Il cantore perduto
Pubblichiamo un intervento di Gianni Montanari su Walter M. Miller, Jr e sul suo capolavoro, Un cantico per Leibowitz.
“Per buone e valide ragioni personali, Walter Miller jr. si è ritirato come scrittore.” Con queste parole, incluse nel breve cappello introduttivo a un racconto di Miller ristampato nell’antologia A Wilderness of Stars pubblicata nel 1971, si sanciva la scomparsa dal campo della fantascienza (e della letteratura) di uno dei suoi talenti più ricchi e singolari. A dire il vero, più che di una sanzione si trattava di una tardiva spiegazione, poiché la “scomparsa” era avvenuta qualcosa come undici anni prima, nel 1960, in coincidenza con la pubblicazione del capolavoro indiscusso di Miller, Un cantico per Leibowitz. Autore di quelle brevi righe era il curatore dell’antologia, William F. Nolan, che probabilmente sapeva in proposito più di quanto volesse scrivere, ma i lettori dovettero accontentarsi: Walter Miller aveva deciso di sparire dal mondo della fantascienza e nessuno poteva convincerlo a ripensarci.
Quali potevano essere i suoi motivi? Perfino David N. Samuelson, autore del più esauriente saggio critico su questo autore, The Lost Canticles of Walter M. Miller, Jr., apparso su Science-Fiction Studies n. 8 (marzo 1976), si limita ad accennare a motivi di ordine letterario: forse il suo romanzo lo ossessionava, prosciugandolo di ogni attività creativa; forse gli imponeva un termine di paragone il cui livello era troppo difficile mantenere; o ancora, forse il romanzo esprimeva così bene i temi cari a Miller che il suo completamento lo lasciava senza altro da dire. Ma si tratta sempre e soltanto di forse. L’unica cosa certa, ancora oggi, è che Un cantico per Leibowitz rimane un’opera difficilmente eguagliabile, e che nella produzione di Miller non costituisce un’eccezione fortunata ma il risultato finale di una continua ricerca durata quasi un decennio.
Nato il 23 gennaio 1923 in Florida, da genitori cattolici, Walter Michael Miller jr. interrompe agli inizi della Seconda guerra mondiale gli studi di ingegneria per arruolarsi in aviazione; partecipa così a più di cinquanta missioni di volo sui Balcani e sull’Italia, e assiste alla distruzione dell’abbazia di Montecassino. Finita la guerra, si laurea all’Università del Texas e inizia a scrivere durante un periodo di convalescenza provocato da un incidente automobilistico. Il suo esordio avviene con il racconto “Secret of the Death Dome” sulle pagine di “Amazing Stories” nel gennaio 1951, e nei sette anni seguenti la sua intera produzione viene ospitata da riviste come “Astounding”, “Fantastic Stories”, “Galaxy”. Sono anni in cui l’America, emersa poco prima vittoriosa dalla guerra, incomincia a perdere la sua sicurezza e il suo ottimismo euforico alle prese con la guerra di Corea e con il maccartismo, e sono gli anni in cui la fantascienza americana sembra finalmente voler abbandonare tanti stereotipi avventurosi per prestare un po’ di attenzione anche allo sviluppo dei personaggi e al loro contesto ambientale. Le storie di Miller cominciano subito a lasciare il segno, con il loro piglio estremamente sicuro fin dall’inizio e la loro capacità di mettere in scena, oltre a personaggi dotati di un insolito spessore psicologico, temi che di lì a poco sarebbero diventati di bruciante attualità: il relativismo culturale di razze diverse, la solitudine urbana, il controllo delle nascite, l’alienazione tecnologica, per citarne alcuni.
In tutto, Miller pubblica quarantuno fra racconti e romanzi brevi, in un arco di tempo compreso tra il 1951 e il 1957. Una di queste, The Darfsteller (“Il mattatore”), gli fa conquistare un premio Hugo nel 1956: è il magistrale ritratto di un attore del futuro che sabotando un “collega” elettronico riesce a tornare un’ultima volta sulle scene. Ma ci sono altri tre romanzi brevi, apparsi fra il 1955 ed il 1957 su “The Magazine of Fantasy & SF” (A Canticle for Leibowitz, And the Light is Risen e The Last Canticle), che sembrano assorbire Miller in un infaticabile lavoro di revisione e di ampliamento. Sono le tre storie che nel 1960 appaiono finalmente in volume come Un cantico per Leibowitz, meritando a Miller un premio Hugo per il miglior romanzo dell’anno.
In quest’opera, concedendo finalmente spazio a un interesse in precedenza solo sfiorato in alcuni racconti, Miller ha modo di affrontare in modo diretto e globale un tema che gli sta a cuore: Ia religione. Per la precisione, quella cattolico romana. E nel dipingere le tre pale del suo romanzo imperniato attorno all’abbazia del Beato Leibowitz, dove i monaci dell’ordine omonimo custodiscono (seicento anni dopo la terza guerra mondiale) documenti e progetti scientifici del passato come memorabilia, senza minimamente comprenderne il significato, Miller si mantiene al largo da qualsiasi tono apologetico. Le sue figure minuziosamente connotate servono anche a intavolare discussioni sulla legittimità di certi usi del progresso scientifico, sulla validità delle vocazioni e su altri temi religiosi, ma l’occhio che le osserva crescere mantiene un garbato tono ironico, conscio del fatto che sotto un saio o sotto gli stracci di un mutante si trovano gli stessi uomini. Uomini che cercano di conservare al genere umano la stessa dignità che può valere per un credente o un brigante di strada, anche sotto gli occhi delle poiane che ormai formano un’inamovibile eredità del passato atomico.
Gianni Montanari
Posted in Fantascienza, Profili, Urania Collezione
gennaio 13th, 2010 at 23:48
Avevo letto di questo autore si “Il Mattatore” che questo libro. Devo dire che il primo non mi era piaciuto molto mentre “Un Cantico per Leibowitz” l’ho semplicemente adorato. E approfitto di questa ristampa per una rilettura di questo meraviglioso libro. Volevo anche chiedere quando verrà postato il calendario di Urania 2010?
gennaio 14th, 2010 at 16:50
Da “Caccia a Ottobre Rosso”:
– I russi non vanno neppure di corpo senza avere un piano