Lorenzo Andolfatto su Shi Kong
Al lettore di science fiction più navigato la lettura di questi racconti potrà riportare alla mente non tanto la fantascienza matura di Philip K. Dick, Ballard, della corrente New Wave prima e poi del Cyberpunk, quanto piuttosto la produzione classica, quella dell’età dell’oro degli anni cinquanta americani, della Fondazione di Asimov, di Straniero in terra straniera di Heinlein, delle Cronache marziane di Bradbury, una fantascienza ancora innocente se vogliamo, lontana nel cosmo a bordo di astronavi magnifiche e popolata di eroi e robot in uno sfondo, lo spazio aperto, che assume il ruolo della frontiera, di un nuovo West ricco di opportunità.
D’altronde, c’è poco di che meravigliarsi, i racconti qui tradotti – una selezione di alcuni tra i lavori più interessanti pubblicati negli ultimi trent’anni dalla rivista “Kehuan Shijie” (“Il mondo della fantascienza”) – coprono grosso modo il ventennio che va dai primi anni Ottanta alla fine degli anni Novanta (con alcune incursioni negli anni Duemila), un periodo che, guidato dallo slogan di Deng Xiaoping “arricchirsi è glorioso”, ha visto l’economia della Cina fiorire di anno in anno fino a raggiungere, come sappiamo bene, PIL annuali di due cifre, e che ha dato il via al programma di esplorazione spaziale che ha portato il paese, nel 2003, ad essere la terza nazione al mondo ad aver mandato un uomo nello spazio. Sostanzialmente, un periodo in un certo senso simile a quello dell’America del secondo dopoguerra: quello di un paese robusto e ottimista, proiettato non soltanto oltre i propri confini nazionali, ma oltre ai confini stessi del pianeta. Lo spazio-frontiera, in Cina, è qui ed è adesso, e ciò ha inevitabilmente ripercussioni sulla produzione letteraria che tradizionalmente fa dello spazio il suo sfondo: se soltanto i protagonisti di questi racconti avessero nomi di matrice anglosassone, scritti usando l’alfabeto e non i caratteri cinesi, avremmo l’illusione di trovarci di fronte a racconti usciti da “Amazing Stories”. È vero anche che è proprio in questi anni che “Kehuan Shijie”, controparte cinese di “Urania”, sta vivendo la sua epoca d’oro: con una tiratura mensile di cinquecentomila copie ed un bacino di lettori dieci volte più vasto (secondo le ultime ricerche ogni numero circola per le mani di più di una decina di lettori che della rivista non possono permettersi l’acquisto), questa pubblicazione è diventata uno dei centri propulsori del genere, raccogliendo a sé tanto gli autori storici del genere quanto le nuove leve, promuovendo concorsi e organizzando convention nazionali e internazioli, “educando” il proprio pubblico alle produzioni occidentali con collane di traduzioni dedicate agli autori stranieri, etc. Il paragone, in conclusione, è decisamente calzante.Torna qui utile un altro raffronto: se Fruttero e Lucentini avevano anni addietro paragonato il genere sf alla musica jazz (si legga a riguardo l’introduzione al Quarto libro della fantascienza della collana Le meraviglie del possibile), è possibile ancora oggi, riguardo alla fantascienza cinese, compiere un’associazione del genere e giocare su un utile parallelismo musicale. Con l’inizio dell’era del socialismo di mercato e la conseguente apertura della Cina all’occidente tanto dal punto di vista economico che sociale, il pubblico cinese è entrato in contatto nel giro di pochissimi anni con cinquanta, sessant’anni di musica pop (nel senso più ampio del termine) occidentale, dal proto-rock americano di Elvis allo sperimentalismo islandese dei Sigur Ròs passando per i folksinger di protesta a là Bob Dylan, al punk britannico degli anni 70, al metal, all’elettronica. Tale ipertrofia delle fonti ha portato ad una scena musicale contemporanea eclettica e multiforme, pervasa da un senso costante di deja-vu che spesso fa comodo liquidare superficialmente come “made in China”. Un discorso analogo, relativo alla sovrabbondanza delle fonti può essere fatto prendendo in analisi la fantascienza cinese più recente. Nel quarantennio breve che intercorre fra la fondazione della Repubblica popolare e la fine della Rivoluzione culturale (ovvero dal 1949 alla prima metà degli anni settanta), durante il quale il genere ha avuto fortune alterne oscillando fra l’elogio in quanto mezzo di educazione delle masse al pensiero scientifico, e la critica feroce in quanto fonte di “inquinamento spirituale”[1], è seguito un periodo di improvvisa apertura (di nuovo: il socialismo di mercato) che ha visto una nuova rinascita della produzione di racconti fomentata dal contatto intensivo con l’occidente (presenti nelle traduzioni di Neil Gaiman e Ursula K. Le Guin sugli scaffali delle librerie) e un relativo allentamento della stretta ideologica. Risultato di tutto ciò sono i racconti di quest’antologia, un’istantanea degli ultimi trent’anni della novellistica sci-fi cinese, letteratura che vibra allo stesso tempo delle influenze dei modelli d’oltreoceano e dell’impulso verso la ricerca di una propria dimensione “cinese” (continentale), racconti che ritraggono i voli nell’iperuranio di un paese esso stesso sul punto di decollare, ma ancora restio a concedere libertà totale ai propri scrittori che, in risposta, cercano vie d’uscita nel cosmo a bordo di grandi astronavi verso pianeti distanti. Nota ai testi qui tradottiTutti i racconti qui proposti sono stati pubblicati nella loro versione originale dalla rivista “Kehuan shijie” nel corso degli ultimi trent’anni e di recente ristampati in un’antologia celebrativa del trentennale della nascita della pubblicazione. Sole eccezioni sono il racconto che apre questo volume, La Terra allo specchio di Zheng Wenguang, autore comunque presente nell’antologia originale, ma di cui ho volutamente scelto di tradurre un altro racconto a mio parere più rappresentativo rispetto a quello originariamente proposto dal volume cinese, e L’isola, pubblicato non in “Kehuan Shijie” bensì in “Kehuan shidai”, e tuttavia opera di un autore di punta della prima. Di questi ultimi due racconti, il primo è anche il più “anziano” della raccolta, mentre il più recente di tutto il volume risale al 2006.
Buona lettura,
Lorenzo Andolfatto
[1] Per tutto questo vedi l’articolo storico di Lorenzo Andolfatto pubblicato nello scorso numero di “Urania”.
Posted in Orizzonti
dicembre 15th, 2010 at 03:16
Non sarebe il caso di ristampare
qualcosa della SF Russo/Sovietica?
Penso ad Efremov o a Strugatsky o a Rybackov.
dicembre 17th, 2010 at 13:10
Sono d’accordo anch’io, magari qualche bella antologia di racconti.