[Dossier 50 anni nello spazio] Valentina Tereshkova, primadonna dello spazio
Un’intervista con l’astronauta che ha superato le barriere della terra… e del suo maschilismo
“Quando ho sentito i motori accendersi e la navicella tremare e ho capito che mi stavo sollevando ho detto
ad alta voce: ‘Ehi, cielo, apriti che vengo verso di te’. E subito dentro al mio casco risuonò la voce di Yuri Gagarin che mi chiedeva cosa stessi dicendo. Infatti quelle parole non facevano parte del protocollo”.
Valentina Tereshkova è la prima donna ad avere varcato la soglia dello spazio. Il suo missile Semjorka partì dalla base spaziale di Bajkonour il 16 giugno del 1963. Valentina alloggiava nella Vostok 6, una scomoda navicella monoposto dove era quasi impossibile muoversi. Nei giorni del cinquantesimo anniversario del lancio dello Sputnik, avvenuto il 4 ottobre 1957, Valentina si trovava in Italia, a Bergamo, l’abbiamo incontrata e intervistata. Oggi la Tereshkova ha 74 anni, ancora lavora alla Città delle Stelle di Mosca. Ha uno sguardo da mezzobusto di eroe della Rivoluzione, due occhi inflessibili, azzurri, la fronte molto ampia.
Che cosa ricorda di quei primi anni dell’astronautica? Ha conosciuto Gagarin?
“Gagarin per me era come un fratello. Eravamo grandi amici. Lui era una persona dolcissima eppure molto esigente con se stesso e con gli altri. Gagarin era diventato il braccio destro del Costruttore Capo, Korolev. Era sempre presente ai lanci, alla preparazione degli astronauti. Voleva che tutto fosse studiato nei minimi dettagli. Ecco, penso che la morte di Gagarin, come del resto quella di Korolev, abbiano fortemente influito sullo sviluppo del programma spaziale sovietico”.
In che senso?
“Soprattutto la morte di Korolev condizionò pesantemente il programma. Korolev era il padre della nostra astronautica, aveva realizzato lo Sputnik e la Vostok e i razzi Semjorka. Era un uomo di straordinarie capacità, intuizione, aveva la forza di trascinare progettisti e astronauti. Quando il governo sovietico gli chiese di realizzare una navicella a due o tre posti per fare fronte alla Gemini americana, Korolev fece l’impossibile e ci riuscì, adattando la Vostok nella nuova Voshkod. Proprio da una Voshkod uscì Leonov quando fece la prima ‘passeggiata spaziale’ della storia. Ma si trattava di una soluzione precaria, dovuta alle pressioni politiche. In realtà Korolev stava già lavorando alla navicella Soyuz, ma i tempi di elaborazione erano più lunghi… Venendo a mancare lui mancò un punto di riferimento. Korolev morì nel 1966, Gagarin nel 1968″.
Gagarin morì in un incidente aereo, stava pilotando il suo caccia Mig 15. In Occidente si è anche parlato di sabotaggio.
“No, non sono di questa idea. Venne fatta un’inchiesta minuziosa, vennero raccolti tutti i pezzi del suo aeroplano. Gagarin non fece in tempo a lanciarsi dall’aereo perché aveva disperatamente tentato di evitare che cadesse sopra un centro abitato”.
Gagarin era un eroe.
“Era una grande persona. Era sposato, aveva due bambine, si apprestava a tornare nello spazio. Se lui non fosse morto, penso che anch’io sarei tornata nello spazio. Gagarin come Korolev era un uomo aperto, illuminato. La maggior parte dei sovietici del centro spaziale invece non vedevano bene le donne nello spazio, avevano pregiudizi, le ritenevano fragili. Ma sbagliavano. Le donne possono benissimo lavorare nello spazio, lo hanno dimostrato il mio volo e quelli successivi. Ma dalla mia esperienza alla seconda donna che andò nello spazio passarono quasi vent’anni e questo non fu giusto. Quando ho abbandonato la possibilità di essere astronauta mi sono impegnata in politica in Unione Sovietica, ho lottato per i diritti delle donne, in favore dei centri di cultura sovietici all’estero. Credo che nel pregiudizio maschile ci sia dell’invidia nei confronti delle donne”.
Stava parlando di Korolev.
“Il Costruttore Capo. In Unione Sovietica lo chiamavamo così. Parlare di Korolev oggi in Russia è come nominare qualche cosa di sacro. I nostri cosmonauti quando partono per una missione hanno con sé sempre una foto di Korolev e una di Gagarin. Il costruttore Capo era un uomo forte, geniale. Fece anche degli anni di gulag e prigionia ai tempi di Stalin. Noi astronauti di quei tempi eravamo chiamati ‘i pulcini di Korolev’, lui era la chioccia. Prima del lancio, la sera precedente, il Costruttore Capo andava in auto fino alla rampa di lancio insieme all’astronauta. Fece così anche con me. Saliva la rampa, insieme si entrava nella capsula. Lui voleva essere sicuro che il cosmonauta fosse perfetto, fosse pronto, si trovasse a suo agio nella poltrona, che conoscesse a menadito tutte le procedure, tutti i comandi. Ti faceva delle domande: ‘In questo caso cosa
fai? E in quest’altro caso…’ Lui era fissato con la questione della sicurezza”.
Prima diceva che se Korolev fosse vissuto più a lungo le cose sarebbero andate diversamente. Cioè?
“Prima di tutto certi incidenti non si sarebbero verificati. Come quei tre nostri cosmonauti morti nel 1971 quando la loro capsula si staccò dalla Salyut. Fu un colpo terribile per noi. Con Korolev non sarebbe successo. E forse sarebbe andata diversamente anche la corsa alla Luna”.
Cioè?
“Korolev aveva sviluppato il progetto per il razzo N1, simile al Saturno 5 degli americani in quanto a potenza, ma di concezione diversa. Era il razzo che avrebbe portato la navicella Soyuz alla Luna. Ma Korolev morì, il razzo venne costruito e provato, ma non si riuscì mai a farlo volare con successo.”
Paolo Aresi
Posted in Cronourania
aprile 12th, 2011 at 20:43
Bella intervista. Complimenti. E’ giusto ricordare queste persone che hanno fantto tanto per mandare l’uomo (l’umanità?) nello spazio.