L. Ron Hubbard

aprile 9th, 2009 by Admin Urania

Un profilo bio-bibliografico dell’autore del mese di “Urania Collezione”, tracciato da Giuseppe Lippi.

Nel celebrato finale di Via col vento (1939) Rossella O’Hara si consolava al pensiero che “Domani è un altro giorno”. Avesse potuto viaggiare nel futuro e leggere To the Stars (Ritorno al domani, 1950–54) di L. Ron Hubbard, avrebbe dovuto ricredersi. Domani, infatti, potrebbe essere non soltanto un giorno nuovo ma un decennio, un secolo, addirittura un millennio inesplorato. Specialmente per chi si muove a velocità relativistiche, cioè prossime a quella della luce. E’ la conseguenza del famoso paradosso degli orologi, postulato dalla fisica einsteniana e dimostrato nel dopoguerra: se mettiamo a confronto due orologi identici e sincronizzati, uno dei quali è stato fatto viaggiare su un aereo supersonico, vedremo che quello rimasto a terra è andato avanti di alcune frazioni di secondo. Questo equivale a dire che con l’aumentare della velocità il tempo si contrae (“rallenta”). Di conseguenza, se qualcuno potesse viaggiare a velocità elevatissime e del tutto teoriche, come quelle prossime a c (pari a circa 300.000 km al secondo), scoprirebbe che un mese vissuto a quel ritmo folle corrisponde a un tempo sensibilmente più lungo quaggiù. Dunque, immagina Hubbard nel suo racconto intitolato To the Stars (1950, poi ampliato e uscito nel 1954 come Return to Tomorrow e infine ristampato con il primo titolo), un astronauta che viaggiasse su una nave interstellare, oltre a varie altre conseguenze di minor conto come l’enorme dilatazione della propria massa, tornato alla base scoprirebbe che per gli altri sono passati decenni. Di qui la poetica evocazione di un destino errante e senza radici, come si legge nella quarta di copertina di una precedente ristampa di questo romanzo, e che si deve all’immaginazione di  Carlo Fruttero e Franco Lucentini:

“…Quando gli uomini dell’equipaggio tornano a casa, le fidanzate hanno i capelli bianchi, gli amici sono morti di vecchiaia, le città sono irriconoscibili, i regimi politici sono cambiati. Chi s’imbarca accetta dunque – con le buone o con le cattive – una vita senza passato, un’avventura che non ha ritorni. Pure, i disperati, i fuorilegge, i paria che percorrono la galassia sulle navi del « lungo viaggio », assolvono senza saperlo la più alta missione per la sopravvivenza della specie umana”.

La tragica sorte di questi ulissidi del futuro è stata, per due generazioni di lettori di fantascienza, il viatico per familiarizzarsi con quel senso di fragilità, di malinconia e ineluttabile consumarsi dell’esistenza che avrebbero ritrovato, più adulti, nel Tempo perduto di Proust o nelle pagine di Henri Bergson. Non che Ron Hubbard (1911–1986) di Tilden, Nebraska, si prefiggesse intenti teorici particolarmente sofisticati, ma nel caso di To the Stars lo sfondo dell’avventura permette d’intravvedere un panorama metafisico. E’ il romanzo postbellico sulle beffe del tempo, e il suo solido, tradizionale impianto fantastico non sminuisce la qualità della visione. Per un autore che aveva cominciato a scrivere sui pulp negli anni Trenta e che raramente si era cimentatro con i paradossi dello spaziotempo, To the Stars rappresenta un punto di arrivo. Del resto, il Ron Hubbard degli anni Cinquanta è un uomo impegnato in altre avventure del pensiero, in particolare la pubblicizzazione della dianetica (in inglese Dianetics), la disciplina di auto-miglioramento che si basa su una personale visione dell’igiene mentale. Nel 1952 la lezione della dianetica verrà ampliata da Hubbard in una vera e propria “filosofia religiosa applicata”, che diverrà nota con il nome di Scientology. La “scientologia” costituirà la base della chiesa hubbardiana che tuttora ne diffonde il pensiero.

Parallelamente alla sua attività di guru psico–religioso, L. Ron Hubbard continua a scrivere. Come si è detto, la sua carriera di autore avventuroso era cominciata negli anni Trenta ed aveva spaziato in molti generi: il western, il poliziesco, la storia di pirati e così via. Di questa vasta produzione escapista, la casa editrice che ne diffonde le opere ha intrapreso da anni un sistematico progetto di ripubblicazione integrale: e dopo le edizioni di lusso rilegate in pelle o comunque definitive, ha avviato un ambizioso progetto di ristampa di un centinaio di romanzi brevi che dovrebbero vedere la luce anche in italiano. Chi scrive ne ha personalmente tradotti diversi, a cominciare da Il marchio del bandito (un western) e un fantasy orientale, una delle specialità hubbardiane.

Dopo questa prolifica fase iniziale, Hubbard arriva alla fantascienza e alla fantasy. La transizione avviene sotto l’egida di John W. Campbell jr., il direttore di “Astounding sf” e “Unknown Worlds”: siamo intorno al 1940 e il sodalizio continuerà per un quindicennio. A questa fase appartengono gli ingegnosi racconti fantasy Schiavi del sonno (Slaves of Sleep, 1939), L’uomo che non poteva morire (Death’s Deputy, 1940), La trama fra le nubi (Typewriter in the Sky, 1940), e soprattutto Le quattro ore di Satana (Fear, 1940); poco più tardi arrivano i romanzi di fantascienza L’ultimo vessillo (Final Blackout, 1939-48), noto anche come Il tenente e che qui riproponiamo, I guerrieri del tempo (The End Is Not Yet, 1947), L’impero dei mille soli (The Conquest of Space, 1951), I ribelli dell’universo (The Kilkenny Cats Series). Il tenente è una storia aspra ispirata dalla guerra mondiale, una visione apocalittica che non lascia tregua e che immagina un futuro talmente bieco da aver inorridito alcuni lettori, anche per le sue implicazioni ideologiche. Vi si mostra uno Hubbard “serio”, più preoccupato del solito dei destini del mondo, e in ogni caso efficace descrittore di gesta beliche. Potremmo sottotitolarlo l’ultimo racconto di guerra, e rappresenta un momento particolare nella poliedrica attività del romanziere.

Per alcuni anni John W. Campbell sarà affascinato dalle teorie dianetiche di Hubbard, ma verso la metà degli anni Cinquanta i due uomini prenderanno strade diverse. Dopo Ritorno al domani, uno dei suoi romanzi più noti, l’interesse di Hubbard si sposta gradualmente verso i suoi insegnamenti didattici e religiosi: nel corso degli anni ha pubblicato diversi bestseller legati alle proprie teorie. Negli anni Ottanta, dopo un lungo silenzio, è tornato alla fantascienza con la trilogia di Battaglia per la Terra (Battlefield Earth, da cui è stato tratto un film con John Travolta) e la decalogia di Missione Terra (Mission Earth). In questi volumi, a differenza che nella vorticosa produzione degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, l’immaginazione appare subordinata all’intento didattico: ad esempio in Battaglia per la Terra Terl, il mostruoso e malvagio extraterrestre, è la raffigurazione grottesca di tutti i vizi dell’animo umano mentre l’eroe della saga corrisponde all’uomo liberato dai princìpi dell’igiene mentale. Terl sembrerebbe l’ultima incarnazione dei jinn e degli ifrit che popolavano la deliziosa produzione fantasy dello Hubbard anni Quaranta, ma alla lunga i corposi romanzi di cui è antagonista mostrano la corda e il tono narrativo cade.

Nella sua produzione migliore, tuttavia, L. Ron Hubbard resta un abile narratore di avventure, un capace ideatore di trame fantastiche e, come artista, uno scrittore dotato di notevole ironia. Oltre che un personaggio controverso sul piano della cultura di massa e dei movimenti spirituali sincretici, Hubbard ci appare oggi come un narratore pulp della scuola classica, nelle cui opere migliori brillano quelle doti di colore e rapidità d’azione, di inventiva e immaginazione che contraddistinguevano, per il passato, i romanzieri popolari americani. E’ scomparso il 24 gennaio 1986 nella contea di San Luis Obispo, California.

G.L.

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