Lois Mc Master Bujold
Il nuovo romanzo di Miles Vorkosigan,
ovvero la rinascita della space opera
Nata a Columbus (Ohio, Stati Uniti) nel 1949, Lois McMasters Bujold ha vinto quattro volte il premio Hugo per il miglior romanzo e con la popolarissima saga dei Vor ha dato vita a un classico moderno della sf. Quando nel 1986 uscì L’apprendista, uno tra i primi episodi del lungo ciclo, la nuova space opera emetteva i primi vagiti. Quella vecchia, nel senso di classica, veniva ancora letta dai filologi e dai curatori di collane di ristampe, i quali del resto la rileggeranno a vita. I lettori contemporanei, tuttavia, cercavano sensazioni nuove e non accontendandosi degli exploit di Larry Niven, incoraggiavano apertamente l’avventura spaziale a sfondo morale di Orson Scott Card (che vinse i maggiori premi con il ciclo di Ender), quella scientifica di Gregory Benford, mentre si preparavano ad applaudire i romanzi di David Brin e del coltissimo Iain Banks. L’avventura spaziale, si sa, è un sottogenere che a sua volta ne conta parecchi: c’è quella “puzzolente”, vale a dire logora e desueta, che va bene più che altro per i neofiti; c’è la variante cosmica, dove non è impossibile scorgere un’ambizione metafisica; e c’è la space opera militare, ieri cara a Heinlein e oggi, anni Ottanta, a David Gerrold e Lois McMaster Bujold. Ma i tempi erano cambiati a tal punto che a questi si dovrebbe aggiungere un sottogenere sempre più influente come la space opera televisiva. Dopo due decenni di Star Trek, Next Generation, Battlestar Galactica, Spazio 1999 e quant’altro, l’avventura spaziale aveva ereditato dalla TV un ingrediente che si è dimostrato fondamentale alla fine del XX secolo come lo era stato nella space opera dei primordi: l’accento messo sui personaggi. Cosa sarebbe il ciclo della Legione delo spazio senza i tre formidabili moschettieri del futuro, e in particolare Giles Habibula? E cosa sarebbe la saga di Arcot, Wade e Morey di John Campbell, o il ciclo di Aarn Munro, senza gli eroi eponimi? Per non parlare di Elliott Grosvenor, il protagonista-connettivista di Crociera nell’infinito di A.E. van Vogt. La serie di Miles Vorkosigan, che è diventata ben presto una favorita del pubblico, è stata scritta a partire dal 1983-84 e pubblicata dal 1986 con titoli come L’onore dei Vor e L’apprendista, quest’ultimo pubblicato proprio su “Urania” nel n. 1211 del 1993. L’ultimo titolo, Cryoburn (2010), è il romanzo che presentiamo oggi; come i grandi esempi che abbiamo citato, è imperniata anch’essa su un eroe caratteristico e memorabile, Vorkosigan appunto, malfatto nel corpo (soffre di menomazioni piuttosto gravi) e malvisto dai nemici che conoscono la sua reputazione. Nell’ambiente della fantascienza si capì subito che era spuntato un nuovo talento e che un intero genere – quello della space opera militare, o d’intrigo – sarebbe risorto dalle ceneri con nuovo orgoglio e nuove cose da dire. I numerosi titoli di cui si compone la serie, indipendenti l’uno dall’altro e leggibili in modo autonomo, hanno confermato questa impressione. Vorkosigan è un personaggio credibile, addirittura realistico nelle sue avventure e sventure, cui il pubblico si affeziona. Il futuro galattico in cui si muove è ben circostanziato e Lois McMaster Bujold dimostra di essere l’autrice che più di tutti ha saputo traghettare un certo tipo di sf classica verso le esigenze dela produzione moderna. Quali sono queste esigenze? Innanzi tutto la serialità e in secondo luogo l’ampio respiro di ogni romanzo, che non solo racconta una lunga avventura ma costituisce un affresco, se il termine non sembra troppo abusato, di un angolo di galassia e di un aspetto della civiltà interstellare che si svilupperà in un domani barocco e tuttavia ancora riconoscibile.
In passato, “Urania” non ha potuto avvicinarsi ai capitoli sempre più lunghi della saga bujoldiana per ragioni di mole e perché i diritti erano ormai detenuti da altri editori, ma oggi, compiendo uno sforzo non indifferente, si è assicurata la ristampa de I due Vorkosigan – uno dei titoli più ricercati della serie, apparso all’inizio dell’anno in “Urania collezione” – e del recente Cryoburn (2010), l’inedito che proponiamo qui. Ne I due Vorkosigan la lotta fra due fratelli, e quindi fra Miles e la sua immagine “potenziata”, è il filo conduttore di un’aspra vicenda che sembra riecheggiare i classici del romanzo d’intreccio. Nello stesso tempo, I due Vorkosigan è davvero una grande space opera, dove il vorticare della galassia si sente anche nelle scene e nelle situazioni più claustrofobiche.
Cryoburn è il nuovo capitolo della saga e dipinge un’invenzione tra le più allettanti della sf (e della letteratura di sempre): la vita eterna. La criocamera inventata dagli esseri del pianeta New Hope II, i cosiddetti Kibou-daini, può resuscitare i morti recenti. Fin qui il miracolo: ma ai Kibou-daini non basta, giacché vogliono trasformare la loro scoperta nella prima franchise per sconfiggere la morte. L’invenzione – che intendono commercializzare in tutta la galassia – insospettisce però Vorkosigan, anche perché se tutti pretendessero di vivere all’infinito, qualcosa nel “turnismo dell’esistenza” prima o poi s’incepperebbe. Non a caso su New Hope ci sono grossi problemi, e la camera della vita rischia di suscitare effetti incontrollabili sul mondo stesso che l’ha generata. Un romanzo ad ampio respiro, ricco di situazioni e particolari interessanti e non solo di colpi di scena; il capitolo maturo di una serie da tempo ai vertici della fantascienza attuale.
G.L.
Posted in Profili
agosto 10th, 2012 at 16:03
” L’avventura spaziale, si sa, è un sottogenere che a sua volta ne conta parecchi: c’è quella “puzzolente”, vale a dire logora e desueta, che va bene più che altro per i neofiti;”
Non mi è ben chiaro questo passaggio.
A chi o cosa si riferisce?