi romanzi trovavano provvisoria compensazione nei suoi scritti, vengono progressivamente affrontate e risolte dalla dialettica pratica della Semantica anziché essere narrate con il contagioso entusiasmo iniziale. Troppo disingannato dal suo “ragionar corretto”, l’autore più non crede a nessuna “favola bella che ieri lo illuse” e la troppa ragione va a scapito della creatività.
Riccardo Valla
Posted in Fantascienza, Profili
aprile 17th, 2010 at 17:07
Un intervento magistrale! Meditate, gente, meditate…
aprile 22nd, 2010 at 16:29
Una eccelsa introduzione, di venti o trenta anni fa però. Adesso, gran parte degli interventi critici sono copia-e-incolla, purtroppo; di quelli nuovi, nessuno al livello di un Valla o Montanari.
novembre 3rd, 2010 at 23:24
io vorrei sapere come fare a comprarlo, altro che!
le pedine del non-a è qui, ma il non-a … dove lo compro???