Tutti a Zanzibar, con l’acqua alla gola
(DELINQUESCENZA L’avete commessa aprendo questo libro. Continuate. Non chiediamo di meglio. – Chad C. Mulligan, Lessico della Delinquescenza)
(COINCIDENZA Ti è sfuggita l’altra metà di ciò che stava accadendo. – Chad C. Mulligan, Lessico della Delinquescenza)
L’occhio di Brunner è un satellite che scruta la Terra dalla sua orbita quasi-polare, 800 km sopra le nostre teste. Ma non è un comune occhio elettronico. Ha la capacità di cavalcare le maree del tempo e addentrarsi con precisione chirurgica nel suo tempo futuro, che poi è il nostro tempo presente, restituendocene un’istantanea in colori desaturati che fotografa senza pietà i limiti, le contraddizioni, i problemi attuali e venturi del nostro mondo.
Pubblicato in un anno cruciale come il 1968, vincitore l’anno successivo del Premio Hugo, Tutti a Zanzibar (in originale Stand on Zanzibar) è uno dei capisaldi della New Wave montante all’epoca, ma si spinge anche molto più in là, caricandosi di una valenza simbolica che lo rende dannatamente attuale ancora al giorno d’oggi. Questa sua persistenza, questo perdurante insistere su tematiche che continuano a riguardarci da vicino come la sovrappopolazione, la bioetica, l’onnipresenza degli stimoli consumistici, il divario economico tra paesi e continenti e l’impiego razionale delle risorse del pianeta, sicuramente ha tratto un certo beneficio dall’approccio sperimentale di John Brunner, che qui rasenta l’avanguardia. La storia, già di per sé complessa nel suo intrecciare le vite di numerosi personaggi disseminati in ogni angolo del globo, viene resa nel modo più efficace possibile attraverso la scelta di una composizione frammentata, servita da un montaggio frenetico. Brunner riversa sul lettore una vera e propria pioggia di informazioni, particelle elementari che bersagliano la coscienza come una cascata di raggi cosmici. Stralci di notiziari, slogan pubblicitari, brani saggistici, scampoli di conversazioni costruiscono il rumore di fondo in cui l’autore immerge i suoi personaggi, in un bagno di realtà che al lettore può risultare tanto ostico al primo impatto quanto vivido riesce a rivelarsi sulla distanza. L’effetto è quello del sovraccarico d’informazione che si può sperimentare leggendo altri autori che hanno iniettato le loro visioni fantascientifiche attraverso una prosa sperimentale, da William Burroughs a William Gibson (qui la scheda su LibriMondadori.it), passando per James G. Ballard.
L’iperdensità dei riferimenti e dei rimandi conferisce una profondità prospettica vertiginosa all’universo di Brunner. Rilancia su un piano diverso il tema dell’affollamento e del parallelo affievolimento della potenza comunicativa nel rumore bianco in cui tende a dissolversi un coro di voci solitarie. E richiama la teoria dell’economista e teorico della comunicazione Harold Adams Innis, un collega del più celebre Marshall McLuhan. I suoi scritti sulla comunicazione indagano il ruolo dei media nel dar forma alla cultura e allo sviluppo delle civiltà. Come un armonioso equilibrio tra la forma orale e quella scritta determinò la fioritura della civiltà ellenica, rilevava Innis, così la nostra civiltà occidentale è minacciata da forme di comunicazione basate sull’effimero come la pubblicità, slegate dalla storia e improntate alla “continua, sistematica e spietata distruzione degli elementi di persistenza essenziali ai nostri processi culturali”. Non è un caso che il libro si apra proprio con una citazione da La galassia Gutenberg di McLuhan:
“Non c’è niente di voluto né di arbitrario, nel modo d’espressione di Innis. Se lo si volesse tradurre in prosa prospettica, non solo occorrerebbe uno spazio enorme, ma si perderebbe anche l’intima percezione delle reciprocità esistenti tra le forme di organizzazione. Innis ha sacrificato l’espressione della propria opinione particolare e l’autorevolezza al suo sentimento di quanto sia urgente il bisogno della percezione interna. Un’opinione può diventare, come surrogato della percezione e della conoscenza, un lusso pericoloso. […] Quando stabilisce una relazione fra lo sviluppo della macchina da stampa a vapore, il consolidamento dei dialetti, la nascita del nazionalismo e la rivoluzione, [Innis] non riferisce l’opinione di nessuno, tanto meno la propria. Compone una configurazione a mosaico, o galassia, ai fini della percezione. […] Nelle sue ultime opere non offre pacchi pronti d’occasione per il consumatore, ma solo scatole per il fai-da-te…”
Il lettore che si sia ritrovato per le mani questo libro per caso o quasi potrà restare spiazzato. Il paradigma di riferimento di Brunner non è quello consolidato del romanzo che ha fatto, con la massa dei titoli, la storia della fantascienza, bensì l’ideale di frattura e sovversione che ha determinato l’avanzamento del genere attraverso il secolo scorso, a scatti attraverso improvvise accelerazioni, fino ai giorni nostri. Il modello è indubbiamente la sensibilità postmoderna che proprio in quegli anni si andava delineando nella letteratura americana. Gli scrittori inglesi della New Wave furono i primi a recepire i sintomi del cambiamento che si profilava all’orizzonte, e fu anche grazie alla mediazione di New Worlds, di Michael Moorcock, di James G. Ballard, di Brian Aldiss e dello stesso Brunner che la ricaduta del postmodernismo sul genere fu notevole anche sull’opposta sponda dell’Atlantico. Sempre del 1968 sono altri due capolavori che riflettono nitidamente lo spirito dell’epoca, testimoniando quanto profondamente si fosse già innestata nella fantascienza nordamericana questa istanza di rinnovamento: basti pensare a Campo Archimede del recentemente scomparso Thomas M. Disch (Camp Concentration) e a Nova di Samuel R. Delany. E a questi possiamo aggiungere anche Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (Do Androids Dream of Electric Sheep?, il libro da cui Ridley Scott avrebbe tratto nel 1982 il manifesto cinematografico del cyberpunk: Blade Runner), scritto nel 1966 ma uscito proprio quell’anno fatidico.
Tutti a Zanzibar ha più di un punto di contatto con il discorso letterario (ma potremmo dire anche “metaletterario”) che in quegli anni prendeva forma grazie soprattutto all’impulso anticonformista e provocatorio, in tutta probabilità involontario, di Thomas Pynchon. Avvantaggiato dalla relativa autonomia garantitagli dal contesto di genere in cui si trovava ad operare, Brunner è perfino più estremo dell’oggetto letterario non identificato del secondo Novecento: l’intuizione di Pynchon di una scrittura ipertestuale, digressiva, letterariamente densa al punto da produrre una distorsione delle linee di campo della trama, arrivando a ripiegarne sotto la propria concentrazione di massa il flusso narrativo, già accennata nei suoi primi lavori (V. del 1963 e L’incanto del lotto 49 del 1966), arriva a essere compiutamente espressa da Brunner in questo romanzo prima ancora che esploda con la massima risonanza possibile in quello che probabilmente è il punto di non ritorno della letteratura del Secondo Dopoguerra: L’arcobaleno della gravità (Gravity’s Rainbow, 1973).
Le fulminanti intromissioni nel testo di Tutti a Zanzibar delle arguzie di Chad C. Mulligan, sociologo in pensione (“era un sociologo. Ci ha rinunciato” nella presentazione per niente convenzionale che Brunner traccia dei suoi personaggi in apertura), stigmatizzano pregiudizi e malcostume con una efficacia chirurgica e, al contempo, si rivelano lo spazio privilegiato dall’autore per tentare i suoi esperimenti compositivi, che non di rado richiamano lo stesso meccanismo degli hyperlink con cui la Rete ci ha dato modo di familiarizzare.
L’interruzione delle classiche linee di associazione, come teorizzava William Burroughs, è lo stratagemma per infrangere il controllo esercitato sulle nostre vite (gusti, consumi, stili) dal potere del governo e delle megacorporazioni attraverso la rete dei mass media. Brunner innalza il suo cut-up a un nuovo livello di scontro, sfidando gli appassionati di fantascienza sul campo del loro vissuto quotidiano così come Burroughs (la Trilogia Nova risale all’inizio degli anni ’60) aveva sfidato il lettore non di genere con visioni derivate da un immaginario strettamente fantascientifico. Questo cortocircuito tra immaginario e attualità per tracciare una riflessione critica sulla situazione e sulle sue possibili evoluzioni, spaziando dal panorama letterario alle tensioni sociali, dalle silenziose manovre della geopolitica al degrado della sensibilità culturale, rappresenta uno dei lasciti più preziosi della New Wave alla fantascienza che sarebbe venuta dopo, a cominciare dal cyberpunk degli anni ’80.
L’influenza della generazione di Brunner non si spiegherebbe, altrimenti, con una coincidenza.
GDM
Posted in Orizzonti
luglio 16th, 2008 at 22:54
Non sono molto d’accordo sulla critica di cui sopra.Anche se dovrei rileggere il libro,mi sembra che il procedere di Brunner sia piuttosto didascalico,e ben lontano dagli esiti di un Burroughs che demolisce le impalcature linguistiche viste come veicolo di contaminazione virale.In Burroughs la forma è il luogo primario dove,in ossequio all’esperienza novecentesca,si produce qualcosa di nuovo.In Brunner e in tanta fantascienza a mio parere no.
luglio 17th, 2008 at 09:16
Come dicevo, secondo me Burroughs e Brunner operano su 2 livelli diversi. Il primo inietta immagini fantascientifiche in un contesto non di genere e resta sicuramente insuperato nell’applicazione della tecnica da lui stessa affinata con Gysin.
Brunner si muove in un contesto di genere e opera da una prospettiva “capovolta” rispetto a Burroughs. E’ la realtà/attualità che filtra nelle sue pagine. In luogo di un virus abbiamo in realtà rumore, una radiazione linguistica di fondo che percorre tutto il romanzo e che tracima sulla trama.
X
luglio 17th, 2008 at 21:49
Appunto.Uno ha “scelto”le restrizioni del genere,l’altro no.I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Trovo Brunner comunque un buono scrittore.Sopra la media.
luglio 17th, 2008 at 22:37
Non mi trovo molto d’accordo con te con la storia delle “restrizioni”. L’appartenenza a un genere come la fantascienza non può porre vincoli sulla carta. Tutt’altro: mette a disposizione il bagaglio immenso dell’immaginario fantastico. Muoversi all’interno di coordinate precise e riconoscibili allarga la banda di comunicazione tra scrittore e lettore. Poi il risultato dipende dall’uso che si sceglie di farne e dalla confidenza con lo strumento…
Ma mi sembra che siamo d’accordo sull’esito raggiunto da Brunner 😉
Ciao!
X
luglio 18th, 2008 at 12:34
Hola gente.
Su Brunner nulla da dire che non sia positivo.
Somiglia pure a Kremoncini
luglio 18th, 2008 at 16:03
E’ vero, somiglia a Kremo, ma soprattutto in questa foto. Poi Brunner ingrassò molto e a quel punto la somiglianza svanì. La moglie morì prima di lui, provocandogli un gran dispiacere. Era buon amico di Gianfranco Viviani, Gianni Montanari e altri editor italiani.
luglio 18th, 2008 at 17:29
Ricordo che frequentò anche qualche Italcon in qualità di ospite d’onore: Fanano, mi sembra, nel 1985… Ho ricordi molto vaghi di quella convention: soprattutto il fatto che si teneva in un luogo praticamente dimenticato dalle carte geografiche, nell’appennino modenese. Altro che la “centralissima e urbanissima” Fiuggi!
luglio 18th, 2008 at 23:34
Dario Tonani
Brunner fu ospite d’onore a Ferrara nel 1976 e a Borgomanero nel 1983.
Fu anche alle riunioni della World SF a Stresa nel 1980 e a Fanano nel 1985.
Era spesso a Milano ed in quelle occasioni ci si trovava.
luglio 19th, 2008 at 07:37
Lo scambio prende vita.
Mi piace ascoltare le storie in scia ricordi… fanno molto ‘spiaggia e falò’ e svuotano la testa.
E a proposito di Ferrara (zona mia), c’è giusto un isolotto, lì, nel fiume Po che con un po’ di legna e qualche griglia sarebbe il luogo ideale per una ‘special convention SF’.
luglio 19th, 2008 at 12:18
marco milani
Noi ci si ritrova spesso sull’altra sponda del Po e ci appoggiamo a Rico di Ficarolo per le grigliate. D’altra parte i Giurassici si ritrovavano fino a poco tempo fa a Salara, presso la casa-museo di Mongini.
A parte le riunioni Giurassiche, strettamente riservate agli aventi titolo, le altre iniziative sono aperte.
luglio 21st, 2008 at 11:30
Ernesto…
Da Rico a casa mia sono 5 chilometri in linea d’aria, stesso versante di fiume.
Bon, prima o poi…
luglio 21st, 2008 at 14:19
marco milani
Bene. Magari per l’occasione, se ci sarà occasione, tenterò anche Lippi :-))
luglio 22nd, 2008 at 07:49
E De Matteo non è distante.
Na mezz’ora di strada, facciamo 40 minuti…
Gli facciamo diventare il telefono ‘viola’ se non viene. Vero X? :))))))
luglio 30th, 2008 at 01:18
[…] scena della New Wave (ne ho accennato in 2 occasioni, in merito a Ballard su Next-Station.org e a Brunner sul blog di Urania). Kubrick riesce a realizzare la sintesi perfetta, cortocircuitando l’inner space […]
luglio 30th, 2008 at 07:38
[…] basterebbe prendere l’autostrada[…]
Ok, seconda stella a destra.
dicembre 28th, 2008 at 22:27
[…] che l’ho chiamato in causa, vi lascio con una citazione proprio di Chad C. Mulligan, così anche chi di voi si gode le meritate vacanze avrà qualcosa su cui meditare: DELINQUESCENZA […]