Anthony Boucher
Il curatore Giuseppe Lippi traccia un ricco profilo della vita e delle molteplici attività letterarie ed editoriali di Anthony Boucher.
1943: chiude la rivista di John W. Campbell “Unknown Worlds”. 1949: Anthony Boucher, che ne era stato un attivo collaboratore, fonda insieme a J. Francis McComas una nuova testata che possa prenderne il posto e pubblicare, almeno in parte, lo stesso genere di materiale sofisticato sia nel campo della narrativa fantastica che della fantascienza; una rivista non più ritagliata nel classico formato pulp e che si rivolga ad un pubblico preparato, capace di recepire la science fiction moderna aperta alle suggestioni del mito. Il nuovo periodico, di formato digest o semi-tascabile, si intitola semplicemente “The Magazine of Fantasy”, anche se a partire dal secondo numero la testata verrà modificata in “The Magazine of Fantasy and Science Fiction”. Nel 2009 questa celebre pubblicazione americana – cui anche “Urania” deve molto, avendo attinto per anni ai suoi forzieri – ha festeggiato i sessant’anni di ininterrotta attività sotto la guida di Gordon Van Gelder. Boucher, il suo fondatore, l’aveva creata tenendo presenti due modelli: uno, come abbiamogià visto, è quello di “Unknown Worlds”, rivista in cui il fantastico non era mai gratuito né orripilante, ma rigoroso e vicino in spirito alla sf; l’altro è rappesentato da una pubblicazione gialla, la “Ellery Queen’s Mystery Magazine” (EQMM) che Frederic Dannay e Manfred B. Lee, i cugini Queen, avevano fondato per l’editore Mercury nel 1941. L’intento dei Queen era stato quello di creare una vetrina per il racconto giallo che non seguisse la moda della pulp fiction, ma permettesse ai migliori scrittori del poliziesco di trovare il proprio mercato anche al di fuori dell’indirizzo hardboiled. E così Rex Stout, Cornell Woolrich, John Dickson Carr e gli stessi Queen avevano potuto contare su uno sbocco nuovo e sofisticato, al quale ben presto si sarebbero accodati anche alcuni scrittori della “scuola dei duri”, in primo luogo Dashiell Hammett.
Poiché Anthony Boucher era sostanzialmente un uomo di due mondi e lavorava sia nel campo del giallo che della science fiction, non meraviglia che la casa editrice della sua rivista sia, nel 1949, Mystery House (poi Fantasy House), una sussidiaria della Mercury Press di Lawrence Spivak che già pubblicava l’”Ellery Queen’s Mystery Magazine”. Nel 1945 era stato lo stesso Frederic Dannay a raccomandare a Spivak il progetto di Tony Boucher e J. Francis McComas, ma prima di poterlo realizzare sarebbero passati quattro anni.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando “Larry” Spivak lascerà il campo editoriale per passare alla televisione, la Mercury Press diventerà editore ufficiale della rivista sotto la direzione di Joseph Ferman, un socio dell’azienda che aveva collaborato alla fondazione di “Fantasy & SF”. Boucher ne è stato il curatore insieme a McComas fino all’agosto 1954, dopodiché ha continuato da solo fino al numero di agosto 1958, facendone una delle più nuove e intelligenti pubblicazioni presenti sul mercato americano. Non solo, ma il “Magazine of Fantasy and Science Fiction” è stata la prima delle riviste post-pulp: è sul modello sobrio del suo formato e le scelte moderne dei suoi fondatori che nasceranno, una dopo l’altra, “Galaxy”, “If” e molto più tardi “Analog”, reincarnazione della vecchia “Astounding”.
Intervistato dalla rivista “Time” all’atto di nascita della nuova pubblicazione, Boucher dichiara orgoglioso: “Il giallo è ormai entrato nel vicolo cieco della ripetitività. La fantascienza potrebbe diventare la nuova grande forma di evasione”. L’evasione a cui pensa, tuttavia, è di stampo prettamente letterario: quel che cerca sono racconti al di sopra del livello medio delle riviste e non necessariamente orientati verso il genere azione-avventura che ancora si associava alle vecchie testate di sf. Boucher incoraggiava trame dal gusto paradossale, giocate sul filo dell’humour e di una logica che sembrasse ineccepibile come nei migliori polizieschi; racconti in cui super-scienza e fantasia fossero ricondotte alla ragione e dove, non a caso, uno dei temi ricorrenti sarebbe diventato quello del viaggio nel tempo.
Anche nei suoi racconti, di cui Far and Away raccoglie alcuni ottimi esempi, le tematiche sono queste. Il paradosso di muoversi nel passato e le possibilità enigmatiche del futuro stimolano la mente allenata al mystery di Boucher come il problema della camera chiusa o il delitto perfetto, favole moderne in cui il gusto del rimando, della citazione colta, dell’understatement sono il segno migliore di quella produzione che è stata a lungo definita “science fantasy” e della quale Boucher è stato maestro sia come scrittore che come editor e critico letterario.
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Anthony Boucher venne al mondo con tutt’altro nome – William Anthony White – il 21 agosto 1911 a Oakland, California. Suo padre, il medico James Taylor White, morì che il bambino non aveva ancora compiuto un anno e William fu affidato alle cure della madre (Mary Parker, medico anche lei) e del nonno materno, William Owen Parker. Assumendo il cognome materno come middle name, secondo una pratica diffusa negli Stati Uniti, il rampollo si affacciò al mondo come William Anthony Parker White, che resta il suo nome ufficiale. Ma lettori e amici lo avrebbero conosciuto meglio con un nome d’arte ricavato da quello della seconda moglie del nonno, Annie Boucher Hine. Il cognome francese Boucher – pronunciato all’americana “bàucher” in modo simile a voucher , come annota il biografo Jeffrey Marks – era quello di una famiglia cattolica proveniente dall’Irlanda, terra in cui si erano stabiliti a più riprese emigrati dalla Francia; e nelle spesse labbra di William Anthony sembra riaffiorare almeno un quarto di quella vecchia ascendenza continentale. Gli amici lo chiamavano Tony, ma prima che lo pseudonimo diventasse famoso lo avevano definito semplicemente “A.P.” (pronunciato“Apey”, un nomignolo che vuol dire pressappoco “scimmiotto”).
Fin da ragazzo ebbe problemi di salute: l’asma non gli dava pace e poté frequentare le scuole solo con qualche difficoltà. Nonostante questo ottenne il diploma di scuola superiore alla Pasadena High nel 1928, mentre nel 1932 ricevette il Bachelor of Arts (laurea breve) dall’University of Southern California a Berkeley, il Phi Beta Kappa, cioè il diritto a far parte del circolo riservato agli studenti che si sono diplomati con il massimo dei voti, e un incarico di fellow presso la stessa università. Mentre studiava per ricevere il Master of Arts incontrò Phyllis Mary Price (1915-2000), la donna della sua vita, che avrebbe sposato nel 1938. Per supplire alla mancanza di tempo, imparò a leggere più in fretta del normale: da adulto i suoi familiari testimoniano che era in grado di leggere un libro completo in due-tre ore e di poterne scrivere approfonditamente. Lettore vorace e dai molti interessi, si formò una vasta cultura letteraria e musicale senza barriere: lo affascinavano le lettere classiche, i polizieschi, la fantascienza, l’opera lirica e il teatro. Tentò di scrivere commedie e dopo le scuole superiori si trasferì a Los Angeles per sfondare: è in questo periodo che decise di adoperare lo pseudonimo Anthony Boucher per la narrativa gialla o fantastica e mantenere William A. P. White per la produzione più seria. Ben presto, però, comprese che l’ambiente di Los Angeles non faceva per lui e tornò a San Francisco. Uomo dalle molte conoscenze e relazioni sociali, cominciò a scrivere recensioni per il “San Francisco Chronicle” e il “Los Angeles Daily News”, a pubblicare romanzi e a vendere racconti alle migliori riviste di genere, fra cui “Astounding” e “Unknown”. Il suo primo racconto in assoluto, “Ye Goode Olde Ghoste Storie”, era uscito su “Weird Tales” nel gennaio 1927; nel 1937 uscì il primo mystery, I sette del Calvario (The Case of the Seven of Calvary, noto in Italia anche come Sette volte sette). L’anno dopo Boucher sposò la donna che amava da tempo, Phyllis Price; dal matrimonio sarebbero nati i due figli Lawrence e James.Boucher non ha mai cercato un lavoro stabile neppure dopo il matrimonio: è sempre rimasto uno scrittore, critico e consulente editoriale. Quando accettò l’incarico universitario a Berkeley, fece inserire una clausola contrattuale secondo cui una collega lo avrebbe sostituito in caso di malattia. L’asma era il problema di sempre e bisognava fare i conti con una condizione critica che dura tutta la vita. Questa situazione costrinse la famiglia a varie rinunce economiche, ma sembrò rischiararsi quando per Tony cominciarono una serie di fruttuose collaborazioni radiofoniche. Nel 1945 Leslie Charteris, il popolare autore del Santo, aveva rinunciato a scrivere gli sceneggiati della serie The New Adventures of Sherlock Holmes con Basil Rathbone e Nigel Bruce, popolarissimi e mandati in onda per rinverdire il successo del serial cinematografico. Denis Green, coautore del programma, propose Boucher al posto di Charteris e per qualche tempo le cose andarono a gonfie vele; non solo, ma Boucher cominciò a scrivere i soggetti radiofonici delle avventure di Ellery Queen e quelli di un nuovo personaggio, Gregory Hood, che faceva l’antiquario a San Francisco e risolveva casi misteriosi legati agli oggetti venduti nel negozio. L’idea è stata ripresa dalla televisione molti anni dopo nella serie Venerdì 13 nota anche come Il venerdì maledetto, in cui una bottega di anticaglie vende autentici oggetti stregati e ogni episodio ruota intorno a un particolare reperto (con relativa maledizione).
Per Boucher, intanto, era cominciata una nuova collaborazione con il “New York Herald Tribune”: una rubrica di recensioni di fantascienza che di lì a qualche tempo lo avrebbe fatto notare dal “New York Times”. Il prestigioso quotidiano decise di avvalersi di lui per un’analoga rubrica dedicata al poliziesco e Tony Boucher diede inizio alla più famosa e longeva tra le sue collaborazioni. Dal 1949 al 1968 pubblicò ben 852 puntate della celebre rassegna sulla “New York Review of Books” e questa attività, unità alle recensioni che avrebbe scritto a più riprese per l’”Ellery Queen Mystery Magazine”, “Manhunt” e altri periodici, avrebbe finito col procurargli più di un premio Edgar nel settore della critica, l’Oscar del giallo. Tony e Phyllis poterono finalmente comprare una casa a Berkeley e trasferirvi tutta la famiglia. Da qui Boucher partiva ogni mese e mezzo per Hollywood – dove manteneva i rapporti con le compagnie radiofoniche – e una volta ogni sei mesi per New York, dove curava i suoi interessi giornalistici ed editoriali. Impegnato politicamente a favore del partito democratico, Anthony Boucher era un fervente cattolico e fece sempre in modo che questo trasparisse nella sua letteratura, come era stato per G.K. Chesterton. Si trattava di un cattolicesimo moderno e razionale, ma è pur sempre divertente scovare la nota polemica o il punto dottrinario nei romanzi polizieschi come nei racconti fantastici (vedi, per tutti, l’apologo “Balaam” contenuto in questo volume).
Purtroppo per lui, il periodo delle vacche grasse si avvicinava alla fine: dal 1947 in poi le serie radiofoniche furono sospese o diradate, alcuni incarichi di scrittura ben pagati scemarono improvvisamente. Il mutuo sottoscritto per pagare la casa diventò fonte di preoccupazioni. Nel 1949, tuttavia, la rivista di fantascienza progettata già da qualche anno insieme a J. Francis McComas vide finalmente la luce. Tony Boucher ne sarebbe rimasto direttore per un decennio, consolidando la propria fama editoriale come aveva già rafforzato quella di giornalista e narratore. Negli anni immediatamente precedenti aveva pubblicato, fra l’altro, quasi tutti i suoi eccentrici romanzi polizieschi, ormai conosciuti anche in Italia: Il fante di quadri (The Case of the Crumpled Knave, 1939), Gli irregolari di Baker Street (The Case of the Baker Street Irregulars, 1940), Nove volte nove (Nine Times Nine, 1940), La chiave del delitto (The Case of the Solid Key, 1941), L’enigma del gatto persiano (The Case of the Seven Sneezes, 1942), Sorella Ursula indaga (Rocket to the Morgue, 1942). Quest’ultimo si distingue per essere ambientato durante una convention di fantascienza, “milieu”che Boucher conosceva bene e frequentava assiduamente. A questi romanzi vanno aggiunti l’inedito (anche in America) The Case of the Toad-in-the-Hole, di cui è protagonista, ancora una volta, il dr. Ashwin dei Sette del Calvario, e The Marble Forest (1951) firmato da Theo Durrant, romanzo da cui William Castle trasse il film Macabre (Macabro, 1958). Nella realtà storica Theo Durrant fu un chierichetto nato a San Francisco nel 1871 che in seguito si trasformò in assassino e fornì lo pseudonimo collettivo a un folto gruppo di scrittori (Terry Adler, Anthony Boucher, Eunice Mays Botd, Florence Austern Faulkner, Allen Hymson, Cary Lucas, Dane Lyon, Lenore Glen Offord, Virginia Rath, Virginia Shattuck, Darwin L. Teilhet e William Worley) i quali contribuirono ciascuno una parte del romanzo. Boucher, inoltre, si occupò dell’editing dell’insieme. (La mia fonte è qui la scheda del film Macabre al sito 50’s and 60’s Horror Movies)
Nei sofisticati “casi” polizieschi di Boucher, risolti, di volta in volta, da eruditi professori di sanscrito, suore in vena di indagini o dall’eccentrico investigatore Fergus O’Breen che interviene anche in un racconto della presente raccolta, “Altroquando”, l’umorismo è sempre dietro la porta come il delitto. Ma non si tratta di humour a spese del genere, semmai di un’affettuosa strizzata d’occhio alle sue convenzioni più amate e paradossali, in primo luogo quella della stanza chiusa. A volte queste vicende intricatissime sfumano nell’arcano e danno l’impressione di ammettere una soluzione soprannaturale: ma è un gioco anche questo, come nei migliori giallisti dell’età d’oro. Ai romanzi polizieschi, che in Italia sono usciti presso Mondadori, bisogna aggiungere i racconti, raggruppati in America nell’antologia Exeunt Murderers (1983). I racconti fantastici, invece, raccolti precedentemente nei volumi Far and Away (1955) e The Compleat Werewolf (1969), sono compendiati nella più recente raccolta The Compleat Boucher (1999).
Nel 1951 Tony fu eletto presidente dei Mystery Writers of America; nel 1952 curò, insieme con McComas, una seconda rivista per la Mercury Press, poliziesca questa volta: “True Crime Detective”. Non ebbe successo, né ebbe successo la serie di classici del giallo che lanciò subito dopo, e che ripropose alla Dell quando l’esperimento Mercury si rivelò un fallimento.
Intanto nel 1949, lo stesso anno in cui era nata la sua rivista di fantascienza, una radio californiana gli aveva offerto di tenere un programma settimanale dedicato all’opera lirica, altra sua passione anche in veste di collezionista. Il programma, intitolato prima Golden Age Records (Incisioni dell’età d’oro) e poi Golden Voices (Voci d’oro), durò per vent’anni, fino alla morte di Boucher. Ogni settimana vi svolgeva le funzioni di presentatore e “disc jockey”, attingendo ai nuovi dischi della sua imponente collezione (circa tremilacinquecento dedicati all’opera: se ne trova un divertito accenno nel primo racconto di questo volume, “L’anomalia dell’uomo vuoto”). Tony li portava alla stazione radio con l’indicazione dei brani scelti, registrava i suoi commenti che la radio avrebbe montato insieme all’esecuzione dei brani, e, recuperati i dischi della puntata precedente, tornava a casa per preparare una nuova selezione. Alla passione per l’opera, il giallo e la fantascienza bisogna aggiungere quella per il football americano, che lo conquistò fin da ragazzo e un cui accenno si trova all’inizio del racconto “Balaam”. A causa dell’asma Boucher non poté mai giocare in prima persona, ma seguiva il suo sport preferito con grande competenza e trepidazione. Un amore più frivolo ma non meno sincero nutriva per il poker, che giocò regolarmente con gli amici per buona parte della vita, naturalmente con puntate molto basse. Nonostante l’asma, fu un discreto fumatore fino alla fine dei suoi giorni (soprattutto pipa). Uomo colto e versatile, ricco di acume e sensibilità, fece della critica e dell’attività editoriale un’arte vera e propria, guadagnandosi la stima dei colleghi scrittori. Non fu mai commerciale, né come autore né come curatore di collane; caso raro se non unico nell’editoria americana, fece l’editor come si fa il romanziere e il giornalista come si fa il critico letterario, sempre dalla parte degli autori, dei lettori e del buon gusto. Di mente aperta e spirito rinascimentale, non vedeva alcuna differenza tra arti “alte” e popolari: purché l’ingegno e lo standard qualitativo fossero elevati, avevano ai suoi occhi pari dignità. Questa lezione costituisce l’importante contributo che Anthony Boucher lascia alla recente cultura americana.
Logorato da un’attività tanto intensa e febbrile, nel 1958 fu costretto a lasciare l’incarico di direttore a “Fantasy & Science Fiction”, che venne assunto per pochi mesi da Cyril M. Kornbluth e poi da William Tenn; ma quando anche quest’ultimo dovette abbandonare, nel settembre 1958 l’incarico fu rilevato da Robert P. Mills che già lavorava per la casa editrice. Negli ultimi dieci anni di vita Tony Boucher continuò a scrivere memorabili recensioni, interventi e programmi musicali dedicati all’opera. Più volte fu costretto a letto dalla malattia, ma utilizzò le lunghe ore di reclusione per leggere. Il 29 aprile 1968 un cancro al polmone lo stroncò a soli cinquantasei anni. La sua scomparsa fu commemorata sui principali organi di stampa della nazione e nel 1970 venne fondata in suo onore la convention mondiale del giallo, battezzata Bouchercon. Ancora oggi si chiama così.
Storie del tempo e dello spazio
“Ripubblicare Far and Away oggi? Che splendida idea!” Harlan Ellison (in una comunicazione alla redazione di “Urania”, 1990)
Che cos’è l’Anatomia della non-scienza? E’ il trattato filosofico-propedeutico, ad uso dell’investigatore dell’ignoto, che amplia l’infallibile raccomandazione di Sherlock Holmes. Quest’ultimo insegnava che “eliminato l’impossibile, qualunque cosa rimanga – non importa quanto improbabile – deve essere la verità”. Per bocca di uno dei suoi personaggi, il dottor Verner, Anthony Boucher formula l’ormai celebre contromassima: “Eliminato l’impossibile, se non rimane nulla una parte dell’impossibile dev’essere la verità”. Potremmo considerarla la ricetta di ogni racconto fantastico, genere fondato sul nulla e le sue contraddizioni: purché si tratti di un nulla e di contraddizioni analitiche, persino logiche, imparentate magari con il poliziesco. Che, come ci ha insegnato Borges, è a sua volta un genere fantastico ma “fantastico dell’intelletto, non dell’immaginazione”. Al centro dell’operazione avremo allora la non-scienza, disciplina in cui l’ignoto non è inteso come fattore negativo o limitante ma anzi costituisce il cuore della ricerca, “poiché solo l’ignoto è meraviglioso”.
Questa logica del fantastico è bene espressa nei racconti di Storie del tempo e dello spazio (Far and Away, 1955) che qui presentiamo in una traduzione meticolosamente rivista e che resta l’unica raccolta dei suoi testi di sf e fantasy pubblicata durante la vita di Boucher. Da un punto di vista tematico, potremmo dividere i racconti in tre categorie: fantasie interplanetarie, viaggi nel tempo e sortilegi. Agli interplanetari appartengono “La sposa delle stelle” e “Balaam”. Il primo, uscito nel 1951, costituisce un evidente rovesciamento di “Ylla”, il celebre episodio delle Cronache marziane di Ray Bradbury apparso l’anno prima. Ma è anche un adattamento in chiave fantascientifica della Madama Butterfly di Puccini, dove una donna infelice è abbandonata dal suo amante straniero. Quest’ultimo, che Boucher immagina come una sorta di Pinkerton marziano, è tuttavia scusato: aveva l’influenza spaziale! Per di più il racconto è narrato dal punto di vista della moglie legittima di Pinkerton: ci sarebbe da ricavarne una moderna space-Opera intitolata Madame Alien-Fly o Madame Margarine, o come altro vi suggerisce la fantasia musicale. In coda aggiungiamo solo che “La sposa delle stelle” avrebbe meritato una riduzione a fumetti negli EC Comics, che invece glissarono…
“Balaam” è un racconto più complesso: meno lirico e cantato, certo, ma più problematico. Si svolge su Marte e coinvolge un certo numero di terrestri e no, ma tutti in fondo umani. Già Lovecraft aveva scritto, nelle Montagne della follia, che a loro modo i Grandi Antichi “erano uomini”: Boucher segue lo stesso precetto, anzi lo riconduce a fonti classiche (Terenzio: “Nihil humani a me alienum puto”) o bibliche, come nell’esemplare discussione fra il rabbino Acosta e padre Aloysius Malloy, il cappellano cattolico del racconto. E quando entrano in scena non i marziani, ma i visitatori dei marziani, arrivati da un’altra stella per esplorare il pianeta rosa, si scoprirà che sono “uomini” animati da una psicologia simile alla nostra e rosi da dubbi del tutto analoghi, per quanto di aspetto non certo raccomandabile. Gli assegneremmo il premio di miglior racconto concettuale della raccolta e glielo faremmo consegnare, idealmente, da Philip Josè Farmer.
Un’appendice gastronomica al filone dei racconti interplanetari è costituito dal “Segreto della casa”, che si svolge sulla terra ma pone l’interessante problema della cucina sugli altri mondi. A questa vignette accompagneremmo il brevissimo “Primo”, racconto che potrebbe aver suggerito a Johnny Hart l’idea dell’omino preistorico B.C. e delle sue infinite scoperte.
I tre racconti di viaggi nel tempo sono “Altroquando”, “Snulbug” e “L’altro regime”. “Altroquando” pone la questione del delitto perfetto e relativo alibi, che dovrebbe essere ottenuto con la macchina del tempo. Ma cosa vuol dire la parola latina alibi? “In un altro luogo”, la circostanza per cui una persona che possa dimostrare di essersi trovata in tutt’altro posto al momento dell’assassinio, ne è scagionata. In Boucher, tuttavia, l’omicida pecca di presunzione e decide di costruire un alibi a prova di bomba trasferendosi in un altro tempo: il delitto verrà commesso nel passato rispetto al momento in cui il colpevole si farà trovare in un luogo diverso. (Che si tratti dell’atelier della pittrice che è all’origine della sua insana passione non è affatto casuale). In tal modo, quello che in origine era un alibi si tramuta in un aliquando (latino) o “altroquando” italiano. Ma i viaggi nel tempo hanno le loro leggi che a volte neppure gli inventori riescono ad anticipare con lucidità. La morale è che non conviene barattare un alibi con un aliquando: le conseguenze non sarebbero affatto piacevoli.
Ne “L’altro regime” il viaggio temporale serve a creare una realtà parallela, politicamente preferibile a quella che vige nel mondo attuale. Chi non vorrebbe costringere la parte avversa dell’elettorato a votare per il nostro candidato? La teoria, qui, sfrutta il principio ben noto dei bivi nel tempo, un caposaldo della non-scienza. Ogni volta che si verifica un evento capitale, come ad esempio un’elezione presidenziale americana, nella storia si giunge a un bivio: a sinistra si va da una parte, a destra da quella opposta. Alla biforcazione regna la congiunzione “Se”: se vince Peppone, se va su don Camillo le cose saranno molto diverse e il futuro ipotetico che dipende da ciascuna scelta potrà diventare realtà o restare nel limbo. Uno scienziato e un politologo ritengono di aver risolto il dilemma viaggiando nel tempo e influenzando le elezioni, in modo da creare un futuro nel quale il proprio candidato – il giudice – si sia affermato sul senatore (quest’ultimo è un evidente riferimento al senatore Joseph McCarthy che minacciava la democrazia americana proprio in quegli anni). Il problema che si presenta nel racconto, tuttavia, non è legato ai paradossi temporali o a eventuali miscalculations, ma è insito nella natura umana e meglio ancora nella politica. Nessuna colpa può essere ascritta a chi fabbricò la macchina (a parte una certa mancanza di spirito democratico e rispetto nella volontà della maggioranza, sia pure “a fin di bene”): il che induce a una tremenda riflessione sui limiti della democrazia rappresentativa e i meccanismi per accedere al potere, ma tant’è.
“Snulbug” l’abbiamo lasciato per ultimo in quanto introduce una variante significativa al normale viaggio nel tempo, la presenza di un daimon. Ora, quello dello spirito-guida è un concetto socratico e come tale nient’affatto incompatibile con la più alta speculazione; mentre nella sua accezione volgare di “demone” è compatibilissimo con qualsivoglia sortilegio che la non-scienza pretenda di escogitare per affrettare la realizzazione del viaggio nel futuro. Che il daimon in questione sia, per propria ammissione, un’entità inferiore, non costituisce un’attenuante nei confronti di Bill Hitchens, l’uomo che l’ha evocato: il suo progetto è sbagliato per ragioni connesse alla logica del tempo e alla moralità dell’impresa, che non si può calpestare. Le raccomandazioni dello spirito Snulbug che lo invita «a più non dimandare» si riveleranno inutili; nel “dimandare” con insistenza il giornale del giorno dopo per trarne profitto, Bill si dimostra un non-scienziato particolarmente inetto. La sua disavventura è una divertente disamina dei paradossi che non possono avere luogo e della presunzione insita nel voler ricavare facili guadagni dal nulla.
Da questo momento in poi, i daimon saranno sempre più presenti nelle storie di Boucher. Quello chiamato Sriberdegibit, nel racconto omonimo, è uno spirito-guida solo nel senso che ha il potere di guidare la sua vittima direttamente all’inferno, ma il modo per sfuggirgli esiste. Basta commettere un peccato al giorno e la maledizione verrà rimandata di ventiquattro ore, fino al momento in cui il soggetto dovrà rassegnarsi a seguirlo. Da notare che la maledizione di Gilbert Iles è provocata dall’esaudimento di un desiderio: siamo di fronte a un caso di perfetta corresponsabilità nel malanno, talché solo uno sforzo di responsabilità inversa potrà eliminare gli effetti del circolo vizioso.
Non diversamente dalla macchina del tempo, il demone non è che uno strumento nelle mani dell’uomo dotato di libero arbitrio. In “Copia per recensione”, in cui Boucher satireggia la propria attività di critico, l’occultista di New York si spinge fino a sconsigliare il suo cliente dal tentare l’esperimento di vendetta a distanza: ma la volontà di Jerome Blackland deve essere fatta, e così sia. Le leggi della non-scienza (in questo caso la magia nera) sono diverse da quelle della fisica classica in una cosa principalmente, che possono sottomettersi all’arbitrio umano. Per il resto, si tratta di regole altrettanto fisse e rigorose e tutto il racconto non è che lo svolgimento di un teorema – o un cerimoniale – nient’affatto banale. In contrapposizione alla verità biologica e religiosa per cui “il sangue è la vita”, nel circolo vizioso in cui è entrato Blackland esso diventa la morte: date queste premesse, il resto segue con assoluta coerenza.
Allo stesso modo si comportano i meccanismi della sorte quando un incauto avventuriero entra nella casa dei Carker (“Mordono”), o quando un poliziotto testardo si trova di fronte all’”Anomalia dell’uomo vuoto”. Sotto alcuni aspetti, questi ultimi due casi sono tra i più interessanti perché non fanno esplicito ricorso al super-scientifico o al soprannaturale (alla non-scienza, insomma) ma si tengono in bilico sul filo di rasoio dell’incertezza. Siamo finalmente di fronte all’inspiegabile: non è facile stabilire chi o che cosa abbia prodotto i mostriciattoli assetati di sangue del primo racconto, né quale sia la soluzione del secondo. In “Mordono” assistiamo al propagarsi di una leggenda che, nata nel XIX secolo, sembra trovare una spaventosa conferma – e avere un epilogo assai poco lieto – nel XX. Forse gli orchi di ieri sono i più spietati killer di oggi: tenaci, devoti a culti sanguinari, pressoché immortali. Dove finisce la superstizione, dove comincia la cronaca? Questo piccolo e agghiacciante racconto è l’antenato di film come Le colline hanno gli occhi, L’ultima casa a sinistra, Non aprite quella porta. In Italia è stato pubblicato per la prima volta in un’antologia di Alfred Hitchcock, I terrori che preferisco, e come dargli torto? Lo preferiamo senz’altro anche noi.
“L’anomalia dell’uomo vuoto” è più leggero, anche se comincia su una scena del delitto particolarmente inquietante. Qui la non-scienza ventilata dal dottor Verner e dal detective privato Lamb è garbatamente contestata, messa in forse, sbugiardata dal più sanguigno poliziotto Abrahams. Ma se la teoria metafisica del dottore sembra tirata per i capelli (e richiede, per essere compresa, un’apertura di credito verso l’intero bagaglio del paranormale, l’occulto e il patafisico), così la teoria razionale del poliziotto non riesce a spiegare l’ultima anomalia, «quella del piatto ancora in movimento». Chi ha ragione, l’esoterista o l’uomo della fredda logica investigativa? Al lettore decidere che magari, in un universo dalle ulteriori possibilità, hanno ragione entrambi.
Il racconto è un buon esercizio di humour e prestidigitazione, ma è soprattutto un esercizio sul tema del… come rendere il termine intellectum? «Non semplicemente con intelligenza, ma “percezione”, “comprensione”. Insomma, ciò che Amleto intende quando dice dell’uomo: “Nell’intuizione, quanto simile a un dio!”». Nelle parole di san Gerolamo, Benedicam Dominum, qui tribut mihi intellectum. Boucher traduce, e noi lettori ci accodiamo a lui: “Benedirò il Signore che mi concede la percezione” dell’ignoto, dell’insolito, del veritiero. E di questi racconti, che ne sono la piccola chiave.
Giuseppe Lippi
Bibliografia
a) Opere in volume e edizioni internazionali
a cura di G.L.
Anthony Boucher fantastico & fantascientifico:
Far and Away, Ballantine Books, New York 1955. Racconti, in italiano come Storie del tempo e dello spazio, prima ed. in “Urania” n. 1146, Mondadori, Milano 1991. Seconda ed. In “Urania collezione” n. 083, Mondadori, Milano 2009.
The Compleat Werewolf, Simon and Schuster, New York 1969. Racconti.
The Compleat Boucher: The Complete Short Science Fiction and Fantasy of Anthony Boucher a cura di James A. Mann, NESFA Press, Boston 1999.
Anthony Boucher giallista:
Anthony Boucher: Tre volte sette, Nove volte nove, Sorella Ursula indaga. Tre romanzi. I grandi del mistero, Mondadori, Milano 1988.
The Case of the Seven of Calvary, Simon and Schuster, New York 1937. Come Tre volte sette ne I grandi del mistero, Mondadori, Milano 1988. Come I sette del calvario in I classici del giallo n. 790, Mondadori, Milano 1997.
The Case of the Crumpled Knave, Simon and Schuster, New York 1939. Il fante di quadri, in I classici del giallo n. 898, Mondadori, Milano 2001.
The Case of the Baker Street Irregulars, Simon and Schuster, New York 1940. Gli irregolari di Baker Street, in I classici del giallo n. 647, Mondadori, Milano 1991.
Nine Times Nine, Duell, Sloan & Pierce, New York 1940. Nove volte nove, in I classici del giallo n. 652, Mondadori, Milano 1992. Anche in Gli investigatori di Dio, Gli Speciali del Giallo Mondadori n. 58, Mondadori, Milano 2009.
The Case of the Solid Key, Simon and Schuster, New York 1941. La chiave del delitto, in I classici del giallo n. 1017, Mondadori, Milano 2004.
The Case of the Seven Sneezes, Simon and Schuster New York 1942. L’enigma del gatto persiano, in I classici del giallo n. 921, Mondadori, Milano 2002.
Rocket to the Morgue, Duell, Sloan and Pearce, New York 1942. Sorella Ursula indaga,ne I grandi del mistero, Mondadori, Milano 1988. Anche in I segugi di Dio, Gli Speciali del Giallo Mondadori n. 22, Mondadori, Milano 1999.
The Marble Forest, Alfred A. Knopf, New York 1951. Firmato Theo Durrant, che in alcune bibliografie risulta come uno pseudonimo collettivo, mentre nell’IMDb figura come autore nato nel 1911 e morto nel 1968 (le stesse date di Anthony Boucher).
Anthony Boucher critico:
Multiplying Villainies: Selected Mystery Criticism 1942-1968 a cura di Francis M. Nevins, Bouchercon 1973.
The Anthony Boucher Chronicles a cura di Francis M. Nevins, Ramble House, Vancleave, Minnesota 2009. (Il grosso volume raccoglie le recensioni di Boucher del periodo 1942-1947, dunque precedenti quelle raccolte in Multiplying Villainies.)
Su Anthony Boucher:
Jeffrey Marks, Anthony Boucher, A Bio-Bibliography. Mc Farland, Jefferson, North Carolina 2008.
N.B. La presente nota bibliografica non comprende i saggi, le sceneggiature, gli articoli e i racconti mai raccolti in volume, le traduzioni e le antologie curate da Anthony Boucher, per cui si rimanda alla bio-bibliografia di Jeffrey Marks, cit.
[La bibliografia italiana delle opere fantastiche di Boucher è disponibile sul Catalogo SF, Fantasy e Horror, a cura di Ernesto Vegetti.]
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dicembre 15th, 2009 at 09:59
Aspettiamo con ansia The Compleat Werewolf in italiano.
dicembre 15th, 2009 at 12:16
Con altrettanta ansia aspettiamo la pubblicazione in italiano di ‘The marble forest’.
dicembre 15th, 2009 at 12:41
Bellissimo pezzo, grazie curatore!
Andando a spulciare le bibliografie e la lista dei contenuti, si vede comunque che l’antologia Far and Away e The Compleat Werewolf non esauriscono il Boucher fantastico. Nel tomo The Compleat Boucher ce n’e’ abbastanza almeno per una terza collezione…;-)
dicembre 15th, 2009 at 13:02
Interessantissimo profilo! Sto finendo di leggere in queste ore Nove volte nove e non vedo l’ora di acquistare l’UC di questo mese ( a Roma non è ancora uscito !!)
dicembre 16th, 2009 at 00:30
Splendido articolo. Da domani, vado in caccia del volume!
dicembre 16th, 2009 at 13:08
Su carta è anche meglio. Un ottimo articolo. Con informazioni che non mi erano note o che avevo obliato. Con l’arrivo di questo volume possiamo cancellare un desiderio. Abbiamo tirato una riga su Walter Miller, jr:
http://www.fantascienza.net/vegetti/Desideri.htm
dicembre 16th, 2009 at 20:30
Davvero interessante l’articolo “enciclopedico” su Anthony Boucher, così pieno di notizie ed informazioni.
Acquistato a Roma Urania Collezione n.83-
dicembre 16th, 2009 at 21:58
@Curatore Supremo – Maximo
Grazie per l’interessante profilo critico.
Senza piaggeria Dr. Lippi, ogni giorno in più che la leggo Lei mi appare : Di mente aperta e spirito rinascimentale, non vede alcuna differenza tra arti “alte” e popolari: purché l’ingegno e lo standard qualitativo siano elevati, hanno ai suoi occhi pari dignità…
Da parte mia, quale modestissimo segno tangibile, ho comprato per la biblioteca di scuola il suo “Oscar” Racconti fantastici del ‘900.
dicembre 16th, 2009 at 22:58
Non vedo l’ora di leggere i racconti di Boucher. Dal mio punto di vista gli intellettuali cattolici hanno molti difetti, ma alcuni di loro hanno un pregio che me li rende maledettamente simpatici, cioè uno spiccato, vivace senso dei limiti della ragione. è in questa chiave infatti che leggo il precetto riportato sopra: “Eliminato l’impossibile, se non rimane nulla una parte dell’impossibile dev’essere la verità”. Che il precetto si sia trasformato anche in un programma narrativo, come sostiene Lippi, la cosa è estremamente interesante, interessantissima.
dicembre 16th, 2009 at 23:18
MAGNIFICO !
Leggere i grandi è sempre un’esperienza ed un arricchimento.
A quando un altro articolo, questa volta sul Brown fantascientifico?
Grazie a Lippi.
dicembre 16th, 2009 at 23:20
Quando dico “Leggere i grandi è sempre un’esperienza ed un arricchimento” non mi riferisco a Boucher (di cui ovviamente ho già acquistato stamattina il volume di racconti), ma..a LIPPI.
dicembre 16th, 2009 at 23:30
Ernesto, porca zozza, scegli meglio i termini! Quando hai scritto “tirare un rigo” ho pensato che la gioia provata stamani fosse già da ingoiare a mo di rospo
V.
dicembre 17th, 2009 at 10:56
@Vincenzo Oliva
Ho parlato letteralmente. Essendo uno dei desideri stato esaudito, vi ho tirato una riga sopra. Non mi sembrava giusto, semplicemente eliminarlo.
Qualcuno si chiederà come mai in elenco figuri Tutti a Zanzibar fra i desideri, visto che è stato pubblicato pochi mesi fa. È stato pubblicato sì, ma non in UCZ o URA.
dicembre 17th, 2009 at 12:52
Ernesto, hai appena inferto una mazzata mortale a chi ha proposto Tutti A Zanzibar: e’ uscito da poco e l’ha (ri)perso!
dicembre 17th, 2009 at 16:05
@Quiller
È uscito nel luglio 2008. E questo dil era già attivo e se non erro tu lo frequentavi già. Ovviamente non avevo titolo per fare domande sul perché uno faceva una scelta di questo tipo. Ipotizzavo però che una ricerca sul Catalogo fosse stata fatta. E che venisse ribadito il concetto che si volesse su UCZ. A parte la revisione (che nella recente riedizione, c’è comunque stata) nell’edizione Grandi Saghe è mancato (perché non previsto) l’apparato informativo a cui UCZ è abituato. In privato ho ricevuto degli apprezzamenti per il mio contributo bibliografico e per gli articoli informativi. Apprezzamento di cui ho reso partecipe Lippi. Non so quanti abbiano scritto a lui direttamente. Pochi o tanti, gli apprezzamenti fanno piacere. Anche le critiche sono utili, anche se magari non fanno piacere. In questo senso la riproposta nella lista dei desideri mi era sembrata una critica indiretta.
Per la cronaca Lippi tiene la lista sotto osservazione. 17 desideranti sono pochi, ma tenendo conto che molti vorrebbero partecipare ma poi non si decidono, è come se 500 persone si fossero espresse… E sono tante. I desideri, salvo che per me, sono assolutamente anonimi. (Alcuni sono stati ribaditi pubblicamente, però). Da parte mia non c’è alcun rischio di violazione della riservatezza. Potete desiderare tutta la fantascienza (in senso Uranico, ovviamente) che desiderate…
dicembre 17th, 2009 at 16:29
Sì Ernesto, preciso che il richiedente non sono io, mi mettevo nei panni di chi l’aveva richiesto.
Io un elenco non l’ho mandato (leggendo molta FS in inglese quello che non pubblicano me lo procuro in originale), della lista apprezzo però le proposte francesi, lingua che non conosco. Mi piacerebbe appunto che venissero pubblicati i migliori europei non anglofoni, non necessariamente in UCZ. Non anglofoni e, aggiungo, non italiani, altrimenti qualcuno mi risponde che una collana del genere esiste già
dicembre 17th, 2009 at 21:37
Preso. Io non sono il tipo che compra tutti gli urania, ma questo Boucher mi ha convinto subito: uno che fa le pulci ai propri colleghi in prestigiose rubriche internazionali di recensioni non può permettersi di scrivere stupidaggini. Infatti la raffinatezza e lo stile dello scrittore colto e intelligente si avverte fin dall’incipit. A proposito, qualcuno sa chi ha curato la traduzione? Mi sembra davvero ben fatta.
dicembre 17th, 2009 at 22:55
@Luigi: devi vedere alla fine di ogni racconto. E’ il procedimento che si seguiva per esempio sulle raccolte “Ellery Queen presenta” pubblicate molti anni fa da Mondadori, anche se, qualche volta, qualche riferimento scappava
dicembre 17th, 2009 at 23:47
@Piero
grazie! Non l’avrei immaginato, dal momento che trattasi di una raccolta unitaria editorialmente a sé almeno fin dal 1955.
dicembre 18th, 2009 at 09:07
Grazie a tutti e in particolare a Piero,Luigi e il Trasfigurato per le gentili parole nei confronti del mio lavoro. Come spesso accade, quando si toccano certi tasti e si accendono passioni comuni, si crea un’atmosfera di contentezza e complicità che coinvolge i lettori, l’autore e gli intermediari (traduttori ed editori) come se fossero i membri di un club ideale. Non posso che augurare a tutti buone letture nel periodo di Natale, e soprattutto all’insegna dell’intelligenza. Come in un buon racconto fantastico “letterario”, non solo usa e getta. (L’intento dei “Racconti fantastici del ‘900″ sarebbe appunto quello… Ma basta, o qualcuno finirà per sospettare che ci stiamo autocelebrando, quando invece è solo passione.)
dicembre 18th, 2009 at 09:11
@ Luigi: aggiungo che il titolo originale della raccolta unitaria si trova al solito posto, insieme alle altre indicazioni editoriali (copyright, eccetera). I titoli dei singoli racconti, invece, sono in calce insieme ai nomi dei traduttori per una decisione redazionale. La revisione delle vecchie traduzioni è stata curata dal sottoscritto, nella convinzione che andassero aggiornate e rese più consone allo spirito dell’originale.
dicembre 18th, 2009 at 11:02
@G.Lippi : ho saputo da Mauro che sei andato a trovarlo alla sua bancarella alla Fiera del Libro Usato a Milano, la settimana scorsa.
Stai su Uraniamania? E se sì, con quale nickname?
dicembre 18th, 2009 at 11:14
G.Lippi : lo so che è solo passione la tua: fossero tutti quelli che lavorano in una branca, appassionati come te!
Io ne conosco tre. In particolare uno, del tuo settore, che aveva, si dice in copia unica, “Le village de l’ ou -delà” di Boca. Tu hai capito benissimo a chi mi riferisca…
dicembre 18th, 2009 at 11:44
Anche il sottoscritto pensa fermamemente che il signor Lippi stia facendo fin qui un ottimo lavoro (a parte, secondo me, le scelte per i premi urania!… ma non credo sia solo “colpa” sua). Sto cominciando a leggere Boucher e mi sembra di buona fattura… Avrei un desiderio da esprimere al nostro grande Lippi, in modo da rendere (a mio parere) il suo lavoro editoriale quasi perfetto, ed è un desiderio che ho già espresso in passato… voglio ripeterlo, a rischio di passare per ossesso! Caro Lippi, ti chiedo a gran voce Ron Goulart su Urania o Urania Collezione! è uno dei pochi che se lo meritano e non hanno ottenuto questo riconoscimento qua da noi… qualche mese fa ho contattato Goulart scovando la sua mail grazie ai tizi della biblioteca comunale della sua città, Ridgefield. Abbiamo avuto un prolungato e simpatico scambio di battute e opinioni e lui mi ha raccontato la sua vita e la sua storia come scrittore… un uomo geniale e appasionato, secondo me. In più ho saputo da Ron che ha al suo attivo oltre 60 romanzi di sf… solo una piccola parte pubblicata da Urania di Fruttero e Lucentini (una piccola parte che custodisco integralmente e gelosamente!). Credo dunque che ci siano un bel po’ di capolavori di Goulart che sono rimasti da noi non tradotti, senza contare che il nostro è ancora in piena attività e chissà cos’altro potrà sgorgare dalla sua magica penna! Cosa ne pensi, signor Lippi? Io penso che sarebbe triste e ingiusto che parecchi novelli appassionati di fs (come anche molti appassionati di lunga data) non possano conoscere la magia di un autore UNICO e IRRIPETIBILE, pungente e terribilmente esilarante, uno dei pochi che come mi piace affermare riesce a “incendiare la pagina”… bè, tutti questi sfortunati si perderebbero davvero qualcosa di grandioso, secondo me, e sono triste per loro (a maggior ragione che il buon Goulart è praticamente irreperibile da noi, se si esclude il mercato dell’usato). Ho promesso a Ron che avrei fatto di tutto per convincervi o spingervi almeno a pensarci, maledizione! Chiedo dunque a Giuseppe Lippi un personalissimo regalo di natale: prendere la mia idea in considerazione! Grazie in anticipo!
dicembre 18th, 2009 at 16:11
D’accordo con The Babe per Goulart in Urania collezione.
dicembre 18th, 2009 at 18:42
E io vi prometto che prenderò l’idea in SERIA considerazione. Quando si arriverà alla pubblicazione, faremo scrivere a Vittorio Curtoni (che li tradusse quasi tutti) un capitolo d’appendice sulle sue “Memorie goulartiane”. @ Babe: e magari, chiedendolo direttamente a Ron, un capitolo particolarmente succoso della sua vita di scrittore.
dicembre 18th, 2009 at 19:06
Che bellissima notizia!
Esempio di un dialogo costruttivo tra i curatori di Urania e i navigatori del Blog.
dicembre 18th, 2009 at 19:08
Certo che sì! Sarebbe una cosa grandiosa e mi incaricherei di persona di procurarmi un pezzo dallo stesso Ron! Spero quella del signor Lippi non sia una presa in giro, non riesco a capire leggendo se sia un messaggio ironico o serio… spero non sia una battuta, sarebbe crudele da parte del grande Lippi!
dicembre 18th, 2009 at 19:28
Il ritorno di Goulart, sì sì!
V.
dicembre 18th, 2009 at 19:45
Ragazzi, sono anch’io eccitatissimo già da ora… ho mandato una mail a Goulart e gli ho spiegato la mia proposta al signor Lippi e, nel mio inglese stentato , che ci avrebbe fatto molto piacere se avesse visitato questo Blog e in particolare questa pagina e, se lo gradiva, se ci avesse lasciato anche un piccolo commento… spero che non mi abbia preso per un folle (ma lo sono ?) e spero che entro un paio di giorni mi faccia sapere qualcosa o magari che lasci qui un suo commento…
dicembre 18th, 2009 at 21:08
@Giuseppe Lippi
Grazie per le informazioni! Concordo pienamente sulla scelta editoriale di riportare in calce a ogni racconto il titolo originale e il nome o i nomi dei traduttori, la mia perplessità riguardava solo il perché non sia stata affidata originariamente ad un unico traduttore la traduzione per l’appunto di una raccolta unitaria come quella in questione. La cosa potrebbe far pensare a precedenti (alla prima pubblicazione italiana) edizioni separate dei racconti che compongono “storie del tempo e dello spazio”. Comunque, il fatto che questa volta sia stata garantita almeno una supervisione unica, può far ben sperare che questa edizione esibisca un collante più incisivo della precedente.
dicembre 19th, 2009 at 10:53
Il buon Goulart è stato tempestivo nella risposta… dice che proverà appena possibile ad accedere al blog e a lasciarvi un commento (in inglese, dato che sostiene di essere di origini italiane da parte di madre ma di non conoscere la nostra lingua).
@ Giuseppe Lippi: Ron mi ha comunicato il suo entusiasmo in merito a un’eventuale pubblicazione delle sue opere in futuro sulla nostra collana; poi da quanto riesco a capire, vorrebbe richiedervi alcune copie dei suoi libri e mettersi dunque in contatto con voi per questo fatto… mi chiede se l’indirizzo di riferimento sia Arnoldo Mondadori Editore,20090 Segrate (Milano) Italy, Cas. Post 1833 Milano, o se potessi fornirgli altri indirizzi utili… Mi può aiutare a fornirgli delle informazioni, signor Lippi? Grazie. Vi rimando inoltre gli auguri di Buon Natale a tutti gli appassionati di questo blog da parte di Ron.
dicembre 19th, 2009 at 18:16
@ The Babe: l’indirizzo postale della Mondadori è quello, ma dubito che abbiamo ancora copie di numeri tanto vecchi! Comunque, se fornirai a Ron il mio indirizzo email: giulipp[AT]tin[DOT]it, mi incaricherò di trovarglieli personalmente, a costo di mobilitare la rete dei collezionisti.
dicembre 19th, 2009 at 18:52
Perfetto, signor Lippi… ho comunicato il suo indirizzo a Ron e spero mi risponda presto, oppure deciderà di contattare direttamente lei e di spiegarle direttamente la sua richiesta… anche perchè mi sembra piuttosto strana, non ho capito bene (anche se penso di aver tradotto correttamente le sue parole) Ovviamente ci vorrà almeno un giorno, a causa del fuso orario
dicembre 19th, 2009 at 20:03
Beh, The Babe, molti scrittori sono sempre a caccia delle edizioni estere delle proprie opere. Recentemente ne scriveva anche Silverberg nella sua rubrica sulla rivista Asimov’s SF, fra l’altro notando come molte edizioni dell’est europeo gli fossero totalmente ignote perchè assolutamente abusive
dicembre 20th, 2009 at 11:01
Ma senti, non immaginavo…
dicembre 21st, 2009 at 20:58
Ron Goulart in UC? Potrebbe essere una buona idea. Confesso però che la maggior parte dei suoi romanzetti non mi aveva molto convinto ( e con me altri lettori, credo, dato che l’autore dopo un po’ era stato praticamente messo in quarantena…). Mi piacevano molto invece i suoi racconti, che ancora ricordo con piacere, come quelli in appendice o nelle antologie “Motore rotto blues” e “Uomini macchine e guai”. Perchè allora non fare una bella antologia di storie brevi – quasi un mini omnibus – recuperando quelle già pubblicate su Urania? Una nuova generazione potrebbe scoprire così un non indegno erede di Robert Sheckley e John Sladek, nel campo del racconto satirico / robotico.
dicembre 22nd, 2009 at 12:39
Sottoscrivo ampiamente il commento precedente, ma l’idea di vedere Goulart su UC mi genera qualche brivido supplementare oltre a quelli del periodo corrente…
RG sta alla fantascienza come Grillo sta alla politica, è un Incursore e un Eversore del nostro genere, il suo spirito è talmente dissacrante che egli si rifiuterebbe decisamente di sedersi sul ramo dell’albero della SF dove riposano Brown,Sladek, Sheckley, E.F.Russell ecc. ecc. preferendo piuttosto segarlo!
Ok per i racconti, ma da qualche altra parte (millemondi o speciali) please.
dicembre 22nd, 2009 at 13:17
@ Franco: non sai quel che dici! A parte gli scherzi, non credo tu abbia letto tutte le opere di Goulart, e di certo ti sarai perso qualche capolavoro! I racconti sono bellissimi, ma che dire dei romanzi? Hai mai letto capolavori come “Il sistema della follia” o “La minaccia degli esmeraldiani”? Se sì, non parleresti a questo modo… Geniali, unici! Un solo romanzo, che io ricordi, non era all’altezza del suo nome: L’enigma di Hawkshaw, un po’ spento… tutti gli altri sono di altissimo livello! A meno che tu non sia un amante della hard sf, o del cyberpunk, dello steampunk, o che so io…
@ tehom: tu VERAMENTE non sai quel che dici! Il tuo paragone mi ha lasciato davvero perplesso! E poi, Goulart un evasore? Ma stiamo scherzando? è evidente che sotto la patina di sferzante ironia ama profondamente il genere, pur ironizzando su qualche suo cliché. Mi chiedo solo questo: perché in questi anni è stato idolatrato Douglas Adams e la sua fantascienza umoristica e completamente dimenticato Goulart? Goulart è notevolmente superiore, oltre a essere un suo predecessore (e forse un parziale imitatore). Scommetto che non avresti nulla da obiettare su Adams… Concludo: se vogliamo metterla su questo piano, Urania Collezione dovrebbe accogliere i classici della fs, gli autori che più anno fatto la storia della nostra amata Urania. Quante volte è stato pubblicato Goulart su Urania in passato? E quanto un Boucher, un Vance e compagnia bella?
dicembre 22nd, 2009 at 13:41
Rileggendomi, mi correggo… non volevo dire “imitatore” ma “fonte di ispirazione” (per Adams).
dicembre 22nd, 2009 at 13:44
@ The Babe:
Adams mi procura l’orticaria, lo trovo illeggibile e inspiegabile come fenomeno letterario, o pseudo tale.
Ho detto che Goulart è un EVERSORE della SF, non un evasore!, vale a dire uno che persegue lo sberleffo a prescindere, che questo sia fine a se stesso oppure no è opinabile e costituisce materia di discussione.
Ho letto molti anni fa QUASI tutto Goulart,anche quello edito da La Tribuna, ma sta di fatto che nella mia biblioteca sono sopravvissute solo le sue antologie, quindi il resto non ha retto la sfida del tempo, sorry :-).
Non sono sicuro di aver capito il passaggio finale della tua argomentazione, in ogni caso mi limito ad puntualizzare che un racconto come “La sposa delle stelle” di Boucher vale, a mio modo di vedere, un’intera antologia di Goulart…
dicembre 22nd, 2009 at 14:38
A proposito della prossima pubblicazione del n.1554 di Urania:”Cronomacchina accidentale” di J. Haldeman; ho letto con grande piacere che gli è stato attribuito il titolo di Grand Master dagli scrittori della SFWA. Auguri Haldeman!
dicembre 22nd, 2009 at 15:31
Grazie x la spiegazione, conosco il termine “eversore”… solo ho sbagliato a scrivere (ed è il mio secondo errore oggi ) A ogni modo, il passaggio finale della mia argomentazione è questo (cerco di spiegare un concetto facile in maniera ancora più facile): Goulart è uno tra gli autori più pubblicati da Urania nella sua storia + Urania Collezione si ripropone (almeno credo) di ripubblicare e dare visibilità a opere che hanno fatto la storia della collana nel tempo + Goulart è stato molto presente in passato, più di altri autori finora apparsi su Urania Collezione = Goulart MERITA una ristampa in UC! Tutto chiaro?
Comunque non sto certo cercando di convincerti, de gustibus… Almeno però tira fuori argomentazioni razionali quando attacchi un autore (avrà senz’altro i suoi limiti, non ho mai detto il contrario, ma se sei onesto dovresti poi sottolineare anche i suoi enormi pregi, o sbaglio?) Non uscirtene con paragoni assurdi come quello di Grillo e la politica, please!
Io non capisco invece una tua argomentazione: “sta di fatto che nella mia biblioteca sono sopravvissute solo le sue antologie, quindi il resto non ha retto la sfida del tempo”. Che vuol dire???? Nella mia biblioteca ci sono tutti i Goulart mai usciti in Italia, e allora?
P.S.: a mio modo di vedere, una sola pagina di Goulart vale molto più che l’intera opera del seppur buon Buocher!
dicembre 22nd, 2009 at 15:33
E in ogni caso, eversore non significa quello… sfoglia il vocabolario e te ne accorgerai! 😉
dicembre 22nd, 2009 at 16:39
Però, bella accorata questa discussione su Goulart. Parlando per me, anch’io mal digerivo le sfrenate sarabande del buon Ron, trovandole sconclusionate, ma parliamo di 20 anni fa. Nel tempo poi ho visto spuntare il suo nome soprattutto come storico, cultore e praticante del pulp, e mi ero sorpreso che facesse da “ghost writer” per William Shatner. Alla fine la curiosità di rileggere qualcosa del suo meglio l’avrei anch’io, magari in 1/3 di un Millemondi dedicato alla FS umoristica, insieme, che so, a Bertram Chandler e a xxxx (inserire nome qui). Direi che un UC di Goulart probabilmente, però, lo lascerei in edicola.
dicembre 22nd, 2009 at 17:48
Ragazzi, aldilà del dove (Urania Collezione, Millemondi, Urania “ordiaria”) il mio messaggio è semplice: vorrei tanto rivedere Ron pubblicato qui da noi… Le nuove generazioni di lettori devono conoscere, a mio avviso, la magia di questo scrittore folle e scatenato, sarebbe un peccato per loro (un “impoverimento”) se così non fosse… Un lettore alle prime armi deve conoscere TUTTI i sottogeneri della fantascienza per farsi un idea di ciò che realmente gli piace o lo affascina… se così non fosse la nostra cerchia di appassionati sarebbe, ahimé, ancora più striminzita! Ricapitolando fino a ora: a me, Giuseppe P. e Vincenzo Oliva Goulart piace e ci piace l’idea di una sua riscoperta, a Quiller, Franco e Tehom no… 3-3. Ma non sarebbe così per qualsiasi grande autore? Non è che un autore possa picere a tutti, è ovvio, no? Ma questo non significa che non meriti! Goulart non viene pubblicato in Italia da parecchi anni e mi sembra parecchio ingiusto e controproducente, per tutti. Non si può andare avanti all’infinito con la stessa solfa, space opera- cyberpunk, space opera-cyberpunk… bisogna VARIARE e ALLARGARE I NOSTRI ORIZZONTI! Leggevo su un vecchio articolo di Carmilla on-line, una profezia dell’autore di tale pezzo che suonava più o meno così: “Goulart è un autore a lungo e ingiustamente caduto nel dimenticatoio, prima o poi Goulart sarà riscoperto e quindi fareste bene ad prendere qualsiasi suo volume troviate nei mercatini del libro usato o su bancarelle varie: in futuro, potrebbero valere una fortuna!” Io sono d’accordo e voglio fortmente che il merito di questa riscoperta sia proprio di Urania, quelli che tra l’altro l’avevano portato per primi da noi!
CONCLUDO SUL SERIO, difendere Goulart ripetutamente è una cosa un po’ sfiancante! Mi piacerebbe che a concludere questo argomento sia il signor Lippi, tirando le somme e dicendo come la pensa sulla nostra discussione. Se anche dovesse essere contrario alla mia proposta, la accetterei serenamente seppur tristemente: almeno ci ho provato e, non lo dimentichiamo, io Goulart già lo conosco e lo ADORO!
Scusate la prolissità, quando parlo sono sempre sincero e appassionato e così mi lascio andare
dicembre 23rd, 2009 at 14:58
@ the Babe
Non ti piace il paragone con Grillo? Va benissimo, ne sforno un altro, forse ancora più calzante. Considero RG come il Pierino della fantascienza, i suoi libri potrebbero essere paragonati ai film con Alvaro Vitali degli anni ’70: non ho nulla contro la fantascienza umoristica, anzi , ma chi se la sentirebbe di mettere sullo stesso piano film come “Amici miei” e uno degli innumerevoli della serie vitalesca? Magari con questi si ride anche sguaiatamente la prima volta, poi ci si annoia. In questo senso considero RG come un Eversore (non un iconoclasta, attenzione!), vale a dire uno che si prefigge programmaticamente lo scopo di demolire il perimetro del genere all’interno del quale si muove e di svuotarlo di senso. Nella SF possono convivere tranquillamente i robot razionalisti di Asimov, quelli vanitosi di Kuttner, quelli con molte rotelle fuori posto di Rucker e quelli pazzi di Sladek, ma onestamente dei cyborg scoreggioni di Goulart si potrebbe tranquillamente fare a meno.
E poi, che vuol dire che perchè:” è stato pubblicato tante di quelle volte da Urania (…)”, solo per questo meriterebbe di essere ristampato su UC ? Allora Charbonneau, A.B.Chandler, Jimmi Guieu, Brussolo poichè hanno goduto di svariati passaggi su Urania solo per questo meriterebbero di essere ristampati?? Le tue argomentazioni quanto a razionalità fanno più acqua delle mie, a mio modo di vedere…
Piuttosto, chiediamoci per quale motivo l’ipotetico nuovo lettore di fantascienza non dovrebbe godere su UC di opere come “Cittadino del tramonto” di Aldiss ,”Gli anni della furia” di Cooper, “Gli idioti in marcia” di Kornbluth, “Il twonky, il tempo e la follia” di Kuttner & Moore (tutti questi libri sono di Fantascienza con la f maiuscola, nè cyberpunk nè space-opera ) che sono ancora più introvabili nell’usato di Goulart ma che hanno l’unico torto di essere stati pubblicati originariamnte dalla concorrenza.
Il direttore Lippi vuole forse anticiparci qualcosa in tal senso, ci sono speranze per la prossima decade?
Buone feste e buone letture a tutti.
dicembre 23rd, 2009 at 15:16
@tehom: ma “Cittadino del tramonto” di Aldiss non è (anche) noto come Barbagrigia? Quello è disponibile anche subito!
dicembre 23rd, 2009 at 16:47
Mi sono ripromesso di concludere qui la nostra già sin troppo lunga discussione… così non mi stanco a rispondere ai tuoi vaneggiamenti (e scusa la durezza, ma di vaneggiamenti si tratta!) e chiudiamo qui la questione. Potrei scrivere una pagina intera e demolire razionalmente ciò che hai detto ma ho di meglio da fare… Puoi anche non aggiungere altro (abbiamo capito il tuo spiazzante messaggi) tanto non risponderò. La parola a Lippi (che tra l’altro mi ha già promesso di pensare seriamente a un’idea di Goulart, e che non voglio disturbare oltre… spero che Ron sia riuscito a contattarlo per quella questione). Buon Natale a tutti i frequentatori del blog! 😉
dicembre 23rd, 2009 at 19:04
Accidenti avevo lasciato il blog durante una polemica e ci torno con un altra.Spero che ci sia ancora spazio per questo figliol prodigo qui.Riguardo a Goulart,non è sicuramente uno degli autori che conosco meglio però credo che un antologia di racconti potrebbe essere una soluzione intermedia che renderebbe felici gli estimatori del buon Ron,lo farebbe conoscere ai più giovani e magari andrebbe incontro ai gusti anche dei lettori che come me lo conoscono poco.Nel frattempo la cosa più importante:tanti auguri a tutti,buon Natale,tanta serenità e sopratutto che il nuovo anno sia migliore di questo che sta finendo.Auguri.A tutti noi.
dicembre 26th, 2009 at 03:04
Di ron Goulard,ho letto i terroristi del big bang e il perfido cyborg,però 20 anni fa,ma non mi ricordo di cosa trattavano.Di questo autore mi ricordo,perchè presi dei vecchi urania in edicola e poi perchè di recente ,ho spostato dei libri.Ho saputo che Nicoletta Vallorani scrisse un seguito del finto cuore dr ed ha un suo sito
dicembre 28th, 2009 at 20:27
Finalmente ho beccato l’antologia di Boucher. Come diceva Ernesto, il saggio di Lippi su carta è anche meglio. Nel frattempo, ho preso un’altra copia di Rivelazioni/2 (non trovo più l’altra).
Buone letture!