Piero Schiavo Campo

novembre 18th, 2013 by Moderatore

Abbiamo incontrato l’autore di L’uomo

a un grado kelvin per chiedergli di

raccontare la genesi del suo romanzo.

 

Piero Schiavo Campo è nato a Palermo nel 1951 ma poi è vissuto a Milano o in Lombardia, a parte una pausa di alcuni anni a Bologna. È docente a contratto di Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università di Milano Bicocca e i passato si è occupato di astrofisica. Ha scritto due romanzi brevi di carattere fantastico, uno dei quali è stato pubblicato recentemente su internet (ilmiolibro.kataweb.it.) Con L’uomo a un grado kelvin ha vinto il Premio Urania… senza averci neanche puntato!

 

È così, dunque. Hai scritto il romanzo senza avere in mente il premio Urania?

Inizialmente ho scritto senza velleità di pubblicazione, poi l’ho fatto leggere ad alcuni amici e a mia moglie che mi hanno incoraggiato. Non pensavo però a Urania, perché ritenevo che il suo essere un thriller fantascientifico lo rendesse troppo  “di confine”. È stata un’amica che lavora in campo editoriale a dirmi che le cose non stavano così, e a indurmi a partecipare al premio.

In effetti il tuo è sicuramente un romanzo di fantascienza, ma rispetta del tutto anche i canoni del romanzo di investigazione…

Sono da sempre molto affascinato dal giallo e sono stato un accanito lettore di Agatha Christie. Quello che trovo stimolante, e che mi ha creato molte difficoltà, è la struttura: un libro del brivido deve avere un trama di background, cioè quello che è veramente successo, e una di foreground, che è quella a conoscenza del lettore. Ovviamente devono convergere, ma su quale delle due ci si deve appoggiare per costruire il romanzo? Credo che anche i giallisti di nome oscillino tra queste due soluzioni. Per esempio, Agatha Christie dà l’impressione di basarsi sul background; costruisce perfetti meccanismi a orologeria, ma i suoi personaggi, Poirot e Miss Marple, a me sembrano delle macchiette. In autori come James Ellroy o Raymond Chandler, d’altra parte, la cosa importante sembra essere il foreground, mentre la trama investigativa serve per fornire i colpi di scena al momento giusto.

E tu dove ti collochi tra queste alternative?

Penso a metà strada. L’idea iniziale che ho avuto era quella di un teatro, in cui si alzava il sipario e per prima cosa si vedeva un uomo congelato. Un’immagine forte. I problemi sono venuti quando ho cercato di immaginare come poteva avere avuto origine questa situazione, e mi sono imbarcato in una trama di background molto complessa. Tuttavia il mio non è solo un romanzo a chiave, ma un romanzo di fantascienza a tutti gli effetti. Nell’idea originale l’ambientazione e i temi sociali erano più accentuati: al centro c’era la descrizione di questa Milano divisa in spicchi dominati da etnie differenti, che ha perso la sfida dell’integrazione. Tuttavia, a mano a mano che scrivevo, mi sono reso conto che la parte fantascientifica e quella misteriosa erano più interessanti, e così ho sfrondato le parti relative all’ambientazione, anche perché avevo superato la lunghezza massima consentita dal regolamento. Sono convinto che il romanzo ne abbia guadagnato.

Oggi vanno di moda i personaggi pieni di problemi personali o intenti a filosofeggiare. Tu invece proponi un protagonista che si limita a indagare, senza rivelare troppo di sé…

Sembra che un personaggio per essere considerato interessante debba avere appena perso una figlia o essere un tetraplegico in carrozzella. La mia opinione è che non ci sia bisogno di questo, che chiunque possa essere interessante. Comunque ammetto senza problemi di aver clonato in parte Dick Watson a partire da Archie Goodwin, l’assistente di Nero Wolfe. Penso che sia un’operazione lecita, e che la clonazione in letteratura porti spesso a risultati interessanti. Come Goodwin, anche Watson ha uno sguardo ironico sulla vita ed è fisicamente invincibile. Però, a differenza di lui, non è solo un “braccio” ma anche una “mente”, in grado di avere intuizioni proprie. Spero poi che si capisca che lo prendo volutamente un po’ in giro: per esempio quando fa a gara di erudizione con Long John Silver, e si trova in difficoltà pur avendo frequentato buone scuole. Mi piace pensare di averne fatto non una macchietta, ma una caricatura.

È perché hai scelto di chiamarlo Dick Watson?

Anche questo è un modo per prenderlo in giro, dandogli il cognome di uno dei più celebri personaggi del giallo. Sempre per questo motivo ho deciso che fosse inglese. È un altro modo di fare dell’ironia, anche se la mia intenzione non era di scrivere un giallo ironico, ma con elementi ironici.

In effetti, pur essendo il tuo romanzo ambientato in Italia, i personaggi sono quasi tutti stranieri. Come mai?

Volevo dare all’ambientazione un respiro europeo. Anche se oggi l’idea di Europa è un po’ in crisi, sono stato un europeista convinto, e mi piace immaginare che in futuro l’Europa torni a essere un’idea, e non solo un luogo dove si fanno i conti delle quote latte. Inoltre a parte pochi casi di alta letteratura, l’ambientazione nostrana finisce col generare certi commissari pieni di vezzi italici, cose che mi annoiano un po’.

Tu però hai anche previsto che l’Europa abbia attraversato qualcosa di simile a una rivoluzione…

Spero ovviamente di sbagliarmi. Però ho l’impressione che la crisi che stiamo vivendo sia molto profonda, e che ci vorranno diversi anni prima di superarla. E perciò si potrebbero avere anche sviluppi di questo genere.

Il tuo villain è stato un rivoluzionario, però sembra agire per tornaconto personale.

Per entrare nel mondo della scienza ha dovuto abbandonare la parte precedente della sua vita. E comunque non è certamente un personaggio positivo. Tra i personaggi degli scienziati, quello a cui tengo di più è Sonnenborg, il quale è in parte “clonato” da Erwin Schrödinger, uno scienziato per cui da giovane ho nutrito un’ammirazione particolare. Oggi si sente forse la mancanza di persone come lui, o come Bohr e Einstein, in grado di esprimere una visione generale. Sembrano dominare scienziati più “tecnici”: gente di enorme competenza, intendiamoci, ma che sembra badare più ai dettagli delle equazioni che non alle domande ultime. Ammesso che le domande ultime abbiano delle risposte, e che la specie umana sia in grado di trovarle! Sonnenborg rappresenta la rivincita dei personaggi “alla Einstein”: non è bravo a manipolare le macchine o con la matematica, ma ha intuizioni profonde.

 E i computer quantistici come sono entrati nella trama?

Mi è sembrato ovvio che un centro avanzatissimo nel campo della meccanica quantistica fosse molto avanti anche in quel tipo di tecnologia, già oggi al centro di molte ricerche. Qui mi sono concesso anche di introdurre alcuni elementi non del tutto realistici. La battaglia finale dei due “mostri” difficilmente potrebbe avvenire nella realtà, dato che i condensati di Bose-Einstein vanno confinati in maniera rigidissima, e perdono le loro caratteristiche se interagiscono con qualunque oggetto. Gli stessi computer quantistici sono di molto difficile realizzazione. Non ho idea se nel 2061 esisteranno davvero.

(A cura di Marco Passarello)

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9 Responses

  1. CREPASCOLO

    Ingeneroso con l’Archie Goodwin di Rex Stout che è anche in grado – realisticamente – di dedurre il deducibile ( si veda Gambit , tradotto dal Giallo Mondadori come Scacco a re per Nero Wolfe ) e di arrivare, a volte, alla soluzione prima o contestualmente ( come capita in un racconto sul baseball ) al suo pachidermico signore e donno. Non sono del tutto convinto di quanto detto di Ellroy – Chandler è un caso a parte, ma non mi pare che Addio, mia amata o Il Lungo Addio, to name a few, difettino di un plot -che in realtà sguazza nella trama di un multiverso fittissimo di riferimenti in cui è tutto concatenato. Le creaturine di Agatha sono effettivamente sopra le righe, ma occorre contestualizzare e sono pronto a scommettere che Piero Schiavo Campo ha conosciuto almeno una vecchietta fragile ed acutissima o un professore di mate o filosofia del ginnasio con una ossessione per le scarpe di vernice ed i piccoli dettagli che alla fine devono quadrare. Scritto questo, non ho ancora letto L’uomo a un grado kelvin , ma se è raccontato dal Goodwin del 21mo secolo è cosa da fare…

  2. Piero Schiavo Campo

    Spero di non creare attese che poi non si realizzano… parlo del Goodwin del XXI secolo. Più che altro, nell’inventare Watson mi sono rifatto al cliché del classico giallo d’azione americano d’antan, con un occhio di particolare riguardo verso Goodwin che secondo me è un personaggio geniale (forse bisognerebbe dire che è geniale la terna Wolfe – Goodwin – Cramer). Per quanto riguarda Ellroy (ottimo autore a mio parere), vorrei citare solo il caso di LA Confidential. Il “cattivo” scopre che i detective Huxley e White (spero che si scrivano così…) gli stanno alle calcagna. Controlla almeno una trentina di gangster, come si evince dal finale. La cosa più semplice sarebbe attivare i suoi uomini e ammazzare i detective: pulito e lineare. Tuttavia la scelta non sarebbe scenografica, quindi cosa fa? 1) Manda Huxley a casa della fidanzata di White; 2) Fa in modo (non si sa come) che i due facciano sesso; 3) Manda il giornalista scandalistico a fotografarli; 4) Fa in modo che White trovi le fotografie, sperando che uccida Huxley in un impeto di gelosia. Dal punto di vista di quello che chiamo il “foreground” è perfetto: il lettore (spettatore del film) è catturato dallo sviluppo dell’azione. Dal punto di vista del “background” (che vorrebbe una trama credibile e lineare) è evidente che non sta in piedi: la zia Agatha si rivolta nella tomba. Mi sarebbe piaciuto molto mettere insieme i due aspetti: trama credibile + foreground interessante per chi legge. Lavorandoci, ho scoperto che è MOLTO difficile: le trame lineari finiscono coll’essere banali, e se si vuole uscire dalla banalità è quasi inevitabile ritrovarsi aggrovigliati in situazioni di background senza senso.

  3. Piero Schiavo Campo

    A proposito dei personaggi: Stout, che era un bravo scrittore, fa dei suoi delle caricature. Si basa su precedenti letterari (il riferimento a Holmes – Watson è evidente, ma in nero Wolfe io vedo anche qualcosa del Conte Fosco di Collins), caricandoli fino a un “punto di equilibrio” oltre il quale degenererebbe nella farsa. La Christie era un genio della trama, ma come scrittrice (secondo me, ovviamente) molto meno brava di Stout. Carica troppo. Supera il punto di equilibrio, per cui Poirot e miss Marple non sono più caricature ma macchiette…

    PS: Il nome del personaggio deve essere Exley, non Huxley. Non so, sto andando a memoria.

  4. CREPASCOLO

    Condivisibile. E’ anche vero che negli anni trenta la detection story all’inglese ha qualcosa del gioco da tavola ed è quasi prescritto che i personaggi siano bidimensionali e come certi soldatini di carta. Il tempo sarà pure un gran dottore, ma ha reso meno veraci persino le creaturine di Hammett , Chandler e Ross McDonald. Il trio Wolfe-Goodwin-Cramer è comunque un classico, ovvero sempre moderno, che riproduce dinamiche presenti in altra insospettabile fiction ( penso alla striscia di Krazy Kat di Herriman per esempio ). Per qualche tempo ancora sarà possibile proporre varianti a prescindere da quanti kelvin si possano misurare. Sono sicuro che qualcuno ci riuscirà anche quando il detective sarà una colonia di computer liquidi a caccia del ladro della undicesima dimensione e mi spiace che probabilmente non avrò occasione di provarne l’esperienza sinestetica applicandomi alla spalla un dermonarratore, ma non si sa mai…

  5. Ezio G.

    Non sapevo che fossimo su giallo blog.
    Magari ceri commenti andrebbero fatti
    dall’altra parte.

  6. PIERO

    La mia collezione di Omnibus fantascienza +1: tutte le antologie curate da Carlo Fruttero & Franco Lucentini…

    http://www.flickr.com/photos/arcovariante/sets/72157637966747173/

  7. Gabriele db

    Sto leggendo il romanzo sono quasi alla fine. Molto bello complimenti all’autore. Il 3D web è stata una bella pensata

  8. Alex Cremo

    Spero che l’autore legga ancora questa pagina. Ho finito di leggere da poco il suo romanzo e, a parte i complimenti di rito (secondo me l’idea del 3Dweb è bellissima e spero che se sarà mai realizzata nella realtà ci arrivi a vederla), volevo farle 2 domande.

    Andando a memoria, ad un certo punto Sergej viene informato che servono i suoi servizi per un’indagine e lui risponde: “ho appena letto 22000 titoli trovati su un sito”, ovviamente intende che Sergej legge i 22k libri nel tempo che passa dalla ricezione della richiesta alla elaborazione della risposta, giusto?

    Seconda domanda. Quando la moglie di Sonnenborg dice: “mio marito è un pò all’antica. Ha sempre trovato detestabile l’uso di display di qualsiasi genere per la lettura”, è un sentimento suo?
    Una curiosità, visto che condivido la devozione al cartaceo piuttosto che l’elettronico ma non detestando il nuovo mezzo.

  9. Piero Schiavo Campo

    @Alex Cremo: in effetti sono capitato sul blog per caso, era molto tempo che non lo frequentavo; vedo però che la mia risposta non arriva “disastrosamente” in ritardo… :-))
    1) “Appena” in questo caso non rimanda a un tempo definito. Si presume che per Igor leggere qualche decina di migliaia di libri sia una questione di un attimo…
    2) Personalmente non possiedo un e-book reader, amo il libro di carta e temo che non riuscirò mai a staccarmene. Anche se devo riconoscere che l’ebook è (probabilmente) il futuro: gli editori non hanno più il problema dei resi, i lettori possono pagare un libro pochi euro (anche se le politiche editoriali a volte gonfiano i prezzi), gli autori (ma anche i lettori) smettono di avere il problema dei libri fuori catalogo o introvabili. In ogni caso, comunque, condivido l’opinione del professor Sonnenborg, che anche se non ha una grande parte nel libro resta per certi versi il mio personaggio preferito…
    Grazie del commento!

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