Michael Moorcock
Nato a Londra nel 1939, Moorcock ha impresso il segno a tre decenni della fantascienza britannica. Negli anni Sessanta ha diretto la storica rivista “New Worlds” – favorendo il decollo della cosiddetta new wave inglese – e ha pubblicato i suoi primi romanzi di fantascienza, imboccando nuove strade rispetto agli esordi fantastico-avventurosi. Tra i frutti di questo lavoro vi è I.N.R.I. (1966, premio Nebula ’67), romanzo che abbiamo ripubblicato con successo nel n. 102 di Urania collezione, e che, pur facendo uso di un luogo tipicamente fantascientifico come il viaggio nel tempo, lo sfrutta per arrivare a una narrazione mitologica. I racconti fantasy di Moorcock, del resto, avevano gettato le basi per una concezione unitaria del genere: le avventure di Sojan lo spadaccino e, successivamente, i pastiche burroughsiani di Marte, le gesta del principe Corum e quelle di Elric di Melniboné, la sua creatura più famosa, hanno in comune l’idea che tutte le storie possibili siano ambientate su altrettanti piani della realtà: e che miriadi di storie, su miriadi di livelli, formino nell’insieme il Multiverso in cui rientra tutta la produzione moorcockiana. Nella saga fantasy del principe Corum (sei romanzi pubblicati fra il 1971 e il 1974) il concetto viene chiarito in modo definitivo, sicché tutto quanto prende vita in Moorcock è collegato, niente appare casuale.
Negli anni Settanta il nostro crea alcune tra le opere più impegnative: la cosiddetta sequenza del “Campione eterno” – in cui rientrano le avventure di Corum e che vede in I.N.R.I. una sorta di premessa generale, perché i protagonisti della serie saranno tutti uomini del destino, eroi/antieroi dei rispettivi miti – e le Cronache di Jerry Cornelius. Quest’ultimo, personaggio ricorrente in una serie di romanzi ai confini tra science fiction e postmoderno, è una creatura ambigua che si muove in un mondo futuro distorto, apocalittico e grottesco dove i molti problemi dell’umanità sono giunti alla resa dei conti. In The Final Programme, ad esempio (da cui Robert Fuest trasse il film omonimo, ribattezzato in Italia Alpha Omega, il principio della fine), un trio di malfattori si impossessa del programma studiato dal padre di Jerry per combattere la fame nel mondo e lo usa ai propri fini, favorendo la nascita diun nuovo, mostruoso messia.Negli anni Ottanta Moorcock è tornato alla fantasy, suo antico amore, e al romanzo tout-court, con opere mature e personali. In questo periodo ha completato il ciclo di Elric di Melniboné, il principe albino dalla spada fatata e il tragico destino che resta una delle creazioni più originali nel campo della fantasia eroica, ma si è dato anche al fumetto e alla sistemazione della sua vasta produzione in una serie di edizioni accurate e pressoché onnicomprensive. In seguito si è trasferito in America, dove ha portato la sua cultura ed esperienza, senza abbandonare idealmente il vecchio continente: recentemente è stato ospite di Lucca Comics dove gli appassionati italiani hanno potuto festeggiarlo calorosamente.
Tanto affetto e considerazione poggiano però soprattutto sulla memoria, perché a differenza che sui mercati librari più maturi, oggi di Michael Moorcock in Italia si trova soltanto la ristampa del ciclo di Elric, passata dalla Nord a Fanucci, mentre la lodevole iniziativa di rimettere in circolazione il Programma finale (riproposto dallo stesso editore nel 2006) non ha avuto praticamente seguito. Eppure si tratta di un narratore chiave, senza il quale buona parte della fantascienza degli anni Settanta non sarebbe stata possibile. Un narratore che speriamo di poter proporre anche in futuro, su queste pagine e su Urania, per riprendere il discorso che riguarda il versante fantascientifico della sua produzione.
Dopo I.N.R.I. (che era uscito da MEB nei remoti anni Settanta), bisognava ripubblicare almeno due romanzi tradotti su “Galassia” quarant’anni fa: Il corridoio nero e Il veliero dei ghiacci. Lo faremo quest’anno, partendo con il volume di Urania collezione che avete fra le mani e proseguendo in agosto con uno straordinario Millemondi tutto-Moorcock dove appariranno Il veliero dei ghiacci, Il campione eterno e I riti dell’infinito. Dopodiché si dovrebbero affrontare i romanzi inediti di Jerry Cornelius, cioè tutti meno uno, il già ricordato Programma finale: i primi sono A Cure for Cancer (1971), The English Assassin (1972), The Condition of Muzak (1977, vincitore del premio letterario indetto dal “Guardian”), giù giù fino a The Entropy Tango (1981), The Alchemist’s Question (1984) e Firing the Cathedral (2002).
Se questo programma può sembrare ambizoso (e indubbiamente lo è), bisogna aggiungere che servirebbe soltanto a dare un’idea del vulcanico Moorcock. Poi bisognerebbe rileggere i romanzi del lontano futuro che il nostro ha costruito intorno alla figura di un personaggio simile a Jerry Cornelius – anche nel nome – ma forse ancora più ambiguo e “spiazzato” nel tempo: Jherek Carnelian. La serie è composta da tre titoli principali – An Alien Heat, The Hollow Lands e The End of All Songs, rispettivamente del 1972, 1974 e 1976 – più la raccolta di racconti Leggende alla fine del tempo, che ha visto la luce anche in italiano nel n. 7 di “Robot” speciale; infine, dal romanzo del 1977 The Transformation of Miss Mavis Ming. Si tratta di racconti fantastici “dal clima sognante”, come dice John Clute, ambientati in un’epoca lontanissima in cui gli esseri umani hanno poteri semidivini, ma anche, in parte, nel XIX secolo inglese, epoca nella quale Carnelian farà ritorno innamorandosi per la prima volta.
Infine, si potrebbero riesaminare il ciclo bellico di von Bek – solo un titolo apparso da noi, Il mastino della guerra del 1981 – , quello dell’Etere, i romanzi fantasy come Gloriana… In realtà, non è un programma che possiamo sostenere da soli qui a “Urania”. Dovremmo essere fiancheggiati da un editore generalista – ad esempio, i nostri cugini “Oscar” – che ci assicurasse una permanenza in libreria dei titoli migliori. Lo stesso I.N.R.I., con la sua devastante carica polemica ma anche con il suo uso brillante del mito cristiano, meriterebbe di essere conosciuto tra i lettori di narrativa tout-court.(Il romanzo descrive una sorta di palingenesi alla rovescia: il protagonista Karl Glogauer arriva all’epoca di Cristo in una macchina del tempo che sembra una placenta e “nasce” al mondo del passato ma anche del mito. Si tratta, all’apparenza, di un mito capovolto, ma in effetti le tappe della tragica odissea di Glagauer ricalcano fedelmente quelle del Messia perché così dev’essere, fino alla conclusione sulla croce e al grido umanissimo che gli esce dalla gola quando si rende conto che sta per morire al posto di nostro Signore: It’a lie! It’s a lie! Let me down!)Un romanzo iconoclasta? Non soltanto: piuttosto, un romanzo che moltiplica le icone creandone di proprie e facendo riecheggiare l’urlo della vittima – del figlio dell’uomo – attraverso le gallerie del tempo, fino alle estreme conseguenze. Il personaggio di Karl Glogauer tornerà in una seconda avventura, Breakfast in the Ruins – A Novel of Inhumanity del 1972, dando vita così a un proprio mini-ciclo all’interno del più grande mosaico che riguarda il Campione eterno.
Quanto al Corridoio nero che vi accingete a leggere o avete appena letto, uscito nel 1969 precede di poco i devastanti romanzi di Barry Malzberg degli anni Settanta, da Beyond Apollo a The Falling Astronauts, ed è evidente il debito del geniale narratore americano nei confronti dell’inglese Moorcock, che inventa l’ambiente dello “spazio disturbato”, anzi folle: mutuandolo da Ballard o da Dick ma portandola a perfezione. Così, un anno dopo 2001 odissea nello spazio, Moorcock firma la prima odissea tutta psichica della fantascienza moderna; allucinazioni? Realtà multiple? Invasioni mentali? Tutto è possibile in questo romanzo a più livelli che si legge come un implacabile diario di bordo.
Oltre ad averci dato alcuni tra i più originali racconti fantastici del suo tempo, Michael Moorcock ci ha messi di fronte al fatto che non esiste una vera separazione tra realtà e fantasia, tra “oggi” e “domani”, tra mito e storia. Ogni cosa è parte del Multiverso e può apparire davanti ai nostri occhi in forme cangianti. In un artista visionario, tutto ha rilevanza e ci riguarda. Non saranno gli effetti speciali della fantasy o della sf ad attenuare l’impatto sociale della visione, il realismo che sottende le nuove forme del mito. Anzi, come afferma John Clute nell’Encyclopedia of Science Fiction, “i romanzi di Michael Moorcock mescolano fantascienza, fantasy e verismo sociale inglese. Per questa ragione costituiscono un bel passo avanti rispetto alla narrativa popolare e trascendono i limiti del genere, anche se non abbandonano mai la materia e le preoccupazioni delle origini”.
Giuseppe Lippi
Posted in Profili
febbraio 25th, 2014 at 19:38
Aspetto il Millemondi di agosto con Moorcock!
febbraio 26th, 2014 at 20:07
Per quanto mi riguarda, qualsiasi cosa di Moorcock pubblichiate la comprerò, anche opere che già possiedo per far vedere che anche in Italia quest’autore ha un suo seguito.
febbraio 28th, 2014 at 09:39
So di essere ripetitivo ma anch’io aspetto il Millemoorcock come un giorno di sole dopo mesi di pioggia!
marzo 4th, 2014 at 10:27
Un’eccellente presentazione del grande Moorcock, che riesce a dare un’idea piuttosto precisa (e non era facile) di un autore così poliedrico e complesso.
marzo 23rd, 2014 at 17:18
Sicuramente acquisterò tutto quel che pubblicherete di Moorcock; mi piacerebbe rivedere anche qualche ristampa del Malzberg sotto pseudonimo O’Donnell.
In Urania mi piaceva anche John Stith, ed in generale, quel filone di giallo fantascientifico.
Aggiungo anche che Piers Anthony sarebbe un autore che acquisterei senza dubbio.
Cosa ne pensate?