Sandro Sandrelli
Il lungo testo che segue costituisce un capitolo del saggio Le frontiere dell’ignoto. Pubblicato nel 1978 dall’Editrice Nord, rappresentava un ampliamento della tesi di laurea di Vittorio Curtoni sulla fantascienza italiana negli anni Sessanta. Trattandosi di un documento di grande interesse, abbiamo deciso di offrirne i primi due capitoli in anteprima ai lettori di Urania Blog. Il testo integrale è incluso nel volume Caino dello spazio, attualmente in edicola.
1. Caratteristiche generali
Dal 1949 (anno in cui appare il suo primo racconto, Le ultime trentasei ore di Charlie Malgol) al 1963 (quando esce il secondo volume della serie «Interplanet»), Sandro Sandrelli ci ha dato una serie di racconti e romanzi che hanno come base comune il gusto della situazione avventurosa, continuamente riproposta in forme di grande vivacità. Con «Interplanet 3» la sua vena tende ad interiorizzarsi, a creare vicende in cui la trama è ridotta al minimo e generalmente ancorata ad una precisa realtà storica. Quest’ultimo periodo, sfortunatamente, è anche il piú breve della sua carriera letteraria: nel 1965 esce l’ultimo volume di «Interplanet» e da allora Sandrelli ha smesso di scrivere, fatta eccezione per qualche episodio (d’altronde di scarso rilievo) su «Oltre il Cielo».
Dovendo affrontare il discorso critico sul vasto materiale che Sandrelli ha prodotto dal 1949 al 1965, occorrerà subito premettere che il suo interesse principale va al divertimento del lettore: di qui, appunto, nasce quel gusto per l’avventura che mi sembra l’elemento piú tipico della sua produzione. Il paesaggio extraterrestre, la pazzesca invenzione scientifica, l’avvenimento paradossale, temi che si ritrovano con puntualità nei suoi lavori, diventano occasione per procedere secondo moduli narrativi di carattere sostanzialmente ludico. Il che non impedisce di poter leggere sotto le righe un preciso discorso sulla realtà dell’uomo e dei suoi tempi, ma è un discorso che si sviluppa in modo indiretto, senza interventi attivi da parte dell’autore. In altre parole: Sandrelli rifiuta costantemente di esporre al lettore, bell’e pronte, le sue consideraziomi etico-ideologiche, preferendo lasciarle nascere quasi di soppiatto, come inevitabile conseguenza degli avvenimenti narrati. Le opere di Sandrelli soddisfano pienamente il pubblico in cerca di divertimento e gli forniscono l’occasione di riflettere sommessamente, senza fanfare altisonanti, sui motivi dell’esistenza umana.
Per procedere secondo questa linea, Sandrelli ha adottato due diversi registri di scrittura che a volte giungono ad alternarsi nel corso d’una singola opera: il grottesco e il tragico. Il primo modulo gli serve generalmente per mettere in rilievo l’assurdo di certe situazioni, l’instabilità e la pochezza del nostro sapere; il secondo ha la funzione di creare un drammatico contrasto tra ciò che l’uomo è e ciò che vorrebbe essere, tra la finitezza del singolo individuo e l’immensa estensione dell’universo. Non a caso i protagonisti dei suoi racconti (e soprattutto dei due romanzi, Caino dello spazio e I ritorni di Cameron Mac Clure) sono soli a lottare contro una realtà tanto vasta quanto indefinibile: nei personaggi di Sandrelli rimane sempre traccia di quell’eroicismo romantico, ottocentesco, che ama procedere per forti contrasti e tinte tragiche. Nell’ambito della sua produzione bisognerà dunque fare una prima distinzione tra lavori a sfondo tragico e lavori a sfondo grottesco. Per quanto i punti di partenza (l’avventura, la discussione sulla scienza e la tecnologia, il solipsismo eroico del protagonista) e d’arrivo (il rifiuto della realtà per approdare al suo inveramento metafisico) siano gli stessi, confermando la sostanziale linearità di un percorso artistico sincero, molto diversi sono i modi di svolgimento.
2. L’avventura come banco di prova della vocazione umana
Senza risparmio di mezzi si allestivano le astronavi che avrebbero portato agli huroks il disperato assalto dell’umanità prigioniera. E senza risparmio di uomini: scienziati, tecnici esperti in ogni ramo delle conoscenze umane, venivano addestrati e preparati al disperato viaggio attraverso lo spazio, fino al cuore della galassia, cosicché gli uomini sbarcati sui nuovi pianeti potessero ricominciare a edificare la civiltà umana partendo non già da zero, dal nulla, dall’età della pietra o del bronzo… bensì dal punto stesso in cui l’avevano abbandonata all’interno della Federazione Terrestre prigioniera…
Ma occorrevano tecnici, scienziati, e materiali, e strumenti, e anche armi, in quantità illimitata, quasi… Mille, duemila sarebbero morti, nello spazio, nel cuore del loro volo generoso, fatti a pezzi dalle armi spietate degli huroks, o disintegrati in un attimo in fiaccole ardenti… Oh, bisognava davvero organizzare con ampiezza di mezzi… davvero: uno su mille, uno su un milione poteva all’ultimo sopravvivere, e sarebbe bastato… e sarebbe bastato, forse. Forse non sarebbe sopravvissuto nessuno, anzi sicuramente… Ma l’ultima arma, l’arma suprema che gli uomini impegnano prima di soccombere all’estremo assalto, è la speranza.
Questo brano, tratto dalle prime pagine di Caino dello spazio, è un’eccellente esemplificazione della tragicità dell’universo di Sandrelli. La Terra combatte da secoli, dopo avere pacificamente colonizzato migliaia di pianeti, una disperata guerra contro gli hurok, mostruose creature provenienti da Andromeda. La superiorità tecnologica dei nemici rende molto problematica la vittoria: la Federazione terrestre decide quindi di cercare di sfondare lo sbarramento delle astronavi nemiche, per arrivare a popolare i pianeti piú lontani della galassia e far rifiorire altrove la nostra civiltà. Vengono allestite astronavi le cui paratie sono imbottite di seme umano disidratato e i cui passeggeri sono tecnici e scienziati altamente qualificati. I cinque membri dell’equipaggio della prima astronave cercheranno in ogni modo di sfuggire agli hurok, ingaggiando feroci battaglie, ricorrendo a tutti gli inganni possibili; ma, fatalmente, la nave terrestre sarà catturata.
A questo punto scatta il vero nucleo tragico del romanzo: uno dei cinque piloti, Scerbalov Kain, dovrà fingersi traditore, abbassarsi di fronte agli hurok, tradire i suoi compagni, permettere la distruzione della capitale della Federazione terrestre, al solo scopo di impadronirsi, all’ultimo minuto, dell’astronave prigioniera per guidarla nel buio degli spazi liberi. Kain riuscirà ad atterrare su un pianeta vergine, dove i passeggeri superstiti daranno vita ad una seconda terra: ma le atroci azioni che ha dovuto compiere per portare a termine il piano lo hanno fatto diventare il primo «Caino dello spazio». L’odio dei passeggeri, il ribrezzo di se stesso, lo costringeranno a esiliarsi per sempre dalla comunità umana. Si è limitato a obbedire agli ordini: ma la sua coscienza del male è troppo forte per permettergli di dimenticare. Con queste parole si accomiata per l’ultima volta da un essere umano.
«Non chiedermi altro, Haral Kentum… Il mio compito è ormai finito», e continuò come in un rauco sospiro: «Io rappresento l’orrore e la morte, Haral Kentum, e tu lo sai… Io non debbo ricomparire mai piú tra gli uomini… La mia sola presenza servirebbe a rinnovare l’odio e la disperazione, e gli uomini adesso hanno bisogno… di pace… di pace…».
Scerbalov Kain, nella sua paradigmatica disperazione, è il prototipo dell’eroe tragico di Sandrelli. Di fronte al successo finale della missione che gli era stata affidata, prova soltanto rimorso, vergogna. Ha tenuto fede sino in ultimo agli ordini, ma ha dovuto infrangere troppe volte il suo codice etico; per salvare l’umanità ha ucciso degli uomini. È proprio in questo duplice ordine di fattori (l’astrazione di un’idea da una parte e la concretezza degli uomini dall’altra) che si trova il senso della problematica sandrelliana.
L’uomo appare, nei suoi lavori, al centro di insanabili contrasti morali e viene forzato a prendere una decisione. L’aspetto avventuroso del racconto (in questo caso la successione di battaglie spaziali, di fughe nell’iperspazio, di tranelli fra un pianeta e l’altro) diventa il momento dialettico in cui la figura del protagonista trova la propria realizzazione, concretandosi in una serie di azioni che preludono irrevocabilmente all’epilogo tragico. Prigioniero di un universo in cui sono scatenate forze incontrollabili (gli hurok), l’individuo si afferma eticamente proprio per la sua capacità di scegliere tra le molte alternative, ma segna al tempo stesso la propria condanna morale.
Queste idee spiccano nella pagina che ho riportato all’inizio. Quello che importa è tentare di combattere le forze che ci opprimono, anche se il prezzo da pagare è la distruzione della vita umana:
Mille, duemila sarebbero morti… Uno su mille, uno su un milione, poteva all’ultimo sopravvivere, e sarebbe bastato… e sarebbe bastato, forse. Arrendersi significherebbe morire comunque, e per di piú l’uomo sarebbe declassato a creatura incapace di scelte difficili ma necessarie.Partendo da questa prospettiva, Sandrelli è riuscito, in Caino dello spazio, a far rientrare l’intero universo nell’ambito, della problematica umana. Lo spazio in cui si muove I’astronave non è altro che un’estrinsecazione della coscienza del protagonista, il terreno su cui si svolge la piú aspra delle battaglie interne. Secondo le indicazioni di Kant, insomma, lo spazio diventa una categoria del nostro essere: le suggestive descrizioni coloristiche di cui il romanzo è ricco rappresentano lo sforzo costante di avvicinare il lettore a questa dimensione normalmente ignota o estranea, di immergervelo con la stessa forza che domina la parabola di Scerbalov Kain.
Ma se lo spazio rientra nei confini della creatura uomo (e anzi ne fa parte integrante), assolutamente estranee gli sono le forze, che questo spazio muovono. Gli hurok rappresentano l’irrazionalità, l’assurdo precipitato a interrompere il corso normale dell’universo: mostruosi, crudeli, imbattibili, inavvicinabili. L’umanità e gli hurok non hanno nessun punto di contatto se non la lunga, estenuante guerra che procede da secoli. Ed è significativo che questa situazione ci venga presentata, all’inizio del romanzo, come un dato di fatto indiscutibile: ciò significa attribuire alle forze che regolano la nostra esistenza una realtà oggettiva, intoccabile, e rendersi pienamente conto dello iato che esiste tra loro e noi.
Non vorrei azzardare un paragone troppo ardito, ma l’assurdo di Sandrelli mi richiama alla mente l’assurdo di Camus: in tutti e due gli autori l’uomo ha il compito di lottare contro un universo privo di logica, e in questa lotta ritrova il senso della propria esistenza. La profonda differenza che può esistere tra La peste e Caino dello spazio è semmai il fatto che Sandrelli ignora il significato della solidarietà: il suo è un individuo straziato da colpe personali, sconta un peccato che gli altri non possono condividere. D’altronde, in questo romanzo Sandrelli non ha ancora nessuna risposta positiva da proporre: la missione riesce (e qui abbiamo il momento positivo), ma Scerbalov Kain è irrimediabilmente condannato (e questo momento negativo prevale su tutto il resto, grazie al taglio drammatico che l’autore ha impresso all’opera). Sembrerebbe, insomma, che dall’assurdo dell’universo non si possa uscire: in realtà la strada esiste, e sarà quella dell’evasione nel metafisico.
[Il testo integrale del saggio di Vittorio Curtoni è incluso nell’antologia Caino dello spazio di Sandro Sandrelli.]
Posted in Profili
dicembre 10th, 2008 at 10:04
volevo segnalare che l’indice di questo volume è completamente sballato!
dicembre 10th, 2008 at 22:33
Una svista a cui abbiamo provato a porre rimedio con questo post. Grazie comunque per la segnalazione.
maggio 9th, 2011 at 20:25
ciao!
L’ho trovato interessante, quella persona ha lo stesso nome mio e di mio marito …