Fuoco cammina con me: Ray Bradbury, i libri e l’immaginazione
La scomparsa di Ray Bradbury (1920-2012) ci costringe ad amare riflessioni. Vogliamo ricordarlo qui con un’analisi del suo rapporto con i libri, che sono la più difficile creatura del’immaginazione. Il testo è apparso come introduzione a Era un gioia appiccare il fuoco, l’antologia di racconti sulla genesi di Fahrenheit 451 (Piccola Biblioteca Oscar, 2011).
“Books have played me a sad turn.”
M.R. James
E’ stato Aldous Huxley a definire Fahrenheit 451 “uno dei libri più visionari” che avesse mai letto, e il romanzo – che non parla di vita vissuta ma delle disavventure di altri libri, in un particolare girone dei dannati – lo è indubbiamente. Un dramma fantastico e laterale che parte dalla messa all’indice della letteratura per sottolineare con struggente nostalgia la fragilità del bello e del buono, i sentimenti della giovinezza del mondo.
Molti avranno letto il romanzo di Ray Bradbury o visto il film di François Truffaut con Julie Christie e Oskar Werner: in un paese industrializzato del futuro che somiglia a un’asettica concezione dell’inferno, si bruciano i libri perché rappresentano il regno dell’arbitrio. Dal (libero) arbitrio non possono nascere che inquietudine e infelicità, dunque insieme ai vecchi tomi si ardono vivi i loro incauti possessori, o almeno quelli che rifiutano di separarsi dalle proprie biblioteche. Costoro decidono di morire sperimentando su di sé il sublime del verso dantesco:
“tal, che nel foco faria l’uom felice” 1.
Il compito di appiccare il fuoco spetta ai pompieri, che anziché spegnere gli incendi li attizzano coi lanciafiamme. Romanzo e film sono rimasti vivi nella coscienza per più di mezzo secolo come una sorta di post-Mondo nuovo e soprattutto post-1984 da cui promana un senso di rinnovata angoscia. In Bradbury, infatti, i libri non rappresentano soltanto un punto di riferimento ma sono archetipi, forze della natura (giacché la natura umana è permeata di cultura) di cui anche gli avversari riconoscono il valore simbolico. Di qui il traumatico ricorso ai roghi, l’equivalente dei forni nei campi di sterminio.
Verso i libri si possono avere molti atteggiamenti, dalla catena del bisogno-dipendenza-passione (bibliolatria) fino a estremi di stanchezza, diffidenza e ripulsa. Vi sono naturalmente le posizioni intermedie, di cui è sovrana l’indifferenza, ma i due poli non ci apparirebbero così radicali se i libri non avessero assunto, come dicevamo, un valore simbolico e non fossero circondati da un’allure che anticamente non possedevano. Non soltanto per il loro contenuto, che è un inesauribile serbatoio di conoscenza, ma proprio in quanto idea e progetto: diventare uno strumento dell’immaginazione, un mattone per costruire il futuro. Ecco perché colpire i libri, incendiare la grande biblioteca di Alessandria, è come abbattere gli idoli. Questo pensa il pompiere che non immagina ma vegeta: i libri sono falsi idoli per false speranze, “cose in cui non puoi credere”. Distruggerli vuol dire annientare le riserve psicologiche del nemico. Quanto all’identità di quest’ultimo: chiunque non faccia parte della governance, della classe dirigente o della sudditanza. Nell’immaginazione bradburiana, il cittadino americano erede di Jefferson e di Lincoln si trasforma in suddito nel momento in cui la tecnologia prende il sopravvento sulla morale e le idee vengono inghiottite dall’indifferenza dei media. Il nemico è la dialettica che i libri esprimono, quella che una volta si sarebbe chiamata la ricerca della verità. Oggi che l’unica verità possibile è il dogma o la pratica dell’incoscienza, i libri superstiti devono essere bruciati.
C’è libro e libro: in uno di essi uscito recentemente, Era una gioia appiccare il fuoco, Bradbury ha riunito tutti i racconti che ha scritto prima o dopo Fahrenheit 451, ma che ne condividono tematiche e sentimenti di fondo. E’ perciò una sorta di biografia del romanzo e per la prima volta ne offre le due versioni preparatorie, i lunghi racconti “Molto dopo mezzanotte” e “Il pompiere”, la prima delle quali è rimasta inedita per cinquantacinque anni. A oltre mezzo secolo dalla pubblicazione del “Pompiere” (1951) su una rivista americana di science fiction, Era una gioia appiccare il fuoco descrive la vita di un’idea, di una concezione letteraria attraverso tutta una serie di prove che hanno condotto al risultato finale.
Ray Bradbury descrive il tracollo di una civiltà come se fosse la fine di un organismo vivente, un corpo sclerotizzato ma che è stato giovane e palpitante; e sebbene il momento culminante del processo sia durato pochi decenni, al massimo un secolo, tutto è cominciato tempo addietro, con un graduale cambiamento d’attitudine, un lieve spostamento dell’umore, ieri a favore delle cose che definiamo belle e oggi delle invenzioni potenti e ringhiose.
Non più il libro, la statua, il dipinto ma l’automobile, la TV, il bombardiere. Da un certo punto di vista, il bombardiere con il suo aspetto d’aquila non è meno rilevante, per la civiltà che lo ha prodotto, di una statua di Fidia o di Prassitele, né dell’affresco in cui Zeus si trasforma in cigno: la tecnologia serve a realizzare visioni non meno che a potenziare gli aspetti materiali della vita. Il punto è dove conducano le rispettive opere, se verso il bello che è anche buono (come credevano i greci) o verso l’olocausto come crediamo noi. Bradbury sa che dietro ogni nuova realizzazione umana vi è come un’anticipazione del paradiso o dell’inferno; simile un vecchio Libro dei sogni, Fahrenheit 451 è dunque un catalogo di visioni, incubi e profezie che nascono da profezie più antiche.
Nella discesa agli inferi, il fuoco rappresenta l’elemento della purificazione e la barriera da superare per entrare nell’imbuto che conduce al centro della terra o nel profondo della psiche. Anziché limitarsi a calcolare la temperatura come un semplice termometro (Fahrenheit 451 ovvero Celsius 232.78, la soglia termica alla quale brucia la carta), il racconto diviene uno strumento che misura in termini qualitativi l’arco di una vita, l’esistenza breve della civiltà. Dalla sua fragilità si ricava un generale senso di desolazione, di precarietà delle cose.
Crescere vuol dire maturare e maturare vuol dire invecchiare, prepararsi a morire. Bradbury riassume questo cammino in un flash: siamo andati “dalla culla all’università e di nuovo alla culla nel giro di pochi secoli”. Dalla giovinezza che rappresenta l’età dei miti, del vigore e dei primi libri si passa in un lampo alla decadenza fatta di cenere. Il fatto è che quando si approda al libro si è già arrivati a uno spartiacque, a un punto critico nel cammino delle sorti umane. Non a caso gli antichi dicevano, con una certa apprensione, verba volant e scripta manent: la parola si libra nell’aria e raggiunge immediatamente l’ascoltatore, la pagina scritta è fissa e grave. La civiltà del libro, che è basata su insegnamenti e testimonianze non dogmatici, è stata fondamentale per il cammino della conoscenza ma può essere abbattuta sfruttando il risentimento e il desiderio di disimpegno della sudditanza; applicarsi è faticoso, meglio guardare lo sport alla TV. I pompieri, in fondo, non servirebbero nemmeno, basta fare in modo che a nessuno interessi più niente. Oltre che dalle bombe, il mondo può essere annientato dall’indifferenza, il cui risultato è la soppressione di ogni nuovo impulso alla vita.
Bradbury piange la fine della giovinezza con i suoi discorsi appassionati e visionari perché sa che un battito di ciglia dopo sarà la fine tout-court, il rogo generale. Le due tragedie riecheggiano nello stesso scenario e il sacrificio della carta stampata non è che l’eco di un sacrificio anteriore, quello del rito orale, che fu altrettanto traumatico. Il ciclo procede: prima di tornare al libro e alla sua gravità, per riportare la gente alla coscienza ci sarà bisogno di una nuova età di trasmissione orale della conoscenza.
Come la giovinezza perduta, anche Fahrenheit 451 rappresenta un organismo vivente. Il romanzo vero e proprio fu pubblicato nel 1953 ma, come abbiamo visto, nasceva da un lungo racconto precedente, ospitato nel 1951 sulla rivista “Galaxy”. Il suo titolo era “Il pompiere”, sebbene in Italia sia stato tradotto per la prima volta come “Gli anni del rogo”. A sua volta, “Il pompiere” costituiva la revisione di un manoscritto primitivo il cui titolo di lavoro era stato “Molto dopo mezzanotte” 2. Rimasta inedita anche in America fino al 2006, questa proto-versione del racconto appare per la prima volta nel presente volume dopo varie vicissitudini. Il manoscritto, custodito dall’agente letterario e collezionista losangeleno Forrest J. Ackerman, era stato trafugato e si è dovuto pagare un riscatto per ricomprarlo: lo raccontano gli esperti Donn Albright e Jon Eller, curatori del volume Match to Flame (Gauntlet Press 2006), nel quale “Molto dopo mezzanotte” è stato incluso dopo un faticoso lavoro di collazione. Al momento della riacquisizione del documento, infatti, si era constatato come ne mancassero più di trenta pagine, fortunosamente recuperate solo in un secondo tempo.
Alcuni lettori si sono chiesti se valesse la pena pubblicare “Molto dopo mezzanotte” a fianco del “Pompiere”, che tolta la scena iniziale, qualche cambiamento nei nomi e un po’ di editing è sostanzialmente lo stesso racconto. La risposta è che dal punto di vista della completezza questa necessità esisteva, soprattutto per chi volesse illustrare la genesi di Fahrenheit 451 in tutti i suoi aspetti. “Molto dopo mezzanotte” contiene due o tre passaggi importanti che sono stati espunti dal “Pompiere”: vedi per tutti il graffiante ritratto delle lobby di potere finanziario, religioso e razziale che non hanno più trovato posto nella versione uscita su “Galaxy”.
Quattro anni dopo un altro piccolo editore, Subterranean Press, ha ripubblicato i racconti di Match to Flame aggiungendone tre: il risultato è la nuova raccolta A Pleasure to Burn (2010) che raccoglie tutti i testi di Ray Bradbury sulla persecuzione dell’immaginazione, fino all’olocausto finale.
“Molto dopo mezzanotte”, infatti, non rappresenta l’anello più antico della catena. Altri racconti adombrano tematiche simili fin dal 1948, anno in cui esce, su un’altra rivista di fantascienza, “Torre di fuoco”: un grottesco che nella figura di un morto vivente simboleggia l’artista ribelle e insofferente alla logica della civiltà delle macchine, che sogna di distruggere.
Nei “Maghi folli di Marte” (1949, più volte ristampato anche con il titolo “The Exiles”), la serie si arricchisce di un episodio sfuggito alle Cronache marziane in cui l’idea è che, in tempi di persecuzione, letteratura e fantasia siano costrette a rifugiarsi su un altro pianeta. E’ forse il racconto più bizzarro della raccolta e vede le streghe di Macbeth tenere compagnia a Edgar Allan Poe e ad Algernon Blackwood su negli azzurri spazi.
Le “Maschere pazze” del 1950 costituiscono la prima versione di “Usher II”, titolo con cui il racconto sarà incorporato nelle Cronache marziane e trasferito sul pianeta rosso. Peraltro, nella versione originaria delle “Maschere” apparsa su rivista, e che qui traduciamo, di Marte non si fa ancora menzione. Nel “Pedone” (1951) ricompare l’idea, già sviluppata in “Molto dopo mezzanotte” e nel “Pompiere”, della società motorizzata che condanna l’andare a piedi come un misdemeanor, cioè una condotta reprensibile, o addirittura come una criminal offense.
Nello “Spazzino” (1953) la macabra incombenza di sgomberare in massa i cadaveri di una futura guerra nucleare viene affidata ai lavoratori più socialmente utili della città: ed è qui che l’incubo della distruzione atomica diviene centrale in Bradbury, superando lo sdegno per la repressione della fantasia. “Il Sorriso” (1952) è stato scritto prima dello”Spazzino” ma nel libro lo segue perché racconta di una guerra ormai avvenuta. Come aveva previsto Einstein, l’umanità è regredita all’epoca dell’arco e alle frecce o ancora peggio: è precipitata in un pozzo di autocommiserazione e odio per il passato che è, del resto, una caratteristica dell’ignoranza e della miseria in tutti i tempi. Il racconto è particolarmente riuscito perché il suo punto di vista è quello di un ragazzo che soffre senza sapere, fino alla fine, che la causa del suo dolore è la mancanza di bellezza nel mondo. Analogamente, nello ”Spazzino” tutto è filtrato dalla coscienza di un uomo semplice, per la prima volta disgustato di se stesso.
E siamo tornati alle due versioni preparatorie di Fahrenheit 451, cioè “Molto dopo mezzanotte”/”Il pompiere”. Del secondo sappiamo che è stato pubblicato su “Galaxy”nel febbraio 1951; del primo possiamo solo supporre che sia stato scritto tra il 1949 e il 1950 e poco dopo trasformato nella sua versione definitiva. Resterebbe da chiedere a Bradbury quali e quante modifiche siano opera sua e quante siano state richieste da Horace L. Gold, direttore di “Galaxy”. Certo è che “Molto dopo mezzanotte” è un testo che non risparmia niente e nessuno e precorre di qualche decennio la critica alla “cultura del piagnisteo”, cioè il politically correct oggi imperante in America (ma non solo). Nei due racconti è contenuto tutto Fahrenheit 451, sebbene in forma condensata: un’opera visonaria e battagliera che è tra le poche a invocare la guerra, persino la catastrofe, pur di fare piazza pulita di un mondo spersonalizzato e amorale.
Tutta l’America del rimpianto, del ritorno alle origini, della contestazione della scienza, del rifiuto dell’industrializzazione e della meccanizzazione – in una parola, l’America rurale – è in queste pagine. Nella parte finale del “Pompiere”, ambientata fra gli intellettuali vagabondi lungo i binari morti, sembra adombrato uno scenario per hippies ante-litteram. Per il momento è il solo porto in cui il disilluso protagonista, Montag, possa rifugiarsi; forse, col tempo, diventerà un intellettuale anche lui e dopo aver imparato a memoria il libro di Giobbe si imbatterà in qualche testo scientifico, mentre della filosofia sappiamo che ha già fatto una piccola esperienza. Allora si renderà conto che il male non è la scienza in sé, benché nel racconto essa venga a coincidere con l’istinto di morte, ma l’uso disumano della scienza e la mentalità “scientista” che ne è il corollario. E sebbene sia vero che l’uomo, per continuare a vivere, abbia bisogno dell’immaginazione, è altrettanto vero che senza la conoscenza astratta sarebbe perduto in poche generazioni, come gli sventurati del “Sorriso”. La conoscenza, tuttavia, dev’essere etica: dopo la guerra totale del “Pompiere” l’obbiettivo sarà il bene della persona, non dei corpi e cervelli indifferenziati nella massa.
Ai racconti classici, gli editori americani del libro hanno affiancato un certo numero di testi recenti in cui Bradbury torna sui temi a lui cari. Così la raccolta si apre con un “Reincarnato” del 2005 che è una versione breve della “Torre di fuoco” e prosegue con “La biblioteca” del 2006, “Il Falò”, un drammatico dialogo dello stesso anno, “Il grillo sul focolare” del 2002, fino agli ultimi racconti: “Il drago che si mangia la coda” del 2007 e “Prima dell’alba” del 2004. In alcuni di essi il desiderio di sfuggire alla tirannia del presente è così forte che non esiste miglior rimedio del rifugiarsi mentalmente e fisicamente nel passato. Purtroppo per Adamo ed Eva, una volta scacciati dal giardino saranno perseguitati ovunque dal dolore. La raccolta si chiude con un suspense scritto nel lontano 1950, “Al futuro”: un brindisi alle prossime generazioni che dopo la vaga apertura del “Sorriso” e persino del “Pompiere” ci toglie, forse giustamente, ogni residua illusione.
Nel retelling di molti miti che è la narrativa bradburiana, i libri sembrano conservare la memoria dell’età d’oro e contemporaneamente presagire la catastrofe. Qualcuno potrebbe vedervi, kafkianamente, il verbale di un processo di cui siamo gli imputati. Nel cap. XXXI di Giobbe, l’opera che Montag ha scelto di imparare a memoria, il protagonista perseguitato si appella al Signore perché gli renda giustizia e aggiunge: “Oh, avesse il mio avversario scritto la sua denuncia in un documento!” E cioè: se chi mi attribuisce la colpa avesse messo per iscritto i capi d’accusa, io ne sarei felice perché almeno saprei di cosa sono incolpato. Nella versione inglese di re Giacomo, su cui Montag probabilmente si esercita, la frase suona: Oh… that mine adversary had written a book. Il documento scritto è ciò che può suonare come una condanna e nello stesso tempo consentire un appello. Il libro è un prodotto, “difficile” ma insostituibile, dell’immaginazione. Sono i due aspetti del libro – quello “pesante” e quello liberatorio – che ne fanno un’opera dell’ingegno straordinariamente duttile, e che lasciano sperare in un possibile rinascimento dell’umanità. Ecco perché, dopo l’interregno, il ritorno del libro sarà necessario: in quelli migliori, proprio come davanti a un maestro, è sempre possibile separare il discorso vivo dalla grave dottrina, ed è il discorso, la vita che bisogna tramandare ai posteri prima della dottrina.
Giuseppe Lippi
1 Paradiso, VII, 18.
2 Da non confondere con l’omonimo racconto breve del 1963 e con l’antologia in cui sarebbe confluito.
Posted in Antigravità
giugno 8th, 2012 at 13:19
Amava essere definito “Il più grande mago del mondo”. E, forse, lo era davvero. Conservo del suo stile poetico lontani e bellissimi ricordi. Non solo “Fahrenheit 451″ e “Cronache Marziane” i suoi due libri più famosi, ma anche romanzi dall’atmosfera sognante e magica come “Il popolo dell’autunno” e “l’estate incantata” dedicati a quell’età meravigliosa che è l’adolescenza. E poi i tantissimi racconti…alcuni delle vere e proprie perle come “Tempo fermo”, “Gioco d’ottobre” e “La bottiglia azzurra”.
Dopo l’ictus che lo aveva colpito nel 1999, costringendolo sulla sedia a rotelle, e la morte della moglie, non ha mai smesso di immaginare il futuro, di scrivere, aiutato dalla figlia, soprattutto brevi racconti, e di sognare un nuovo film da “Fahrenheit 451″.
Il presidente americano Obama, esprimendo il suo cordoglio per la morte dello scrittore, ha detto che «il suo dono di narrazione ha rimodellato la nostra cultura e arricchito il mondo».
E con le tue storie hanno volato, esplorato, sognato milioni di persone e almeno tre generazioni di lettori.
Addio grande vecchio…ci mancherai. Che il vento dello spazio ti porti in alto a danzare con le stelle.
giugno 8th, 2012 at 13:26
Nel momento in cui Urania si accinge a passare alla versione digitale, sarebbe interessante un commento di Lippi su un aspetto poco noto del Grande Ray. Ho scoperto infatti che Bradbury, negli ultimi anni, conduceva una personale battaglia contro la diffusione degli e-book e in difesa del libro cartaceo. Una posizione forse scontata per uno come lui (ma che io tendo a condividere).
So long, mr. Bradbury
giugno 8th, 2012 at 14:08
Anch’io, quando mi sento vecchio camaleonte, mi abbarbico alla mia casa fatta come una dispensa, con pile di carta al posto dei salami e provoloni che pendono dal soffitto. Ma ho comprato ugualmente 200 ebook in un anno e mezzo e ne ho letti il 10% con soddisfazione. Secondo me le due cose devono convivere, non farsi guerra a vicenda. E anch’io non vorrei un mondo di soli bit…
giugno 8th, 2012 at 14:56
Cronache Marziane e Fahrehneit 451: impossibile dimenticarli insieme al film di Truffaut.
Si possono bruciare milioni di libri ma non le idee!
In UC aspettiamo altre opere di Bradbury!
giugno 8th, 2012 at 17:41
Prezioso e incisivo omaggio del Curatore a uno dei grandi della Fantascienza.
giugno 8th, 2012 at 19:27
Lunga Vita A Ray Bradbury, Maestro di Fantascienza, Orrore e Fantasia.
Vivi In Noi, Grazie.
giugno 9th, 2012 at 18:15
Nessuno ha mai pensato che i libri digitali non si possono bruciare? Grazie, Ray…
giugno 9th, 2012 at 20:11
L’anno scorso però anche Lui accettò che “Fahrenheit 451″ venisse pubblicato in versione e-book.
giugno 11th, 2012 at 14:15
Però i libri e-book si possono cancellare, ma dal momento che ogni essere umano li può conservare in un proprio supporto digitale la cancellazione totale è impossibile.
giugno 11th, 2012 at 17:31
E gli autografi? Chi ha pensato come autografare un e-book?
giugno 12th, 2012 at 09:25
Ottima osservazione.
Forse ci vorrebbe la firma digitale certificata.
giugno 12th, 2012 at 13:22
Dibattito interessante. Se posso dire la mia, io penso che il software non si può bruciare, ma l’hardware sì. Un reader è un pezzo di plastica con un po’ di rame e di silicio. Magari brucierà a temperatura più alta della carta ( 541 Farenheit? ), ma si può distruggere molto facilmente e in un rogo, date le ristrette dimensioni, ce ne stanno molti di più. Inoltre il software non solo si può cancellare o censurare o bruciare (questo avviene anche ai libri cartacei) ma può essere manipolato, interpolato, cancellato parzialmente, infettato da virus eccetera. Uno noto appasionato ed esperto italiano FS ha già annunciato sul suo sito di aver “sprotetto” il suo primo e-book (anche se solo a scopo dimostrativo). Di certo, mentre un libro si può deteriorare e diventare illeggibile, la versione digitale di un libro si può copiare e salvare e quindi durerà all’infinito. O almeno, finchè avremo a disposizione energia lettrica, computer, supporti di immagazzinamento dati eccetera.
Gli Uraniofili ricorderanno certo romanzi come “Lebbra antiplastica”, “Y2K” e “La guerra dei 40 minuti”.
Parlavano proprio di questo in fondo. O no?
giugno 12th, 2012 at 23:16
Bella domanda GLippi, però magari si può provare ad ‘inviare’ la propria copia regolarmente acquistata e scaricata alla casa editrice – o all’autore se lo si conosce- per chiedere di farsi mettere una ‘firma digitale certificata’, come dice Giuseppe P.
(ovviamente parlo come neofita visto che ancora devo entrare nel mondo ebook)
giugno 17th, 2012 at 12:27
Ogni volta che si stampa un libro chi di dovere dovrebbe chiedersi se vale il sacrificio di alberi innocenti. Tuttavia se sparisse la carta e ci fosse solo elettronica potenzialmente schiacciando una volta “invio” potrebbero rendere inaccessibile tutto lo scibile umano da Omero a Paul De Filippo (Tecnicamente è possibile, ricordo lo scandalo di quando sul kindle avevano lucchettato ebook pagati a causa del mancato raggiungimento di un accordo commerciale)… Così si scopre che la pirateria ha anche una funzione sociale.
Spero di non essere l’unico ad essermi accorto che gli autografi digitali siano insensati (Del resto anche quelli “analogici” li ho sempre trovati imbarazzanti e degradanti, soprattutto per chi li fa)
giugno 18th, 2012 at 16:15
La fotografia non ha ucciso la pittura (semmai quest’ultima, per quel che mi riguarda si è suicidata da sola), i dischi e la radio non hanno fatto sparire concerti di musica classica e rock, il teatro c’è ancora, nonostante cinema e televisione. Tenuto conto delle debite differenze, l’e-book non farà sparire il libro cartaceo, conviveranno serenamente finquando ci saranno persone con la voglia di leggere.
giugno 18th, 2012 at 17:15
Ho cominciato da poco a leggere Bradbury e credo che sia una spanna sopra a molti altri autori… è uno scrittore e mi ha fatto accorgere, dopo un po’ di mesi che leggevo solo SF del perché la si chiami “di genere”.
Bradbury mi ha ricordato Calvino o meglio ancora Buzzati … quello spirito, non quello di un nerd come me, ma di un vero scrittore con quintali di fantasia e curiosità, con il what_if inside … ma anche l’ironia e la curiosità, il godimento del piccolo colpo di scena divertente e la descrizione “come si deve” … la caratterizzazione dei personaggi o delle situazioni … sembra diverso, insomma.
Per fortuna ha scritto: fosse stato un attore di teatro, ora mi starei accorgendo di cosa ho perso per sempre.
giugno 18th, 2012 at 17:18
Alcune conseguenze della digitalizzazione delle opere:
operate voi l’adeguata trasposizione dalla fotografia allo scritto.
Citato da Robert J.Sawyer, non a caso.
http://www.theregister.co.uk/2006/12/29/photojournalism_and_copyright/
giugno 19th, 2012 at 10:10
Ma siete così sicuri che un Kindle, un Ipad, un Galaxy siano così ecologici? Senza considerare il fatto che la carta la si trova un po ovunque in occidente ma i metalli rari no. Senza parlare poi dello smaltimento dei rifiuti.
luglio 16th, 2012 at 19:47
@Dr Lippi
Il problema vero è quello che il Dr. Lippi ha riportato….
Il piacere e la necessità.
Non tanto il il supporto, ma il come e quando leggere.
Egli dichiara che ha comprato un bel mucchietto di e-book, ma ne ha letto il 10% circa….
Essendo ormai un vecchietto, ho fatto un breve calcolo a campione, se dovessi leggere un libro a giorno ( al giorno ! e non sono tutti di letteratura… ), tra quelli che ho acquistato e messi da parte per leggerli “poi” , se comincio SUBITO, dovrei campare sino a 102 anni….
Per cui il piacere che ne ricavo ora è quello di guardarli, lì nelle mie tre librerie (studio, soggiorno, camera da letto ), ogni tanto spolverarli, sfogliarli, iniziarne uno che magari non finirò mai di leggere ( Un Thoreau di “Walden , la vita nei boschi” è sul mio comodino da circa trent’anni ). Ora si è aggiunto il piacere di portare i miei nipotini nella “stanza dei racconti” e fargli guardare le copertine e le illustrazioni, così, randomicamente…
Temo che l’e-book non mi darà, o non potrà darmi, gli stessi piaceri….