Le avventure del bracchetto spaziale
Pubblichiamo la postfazione di Riccardo Valla a Crociera nell’infinito, il volume di “Urania Collezione” attualmente in edicola.
1. All’inizio: la Nave di Sua Maestà “Beagle”
Il 27 dicembre 1831, dopo estesi lavori voluti dal nuovo capitano Robert FitzRoy e dopo vari ritardi dovuti all’inclemenza del tempo, il brigantino Beagle (“bracchetto”, nel senso della razza canina) lasciava il porto di Plymouth per la crociera che in sei anni l’avrebbe portato non solo a compiere il giro del mondo, ma anche a divenire una delle più famose navi della marina britannica, alla pari con la Victory di Nelson se non con il Bounty.
Infatti iniziava allora il viaggio in cui Charles Darwin raccolse le osservazioni naturalistiche e le testimonianze fossili che gli avrebbero permesso di enunciare la sua teoria dell’evoluzione delle specie attraverso il meccanismo della selezione naturale.
Non era il primo viaggio della nave, che aveva già in corso da alcuni anni una ricognizione delle coste del Sudamerica per tracciarne le carte geografiche a uso della marina inglese, ma il lavoro si era interrotto e la nave era ritornata a Plymouth perché il capitano Pringle Stokes, sopraffatto dalla solitudine e dalla nostalgia di casa, si era ucciso in un momento di depressione.
Il ventisettenne capitano FitzRoy, che prese il posto di Stokes, aveva già condotto la nave nel viaggio di ritorno e non sembrava soggetto a crisi di depressione – era il figlio illegittimo di un nobile e compensava con la pignoleria e la religiosità l’imbarazzo della nascita irregolare – ma gli organizzatori del viaggio pensarono bene di assegnargli un gentiluomo di compagnia che non gli facessse rimpiangere troppo l’assenza di altri membri della sua classe sociale. La scelta cadde su un naturalista, il ventitreenne Charles Darwin, che oltre ad avere dato buona prova di sé come classificatore, discendeva da una illustre famiglia che vantava già un famoso studioso, Erasmus Darwin, il nonno di Charles.
Il viaggio non fu certo movimentato come quello dell’astronave Space Beagle di questo romanzo di van Vogt – nessun kraken attentò alla solidità del fasciame e nessuna balena bianca cercò di sterminare l’equipaggio per regnare sull’intero universo dei pesciolini – ma non fu privo dei suoi lati bizzarri, soprattutto nei rapporti tra i due gentiluomini e nell’incidente dei “fuegini”.
Per quel che riguarda i rapporti tra i due, FitzRoy non intendeva rinunciare all’onore di ospitare nella propria cabina un gentiluomo come Darwin, appartenente alla miglior nobiltà della scienza, ma il coscienzioso naturalista gli riempiva l’intera cabina di vasi e boccette contenenti i suoi campioni, e il loro disordine era fonte di continui attriti. Quando il capitano protestava, Darwin per ripicca si trasferiva in un’altra cabina e il capitano dopo qualche giorno andava a scusarsi e lo richiamava.
Assai più curioso l’incidente dei fuegini, che potrebbe avere ispirato la corrente ottocentesca di pensiero che poneva l’accento sul rischio della “de-evoluzione”. In breve, la Beagle, nel suo primo viaggio, aveva visitato la Terra del Fuoco, dove abitavano quelli che erano considerati gli uomini più primitivi della Terra. Non avevano case, non coltivavano la terra e non portavano neppure abiti, perché si coprivano di argilla bagnata che poi lasciavano seccare sulla pelle. Durante una sosta della nave presso di loro, i fuegini avevano rubato una barca della Beagle (una lancia da balene, per la precisione) e il capitano aveva preso degli ostaggi per farsela restituire. Alla fine, alcuni ostaggi erano rimasti sulla nave ed erano stati portati in Inghilterra per “civilizzarli”. Uno di loro – chiamato Jemmy Button perché era rimasto affascinato da un bottone di madreperla che gli avevano regalato – aveva appreso bene la lingua e le buone maniere e tutti, di conseguenza, si aspettavano grandi cose da lui, e soprattutto che, con l’aiuto di un missionario disposto a rimanere nella Terra del Fuoco, “civilizzasse” i compatrioti. Così, oltre a Darwin e alle sue boccette, la Beagle portava con sé anche i fuegini, il ministro del culto e tutto l’occorrente per costruire casette e coltivare la terra.
Sacerdote, fuegini e materiale vennero sbarcati e la nave ripartì, ma poco più tardi, al suo ritorno, trovò unicamente il missionario, che, gettata la spugna della civilizzazione, chiedeva solo che lo riprendessero a bordo. I fuegini si erano spartiti utensili e scorte ed erano ritornati alla loro vecchia vita, facendo in tal modo sorgere il sospetto che la “civilizzazione” sia solo una sottile patina, pronta a dissolversi al primo urto. Un episodio che portò argomenti al timore della de-evoluzione o “regressione”, tipico del positivismo dei decenni vittoriani, quando la scienza sociale vedeva la trasgressione come un “regresso”: il ladro era un individuo regredito all’epoca in cui non esisteva la proprietà, il libertino era regredito all’epoca in cui gli antenati dell’uomo vivevano in promiscuità e così via.
Quanto precede contribuirà a spiegare perché van Vogt abbia chiamato questo romanzo “La crociera della Space Beagle”, quando ne apparve la prima edizione, nel 1950. Per la precisione, alcune parti erano apparse in origine sulle riviste di fantascienza nella decina di anni precedenti, e in origine la nave era priva di nome. Solo alla sua seconda comparsa, quando divenne chiara la tematica degli incontri con alieni intelligenti, venne chiamata Beagle.
In Francia il romanzo si intitola “La fauna dello spazio”, e solo in Italia pare non sia stata colta la sua dimensione evoluzionistica, darwiniana, esplorativa, classificatoria ecc.: fin dalla prima edizione italiana, apparsa in un fascicolo dei “Romanzi di Urania” che si caratterizzava anche per un’inversione di copertina, si chiamava “Crociera nell’infinito”, titolo forse un po’ troppo ottimistico, rispetto a tutti gli incidenti in cui incappa la nave. (La copertina mostrava due esploratori che salivano verso la cabina di comando di un robot d’oro, grosso come un camion, che assomigliava a una formica. È un’immagine che si riferisce alla conclusione del romanzo Sconfitta dei semidei, in cui si parla di una razza di formiche mutanti comandate da una intelligenza superiore. A sua volta, sulla copertina di Sconfitta dei semidei comparivano un felino minaccioso, le rovine di una città e un’astronave.)
2. “Fix-up”: raccolta o romanzo?
Dire che Crociera nell’Infinito è un romanzo è un’affermazione che richiede una giustificazione, perché nei commenti su quest’opera si incontrano varie altre denominazioni: per qualcuno è una raccolta di racconti, per altri un quasi-romanzo e in genere è definito un fix-up, termine che alla lettera significa qualcosa come “riparazione”, “eliminazione dei guasti”, “rimettere a nuovo”, “mettere a posto” e che forse si potrebbe tradurre con “riunione di revisioni”. In ogni caso, per Crociera nell’infinito non si tratta di una semplice raccolta di racconti preesistenti, perché i vari brani originali sono stati riscritti in modo da acquistare una nuova unitarietà e, oltre ad aggiungere delle parti, ne sono state eliminate altre.A partire dal 1950, van Vogt ha svolto la stessa operazione su molto suo materiale precedente: i due romanzi di Isher (Le armi di Isher e Hedrock l’immortale), I ribelli dei 50 soli, Tutto bene a Carson Planet sono i più noti “fix-up”.
Viceversa, altre opere erano apparse fin dall’inizio come romanzi a puntate. Per esempio il ciclo del Non-A (Anno 2650 e Gli schiavi del Non-A) e quello di Linn (L’impero dell’atomo) e così pure Il segreto degli Slan e Il libro di Ptath.
È legittimo sospettare che la riunione di racconti in modo da farne un romanzo fosse fin dai primi anni una abitudine di van Vogt per trovare un’utilizzazione ai racconti rimasti inediti e si ha l’impressione che i suoi primi due romanzi, Slan e Ptath, siano stati ottenuti unendo del materiale più breve, magari per suggerimento di John Campbell, direttore delle riviste con cui collaborava.
Ptath è composto di parti molto veloci e drammatiche alternate a parti che sembrano dei riempitivi, e vi sono dei sub-intrecci giustificati in modo insoddisfacente, come la guerra che compare nella seconda parte o tutto ciò che riguarda i bastoni da preghiera (se è vietato pregare Ptath, da dove trae i poteri che mostra all’inizio? E se ha ancora dei poteri, perché non riesce a vincere l’amnesia?).
Più netto il caso di Slan, dove la principale incongruenza è l’arretratezza degli uomini rispetto alle super-scienze degli slan, con o senza antenne che siano. Questi viaggiano tra i pianeti e nascondono le loro astronavi proprio sotto il naso degli uomini, che invece hanno ancora i carretti a cavalli e le auto degli Anni Trenta, col predellino laterale.
L’incongruenza potrebbe trovare una spiegazione separando le parti intrecciate tra loro e osservando quel che si ottiene: la parte “uomini e slan” (con Jommy Cross, la Nonnina, Kier Gray), e la parte “slan senza antenne”, con le navi nascoste nei grattacieli, il viaggio interplanetario e la colonizzazione del pianeta Marte.
Si avrebbero allora due romanzi brevi, il primo sullo stato poliziesco e i mutanti, il secondo su qualche sorta di “illuminati” o “rosacroce”: società segrete che, sorte magari alla fine del Settecento con personaggi come Franklin a guidare il progresso della scienza, passato qualche secolo possiedono grandi conoscenze scientifiche e le tengono nascoste, ma intanto hanno raggiunto Marte dove è situata la loro vera base e dove hanno fondato la società perfetta. (L’idea di un gruppo o un singolo individuo che possiede grandi segreti scientifici e per lungo tempo li mantiene segreti comparirà anche nel personaggio di Hedrock.)
Si possono dare delle ipotesi anche sullo svolgimento di quegli ipotetici racconti. Il materiale in cui compaiono gli “slan senza antenne” forma pressoché questa storia: qualcuno, nella grande città, scopre l’esistenza delle navi spaziali nascoste; si imbarca allora su una (o ne ruba una) e raggiunge Marte dopo essersi impadronito dei segreti dell’astronave.
La seconda storia, quella ambientata in uno stato di polizia alla maniera russa (le figure del dittatore e del suo collaboratore paiono ispirate a Stalin e Beria) sembra essere questa: in uno stato di polizia continuano a comparire (o rimangono ancora alcuni) mutanti superintelligenti (gli slan, appunto), che vengono eliminati a vista dalla polizia. Uno degli slan che sono riusciti a sfuggire alla caccia è il padre del protagonista Jommy Cross, uno scienziato che ha scoperto l’energia atomica. Il figlio si nasconde presso la “Nonnina” e porta avanti le ricerche del padre, fino a servirsene per penetrare nel palazzo del tiranno con l’intenzione di prendere il potere, e lì scopre che il tiranno è uno dei mutanti e che la caccia agli slan serve soprattutto a riunire coloro che sono rimasti al di fuori del’organizzazione. La storia potrebbe comprendere anche una guerra tra uomini e slan: l’arretratezza degli uomini potrebbe essere dovuta a quella guerra.
Alcune parti in cui Jommy incontra gli slan senza antenne potrebbero essere state scritte in seguito, altre avere fatto parte della storia degli “illuminati”, e van Vogt avrebbe allora cambiato il nome del protagonista del racconto dandogli quello dello slan Jommy Cross, protagonista dell’altro racconto. Un simile spostamento di personaggio è stato effettuato da van Vogt nel romanzo Hedrock l’immortale, quando attribuisce a Hedrock le azioni che nella prima versione su rivista erano di un altro personaggio, Neelan.
Oltre a questo, van Vogt avrebbe trasformato i suoi “illuminati” in slan senza antenne, creando così da due storie non particolarmente nuove un romanzo che alla sua uscita riscosse un grande successo.
Nessun problema filologico di questo tipo si nasconde in Crociera nell’Infinito, che è costruito mettendo in successione cronologica le quattro parti che lo compongono e che erano uscite separatamente a partire dal 1939. L’unico interrogativo è se si possa parlare, in un caso come questo, di romanzo.
Evidentemente, la risposta dipende da quel che intendiamo con “romanzo”. Se intendiamo una storia in cui un personaggio interagisce con l’ambiente che lo circonda e lo modifica e ne viene modificato a sua volta, qui l’abbiamo: il protagonista è il connettivista Grosvenor, che interagendo con i colleghi e con la “fauna dello spazio” giunge progressivamente a modificare l’ambiente e se stesso (abbandona progressivamente ogni ritrosia nel servirsi dei poteri che la sua scienza gli mette a disposizione).
3. Dal racconto al romanzo
Il primo racconto della Space Beagle, Black Destroyer (“Il distruttore nero”), apparve nel luglio 1939 e fu seguito nel mese di dicembre dello stesso anno da Discord in Scarlet, in cui si parlava di Ixtl, che nel romanzo corrisponde al terzo episodio. Il titolo potrebbe tradursi “Zizzania in scarlatto”, dato che la frase fa pensare a qualche bella donna vestita di rosso che crea scompiglio tra gli esponenti dell’altro sesso e non a un extraterrestre di quel colore.
Come abbiamo già detto, la nave prende il nome Beagle solo nel secondo racconto, mentre nel primo non erano presenti né Grosvenor né il suo Connettivismo. In genere la critica parla del primo racconto come di una storia darwiniana, ma nella versione su rivista è soprattutto una storia in cui il punto debole del felino alieno viene trovato analizzando la società a cui apparteneva e giungendo alla conclusione che doveva essere un criminale. Diversamente dal libro, nel racconto sono stati i coeurl a costruire la città di cui rimangono solo le rovine; inoltre l’id di cui si nutre Coeurl è il fosforo organico.
Nel racconto pubblicato su rivista ci sono digressioni storiche che sono state eliminate: riferimenti a civiltà decadenti della Terra. Inoltre, Coeurl è animato da un desiderio di distruzione che nel romanzo è stato un po’ smussato. Nelle due versioni, l’inizio è leggermente diverso e si può citarlo per dare un’idea del lavoro di “fix-up” eseguito dall’autore. In entrambe le versioni, Coeurl cerca instancabilmente la sua preda e non la trova. Nel romanzo si guarda attorno e vede un paesaggio deprimente; si blocca e viene paragonato all’immagine di una tigre nera:
…una tigre nera in un mondo d’ombre. Ciò che lo scoraggiava era il fatto di aver perso il contatto. Possedeva organi sensori che in condizioni normali gli permettevano di avvertire la presenza di id organico a distanza di chilometri. Non riuscirvi più significava che il suo stato non era normale. L’aver perso il contatto in una sola notte indicava che era ormai vicino all’esaurimento fisico. Era il sintomo della malattia mortale che aveva imparato a conoscere.Sette volte, durante l’ultimo secolo, aveva trovato suoi simili tanto deboli da essere incapaci del più piccolo movimento; i loro corpi, altrimenti immortali, erano spaventosamente consunti e condannati alla distruzione per mancanza di cibo. Avidamente, allora, si era gettato sulle creature indifese, e lacerandone le carni inerti ne aveva estratto quel poco id che ancora le manteneva in vita (Crociera nell’Infinito).
Nella versione su rivista la delusione di Coeurl è dovuta al fatto che riconosce il luogo da cui era partito tanto tempo prima. Anche qui abbiamo l’immagine della “tigre nera in un mondo d’ombre”, ma il racconto del 1939 proseguiva:
Sapeva che quel giorno sarebbe giunto. In tutti i secoli di ricerca instancabile, quel giorno aveva continuato ad avvicinarsi, sempre più nero e minaccioso: l’ora inevitabile in cui si sarebbe ritrovato nel punto da cui era iniziata la sua caccia sistematica in un mondo quasi ormai svuotato di creature portatrici di id.
La verità lo colpì a ondate, come un dolore ritmico e infinito proveniente dalla sede del suo Ego. Quando aveva iniziato c’era ancora un piccolo numero di creature portatrici di id per ogni centinaio di miglia quadrate… creature da estirpare senza pietà. E adesso, giunto alla sua ultima ora, Coeurl sapeva fin troppo bene di non essersene lasciata sfuggire nessuna. Non era rimasta alcuna creatura da divorare. In tutte le centinaia di migliaia di miglia quadrate che aveva fatto sue col diritto del conquistatore spietato – in modo che nessun coeurl delle vicinanze osasse sfidare la sua sovranità – non rimaneva id che potesse alimentare la macchina del suo corpo, che per ogni altro aspetto era immortale.
Aveva battuto ogni piede quadrato di quel territorio. E adesso riconosceva la collinetta rocciosa che gli stava davanti, il nero ponte di roccia che formava uno strano, tortuoso tunnel alla sua destra. Un tunnel dove era rimasto appostato per giorni, in attesa che la creatura portatrice di id, ottusa e simile a un serpente, uscisse dalla sua tana nelle rocce per venire a crogiolarsi al sole: la sua prima preda da quando aveva capito l’assoluta necessità di uno sterminio organizzato (The Black Destroyer).
Nel romanzo i singoli episodi sono più dettagliati e la parte che riguarda l’incontro con Coeurl diventa assai più lunga. Nel racconto, l’accento è posto sulla ferocia dell’alieno, che viene riconosciuto dagli scienziati come un criminale della sua razza. Il racconto termina (si parla di eliminare tutti i coeurl del pianeta):
— Sarà facile farlo — mormorò piano Korita. — Sono creature primitive. Basterà che atterriamo e accorreranno da noi, astutamente convinti di poterci ingannare.
Smith ribatté con ira: — Voialtri mi date il voltastomaco! Micione era la noce più dura che ci sia mai capitato di dover spaccare. Aveva tutto l’occorrente per sconfiggerci…
Morton sorrise quando Korita lo interruppe tranquillamente: — Esatto, mio caro Smith, a parte il fatto che ha reagito in accordo con gli impulsi biologici del suo tipo. La sua sconfitta era già nell’aria quando l’abbiamo analizzato infallibilmente come un criminale di una certa era della sua civiltà.
— È stata la storia, onorevole mister Smith, la nostra conoscenza della storia a sconfiggerlo — disse l’archeologo giapponese, ritornando all’antica formula di cortesia della sua razza (The Black Destroyer).
Nel romanzo abbiamo:
— Sarà facile farlo — mormorò piano Korita. — Sono creature primitive. Basterà che atterriamo. — Il giapponese si rivolse a Grosvenor: — E penso che questa mia ipotesi sia corretta — disse in tono amichevole — anche se venisse confermata la teoria del nostro amico, che ci ha parlato di animali da esperimento. Lei che ne pensa, signor Grosvenor? (Crociera nell’Infinito).
E poi segue la riflessione di Grosvenor. In un certo modo, il racconto era più immediato.
4. Antenati e discendenti
In genere si ritiene che il racconto di Coeurl sia stato suggerito a van Vogt dalla lettura di un racconto di Campbell dell’anno prima, quel La “cosa” da un altro mondo che è stato più volte portato sugli schermi. In Campbell l’extraterrestre era una creatura capace di cambiare forma imitando quella degli umani e buona parte del fascino del racconto si basava sul dubbio: “Colui che mi sta davanti è un uomo o un extraterrestre?”. (Sarebbe poi giunto P.K. Dick ad alzare di un livello la domanda, supponendo che sia fatta davanti a uno specchio. In patica, in Impostore, è formulata come: “Io sono davvero io o sono un robot che si crede me?”). Il fanta-horror non era comunque la prima ispirazione di van Vogt, che aveva già scritto un racconto alla maniera di Leigh Brackett e del pianeta Marte “canonico”, il mondo morente dalla civiltà antichissima, La torre di Kalorn, storia affascinante, ma piuttosto macchinosa, in cui gli antichi marziani inviano un robot sulla Terra per spingere un matematico terrestre a risolvere un antico mistero marziano. Ci sono i giganti, i numeri primi, l’alta finanza… un po’ troppi temi e la spiegazione finale è tutt’altro che cristallina. Il racconto apparve in seguito; presentava un interessante robot capace di cambiare forma che potrebbe avere ispirato il robot nemico, di metallo liquido, del film Terminator 2.
Il racconto di Coeurl, The Black Destroyer, piacque molto ai lettori, probabilmente per la sua struttura centrata sull’alieno, per cui, mentre di Coeurl seguiamo tutti i pensieri, degli uomini ci limitiamo a vedere i movimenti e a seguire i discorsi, come se fossimo l’alieno che spia l’equipaggio. Nel romanzo, invece, dove il punto di vista dell’alieno si alterna con quello di Grosvenor, l’effetto si riduce.
Anche il secondo racconto, Discord in Scarlet, è una variante del racconto di Campbell La “cosa” da un altro mondo. È noto anche perché van Vogt e il suo agente Ackerman ritennero che il film Alien avesse preso da esso l’idea del mostro invincibile che usa gli uomini come incubatrici. A quanto si è visto, questo genere di fantascienza che trae origine dal racconto di Campbell è dunque in grado di dare immagini di notevole presa. È il genere science-horror o weird-wonder, il quale bada più all’effetto emotivo che all’esattezza della predizione scientifica. Curioso come Campbell, il quale aveva iniziato verso il 1930 come autore di storie di “super-scienza” del genere di “Aarn Munro il Gioviano” ed era poi passato a storie ambientate nel lontano futuro, in cui l’umanità si sta estinguendo, abbia scritto un weird-wonder di fattura così eccellente da essere diventata un classico. In quegli anni la rivista dedicata al genere horror-fantascienza, “Weird Tales”, attraversava un periodo felice, grazie anche alle copertine della Brundage e di Finlay (con una forte attenzione per i nudi femminili: erotici quelli della prima, levigati e accademici quelli del secondo) dopo lunghi anni di copertine meno apparioscenti, mentre le riviste di fantascienza rivali, “Amazing” e “Wonder” erano passate a una produzione avventurosa, pur essendo nate per presentare storie a sfondo scientifico.
Forse Campbell aveva voluto provare un ampliamento verso il genere weird notando che si era messo in evidenza sulla rivista “Weird Tales”, forse cercava solo spunti nuovi. La rivista che poi passò sotto la sua direzione, “Astounding”, proponeva in quel periodo una fantascienza che si staccasse dai modelli del decennio precedente, e i racconti weird di Campbell e dei suoi allievi si distaccavano a sufficienza dai precedenti fanta-horror, grazie all’importanza che la scienza veniva ad assumere nella storia. Negli anni seguenti – quelli che Asimov chiamava l’“Età dell’Oro” – con Heinlein, van Vogt, Asimov, la produzione di “Astounding” si assestò su tre filoni: le storie d’azione di Heinlein, le storie scientifiche di Asimov e la “space opera metafisica” di van Vogt, in cui l’avventura apriva la via a considerazioni di psicologia, sociologia, filosofia della conoscenza. Si tende a pensare soprattutto all’importanza di Heinlein e Asimov, ma la fantascienza di quegli anni si affidava anche all’attrazione del meraviglioso, e quest’ultimo veniva offerto da van Vogt.
5. Fu vera scienza?
Van Vogt non è Asimov (che a dispetto dei suoi imperi galattici è un minimalista attento ai piccoli tic individuali e ai particolari del quotidiano), e la sua prospettiva è quella dello storico: bada ai grandi movimenti e alle riflessioni importanti. Tra le minuzie quotidiane su cui sorvola ci sono anche le spiegazioni minute di come funzionano i suoi dispositivi scientifici, ma qui, appunto, si vede lo storico. Se avessero chiesto a Tacito particolari sulla costruzione del Colosseo, avrebbe risposto: “E che volete che mi interessino simili banalità? Io parlo della virtù di Roma e di imperatori che ne hanno esteso il potere su immensi territori. Cosa m’importa dell’altezza delle porte e della larghezza dei sedili?”. Analogamente, se uno gli avesse chiesto come funziona la sua antigravità, van Vogt avrebbe potuto rispondere che lui parla dei più grandi memici che l’umanità abbia mai incontrato – un predatore immortale, il dominatore di un intero universo! – parla di scienze che mettono alla nostra portata tutto lo scibile umano, e non di minuzie come l’antigravità, che è già stata spiegata da decine di scrittori di fantascienza!
Tuttavia, le sue storie si basano sempre sulla fiducia nella ragione e nella scienza, e ogni volta è costretto a inserire qualche accenno di spiegazione. Non conoscendo la scienza, trova più facile inventarsela e la inventa in modo affascinante, soprattutto nei suoi cicli.
C’è tutto un elenco di superscienze vanvogtiane, dall’energia tempo alla similarizzazione, e sarebbe interessante esaminarle. Crociera nell’Infinito, in particolare, presenta vari spunti che s’incontrano nei romanzi vanvogtiani degli anni seguenti. Per esempio, l’”energia vibratoria” che compare anche in Isher, e la scienza capace di integrare le altre scienze che vediamo in Non-A. In realtà gli spunti più approfonditi sono stati aggiunti nella revisione del 1950, per cui il Connettivismo è una derivazione dalle idee di Non-A e non un loro precursore.
Nei racconti del 1939 le spiegazioni scientifiche sono solamente accennate. Ci si dice che il felino esce dalla sala motori utilizzando l’energia elettrica per togliere la coesione al metallo; per buttare giù le porte ci si riferisce che si usano disintegratori atomici che sciolgono il metallo; i “vibratori” di cui è armato l’equipaggio scagliano vampate di fuoco: in nessun caso si cerca di andare al di là di un accenno.
Tutto questo suggerisce che van Vogt inizialmente scrivesse i suoi racconti ispirandosi alle singole idee che man mano incontrava in scritti di divulgazione scientifica. Era però attratto dalla psicologia e affascinanto dal tema dell’intuizione e della percezione istantanea, del “colpo d’occhio” opposto alla lunga riflessione e all’esame di tutti i lati di una situazione complessa: i suoi alieni capiscono quasi istintivamente come funzionano le macchine, riconoscono i flussi di energia, “sanno”. Anche la frequenza di dittatori, monarchi e scienziati decisionisti che incontriamo negli scritti di van Vogt sembra legata alla sua attrazione per la conoscenza intuitiva e immediata in opposizione a quella che proviene da lunghe riflessioni. Una convinzione condivisa da Campbell, a giudicare dai suoi editoriali (ed Heinlein a giudicare dai suoi romanzi).
Poco più tardi van Vogt si imbatté nel libro di Korzybski Scienza e sanità mentale (da cui sono tratte le citazioni contenute in Anno 2650) e trasse da esso la convinzione che applicandone i principi (la “Semantica Generale”) si potesse raggiungere quel tipo di conoscenza immediata e infallibile. I suoi romanzi degli Anni Quaranta rispecchiano questa convinzione.
Riccardo Valla
[Le copertine riprodotte vengono dagli archivi di MondoUrania.]
Posted in Fantascienza, Profili, Urania Collezione
novembre 27th, 2009 at 21:57
Superba postfazione, come del resto aveva garantito Ernesto. Che la Superscienza vangvogtiana sia, per certi versi, poco “scientifica” lo si coglie anche dal fatto che uno degli spunti su cui è basata, il Non-A, cioè l’Universo Non-Aristotelico, stia in contrapposizione con il razionalismo scientifico moderno, per lo meno quello positivistico. Tuttavia, alcune ipotesi post-moderne, come il paradigma olografico, richiamano curiosamente qualche eco del Non-A. Ma, in definitiva, la superscienza di van Vogt è ancora scienza, e non magia. Si potrebbe dire, citando Clarke, che è una scienza abbastanza complessa da poter sembrare magia (il Non-A è, in qualche modo, la non-linearità).
novembre 30th, 2009 at 11:02
da Il Distruttore Nero a Coeurl
ecco spiegati gli errori, facilmente correggibili, in cui è incorso il nostro: il racconto pecca purtroppo di disomogeneità, con Ixtl è andata meglio
mi riferisco al punto di vista (Coeurl e Gosvenor) oltre al fatto che spesso vi è poca accuratezza nella scelta dei nomi (coeurl – gattone, bipedi – umani; come fa Gosvenor a sapere che il gattone è un coeurl? a un certo punto Ixtl pensa a Van Gossen: ma come fa a sapere che si chiama così?)
peccato perchè sarebbe bastato poco per non incorrere in tali errori
Ciò non toglie che il romanzo è interessante e coinvolgente
dicembre 6th, 2009 at 12:57
è molto nota – almeno tra i filosofi del linguaggio – la distinzione tra l’interpretazione de dicto e l’interpretazione de re delle attribuzioni di pensieri o proferimenti anche a personaggi fittizi, come quelli di un racconto. Se io dico che Ixtl pensò che van Grossen potesse fornirgli un buon guul, posso interpretare questa affermazione nel senso che Ixtl stava in una certa relazione con il pensiero che van Grossen potesse fornirgli un buon guul, oppure nel senso che di van Grossen Ixtl pensò che potesse fornirgli un buon guul. In pratica questo significa che nella seconda lettura non c’è nessuna contraddizione qualora Ixtl non conoscesse il nome di van Grossen, infatti potrei anche tranquillamente dire la stessa cosa affermando che Ixtl pensò che il capodipartimento di fisica potesse fornirgli un buon guul, benché è improbabile che Ixtl conoscesse la posizione di van grossen all’interno della space beagle. Nessuna contraddizione dunque, almeno non quelle rilevate da Cartacci
dicembre 6th, 2009 at 14:37
L’analisi di Luigi è interessante. In effetti, il nome del capodipartimento di fisica può essere nella mente di Ixtl, ma può essere che Ixtl, semplicemente, pensi a lui senza identificarlo con il nome, il quale viene indicato da van Vogt per il lettore. In sostanza, è van Vogt a riferire i pensieri di Ixtl, per cui non sappiamo se il nome è nella mente di Ixtl o solo nella sua.
dicembre 6th, 2009 at 17:34
punto di vista interessante.. però non spiega perchè in più occasioni (es. inizio capitolo 20) Van Vogt si premuri di parlare di bipedi e poi subito dopo gli scappi un ‘umani’, tanto valeva scrivere sempre umani..
dicembre 6th, 2009 at 18:19
Credo che il passaggio dall’una all’altra lettura sia legittimo e che l’uniformità sia preferibile solo se funzionale al racconto. Nel riferire i pensieri di Ixtl le intenzioni dell’autore possono variare contestualmente: in alcuni casi l’interesse a far emergere il punto di vista di Ixtl può prevalere sugli altri, in altri può essere secondario o irrilevante o addirittura fuorviante. L’uniformità nella modalità di riferire i pensieri non è, per come la vedo io, un valore assoluto.
maggio 26th, 2014 at 12:20
vorrei sapere il titolo di un racconto di urania dove un ufficiale viene portato su una nave spaziale da chi ha giustiziato il padre per tradimento inizia con il protagonista che rimane bloccato nella sua stanza