Dopo la notte

gennaio 15th, 2009 by Admin Urania

Un’analisi del volume di “Urania Collezione” presto nelle edicole, a firma di Giuseppe Lippi.

Cosa aspettava gli scampati dal Grande contagio quando la notte fosse finalmente trascorsa, ben lo sappiamo noi che di quelle tristissime ore senza luce rappresentiamo il dopo, l’alba per così dire. Allora (1962) l’interrogativo era ancora circoscritto e misterioso, e come tale stimolava l’immaginazione. Le storie di grandi catastrofi, in fondo, sono sempre storie di mondi che si aprono dopo che s’è chiuso quello precedente, come in un ciclo; storie di un rinnovamento per consentire il quale bisogna che sia fatta tabula rasa del vecchio ordine. Quando uscì la prime edizione de Il grande contagio (The Darkest of Nights, nello speciale numero 300 di “Urania”), Carlo Fruttero colse la natura premonitrice del libro con queste parole: «Dall’Inghilterra ci viene un’altra di quelle magistrali e paurose cronache dove tutto è quotidiano, riconoscibile, “vero”; e dove a un tratto entra in scena un elemento imprevisto che sconvolge tutta la società, getta nell’anarchia la nostra vita ben ordinata, riduce gli uomini a bestie impazzite dal terrore, che lottano disperatamente per sopravvivere. Come i “trifidi” di Wyndham, questo inarrestabile “contagio” diventerà uno dei classici della fantascienza».

Come già detto in quarta di copertina, non possiamo che dichiararci completamente d’accordo, tanto è vero che abbiamo deciso di riproporre il romanzo in Collezione. E’ un classico del terrore e dunque un classico della modernità (ove il terrore è una delle corde più frequentemente pizzicate dagli scrittori); e a noi che non viviamo più nella modernità, bensì in un paciugo informe e successivo che ci rifiutiamo di etichettare, ma che costituisce un incubo a sé, il romanzo sembra far squillare la corda di un presagio.

Nei colori apocalittici e nei bubboni di cui è costellato, pare avvertire davvero il trapasso dalle paure dei conflitti moderni, del catastrofismo dittatoriale, dell’inguaiamento da XX secolo, insomma, a una forma d’ansia diversa, ai castighi di una più definitiva transizione/deriva. All’inizio degli anni Sessanta presagire il caos del dopo-modernità non era difficile: ci pensava già Ballard a modo suo e fuori della fantascienza l’aveva fatto William Burroughs. Maine, però, inietta tutto questo nel corpo in deliquio della narrativa popolare, nel gran baccalà freddato della sf di genere che più genere non si può. Per giunta commista al suspense puro; al thriller, magari. Da questa prima febbre da contaminazione (che in anni successivi e più furbeschi sarebbe sfociata in una moda), Charles Eric Maine trae un’immagine davvero inquietante perché precorritrice del futuro: quella d’un mondo che crepa. Non, si badi bene, il mondo ristretto e tutto sommato provinciale dell’impero britannico, ma qualcosa di molto più diffuso e sostanziale: l’attuale, nel senso di moderno, che sussulta negli spasimi dell’agonia. E’ questo, ci sembra, il merito principale di un romanzo che sembra fatto apposta per dare il “la” alla futura mitologia dell’infezione: a causa di virus e germi patogeni, certo, ma soprattutto a causa della “contaminatio”fra generi letterari.

Oggi qualunque hack è capace di scrivere una recensione piena di elogi dell’ibrido, ma ai tempi di Maine (1962) era una novità abbastanza interessante. E non si è limitato a questo. Non a caso, tra i molti romanzi del prolifico scrittore inglese non abbiamo scelto uno dei tipici thriller fantapolizieschi: nessuno vuole negare dei meriti a Delitto alla base spaziale, per esempio (Spaceways, 1953, da cui è stato tratto il film di Terence Fisher Spaceways – viaggio nell’interspazio), ma la sua novità si arresta appunto all’innesto di un genere, la fantascienza sul giallo o viceversa, che da sola non basterebbe a giustificare l’operazione. Come hanno scritto, ancora una volta, Fruttero e Lucentini: «Maestro di fantascienza, ma più ancora maestro di suspense, Charles Eric Maine si potrebbe definire un Hitchcok avveniristico. Nei suoi romanzi, al di là del tema spaziale (come in Luna chiama Terra) o cibernetico (come in B.E.S.T.I.A.), o di neuro-chirurgia (come in Senza traccia), ciò che più colpisce il lettore è la incalzante costruzione narrativa: da un punto di partenza sempre relativamente semplice, si sviluppa in un serrato crescendo un vero e proprio enigma di tipo “giallo”, la cui soluzione giunge dopo una serie di sorprese, colpi di scena, svolte e ipotesi varie, sempre tenuti insieme da un filo logico di magistrale coerenza e credibilità».

Nel Grande contagio a tutto ciò si aggiunge qualcosa di diverso, l’infezione va oltre, e pur presentandosi al lettore con un taglio da thriller catastrofico, produce effetti sottili e un immaginario disturbante che in qualche sequenza può addirittura ricordare La nube purpurea di M.P. Shiel. E’ l’addio a una civiltà che riecheggia ancora nelle stanze della fantascienza, e che valeva la pena far riascoltare nel suo timbro originale. Non molte enciclopedie e repertori citano Maine fra i classici del genere (lasciate fare a inventoristi ed enciclopedisti), ma è sicuramente un classico minore, nel senso in cui l’intendeva Borges quando diceva che «il “minore” è un genere letterario rispettabile quanto ogni altro».

G.L.

La bibliografia completa di Charles Eric Maine è disponibile sul Catalogo dell SF, Fantasy e Horror di Ernesto Vegetti.

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12 Responses

  1. Antonio F

    Un applauso a G.L. per questa brillante introduzione al romanzo di Maine, nella quale ha sparso alcune metafore addirittura geniali (il “gran baccalà freddato della sf di genere” è, ad esempio, irresistibile). Grande!
    AF

  2. zeder999

    “noi che non viviamo più nella modernità, bensì in un paciugo informe e successivo che ci rifiutiamo di etichettare”…lapidaria e geniale analisi. Lippi sempre più arguto e lucido in questi editoriali e commenti; questo blog sta assumendo forme davvero interessanti e culturalmente feconde: avanti tutta…verso il contagio! :-)

  3. Drago

    Come catastrofici era molto meglio ripubblicare,parere mio:

    Terremoto grado XIII
    Tra gli orrori del 2000
    La carovana
    Virus cepha
    Gli anni della furia ( pubblicato su galassia)
    Il vampiro del mare
    Una ruga sulla terra

  4. zeder999

    Allora pure “Gomorra e dintorni” quale omaggio al bravissimo Thomas Disch da poco scomparso, autore che merita di essere ripubblicato e studiato…

  5. Gianfranco

    Sto vedendo proprio in questi giorni la riedizione di un classico della TV UK “Survivors 2008″. Dove un virus presumibilmente sfuggito da un laboratorio uccide più del 95% della popolazione mondiale. Si cerca di ricostruire una società ma questo passa attraverso giustizia sommaria e brama di potere. Chi non aveva nulla ed è sopravvissuto può diventare quello che prima non era.

    Bello e inquietante.
    Non ho mai letto il romanzo in oggetto, ma visto l’argomento, ho voluto scrivere la mia :)

  6. Giuseppe P.

    Non conosco il romanzo di Maine, il grande contagio; ma l’analisi del curatore della collana mi incuriosisce molto, come pure ciò che scrisse Carlo Fruttero.
    A suo tempo lessi (ma tanti e tanti anni fa e oggi il giudizio potrebbe essere diverso) “Delitto alla base spaziale”e non mi fece grande impressione.
    Tentar non nuoce. Leggiamo pure UR n.72!

  7. Ayesha

    Comprato.
    Appena finisco “Fuga dal pianeta degli umani”, lo comincio. :-)
    Lippi è da inchino.

  8. Gianni.M.

    Dalla lettura delle prime cento pagine noto che la traduzione originale del vecchio Urania è stata molto “rimpolpata”anche se non ne ho visto cenno nella riedizione. La Negretti riassumeva intere pagine ed evitava le cose più scabrose ( per allora).Ho notato gli accenni all’uso politico della televisione…Il cinismo di Maine è modernissimo.

  9. bibliotecario

    @ Gianni.M.

    Mi hai fatto venire la curiosità e ho controllato.
    In effetti su urania collezione si parla di traduzione di Andreina Negretti ma che differenza tra urania e urania colezione, ci sono 160 pagine di differeza!
    L’urania 300 che contiene il medesimo romanzo di Maine è composto da 144 pagine di cui almeno quattro riempite da pubblicità.
    Ho letto anchio le prime 100 pagine di urania collezione e rispetto all’urania n°300 mancono interi brani.

  10. Gianni.M.

    Mi avevano insospettito alcuni accenni a “capelloni” e “sitcom” che nel 63 in italia neanche si sapeva cosa fossero.

  11. LupodeiCieli

    PERCHE’ ?????
    Lo so il post è fuori tema e chiedo scusa, ma non posso tacere.
    PERCHE’? ci avete fatto questo? Cosa abbiamo fatto di male per meritarcelo?
    Era proprio necessario cambiare la copertina di Urania Collezione? Passi per le “alette”, il cuore ancora piange lacrime dolorose al loro ricordo, ed ora anche la copertina liscia !!!
    Per favore ripensateci non è scritto da nessuna parte che tutto ciò che piace deve essere cambiato.
    Per favore…..
    il vostro Lupetto triste

  12. Giuseppe P.

    Ieri le “Alette”, oggi la copertina liscia, domani ??????????

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