Futurismo e fantascienza
L’anno scorso è stato celebrato ovunque il centenario del movimento futurista, ma pochi si sono preoccupati di stabilire eventuali rapporti tra la celebre avanguardia italiana e la narrativa di fantascienza. Lo fa per noi uno studioso come Gianfranco de Turris (nella foto accanto), che ha accettato di pubblicare qui la sua relazione sull’argomento, discussa a Trieste nel novembre 2009.
“Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”
Manifesto e fondazione del Futurismo, 1909
Sembra quasi ovvio affermare che se in Italia ci fu un movimento artistico che può avere dei punti con contatto regolari e non occasionali con quella che chiamiamo science fiction, fantascienza, questo è stato il futurismo: l’avvenire era il loro punto di riferimento, il modernismo la loro filosofia, la macchina il loro mito. La fantascienza, così come venne codificata da Hugo Gernsback nel 1926 voleva effettuare divulgazione scientifica attraverso una narrativa popolare di genere avventuroso; il movimento di Marinetti rinnegava i canoni estetici del passato e si sentiva proiettato nel futuro utilizzando nella prosa e nella poesia tutte le novità tecnico-scientifiche della sua epoca. Ovviamente non tutte le opere letterarie del futurismo furono avveniriste, né d’altra parte fu il futurismo a proporre per primo in Italia della narrativa che descrivesse il futuro o avesse al suo centro una immaginazione tecnologica futuribile. Come credo di aver dimostrato nella antologia Le aeronavi dei Savoia uscita nel 2001 per la Editrice Nord, storie di proto-fantascienza uscivano abbastanza regolarmente sulle riviste popolari italiane e sui supplementi domenicali dei quotidiani almeno dalla fine dell’Ottocento, a partire da La Tribuna Illustrata (1890) e La Domenica del Corriere (1898), influenzate soprattutto da Verne, Wells e Poe che sono, come si sa, i numi tutelari della scientifiction di Gernsback.
Se una differenza fra loro c’è, essa è – possiamo dire – “ideologica”: il futurismo era anche una “visione del mondo”, una filosofia di vita che comprendeva tutti in suoi aspetti, dalla politica alla gastronomia, dalla moda a quelli che oggi chiamiamo mass media, dalla musica all’erotismo e così via. Inoltre, aspirava ad una vera trasmutazione dell’uomo, non solo spirituale, addirittura materiale: una specie di super-essere dalle eccezionali qualità psico-fisiche che, alla fine, avrebbe quasi fuso e assommato da un lato l’aspetto uomo/donna, dall’altro sarebbe entrato in comunione mistica con l’universo. Nel futurismo, infatti, si univano agli elementi tecnico-scientifici anche quelli esoterici, occultistici e parapsicologici, in questo non diversamente da quanto veniva pubblicato nei pulps americani degli anni Venti e Trenta del Novecento. Ricordiamoci che nel manifesto La scienza futurista del 15 giugno 1916, firmato da Corra, Ginna, Chiti, Settimelli, Carli, Mara e Nannetti, si afferma esplicitamente: “La scienza tende ad immobilizzarsi nello studio delle stesse zone di realtà, insistendo nella ricerca di nuove proprietà di vecchie sostanze e di decrepite energie. Noi incitiamo invece i cervelli geniali a gettarsi nell’esplorazione delle nuove materie e delle nuove energie che vanno affacciandosi alla nostra coscienza. Attiriamo l’attenzione di tutti gli audaci verso quella zona meno scandagliata della nostra realtà che comprende i fenomeni del medianismo, dello psichismo, della rabdomanzia, della divinazione, della telepatia…”.
Una indagine esaustiva sugli elementi fantascientifici della narrativa futurista in realtà non è mai stata compiuta (mentre degli elementi esoterico-occulti sì: Futurismo esoterico di Simona Cigliana, Liguori, 2002), sia negli autori futuristi che potremmo definire ufficiali, cioè aderenti esplicitamente al movimento, sia degli autori che in qualche modo, e soltanto occasionalmente, gli furono accanto e magari pubblicarono una sola opera, spesso avvicinando al futurismo nomi che mai lo furono. Moltissimo si è disperso, e ancora oggi si va a tentoni, recuperando testi qua e là, mai classificati.
Ci possono essere due modi per tentare di effettuare questa analisi in modo sommario ma non superficiale: per autore o per tematiche (architettura, mondo futuro, robot, viaggi spaziali ecc.). Si cercherà qui una via mediana.
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), fondatore e teorico del futurismo nel 1909, nelle sue opere in versi ed in prosa inserì spesso e volentieri elementi sia fantastici che fantascientifici: nel poema La conquista delle stelle, che è del 1902 e quindi pre-futurista, già si descrive simbolicamente e nietzchianiamente l’assalto dell’Oceano al Cielo; nell’altro poema, o romanzo in versi liberi, L’aeroplano del Papa del 1912 (Liberilibri, 2006, introduzione di Giampiero Mughini), si prevede e si descrive una guerra italo-austriaca e si immagina una trasvolata in aereo dell’autore su tutta l’Italia che, quando è sopra il Vaticano, rapisce il pontefice (all’epoca Pio X, 1903-1914) con “una grande pinza” e lo trasporta penzoloni nel suo volo facendolo cadere alla fine in mare nel golfo di Trieste, mentre le truppe italiane invadono l’Austria; nel breve testo La guerra elettrica che risale addirittura al 1910, sembra di avere di fronte le illustrazioni di Robida o di Frank Paul dove cannoni elettrici svuotano l’atmosfera dell’aria e lanciano fulmini; il romanzo L’alcova d’acciaio del 1921 (Vallecchi, 2004, introduzione di Gino Agnese) è quasi un rapporto amoroso fra l’autore e la sua auto mitragliatrice blindata (la “donna autoblindata” la definisce Edoardo Sanguineti), autoblinda su cui veramente combatté durante l’offensiva di Vittorio Veneto meritandosi una medaglia al valore, una simbiosi uomo-macchina.
In un suo tardo manifesto firmato anche da Luigi Scrivo e Pino Bellanova, Il romanzo sintetico del 1939, Marinetti aveva indicato come una delle caratteristiche del nuovo romanzo quella di essere “avveniristico”, e cioè “anticipatore di eventi politici militari morali sociali scientifici ma non catastrofici”, in ciò superando anche precedenti opere scritte da lui stesso o da altri futuristi. I due romanzi più “fantascientifici” di Marinetti infatti erano stati Mafarka il futurista, uscito nello stesso anno della pubblicazione del suo manifesto in Italia e in Francia nel febbraio 1909 (edizione non censurata, Oscar Mondadori, 2003, a cura di Luigi Ballerini), e Gli Indomabili del 1922 (Oscar Mondadori, 2000, a cura di Luigi Ballerini), entrambi ambientati in un’Africa di fantasia, sviluppatasi dai ricordi e dalle suggestioni giovanili (era nato a Alessandria d’Egitto). Mafarka, uscito prima in Francia, vide la sua traduzione italiana del 1910 processata per “oltraggio al pudore” (a causa di una serie di scene di stupro e della descrizione del sesso del protagonista lungo undici metri che diventa il pennone di una nave…), assolta in primo grado e condannata in secondo, sicché la successiva edizione del 1920 uscì tagliata. Il punto essenziale del romanzo può risultare sconcertante agli occhi di chi, oggi, è abituato a sentire tante storie di signore e signorine che non disdegnano di procreare, ma – attenzione – senza il contributo maschile: qui viceversa è un uomo, Mafarka-el-Bar appunto, che con un atto di imperio su se stresso esteriorizza la propria volontà e dà vita a suo figlio Gazurmah, un figlio alato, che s’invola verso le stelle distruggendo così il mondo. Ad un certo punto Mafarka dice rivolgendosi a una donna: “Mio figlio appartiene a me solo! Io, gli ho fatto il corpo! Io, gli do vita col solo sforzo della mia volontà!… E io non ti ho chiamata per aiutarmi!… La divina semenza è ancora qui, nel mio cuore e nel mio cervello! Bisogna che io sia solo per dar vita a mio figlio!”.
Come tutti i protagonisti marinettiani, e futuristi in genere, Mafarka è un personaggio eccessivo, esagerato e sopra le righe si direbbe oggi, ma era nello stile del movimento: il suo superomismo è intellettuale, ma anche fisico come dimostrano le sue gesta. Lo stesso avviene per Gli Indomabili del 1922, un romanzo allegorico molto complesso, visionario, quasi espressionista, di un simbolismo non sempre facile da decrittare, e forse riferibile, come nota Claudia Salaris, al momento di crisi che il futurismo stata passando in quel momento (il 1922, si ricordi, è l’anno della Marcia su Roma), con questo gruppo di cento uomini tenuti prigionieri in una valle infuocata al centro di un’isola vulcanica: essi sono nudi ma, si dice, “irti di punte come istrici” con cosciali, frontali e collari di ferro, incatenati e sorvegliati. Ad un certo punto, questi “uomini-belve”, così con definiti, guidati da Mirmofin giungono in una città e corrono in aiuto dei Fluviali che si sono ribellati ai Cartacei, signori dell’isola: la descrizione della città e della sua struttura sociale, come venne già notato all’epoca, ricorda Wells. Quello da un lato di Quando il dormiente si sveglierà per le architetture, dall’altro de La macchina del tempo, la dove descrive le due popolazioni della terra futura: gli eterei Eloi e i bestiali Morlock, un po’ come nel romanzo marinettiano.
Si può aggiungere che Marinetti si cimentò anche nella fantastoria, o meglio storia alternativa, partecipando nel 1929 ad un romanzo collettaneo con altri nove autori (l’opera era firmata infatti “I Dieci”) tra cui Beltramelli, Bontempelli, D’Ambra, Zuccoli ecc., intitolato Lo Zar non è morto, “grande romanzo d’avventure” (Sironi, 2005, introduzione di Giulio Mozzi): il titolo dice già tutto e all’epoca ebbe un enorme successo, anche perché al volume era allegata la scheda di un concorso fra i lettori: vinceva chi indovinava esattamente gli autori dei singoli capitoli del romanzo (primo premio 1000 lire!).
Rimaniamo in casa Marinetti per parlare della moglie Benedetta Cappa (1897-1977), in arte solo Benedetta, che nei tre romanzi che scrisse inserì un’atmosfera fantastica e surreale con riferimenti, spunti e influenze decisamente parapsicoloigici, come si direbbe oggi, ma anche occulti ed esoterici, temi non insoliti anche nella pura fantascienza americana dell’epoca pulp che sondava le possibilità della mente. Qui, però, come si è detto all’inizio, lo scopo principale è quello di una sintesi sia con gli esseri umani che con il cosmo, sovente in base alle tesi dello spiritismo di Kardec, della teosofia della Blavatsky e soprattutto dell’antroposofia di Steiner. Ne Le forze umane (1924) la protagonista man mano che matura cerca una propria armonia con l’universo, cammino descritto anche da una serie di “sintesi grafiche” che illustrano il libro con chiari influssi steineriani, come si può dedurre dalle didascalie; il Viaggio di Gararà, che ha per sottotitolo “romanzo cosmico per il teatro”, è del 1931: in esso la protagonista del titolo crede di spiegare il mistero cosmico attraverso la pura razionalità con un viaggio attraverso la materia, però non riuscendovi; infine Astra e il sottomarino, sottotitolo “vita trasognata”, del 1935, in cui la protagonista comunica con il proprio innamorato comandante di un battello subacqueo attraverso la telepatia e il sogno. (I tre romanzi sono stati riuniti in un unico volume a cura di Simona Cigliana dalle Edizioni dell’Altana nel 1998.)
E se vogliamo rimanere nel campo delle facoltà psichiche o paranormali non si può non ricordare un importante romanzo di Bruno Corra (pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini, 1892-1976), Sam Dunn è morto del 1915 (Einaudi, 1970, a cura di Mario Verdone), presentato prima come “romanzo sintetico futurista” poi come “racconto insolito”: il protagonista, tipico superuomo futurista se così lo vogliamo definire, è portatore di un tale magnetismo da far scoppiare una follia collettiva a Parigi in cui si scontrano “visioni del mondo” opposte. E’ la ricerca, come si dice, di una “ultrarealtà”, parola che può essere intesa sia in senso parapsichico che letterario (vale a dire il surrealismo).
La propensione dei futurismo verso lo spazio, tema invero fantascientifico (ricordiamoci che il manifesto-fondazione del movimento si chiudeva con le parole: “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo,/ una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…”), è ripreso sin dalle origini da vari autori spesso in forma non tecnologica ed anche satirica.
Paolo Buzzi (1874-1956) pubblica nel 1915 L’Ellisse e la Spirale: il suo sottotitolo è “film + parole in libertà”. Infatti, i suoi capitoli sono esplicitamente strutturati come se fossero una pellicola cinematografica e narra di uno scontro fra quelli che oggi definiremmo imperi stellari. Nel 1930 Enzo Benedetto (1905-1993) pubblica a puntate sul quotidiano Il Popolo di Calabria il romanzo Viaggio al pianeta Marte (riunito in volume sono nel dopoguerra: Edizioni Arte Viva, 1971), opera sostanzialmente satirica i cui protagonisti si aggirano in un mondo bidimensionale. Con Infinito (1933) di Bruno G. Sanzin (1906-1994), un poeta triestino molto prolifico, abbiamo una “parabola cosmica” con in copertina una “visione cosmica” di Prampolini: la descrizione poetica e filosofica del contrasto/scontro fra bene e male, positivo e negativo a livello universale.
Ma se vogliamo rimanere più sul concreto fantascientifico, quello con tutti i crismi, ci si deve riferire a La fine del mondo di Volt (pseudonimo del conte viterbese Vincenzo Fani Ciotti, 1888-1927, vulcanico ingegno spento troppo bresto dalla tisi e che scrisse anche due manifesti, quello della moda femminile futurista e quello della casa futurista, entrambi nel 1920) uscito nel 1921 (Vallecchi, 2003, a mia cura): la descrizione di una società futura del 2247 che ci assomiglia molto, in cui una Italia imperiale vuole colonizzare Giove, ma i progressisti non sono d’accordo: da qui uno scontro politico e fisico, che adombra le polemiche dell’epoca, con il sacrificio del capo di coloro che vogliono conquistare il Sistema Solare e la suggestiva partenza delle astronavi dalla campagna romana verso lo spazio nonostante i divieti ufficiali. Un altro mondo futuro viene descritto da Giuseppe lo Duca (1910-2004) che nel 1927, a soli diciassette anni, pubblica La Sfera di Platino con breve introduzione di Marinetti che definisce il romanzo “una epopea eroicomica della macchina onnipotente e onnisciente”: in un mondo ristrutturato scientificamente e geometricamente da un Consiglio dei Saggi uno scienziato gelosissimo inventa la Sfera di Platino del titolo per sorvegliare sua moglie: il marchingegno serve a leggere il pensiero del prossimo scatenando il caos in un mondo che doveva essere super-razionale e super-organizzato. Emigrato in Francia nel secondo dopoguerra, Lo Duca divenne un famoso esperto di cinema fondando i Cahiers du Cinema ed un noto erotologo col nome di J.-M. (Joseph-Marie) Lo Duca.
Come si sa uno dei temi caratteristici del futurismo è “l’uomo macchina”, l’aspirazione modernista a che l’uomo diventasse qualcsa di immortale ed eterno, con pezzi artificiali e intercambiabili: tipiche dal punto di vista iconografico le figure meccaniche, diciamo pure dei robot, nei disegni e nelle pitture di Ivo Pannaggi (1901-1981) ma soprattutto di Fortunato Depero (1892-1960) che realizzò nel 1924 anche un famoso “balletto meccanico”, Anihccam del 3000. Ma non sempre i futuristi interpretavano positivamente questa aspirazione contenuta nei programmi marinettiani: ad esempio il messinese Ruggero Vasari (1898-1968) pubblicò un dittico di opere teatrali che sembrerebbe ispirato da RUR di Karel Capek (1921; traduzione inglese 1923 e traduzione italiana nel giugno 1929 sul mensile Il Dramma di Lucio Ridenti), ma che egli affermò sempre di aver scritto senza conoscere affatto l’opera dell’autore cèco, il quale rese universale il termine robot. Vasari pubblicò i due testi sotto il titolo di “Ciclo delle Macchine”: nel 1925 L’angoscia delle macchine (concepito, disse, nel 1921 e scritto a Parigi nel 1923) dove si presenta una cupa visione del mondo futuro dominato dalle macchine, e nel 1933 Raum (che reca in calce la data 1926-27) in cui si avanza la possibilità di un riscatto, ancorché tragico, dell’uomo.
Un altro autore particolarmente attratto dall’evoluzione futurista dell’uomo e di un rapporto uomo/macchina sui generis, è il pittore-scrittore Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo, morto prematuramente di tisi nel 1936 a soli 31 anni) che nell’arco di poco tempo pubblica una vera e propria trilogia di romanzi sul tema: nel 1925 La morte della donna. Romanzo a novelle collegate (da cui è stato tratto La vita di domani inserito nella antologia Le aeronavi dei Savoia) e nel 1927 L’ultimo sentimentale e L’uomo senza sesso. Secondo le tesi futuriste di Fillia dopo la morte della donna dai sentimenti borghesi ed avendo raggiunto essa nella nuova era tecnologica gli stessi diritti ed assunto la stessa sensibilità dell’uomo (futurista), sarebbe dovuta sorgere una sintesi del maschio e della femmina: l’UOMO, tutto in maiuscolo, che solo in quanto tale potrà essere consapevole delle novità offerte dal modernismo tecno-scientifico e da quell’insieme di fattori che si condensano nel termine “americanismo”: pubblicità, luci, velocità, sensazioni forti, colori violenti, civiltà cosmopolita eccetera. (I tre romanzi sono stati riuniti nel volume Bolidi e tango, Aragno, 2002, prefazione di Sergio Anelli, postfazione di Marzio Pinottini.)
Come si vede, dunque, pur in un succinto e parziale esame delle tematiche futuriste soprattutto letterarie (la pittura e l’architettura sono state lasciate da parte), la prima avanguardia artistica italiana ed europea del Novecento affrontò in modo originale tutti quei temi che possono venir a buon diritto definiti “fantascientifici”, a dimostrazione, per l’ennesima volta, che il nostro Paese non è mai stato, da questo punto di vista, nelle retroguardie della cultura (alta e bassa, mainstream e popolare) come si è ritenuto anche troppo a lungo.
Gianfranco de Turris
[Nelle illustrazioni, dall’alto: Studio per Centrale Elettrica, di Antonio Sant’Elia; Il treno, di Fortunato Depero; Incuneandosi nell’abitato, di Tullio Crali.]
Posted in Orizzonti
febbraio 12th, 2010 at 11:15
Peccato che non abbia letto un articolo simile a quello di De Turris tempo fa, quando si trattava di scegliere l’argomento della tesi di laurea! Studenti all’ascolto capiscano la dritta!
febbraio 13th, 2010 at 15:40
Davvero magnifico, una riflessione illuminante, come del resto fu per me la lettura dell’ottimo “Le aeronavi dei Savoia”. Anche “Alla fiera dei mostri” di Fabrizio Foni si è occupato egregiamente di questo argomento.
La proto-fantascienza italiana è interessantissima sotto molti punti di vista, anche da un punto di vista sociologico.
Da umile lettore mi auguro che la ricerca in questo senso venga proseguita e ci dia l’opportunità di leggere altri tesori nascosti della nostra narrativa.
febbraio 13th, 2010 at 16:55
Magistrale intervento, potrebbe essere lo spunto per un intero volume. Grazie!
febbraio 13th, 2010 at 22:08
@ Gianfranco De Turris et X
Grazie a Di Matteo per la scelta di pubblicazione sul Blog di URANIA dell’ interessante saggio critico di Gianfranco De Turris.
Spero che l’Autore vorrà perdonarmi se oso……
E se non mi perviene sul Blog un Suo diniego, penso di far fare una diecina di copie del saggio a mò di dispensa, dacatalogare quindi nella biblioteca del mio istituto e proporlo, così come astutamente ha osservato <b<Luigi, agli studenti più bravi che quest’anno per gli Esami di Stato presenteranno tesine di Lingua e Letteratura Italiana.
Magari sperando di invogliare quelli tra di loro, che quando Francesco Verso è venuto a Palermo per il suo reading hanno continuato ad incuriosirsi……
visto, anche, che sembra sia andato bene il prestito dell’Oscar ”Racconti fantastici del ‘900”, curato dal Curatore Maximo, che abbiamo comprato per la nostra biblioteca . . . 😛
febbraio 14th, 2010 at 17:30
Devo precisare che la scelta di questo contributo è interamente merito del nostro curatore Giuseppe Lippi. Sono inoltre fiducioso che lo stesso Gianfranco de Turris sarebbe lieto di sapere che un intervento di tale profondità critica riceva la diffusione più vasta possibile, ma magari potrebbe intervenire direttamente per smentirmi se dovesse capitare su questi lidi del grande mare del fantastico.
marzo 6th, 2010 at 21:00
Scusate il ritardo, ma non sono abituato a entrare nei vari blog, anche per una mia gestione del tempo a disposizone, non tanto per snobismo. In effetti questa è la prima volta che lo faccio, anche perchè solo in questo momento, accortomi che c’erano cinque commenti al mio testo, sono andato a leggermeli.
Quindi non posso che ringraziare per quanto tutti hanno scritto, e ovviamente non ho nulla in contrario che si stampi e si distribuisca ai ragazzi del liceo questo mio scritto: più si diffondono certi aspetti poco noti della nostra letteratura, sbbattendo tanti luoghi comnuni (anche professorali) e meglio è. Il mio scopo, quando scrivo certe cose, è anche questo.
Quanto alla protofantascienza italiana, cari amici, voi non immaginate quanta ce n’è da riscorprire ed eventualmente ristampare (già per “Le aeronavi dei Savoia” che è di dieci anni fa, ne scartai moltissima): tutto però dipende dagli editori.
Grazie ancora, e perdoate le mie saltuarie visite…