Robert A. Heinlein e il gioco degli specchi

febbraio 18th, 2014 by Moderatore

The-Puppet-Masters-by-Robert-A-Heinlein

a seconda parte dei racconti

introvabili di Heinlein, un

classico di arguzia e inventiva

 

Robert Anson Heinlein è nato a Butler, Missouri, nel 1907 ed è morto nel 1988. Dopo aver dovuto rinunciare alla carriera di ufficiale navale a causa di una malattia, si è dedicato alla fantascienza e scrivendo sulle riviste di John W. Campbell Jr. (“Astounding” e “Unknown”) è divenuto in pochissimo tempo uno dei suoi maestri moderni. Nel periodo maturo della carriera ha firmato alcuni tra i libri per ragazzi più riusciti non solo della science fiction ma di tutta la narrativa avventurosa, come Cittadino della galassia (Citizen of the Galaxy, 1957) e Fanteria dello spazio (Starship Troopers, 1959). Ha affrontato molti temi classici, aggiornandoli: la subdola invasione aliena in Il terrore dalla sesta luna (The Puppet Masters, 1951), il viaggio nel tempo in La porta sull’estate (The Door Into Summer, 1957), il futuro della tecnologia in Waldo (id., 1942); ma ha anche introdottoconcetti nuovi, dal confronto tra scienza e magia in Anonima stregoni (Magic, Inc., 1940) all’astronave generazionale di Universo (Orphans of the Sky o Universe, un testo degli anni Quaranta riveduto nel 1963), il cui tema è stato poi largamente sfruttato; fino al capovolgimento in termini della questione razziale in La fortezza di Farnham (Farnham’s Freehold, 1962), romanzo che abbiamo già presentato in versione integrale su “Urania collezione”.

Molti dei suoi racconti, a cominciare dalla “Linea della vita” (1939), possono essere visti come il tentativo di raccontare il futuro storicamente, in una sequenza logica e ordinata, traendone gli insegnamenti che stanno a cuore a Heinlein e a molti della sua generazione: americani pragmatici, decisi a vincere la Seconda guerra mondiale, a trasformare il mondo in senso tecnocratico e ad amministrarlo come un meccanismo a orologeria. Nei racconti della “Storia futura”– così battezzata dallo stesso Heinlein – vi è la presa di coscienza che l’America è ormai ben altra cosa rispetto ai tempi dei Padri fondatori, ma anche di Abramo Lincoln. Il fatto è che il grande paese si è automatizzato, alterando la propria fisionomia e la volontà che l’accompagna; d’ora in poi la felicità, il diritto all’autorealizzazione, la fede in Dio eccetera non passeranno più per i boschi di Walden o per le riflessioni dei trascendentalisti, ma per le fabbriche, i campi d’aviazione e le catene di montaggio.

Al tempo stesso, Heinlein si dice favorevole al concetto di democrazia intesa come estrema libertà individuale, e addirittura armata. A un certo punto della sua carriera scrive una controstoria della Rivoluzione americana che intitola La luna è una severa maestra (The Moon Is a Harsh Mistress, 1966), romanzo in cui gli ideali libertari si scontrano con quelli della programmazione statale, mettendo in cattiva luce il modello collettivista. E si potrebbe continuare a lungo sulle ambiguità ideologiche (dal punto di vista europeo) del nostro autore, ma è stato già fatto e non è il caso di tornarvi qui. Ci limiteremo a osservare che, come altri romanzieri prima e dopo di lui, Robert Heinlein si è dotato di un’ideologia-progetto che ha i suoi perni nell’efficientismo, nella disciplina militare, nella necessità di difendere la civiltà combattendo i nemici, ma anche nella difesa radicale delle libertà individuali e in seguito sessuali; e che quegli ideali si alternano nei romanzi, oscillanti tra un anarchismo liberatorio precursore del ’68 e un amore per il militarismo e la repressione “necessaria” di tipo neofascista. Ripetiamo, l’ambivalenza è un fenomeno letterario comune e non dovrebbe stupire più di tanto, ma nel caso di Heinlein colpisce perché è un autore che suscita semplici e immediate passioni.

Il grande vecchio ha avuto una lunga e multiforme carriera, tutt’altro che limitata all’editoria di genere: nel 1950 ha scritto la sceneggiatura del pionieristico Uomini sulla luna (Destination Moon) di George Pal, primo esempio di cinematografia a colori sul tema del volo spaziale. Con il romanzo Straniero in terra straniera (Stranger in a Strange Land, 1961) ha tentato un esperimento in anticipo sui tempi: in America il libro suscitò polemiche non solo per l’allegra franchezza con la quale affrontava temi scottanti come la religione e il sesso, ma anche per la sua mole. Notissimo nel campo della fantascienza tecnologica, si è divertito a stupire i lettori con quella paradossale e umoristica, compresi alcuni racconti del fantastico puro che sfuggono alla cronologia della Storia futura e sono usciti su “Unknown” o altre riviste ai confini tra i generi. Quest’ultimo tipo di produzione heinleniana è stato raccolto in due antologie, Waldo + Magic, Inc. del 1950 e The Unpleasant Profession of Jonathan Hoag del 1959. Nel 1999 Tor Books, un grosso editore americano di fantascienza, ha riunito le due vecchie raccolte in un imponente volume unico, The Fantasies of Robert A. Heinlein, che “Urania” ha tradotto in due volumi: Anonima stregoni (n. 1456) e Il mestiere dell’avvoltoio (n. 1474). Oggi ripubblichiamo la raccolta, sempre in due parti, reimpostando la cronologia delle antologie originali, per cui questo secondo volume contiene Il mestiere dell’avvoltoio e altri racconti (in modo da rispecchiare la raccolta USA del 1959), mentre il precedente, pubblicato su Urania n. 1596, ripresentava i due romanzi apparsi insieme per la prima volta nel 1950, Waldo e Anonima stregoni.

Ma anche se non avesse scritto queste deliziose avventure, Heinlein sarebbe ugualmente riconosciuto come uno degli autori più estroversi e sempre capaci di rinnovamento della science fiction classica. Non è un caso che dopo il 1971 abbia conosciuto una nuova stagione creativa, iniziando con il grosso romanzo a sfondo psicosessuale Non temerò alcun male (I Will Fear No Evil) e continuando con una serie di opere controverse che hanno mostrato le molte sfaccettature della sua personalità. Questi romanzi sono: Lazarus Long, l’immortale (Time Enough for Love, 1973: un seguito del precedente Ifigli di Matusalemme), Il numero della bestia (The Number of the Beast, 1981, sempre inserito nel ciclo di Lazarus Long), Operazione domani (Friday, 1982), Il gatto che attraversa i muri (The Cat Who Walks Through Walls, 1985, un’altra aggiunta al ciclo di Long), Oltre il tramonto (To Sail Beyond the Sunset, 1987, il suo ultimo romanzo).

Intanto, un solo romanzo di Heinlein era rimasto a lungo inedito, pur risalendo agli anni 1938-39: si tratta di For Us, the Living – A Comedy of Customs. In America è stato pubblicato finalmente dall’editore Scribner (2004) e in Italia lo ha tradotto “Urania” nel dicembre 2005 (con il titolo A noi vivi, n. 1505). La decisione di pubblicarlo a quasi settant’anni dalla composizione originaria fa già intendere che si tratta di un testo particolare: quello che avrebbe dovuto essere il primo romanzo di Heinlein e che non lo è stato – per una serie di vicissitudini creative ed editoriali – parte subito con notevoli ambizioni e idee molto precise. Idee sulla scienza, la tecnologia, il ruolo dell’America: perché For Us, the Living non è una storia d’azione e neppure un capitolo della celebre Storia futura heinleniana, ma è semplicemente la storia futura degli Stati Uniti, già tutta racchiusa in una visione utopica e polemica di ampio respiro. L’espediente che dà il via al racconto è talmente classico da richiamare alla mente i maestri storici dell’utopia,Samuel Butler (Erewhon), Edward Bellamy (Guardando indietro)e soprattutto William Morris, le cui Notizie da nessun luogo descrivono, come il testo di Heinlein, l’avventura di un Povero Moderno nel mondo del futuro, della post-modernità. Quello che il libro mette in scena è un esame affascinante e impietoso della civiltà di domani: una civiltà che in Heinlein, come in Morris e Bellamy, è studiata tratto per tratto, settore per settore, con la pazienza di un entomologo. Per i lettori abituati al futuro autore di Fanteria dello spazio, Stella doppia o La porta sull’estate è stata una scoperta, una variazione sul tema del progettare mondi alternativi; per tutti è stata un’importante aggiunta alla conoscenza di un autore che viene ancora considerato sinonimo di fantascienza americana, e di cui Philip K. Dick ha scritto: “Anche se abbiamo idee politiche completamente diverse, lo considero il mio padre spirituale,”1.

Mondadori ha anche ripresentato, in “Urania collezione”, la versione integrale della Fortezza di Farnham, precedentemente noto come Storia di Farnham (Farnham’s Freehold, 1962). Il romanzo affronta uno dei temi più scottanti – quello razziale – da un punto di vista così personale che non possiamo nemmeno definirlo “provocatorio” nel senso abituale del termine. Nel leggere il libro dobbiamo riportarci alla prima metà degli anni Sessanta, quando prendeva piede il movimento per i diritti civili e l’espressione “civiltà multietnica” non aveva semplicemente diritto di asilo (con buona pace del melting pot di ottocentesca memoria). Detto ciò, dobbiamo osservare che questo acre romanzo meritavauna ristampa perché aveva avuto un’unica edizione italiana nel 1965 e neppure in volume a sé stante, ma nell’antologia L’ombra del 2000; che era stato dato in una versione talmente incompleta da mancare di circa un terzo del testo originale; e che rappresentava uno dei libri più oscuri e meno citati di un autore ancora popolare tra migliaia di lettori. Nella prima parte della Storia si parla di sopravvivenza e problemi logistici in un microcosmo post-nucleare; nella seconda di una società capovolta e impazzita che rappresenta il particolare inferno di questa visione heinleniana, in cui i neri d’America sono diventati padroni del campo e hanno reintrodotto vecchie pratiche tabù. Non bisogna dimenticare che lo scrittore di fantascienza – anche uno scrittore idiosincratico come Heinlein – non è necessariamente un sociologo o un filosofo che costruisce sistemi coerenti, ma un artista o aspirante tale. In questo senso, oggi può vedere bianco ciò che domani vedrà nero e viceversa. Sulla particolare scacchiera del futuro, Robert A. Heinlein ha spesso giocato a colori invertiti, da esperto moralista. In successivi romanzi, ad esempio quelli degli anni Settanta, avrebbe assunto altre maschere ancora.

 

G.L.

 

1 Nell’introduzione alla raccolta personale Non saremo noi (The Golden Man).

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