Lettera a Kage
Pubblichiamo un intervento di Cecilia Scerbanenco su Kage Baker, di cui è stata scopritrice e traduttrice per “Urania”.
Cara Kage,
scusami se ti scrivo solo ora. Non ce l’ho fatta prima. Il 2009 è stato un anno di lutti per me, grandi, piccoli (neppure un gattone grigio che veniva spesso a trovarmi è stato risparmiato), tutti dolorosi. Attendevo il 2010 sperando in un po’ di respiro. Non è stato così. Tu sei morta e poco dopo (o poco prima, ma io l’ho scoperto dopo), è morta anche un’autrice di rosa, Katleen Givens, che amavo molto.
L’altra sera però ho incontrato Giuseppe Lippi e così ho pensato che dovevo farlo, dovevo proprio scriverti qualche riga di saluto. Lo faccio subito questa sera, contando sull’appoggio di una scatola di pasticcini Bindi.
Non ricordo se fui io a segnalare i tuoi romanzi, la serie della Compagnia del Tempo. Ma ricordo ancora quello che provai quando lessi Black Projects, White Knights. Quello sì, fui io a insistere perché fosse tradotto e pubblicato anche se erano racconti, e “Urania” all’epoca non pubblicava volentieri antologie. Mentii. Dissi che, in realtà, era un romanzo a episodi che completava le storie precedenti e preparava il campo a quelle future. In realtà erano proprio racconti. Tra i più belli che abbia mai letto, Kage. E lo dico senza piaggeria: a me non piacciono molto i racconti. In più io leggo per lavoro, da troppi anni e troppa brutta roba, e sono un po’ anestetizzata.
Eppure, tra quelle pagine mi sono innamorata. Già avevo una passioncella per Joseph, il cyborg cinico e disincantato ma buono, ma in BPWK il mio cuore ha palpitato per Budu, il cyborg-Neanderthal, il capo assoluto e amato di una delle fazioni di Immortali.
Be’, ogni mercante di parole sa che quando il lettore si innamora (oppure odia) è un buon segno. Vuol dire che il personaggio, il romanzo funziona. Che lo scrittore è riuscito a infondergli vita.
Ho seguito il mio Budu per tutte le tue storie. Mi sono rinchiusa anch’io con Joseph in quella tetra grotta dove, disperato, tentava di guarirlo.
Già sapevo qualcosa dei Neanderthal, regalo di una imprevista vacanza a Malta. Sapevo, per esempio, che gli ultimi studi hanno cancellato molte certezze, che non si è più così sicuri che fossero “primitivi” rispetto ai Sapiens. Alcuni studiosi, senza osare dire nulla di così poco politicamente corretto, tra le righe la pensano come te, Kage; e cioè che i Neanderthal, solidali tra loro, che lasciavano bambole, collane e petali nelle tombe dei loro morti, siano stati portati all’estinzione – anche – dai Sapiens, più individualisti e, diciamocelo, un po’ crudeli.
Cara Kage, tradurre è un lavoro strano. A volte è un corpo a corpo con la balbuzie, ma quando va bene, quando si incontra un autore che sa scrivere, è una possessione. È un ritmo (l’arte, il talento, l’anima?) che ti prende e ti trascina.
I tuoi racconti erano così. “Testa piatta” era così: fusione perfetta di scienza e narrazione; sinfonia perfetta di note e ritmo. Per tradurla, non ho dovuto fare altro che lasciarmi andare a quelle note, possedere dal ritmo della tua musica, quasi un caso di medium-spirito-scrittura automatica dove tutto il merito va, naturalmente, allo spirito. Credimi, non succede spesso.
Per questo, mi sento di affermare che “Testa piatta” è un capolavoro. Ne ho anche la prova: persino i terribili revisori della Mondadori praticamente non toccarono la mia traduzione. Non ce ne era bisogno. La tua voce era stata perfetta.
Cos’altro avrebbero potuto desiderare i Neanderthal? Tu li hai riscattati, vendicati, ritratti con passione e spessore.
Ora che sei davvero spirito, be’, credo che tu possa essere soltanto nel Limbo, oppure ovunque la recente teologia abbia spostato i Neanderthal. Li immagino come li hai descritti tu in “Testa piatta”: le schiere ordinate che cantano un ritmo basso e ipnotico, un’antichissima nenia prima della battaglia.
Soltanto che adesso la dedicano alla loro regina.
Addio Kage.
Tu e Budu mi mancate già tantissimo.
Cecilia Scerbanenco
Posted in Orizzonti
aprile 1st, 2010 at 12:37
Già. Kage Baker era un’autrice sublime. Purtroppo non sono riuscito a trovare in giro l’antologia di racconti citata nella lettera, ma ho letto i quattro romanzi della Compagnia pubblicati da Urania. Fantascienza soft ma senza facilonerie, come piace a me. In più, il meraviglioso stile della Baker, che non è perfetto, ma poco importa, perchè quest’autrice era dotata di una Voce narrante unica, quello che gli anglosassoni chiamano ‘storytelling’, il che faceva passare inosservate le mancanze tecniche. Spero che Urania non dimentichi la Baker, dove sapere come finisce la Compagnia!
aprile 1st, 2010 at 16:42
A volte ci si “innamora ” di uno scrittore e ci si dimentica che,in molti casi,chi ce lo sta facendo amare è il traduttore.Grazie per avercelo ricordato……..
P.S.Budu è un personaggio che non si puo dimenticare.
aprile 5th, 2010 at 19:25
Ieri è stata annunciata tra i finalisti nella categoria best novella per il premio Hugo con il racconto The Women of Nell Gwynne’s.