Visti con il Professionista/15

gennaio 6th, 2010

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Cari lettori e lettrici, augurandovi buon anno, riprendiamo la rubrica “Visti con il Professionista” che si era interrotta qualche tempo fa per fare spazio ai contributi extra di Ghelfi, Narciso, Novel e Di Marino. Si riparte alla grande con un classico: “I Tre Giorni del Condor”. Ne approfitto per ricordarvi gli apppuntamenti di questo 2010 che comincia col botto: Segretissimo presenta “Balkan Bang!” di Alberto Custerlina, storia nera ambientata nei Balkani tra criminali, poliziotti e killer senza pietà, mentre Segretissimo SAS di questo mese è “Sudestremista Asiatico“. Per via della pausa per le vacanze natalizie, l’invasione delle edicole è cominciata proprio in questi giorni. Un caro saluto a tutti e di nuovo a tutti e… un buon anno “Segretissimo”!

Alessio Lazzati

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

I TRE GIORNI DEL CONDOR

A cura di Stephen Gunn

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Alla metà degli anni ’70 la crisi petrolifera mondiale e la paranoia generata da complotti, colpi di stato e assassinii politici della CIA, offrono un terreno fertile per ottime spy-stories dove l’intrigo predomina sull’azione. Ispirato romanzo I sei giorni del Condor (che avrà anche un meno convincente seguito in L’ombra del Condor) del forse non giustamente apprezzato James Grady , I tre Giorni del Condor, resta forse uno dei classici imperdibili del filone che trova un’alternative alle vicende puramente avventurose e a quelle basate essenzialmente sulle atmosfere della Guerra fredda. In pratica è la “via americana” al genere che, almeno al cinema, alterna momenti introspettivi e indagini ad azioni rapide ma ottimamente coreografate. Turner ( che nel film si chiamava Malcom) è l’agente Condor, analista della CIA, interpretato da Robert Redford , all’epoca icona liberal del cinema indipendente. Lo vediamo entrare in scena in motorino, con sciarpetta, occhiali e zucchetto di lana in una fredda giornata di novembre. È l’epitome dell’anti eroe degli anni ’70. Indisciplinato, simpatico, intellettuale. Lavora presso un istituto letterario e il suo lavoro è … leggere libri, principalmente gialli. Si tratta di una delle tante sottosezioni della CIA in cui vengono analizzati e codificati metodi bizzarri di omicidio, trucchi per eludere codici e sorveglianza, insomma tutto quello che la fiction può insegnare al mondo reale dello spionaggio. Tra l’altro non si tratta di una trovata narrativa … il KGB aveva sin dai tempi di Ian Fleming sezioni incaricate di leggerei romanzi occidentali per trarne informazioni. Lavoro comodo “entro ovvi limiti”. Turner crede nel suo paese e nella democrazia, non considera far parte della “Compagnia” , un lavoro “sporco” però si fida ancora dei suoi amici e non poter raccontare apertamente ciò che fa gli rimane incomprensibile. Un ingenuo, infatti. Tanto da notare l’anomalia di un mediocre romanzo di spionaggio pubblicato in un assortimento bizzarro di stati (Medio Oriente, Venezuela, Olanda) ma non nei principali paesi del mondo. Segnala questa stranezza attraverso i canali dell’Agenzia ma non riceve risposta e, un pomeriggio, al ritorno dall’abituale uscita per prendere la colazione per tutto l’ufficio trova i colleghi massacrati da un efficientissimo gruppo di sicari. È vivo per miracolo, un collega malato è stato ucciso a casa. In pieno delirio paranoico chiama la sede di Langley dove Wicks, il suo caposezione, gli fornisce un punto di incontro dove avverrà il suo recupero. Ormai in preda al sospetto più feroce Turner-Condor esige la presenza di Sam Barber, suo vecchio amico, collega e compagno di università. Da quel momento gli avvenimenti precipitano. Sulle sue tracce c’è uno spietato killer a capo del gruppo di fuoco, Joubert, un flemmatico europeo con i tratti nordici di Max Von Sydow . L’appuntamento si risolve in una trappola che scatena una concitata sparatoria in cui Turner riesce a ferire Wicks che ha cercato di eliminarlo. Fugge senza accorgersi che, pur ferito gravemente , Wicks fa a tempo a uccidere Barber, il cui omicidio verrà imputato proprio a Condor. Qui si apre una finestra sul mondo della CIA. Sezioni, sotto sezioni, comitati dove vediamo uomini grigi complottare, ordinare l’eliminazione uno dell’altro in virtù delle regole di un gioco non sempre chiaro. Per loro Condor è diventato un pericolo, ma non solo. Il suo modo di agire, a volte disordinato e causale li sconcerta. Tanto da far sospettare loro di trovarsi di fronte a un abilissimo agente indipendente che deve essere eliminato a ogni costo. Siamo in pieno delirio di potere. Tra questi personaggi kafkiani distinguiamo subito Higgins (Cliff Robertson) che è un po’ un coordinatore sul campo e Wabash interpretato con la sinistra aderenza al ruolo di master spy da John Houseman. Ricordiamo che il film uscì tra l’impeachment di Nixon e la pubblicazione del rapporto Watergate. Si adombra l’esistenza di una ‘CIA nella CIA’ che persegue con il tacito consenso del governo fini criminali per un non specificato “bene del paese”. L’ingenua segnalazione di Turner ha messo in moto un meccanismo perverso per cui un libro, studiato come ‘gioco da tavolo’ per simulare un colpo di stato nei paesi produttori di petrolio, potrebbe diventare motivo di imbarazzo se portato a conoscenza del grande pubblico. Perciò ogni traccia andava eliminata. Il problema per Higgins non è tanto l’ipotesi sovversiva in sé (che in altro momento politico potrebbe anche essere valida) quanto la “negabilità” dell’operazione. In un sottile gioco di inganni ognuno cerca di fare pulizia usando pedine indipendenti senza darlo a vedere. Più facile far tacere Wicks ormai uscito allo scoperto a causa del ricovero in un ospedale pubblico. Se ne incarica Joubert, che prende ordini da uno dei componenti del comitato direttivo di questa seconda CIA, Atwood. Turner , però, è sempre in fuga e con una serie di mosse azzardate che ci dimostrano quanto alla fine sia intelligente anche se non preparato all’azione brutale, prima sfugge a Joubert poi trova rifugio presso Kathy ( Faye Dunaway), fotografa tormentata che prima si ribella poi lo aiuta e forse anche u po’ s’innamora. Il loro è un breve incontro di due solitudini, destinato a non rinnovarsi e minacciato dall’ingresso in scena di Lloyd, sicario di Joubert. Qui ha luogo, nello spazio di pochi minuti, una delle più riuscite scene di combattimento corpo a corpo con tecniche di karate, sparatorie, confusi grovigli di corpi in lotta della storia del cinema. Sono questi scoppi di violenza assolutamente realistici che imprimono adrenalina al lavoro di Pollack. Con astuzia e disperazione Turner allaccia un diffidente contatto con Higgins e gli fornisce le prove che Atwood ha preso l’iniziativa di cancellare tutti i testimoni sin dalla prima strage servendosi di Joubert e il suo gruppo che, ufficialmente, sono morti e vengono impiegati come agenti a contratto. Si riunisce di nuovo il comitato nella stanza dei potenti e Atwood viene giudicato un pericolo per tutti. La soluzione più semplice pare quella di affidare a Joubert l’eliminazione del suo stesso committente. L’anziano killer, esperto nel ‘grande gioco delle spie’, è l’unico ad immaginare di trovare anche Turner – scomparso dalla circolazione – proprio a casa di Atwood. L’omicidio viene consumato ma per Turner Joubert non ha una pallottola. Solo il consiglio di stare in guardia. Ma Redford è, per il pubblico, il paladino della democrazia. In un drammatico confronto finale con Higgins chiarisce i meschini maneggi della CIA e si fa forte di aver rivelato la verità al New York Times. Ma l’uomo dei servizi lo brucia con una domanda. “Sei sicuro che lo pubblichino?”. Così, su uno stop frame agghiacciante, sì infrangono le certezze dell’America democratica e lo spauracchio di uno strapotere occulto della CIA tornano a vivere anche dopo la fine del singolo complotto. Il tema politico, l’abile resa della suspense che alterna rapidissime sequenze di violenza e alternati ad algide discussioni di potere rendono questo film e i suoi interpreti pietre miliari del filone, imperdibili punti di riferimento per chi voglia approfondire la spy-story quanto per chi ambisca a scriverla con un piglio moderno.

SCHEDA TECNICA. Genere. Il nemico siamo noi

I tre giorni del Condor( Three Days of the Condor), USA, 1975, Durata 112’- Regia di Sindey J . Pollack. Sceneggiatura di Lorenzo Sample Jr. e David Rayfiel dal romanzo di James Grady. Interpreti: Robert Redford: Joseph Turner- Condor. Max Von Sydow: Joubert. Cliff Robertson: Higgins. Faye Dunaway: Kathy. John Houseman: Mr. Wabash. Realizzato da Paramount è disponibile in varie versioni DVD più volte ristampate.

 

 

 

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Visti con il Professionista/14

settembre 13th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA. I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

SABOTAGE

A cura di Stephen Gunn

Questo film è l’esempio perfetto della miopia di critici e distributori nostrani.

Nel 1996 Catherine Ann Moss non era ancora l’eroina di Matrix, Dacascos era noto solo come divo del cinema marziale e Graham Greene era solo un Nativo Americano relegato a ruoli etnici. Per cui, almeno in Italia, il film passò solo in Home video e senza troppo rumore. Invece è una delle storie d’azione e spionaggio migliori e più articolate di quegli anni. L’antefatto ci proietta sui campi di battaglia della Bosnia nel 1993.

Un gruppo di ufficiali serbi sono prigionieri dei guerriglieri musulmani che li accusano di essere autori di interventi di pulizia etnica. Liberarli non è esattamente la missione tipica di cui la CIA dovrebbe occuparsi. Invece troviamo Tollander (Greene), masterspy di Langley, che coordina un gruppo di SEAL guidati da Mike Bishop (Dacascos), cecchino d’elite pronto a fare irruzione nel casolare dove sono tenuti gli ostaggi. Ma Bishop nota qualcosa.

Un commando, apparentemente abbigliato come uno dei suoi, sta penetrando senza ricevere ordini. Dopo un istante di incertezza, Bishop ordina l’attacco.

Disastro: il killer, un nero di nome Sherwood che alla fine non si preoccupa neanche di nascondere il volto, massacra carcerieri e vittime, abbatte tutta la squadra di Bishop e fa esplodere il sito. Bishop stesso si becca due pallottole nel polmone.

 Passano tre anni e ritroviamo Bishop nel settore privato come bodyguard del petroliere Trent e della sua sexy ma odiosa consorte.

 

All’arrivo a Los Angeles li aspetta una pessima sorpresa. Appostato a tre chilometri di distanza con un fucile di precisione anticarro, Sherwood (il caratterista Tony Todd) è di nuovo pronto a premere il grilletto. Uccide Trent e gli uomini della scorta, salvo Bishop che lo insegue, individuato il palazzo da cui tira. Il sicario è costretto a fuggire.

 Qui entra in scena Castle (Catherine Ann Moss), bella agente dell’FBI, mamma ma anche coscienziosa investigatrice che comprende subito che la storia puzza di marcio.

Non solo il suo capo nel Bureau preme per una rapida chiusura del caso, ma accetta anche l’intromissione di Tollander, sempre pezzo grosso della CIA.

Tutti vorrebbero buttare la colpa su Bishop che come sopravvissuto risulta sospetto. Castle, malgrado inevitabili diffidenze con Bishop, non la beve, soprattutto dopo l’omicidio della signora Trent attribuito a un killer improbabile e invece eseguito dall’onnipresente Sherwood.

 

Nel frattempo Bishop fa visita al suo vecchio professore, il paraplegico Lollifant. Questi, una vecchia spia omosessuale che gioca a scacchi e sembra saper tutto di tutti malgrado sia stato messo fuori gioco con una pallottola nella schiena, rivela a Bishop un collegamento tra i Trent e quella misteriosa azione in Bosnia.

 Trent forniva armi ai serbi catturati dagli islamici, cosa che tutti, Tollander per primo, avevano interesse a nascondere. Per cui Bishop, pur avendo elementi per continuare la sua indagine privata e vendicarsi, si trova preso nel tiro incrociato di varie fazioni. Solo Castle, pur riluttante, può aiutarlo.

 Sulle prime le tracce portano al superiore proprio di Castle, un burocrate dell’FBI che risulta da subito un antipatico burattino. Manovrato evidentemente.

 Arrestato in un villino dove si incontra con Sherwood (il quale invece fugge), l’uomo non confessa ma viene avvelenato da Tollander che lo ha sempre manovrato e ora lo elimina.

Il cerchio si stringe. Qualcuno ha voluto far piazza pulita dei maneggi della CIA con i Serbi nel corso di quella famosa missione e tutti gli indizi puntano su Tollander.

Questi, sicuramente coinvolto, fa rapire la figlioletta di Castle e le impone di consegnare Bishop in cambio della bambina.

Evidentemente è una trappola e la coraggiosa agente decide di fidarsi del giovane e di reagire con la massima decisione. Uccide personalmente Tollander e uno dei suoi sgherri ma si trova intrappolata con la figlia in una casa minata proprio da Sherwood.

 Ci pensa Bishop a tirarle fuori dai guai e a esibirsi in uno spettacolare tiro a distanza che elimina anche il pericoloso killer. Ma, ricostruendo la sequenza delle osservazioni ottenute durante l’inchiesta, Bishop si convince che è stato proprio Lollifant a manovrare tutti sin dai tempi della Bosnia.

Ora, stanco del Gioco delle Spie e desideroso di vendicarsi, ha usato Bishop come “ripulitore” ma permettendogli anche di scoprirlo.

Il vecchio paraplegico e il giovane allievo si fronteggiano in una delle sequenze più interessanti del film. Qui emerge un’ambiguità del protagonista inaspettata in un film troppo frettolosamente definito di Serie B.

Bishop infatti, rifiuta di uccidere il vecchio maestro e insorge il dubbio che i loro passati rapporti non siano stati così cristallini. È Castle che, per garantire sicurezza a sua figlia, uccide il vecchio. E, come ultima battuta, Bishop le rivela ambiguamente che potrebbe essere stato lui a ridurlo sulla sedia a rotelle, per ordine di Tollander.

Tutto così, tra sguardi, battute taglienti e allusioni. Il regista forse è solo un mestierante ma si dimostra all’altezza della situazione gestendo una trama complessa e diverse sequenze d’azione ben coreografata sia negli scontri a fuoco che nei combattimenti corpo a corpo. Di questi Dacascos (reduce dal successo di Criyng Freeman e figlio d’arte, il padre è il celebre maestro dei divi di Hollywood, Al Dacascos) è un esperto ma solo in una breve e spettacolare sequenza lo vediamo esibirsi in calci acrobatici e piroette. Graham Greene, per una volta lontano dal West, incarna l’agente della CIA con aderenza e, a tratti, ci riporta alla memoria le movenze e le espressioni dell’indimenticabile Telly Savalas. Alla fine un film da scoprire e guardare con attenzione perché sia nella costruzione che nell’esecuzione riserva molte sorprese e porta sulla scena un genere in quegli anni piuttosto trascurato dal cinema.

 

SCHEDA TECNICA. Genere: Agenti d’assalto.

Sabotage (id.) USA, 1996- Durata 99’- regia di Tibor Takaks- sceneggiatura originale di Rick Filom e Michael Stokes. Interpreti: Mark Dacascos: Bishop – Catherine Ann-Moss: Castle – James Neville:Lollifant – Graham Greene: Tollander – Tony Todd: Sherwood-

 Il film è stato da poco ristampato e distribuito in DVD dalla Medusa inf ormato 4/3 e purtroppo con extra scarsi se non inesistenti..

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Visti con il Professionista/13

agosto 21st, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA. I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO:

 

I CANNONI DI NAVARONE

 

A cura di Stephen Gunn

Narratore scozzese veterano della seconda guerra mondiale, Alistair MacLean (1922-1987) firmò un gran numero di romanzi di guerra e avventura,a volte con lo pseudonimo di Ian Stuart. Nelle sue storie c’è sempre un risvolto spionistico, un gioco d’inganni, la missione impossibile, anche quando racconta il West come Agguato al passo del nibbio (una storia di traffico d’armi con gli indiani portata sullo schermo con Charles Bronson nel film Io non credo a nessuno). Tra tutte le sue avventure quella forse più celebre e più attinente al tema di questa rubrica resta I cannoni di Navarone portata al cinema nel 1961.

 

Ancor più di Dove osano le aquile (che ha risvolti spionistici marcati ma è forse più bellica, almeno nella realizzazione per lo schermo) questa storia non solo riassume tutti gli elementi fondamentali dello spionaggio bellico d’azione ma è anche modello per tutto il filone “agenti d’assalto” di cui 007 è alfiere indiscusso. La trama è apparentemente semplice. In un’isoletta del Mediterraneo un contingente inglese è destinato al massacro. La Germania vuole mostrare i muscoli con un’azione spettacolare che convinca la Turchia a scendere in campo a fianco dell’Asse . I soldati asserragliati e senza riserve non possono essere evacuati perché nella vicina isola fortificata di Navarone i tedeschi possiedono due micidiali cannoni a lunga gittata che impediscono il passaggio di qualsiasi flotta di soccorso. Prendere militarmente l’isola sarebbe un suicidio. Così il comandante Franklin (Anthony Quayle) organizza una squadra di commando incaricata di risolvere il problema con un’azione di forza. Cinque giorni a disposizione e sei uomini non tutti dal passato cristallino. A comandare il team insieme a Franklin c’è Mallory (Gregory Peck) duro, asciutto, un uomo con una missione, disposto anche a dimenticare la sua umanità pur di portarla a termine. È l’epitome perfetta di quello che, negli anni a venire, diventerà l’agente d’assalto della spy-story. Intelligente, efficace nell’azione e dotato di un innegabile carisma. Il suo contraltare è Miller (David Niven) esperto di esplosivi ma uomo comune trascinato in guerra suo malgrado. Pieno di scrupoli umanitari è la coscienza di Mallory con cui sarà in contrasto sino alla fine quando, insieme, risolveranno la missione. Poi c’è il tostissimo colonnello Andrea Stravru (Anthony Quinn), più che mai calato in un ruolo etnico come hollywood lo dipinse. Ufficiale dell’esercito greco, Stavru è un duro, un contrabbandiere, un killer a sangue freddo. Ma ha perso la famiglia e ritiene responsabile Mallory della tragedia. Ha giurato di ucciderlo a fine missione. Arriva il cupo Braun, spietato al punto essersi guadagnato il soprannome di “Boia di Barcellona”. Interpretato da uno spigoloso Stanley Baker è un personaggio secondario ma ben caratterizzato. Il killer stanco di uccidere, l’uomo che esita e, per questo, pagherà il suo sbaglio. Ultimo del gruppo Paulo Papadinos ( James Darren), giovane emigrato greco che a New York, è diventato un gangster e torna nella sua isola ignaro di ritrovarvi la sorella Maria (Irene Papas, donna forte a capo dei partigiani. Con lei troviamo anche Anna (Gia Scala) che incarna l’elemento più femminile e seducente della storia che poco concede al sentimentalismo. Una vicenda di pura guerra? No, perché sin da principio la missione segreta appare segnata da sospetti (il cameriere curdo sorpreso a origliare…) continui assalti dei tedeschi che rivelano la presenza di uno o più traditori nel gruppo. L’azione procede incalzante tra sparatorie agguati e una magnifica scena di tempesta in mare seguita da una scalata a un costone roccioso sotto la pioggia. In questo frangente Franklin cade e si rompe la gamba in due punti. Per la missione diventa un peso. Non solo. Se non verrà curato con i sulfamidici immediatamente rischia di morire di cancrena. Ma se i tedeschi lo prendono potrebbe rivelare tutto suo malgrado sotto l’effetto della scopolamina. Lo spettro dell’eliminazione di un compagno per salvare la missione prende forma nel gruppo e forse è proprio questo il problema al centro della vicenda. I commandos sono uniti da un unico scopo ma carattere e interessi personali generano correnti di odio sotterranee. Mallory, che qui si rivela agente esperto, rivela al ferito una falsa informazione: un presunto attacco in forza sul versante opposto dell’isola. In effetti dopo alcune traversie i commando vengono catturati dai tedeschi. Riescono a fuggire ma Franklin cade nelle mani delle SS e, come previsto, rivela un’informazione falsa che cambia gli equilibri di forza tra tedeschi e commandos.

 

Il conto alla rovescia non permette esitazioni. Ma proprio all’ultima notte Miller scopre che gran parte dei suoi esplosivi sono stati resi inutilizzabili. E qui la storia di spionaggio raggiunge il suo picco perché per tutta la durata del film lo spettatore è stato costantemente stuzzicato dall’idea che nel gruppo ci sia un traditore. Ed è proprio la bella Anna che si rivela debole, collaboratrice dei nazisti non per avidità o ideale ma per paura. Le cicatrici che dovrebbe avere sulla schiena, prova delle torture subite dai tedeschi, non esistono. Smascherata, mette il gruppo in una difficile situazione. Miller sfida Mallory a ucciderla, quasi per ribellarsi di fronte alle sue fredde macchinazioni spionistiche.

 

Mallory, che pure è attratto da Anna e ne comprende le motivazioni, si prepara a eseguire la condanna. Sarà proprio la ruvida Maria a giustiziare l’amica togliendolo d’impaccio. Maria, pur restando un personaggio di contorno, conferisce alla storia umanità e nerbo. La sua presenza risolve anche il problema della vendetta di Stavru che, innamorato di lei, decide di perdonare Mallory.

 

La parte finale del film è tutta azione. Il commando s’infiltra nella montagna fortificata e tra sparatorie, corse contro il tempo ed esplosivi che tardano a fare il loro lavoro, lo spettatore ha la sua bella dose di emozioni. Anche a tanti anni di distanza resta un grandissimo film d’azione e spionaggio.

 

Molti dei personaggi e delle situazioni oggi possono sembrare dei clichè ma come al solito, è necessari ricordare che si tratta di un film e una storia imitati in cento occasioni diverse. In pratica ha fatto scuola generano tantissimi epigoni.

 

Molto efficaci i duelli, le sequenze di movimento che ben si inseriscono nella cornice greca ricostruita con sapienti tocchi di colore. A rendere tutto però più drammatico è il cast che riesce pur con una sceneggiatura che non ha tempo per divagazioni a far salire la tensione anche quando non si spara.

 

 

 

SCHEDA TECNICA

Genere: Spie in Guerra

 

I cannoni di Navarone(The Guns of Navarone), USA, 1961- durata 157’- regia di J. Lee. Thompson. Sceneggiato da Carl Foreman dal romanzo di Alistair MacLean- Interpreti: Gregory Peck: Mallory- David Niven- Miller- Anthony Quinn. Stavru- Irene Papas. Maria Papadinos- Stanley Baker: Braun- James Darren: Paulo Papadinos- Gia Scala: Anna- realizzato da Columbia disponibile in DVD in numerose edizioni widescreeen con colori rimasterizzati.

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Visti con il Professionista/12

agosto 8th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

MUNICH

A cura di Stephen Gunn

Non solo un grande film di spionaggio ma una riflessione sui conflitti arabo-israeliani e i loro tortuosi percorsi, sugli uomini e i meccanismi della lotta clandestina, le paranoie e, alla fine, l’inutilità di tutto. Spielberg dirige l’orchestra consapevole della delicatezza dell’argomento, delle sue origini ebraiche e delle aspettative del pubblico che, dopotutto, cerca sempre (ma non solo) un grande spettacolo.

 

Monaco, settembre 1972. I fatti sono noti. Undici atleti israeliani vengono sequestrati durante i giochi olimpici. Seguono ore di frenetiche contrattazioni che tolgono il fiato al mondo intero. Un intervento delle ancora non preparatissime teste di cuoio tedesche scatena una tragedia. Il mondo segue attonito i bollettini di una strage. Nessuno degli ostaggi si salverà una nuova formazione terroristica creata dallo sceicco Salameh s’impone alle cronache coinvolgendo l’intero pianeta nel conflitto arabo israeliano: Settembre nero. Quasi un film nel film, girato mescolando spezzoni di telegiornali d’epoca, ricostruzioni drammatiche e altre immagini di repertorio. La vicenda avrà un suo completamento narrativo nel corso di tutta la vicenda. Basato sulle memorie di un vero agente del Mossad che si firmò George Jonas e creò un piccolo caso letterario nel 1984 con il libro Vendetta, Munich ricostruisce una dolorosa pagina dell’antiterroismo. Israele reagisce alla strage non solo con i bombardamenti dei campi di addestramento in Palestina. Affida a un giovane agente figlio di un eroe Avner Kaupfman (Eric Bana) l’incarico di eliminare Salameh e altri dieci organizzatori di Settembre Nero. Tutto in Europa, dove i terroristi si sentono sicuri, fuori da ogni regola e legame con Tel Aviv. Una classica operazione nera. Avner, futuro padre, turbato da rovelli familiari e patriottismo ( sui quali si dilunga il libro ma che il film non tralascia) diventa un kidon. Figura questa divenuta familiare nel lessico della spy-story. Avner diventerà poi modello per Gabriel Allon, protagonista di una fortunata serie di romanzi di Daniel Silva trai quali ricordiamo Il restauratore. Nel film Avner mette insieme una squadra di agenti senza copertura. C’è l’efficientissimo militare Steve (con il viso di Daniel Craig in fase pre-Bond), il meticoloso Carl (Ciran Hinds particolarmente aderente al ruolo), l’antiquario Hans (Hans Zischler), vecchio soldato pronto a gettarsi nella mischia malgrado l’età e il costruttore di giocattoli trasformato in bombarolo Robert (Mathieu Kassovitz). Sopra tutti loro c’è la mente organizzativa di Ephraim ( Geoffrey Rush) attento ai conti ma ancor più alle ambiguità che impediscono al commando di lasciare qualsiasi traccia possa ricondurre a Israele. Tra Francoforte, Roma, Cipro, Atene comincia un gioco di precisione, feroce e micidiale. La squadra si amalgama, trova in una misteriosa organizzazione privata guidata dall’ambiguo Papà (Michael Lonsdale ) informazioni e mezzi per colpire gli obiettivi predestinati. Piani perfetti realizzati sul filo del secondo con mezzi a volte di fortuna da uomini sin troppo umani costretti a uccidere come macchine da guerra. Qui inizia una sorta di dance macabre di pedinamenti, attentati, bombe, inseguimenti in cui non viene mai meno la spettacolarità, ogni scena, ogni dialogo vengono perfettamente controllati dal regista. La realtà e la fiction si confondono. È evidente che non v’è nulla di sportivo o avventuroso nelle scene di azione. Gli attentatori e i loro avversari usano gli stessi mezzi. E ciò che colpisce di più è l’aspetto delle vittime. Anziani e apparentemente innocui signori borghesi. Arabi integrati in Europa eppure, viene detto ai vari membri del commando, spietati pianificatori di stragi. Con il passare del tempo la macchina comincia a incepparsi, il nemico reagisce con attentati ancora più feroci. Spesso a un bersaglio cancellato se ne sostituisce un altro ancor più temibile che bisogna annientare. I legami con i servizi segreti russi portano a drammatiche conseguenze, il gruppo è costretto a colpire anche a Beirut provocando l’irritazione di Papà e del suo gruppo di trafficanti di informazioni rigorosamente apolitici. Qui emerge tutto un mondo parallelo a quello dei grandi servizi. Gente che vende informazioni, mezzi, assassini, doppiogiochisti. Un popolo dell’ombra che sembra uscito da un romanzo ma ci appare terribilmente vero. Gli assassini diventano prede e cominciano a morire. Proprio a Londra dove il commando manca Salameh segretamente protetto dalla CIA che lo paga per non colpire i diplomatici USA. Carl viene eliminato da una bella killer olandese che prima lo seduce poi lo sgozza. Avner, Steve e Hans decidono di punirla. Dalla missione passiamo a un territorio personale. Il giovane idealista Robert torna in Belgio per una pausa di riflessione. Mal gliene incoglie, perché finirà vittima di una attentato ma non prima che i suoi compagni abbiano giustiziato , in una scena di crudo realismo, la bella assassina a pagamento e Hans venga pugnalato da ignoti a Francoforte. Dopo un fallito nuovo tentativo di assassinare Salameh (che verrà nella realtà ucciso negli anni ’80 come si vede in Spy Game), Avner e Steve rientrano alla base. Ma il giovane, ormai schiavo delle stesse paranoie del suo mestiere, non vuol più saperne. Trasferitosi a New York con la moglie, arriva a sospettare persino dei suoi capi. Un drammatico confronto a Brooklyn con Ephraim scava un baratro tra il kidon e il suo servizio. Alla fine Settembre Nero è stato decimato ma altri più feroci e abili terroristi sono saliti alla ribalta in quella che si prospetta una guerra senza fine. La finzione ci riporta alla realtà….

 

Film lungo e impegnativo, ottimamente fotografato e recitato, Munich è forse la vera novità degli ultimi anni in fatto di spy-story cinematografica. Malgrado l’insistente sostrato psico-filosofico della vicenda il ritmo è sempre serrato, le caratterizzazioni sono in bilico tra realismo e fantasia e l’azione ha sempre un suo spettacolare realismo che permette di seguire la storia anche solo superficialmente interessandosi al suo svolgimento. Ma è nei paradossi come la notte trascorsa in una casa-sicura, fianco a fianco, degli agenti israeliani e un gruppo di terroristi di vari gruppi che si coglie il vero interesse del regista. Non una semplice storia d’intrattenimento ma la volontà di raccontare una pagina ambigua della storia d’Israele senza fare regali a nessuno, né agli avversari né ai proprio compatrioti. “Chi ha inventato il terrorismo?” si chiede lo sconsolato Carl dopo l’ennesimo sanguinoso attentato. “Lo Stato di Israele non è nato senza spargimenti di sangue.” Eppure emerge la logica della sopravvivenza, del battersi comunque sino all’ultimo uomo, da entrambe le parti come una ineluttabile realtà, una strada senza apparentemente uscita.

 

 

SCHEDA TECNICA – Genere. Lotta al terrorismo

 

 

Munich(id.),USA 2006 Durata 157’- – regia di Steven Spielberg- sceneggiatura di Tony Kasher e Rick Roth dal romanzo di George Jonas “Vendetta”- Interpreti- Eric Bana: Avram- Ciaran Hinds: Carl- Mathieu Kassovitz: Robert- Daniel Craig:Steve- Michael Lonsdale: Papà- Mathieu Amalric: Louis- Geoffrey Rush: Ephraim- realizzato da Universal & Dreamworks è disponibile in Dvd dal 2007.

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Visti con il Professionista/11 – Il Maratoneta

luglio 20th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

Il Maratoneta

A cura di Stephen Gunn

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Comincia con una sgranata sequenza d’epoca, quest’ottimo film di spionaggio sui compromessi dell’America, sulle generazioni cresciute all’ombra del mito statunitense della democrazia e del successo. Abebe Bikila , leggendario maratoneta, taglia il filo di lana. Thomas Babe Levy, giovane studente ebreo, timido ma testardo, ne segue le orme correndo senza grande talento a Central Park. È ignaro che, nello stesso momento, un tragico ma fortuito incidente d’auto sta per innescare una macchina inesorabile di cui diventerà involontario granello di polvere. Siamo a metà degli anni ’70 e, quando la CIA e FBI non sono in grado di intervenire, entra in gioco la Divisione, un reparto super segreto e sporco dell’intelligence americana. La Divisione, dal termine della guerra, ha stretto un patto con Christian Szell, torturatore nazista rifugiatosi in Paraguay ma con un’ingente riserva di diamanti nascosta in una banca newyorkese. In cambio di informazioni sui suoi ex camerati, Szell recupera poco per volta la sua fortuna (frutto di rivoltanti ruberie nei lager) tramite il fratello Klaus e un agente della Divisione, Scylla. Questi altri non è che il fratello di Babe, Doc, e si finge raffinato uomo d’affari.

 

In realtà Doc è un po’ uno 007 in salsa americana. Ricercato, dongiovanni e letale. Tanto che la morte accidentale del vecchio Klaus nell’incidente che vediamo nella prima sequenza convince Zsell che Doc lo voglia derubare. Il vecchio nazista prima mette in campo il suo killer preferito, lo strangolatore cinese Chen, poi decide di mettersi in viaggio lui stesso per recuperare i diamanti di persona. Il tarlo che qualcuno possa derubarlo all’uscita della banca lo spinge a paranoiche misure di sicurezza.

 

Doc, intanto, è consapevole di non essere più quello di una volta e teme di essere messo in disparte dai colleghi, in particolare dall’infido Peter Janeway.

 

Insomma la faccenda s’ingarbuglia sino ad arrivare a Babe che ne avrebbe già abbastanza dei suoi problemi personali. Il giovane, decisamente più idealista del fratello e aderente all’immagine liberal del suo interprete ( Dustin Hoffman) vorrebbe riabilitare a ogni costo l’immagine del padre, indagato e suicida durante la caccia alla streghe di McCarthy negli anni 50. Unica consolazione la comparsa della polposa Elsa, studentessa svizzera che parla con accento francese ma che intuiamo subito di origini tedesche, quindi probabilmente legata a Szell.

 

I due fratelli si ricongiungono a New York, si abbracciano, litigano, discutono sul senso delle loro vite, tutto in un’unica serrata sequenza. Alla fine, pur avendo personalità agli antipodi, si vogliono bene. Ma Doc intuisce immediatamente che Elsa ha agganciato il fratello con qualche scopo nascosto. In effetti, nella sua paranoia di essere derubato, Szell ha attivato tutta un’organizzazione di nazisti e chiesto aiuto a Janeway, convinto più che mai che Doc voglia derubarlo. In un drammatico confronto con il nazista, Doc perde la vita ma si trascina sino a casa del fratello sussurrandogli qualcosa d’incomprensibile. Da qui cominciano realmente i guai del povero Babe che non sa più a chi credere e viene sequestrato nel pieno della notte. Arriva a questo punto una sequenza rimasta famosa. Szell lo tortura praticandogli senza anestesia una seduta dentistica. Ma Babe… non ha nulla da raccontare. Janeway inscena un finto salvataggio per indurlo a parlare. Da questo momento in avanti, tradito, picchiato, torturato, Babe subisce il tipico capovolgimento da antieroe a giustiziere molto caro al cinema americano di quegli anni. Costretto a dar prova delle sue doti di maratoneta, corre mezzo nudo in una New York spettrale, batte tutti in astuzia e smaschera pure Elsa. Janeway ha deciso di coprire il nazista sino a quando avrà recuperato i suoi diamanti ma non oltre. La Divisione ormai considera anche lui un investimento poco redditizio. Ma in una resa dei conti finale all’interno di una villa nel Jersey, Babe fa fuori due killer nazisti e Janeway che a sua volta ha ucciso Elsa. L’uomo della Divisione ha, però, rivelato al giovane il nome della banca in cui il criminale di guerra sta recuperano i diamanti. Una nuova riuscita scena di tensione oppone due mondi per l’ultima volta all’interno di una stazione idrica di central Park. I vecchi contro i giovani. Ebrei e nazisti. Avidità e desiderio di giustizia. Soprattutto un Babe duro ma ancora scosso dai dubbi e armato di pistola a uno Szell senza indecisioni, disposto a tutto pur di difendere i “suoi” diamanti e armato di un pugnale nascosto. Uno scontro di personalità che è un po’ il paradigma di tutto il film. Sarà l’avidità a perdere il tedesco che si ucciderà in una rovinosa caduta veruna scala nel tentativo di recuperare i diamanti sporchi di sangue. A Babe non resta che lanciare la pistola nel fiume e riprendere a correre con il sogno di correre una maratona vera. Il film ha una trama un po’ pasticciata, è vero, e a volte le motivazioni appaiono casuali. C’è tuttavia una grandissima atmosfera, retta dalla recitazione di protagonisti e comprimari sempre all’altezza. C’è, a una visione più attenta, un sottotesto sulla libertà, sulla democrazia, sui compromessi del sogno americano e gli intrallazzi del governo mescolati con agghiaccianti dichiarazioni di patriottismo. In particolare c’è uno scambio di battute tra Janeway, funzionario amministrativo costretto a collaborare con i nazisti e Szell, convinto di essere stato derubato del giusto compenso per il suo sacrificio. Disgustato dai metodi brutali d’interrogatorio del nazista, Janeway dice: “Io però credo nel mio Paese.” E Szell (con il viso di Laurence Oliver) risponde: “Anche noi ci credevamo.”

 

È in questo gioco di fedeltà mal riposte, di tradimenti continui tra fratelli, tra agenti della stessa parte, persino tra amanti, che il film prende corpo grazie anche a una splendida fotografia di Conrad Hall e a una serie di sequenze rimaste nelle antologie del filone. Non solo la tortura dentistica con la ossessiva domanda “È sicuro?” rivolta al povero Babe, ma anche il suo rapimento nel bagno, il duello nella camera d’albergo di Parigi tra Doc e Chen, la fuga nella New York notturna e gelida dei quartieri ispanici. Una storia che sposta il fulcro della spy-story all’interno dell’America e dei suoi apparati ma gioca con i meccanismi tipici del genere nel modo più efficace. Il Maratoneta e il libro dai cui fu tratto non invecchiano. Una visione decisamente consigliata.

 

SCHEDA TECNICA

 

Genere: Il Nemico Siamo Noi

 

Il Maratoneta( Marathon Man), USA 1975 di John Schelsinger- sceneggiatura di William Goldman dal suo romanzo omonimo. Durata 126’. Interpreti: Dustin Hoffman: Thomas Babe Levy- Roy Scheider: Doc “Scylla” Levy- Laurence Oliver:Christina Szell- Marthe Keller: Elsa- William Devane: Peter Janeway- – del film Paramount sono state ristampate diverse versioni in DVD facilmente recuperabili sul mercato con colori e tracce audio rimasterizzate.

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Visti con il Professionista/10 – The Kingdom

luglio 11th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

The Kingdom

A cura di Stephen Gunn

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

THE KINGDOM

A cura di Stephen Gunn

Nel tempo in cui fluiscono i tesissimi titoli di testa siamo proiettati nel cuore del problema. Con una riuscita alchimia di grafica essenziale e foto d’epoca riviviamo, dal 1932 a oggi, la storia della famiglia Al Saud, la nascita del regno saudita, la scoperta del petrolio, la stretta collaborazione tra le società americane,i reali e gli integralisti wahabiti. Sotto i nostri occhi scorre la Storia. L’embargo del 73, Osama bin Laden, la Guerra del Golfo, la caduta delle torri gemelle. Il quadro è chiaro: il terrorismo islamista di oggi ha radici lontane che, ambiguamente, legano i reali Al Saud ai dollari occidentali quanto al sostegno delle sette più estremiste. I profitti del petrolio girano e foraggiando una guerra che, apparentemente, è senza possibilità di risoluzione. E forse questo è davvero il senso del film di Peter Berg prodotto con una considerevole influenza da Michael Mann quasi che lo si può scambiare per un suo prodotto. The Kingdom(il Regno) è, in effetti, forse uno dei più riusciti film di spionaggio sul terrorismo post 11 settembre. In un quartiere riservato agli occidentali delle compagnie petrolifere di Riad avviene un sanguinosissimo attentato che è solo un’esca per un colpo terroristico ancora più devastante. Centinaia di morti occidentali, forte tensione USA-Arabia Saudita. È il piano di Abhu Hamza, un vecchio costruttore di bombe menomato dalla sua stessa follia, emulo di Osama che trama dai quartieri più integralisti della città. Il Dipartimento di Stato americano, temendo di compromettere i rapporti con il potente alleato arabo, non vorrebbe immischiarsi ma la squadra guidata dall’agente speciale Fleury non si rassegna. Tra gli altri è morto il loro collega Frank Mannen e la sete di vendetta è pari solo al desiderio di fare luce sull’accaduto. Janet Meyes scoppia in lacrime in sala operativa. Mannen era il suo mentore. Fleury le sussurra alcune misteriose parole e la giovane agente si ricompone. Dopo un braccio di ferro diplomatico, l’FBI riesce a inviare una ridotta squadra d’indagine in Arabia Saudita. Ne fanno parte oltre a Fleury anche Janet, il veterano Sykes esperto in esplosivi e il brillante Leavitt, forse non il più abile sul campo ma certamente un buon elemento. Soprattutto di origini israeliane e fonte di altra tensione con gli stessi sauditi. L’accoglienza che il gruppo riceve a Riad è a dir poco ostile. Il colonnello Faris Al Ghazi vorrebbe sinceramente aiutarli e catturare Abu Hamza ma ha ricevuto consegne strettissime. Gli americani devono essere protetti e, soprattutto, non rimestare in acque dove i locali non vogliono interferenze. Dopo qualche scontro di personalità iniziale, però, Fleury e Ghazi si scoprono più simili di quello che parrebbe. Entrambi sono agenti, credono nella giustizia, detestano i terroristi quanto i brutali poliziotti del regime. E tra mille difficoltà comincia a farsi strada una pista che porta il gruppo prima a individuar e il veicolo usato come autobomba per i secondo micidiale attentato poi un gruppo legato al vecchio terrorista. Incursione delle truppe speciale, scontro a fuoco. Tutti morti. Con l’odioso intervento del dipartimento di stato USA incarnato in un viscido funzionario, Fleury e i suoi stanno per essere reimbarcati verso casa. Caso risolto? Ghazi e Fleury non ne sono convinti. Il vecchio terrorista senza dita è rimasto nell’ombra. E, in effetti, tutto quanto è avvenuto non è che una parte di una astutissima trappola. Sulla via dell’aeroporto il convoglio viene attaccato. Lo scopo è il rapimento di Leavitt che viene trascinato in un quartiere “duro” per essere decapitato indiretta. Ghazi e il resto della squadra si lanciano in un estemporaneo e temerario inseguimento che finisce nel cuore della roccaforte islamista. Qui si svolge una delle scene di guerriglia urbana più lunghe e meglio riuscite del cinema d’azione degli ultimi anni. Mentre l’agente di origine israeliana rischia letteralmente di perdere la testai suoi compagni combattono fianco a fianco con Gazhi e i suoi. Sparano casa per casa tra donne velate, missili RPG, fatiscenti condomini. Janet segue una scia di sangue e,dopo un furioso corpo a corpo con un terrorista, salva il compagno. Lentamente torna la calma, arrivano i rinforzi. La gente è atterrita.

Sconvolta Janet offre un leccalecca a una bimba che si affaccia sconvolta da un appartamento vicino. Ne riceve in cambio una biglia…del tutto identica a quelle usate nell’attentato per aumentare il potere devastante dell’esplosivo. Di colpo la rivelazione fulmina gli agenti dell’FBI quanto Al Ghazi. Un innocuo nonnetto in kefiah è il famigerato Abu Hamza. Ne segue un altro scontro a distanza ravvicinata in cui Ghazi viene ferito a morte (non prima di aver mitragliato il terrorista) da un ragazzino. Il vecchio capo islamista muore tra le braccia del nipotino e i funerali di Al Ghazi sanciscono una tregua tra oriente e occidente, almeno tra poliziotti. Perché il vero colpo di tutto il film si consuma nella sequenza finale incrociata.

Di ritorno negli USA gli agenti pianificano con il loro capo la versione da fornire alla commissione d’inchiesta. Leawitt chiede cosa Fleury abbia sussurrato all’affranta Janet il giorno della diffusione della notizia dell’attentato. Allo stesso tempo torniamo a Riad dove il nipotino del vecchio terrorista (un bimbo con lo sguardo torvo carico d’odio) risponde a una simile domanda di sua madre. “Cosa ti ha sussurrato il nonno prima di morire?”

E in entrambi i casi la risposta è identica. “Non ti preoccupare. Li uccideremo tutti.” Si chiude così una storia che ha il ritmo di un’avventura ma riesce a passare informazioni ed emozioni allo spettatore in maniera semplice senza fronzoli. La sceneggiatura è originale e particolarmente efficace nel mescolare azione e ideologia con una buona caratterizzazione dei personaggi. La “guerra eterna” per il momento non ha possibilità, purtroppo, di trovare una fine. Troppi sono gli odi e gli interessi che si mescolano perché il semplice arresto o la morte di un terrorista possa placare le acque. Jamie Foxx sembra uscito da MiamiVice e incarna con aderenza il ruolo di afro-americano d’attacco senza sbruffonate. Gli sono al fianco Jennifer Garner che, dopo cinque stagioni di Alias, spara, combatte e indaga come una veterana e quella vecchia volpe di Chris Cooper che, pur in un ruolo secondario, riesce a dare un volto all’esperto di esplosivi dell’FBI con singolare efficacia. La vera rivelazione è Ashraf Barhoum nel ruolo di Al Ghazi che un po’ sembra il Raisuli di Milius in «Il vento e il leone» e un po’ ricorda Jean Reno giovane. Probabilmente è un attore noto nel mondo islamico, qui in una prova intensa e umana perfettamente in linea con le performance dei suoi colleghi occidentali. Intorno a loro una Riad ricchissima e degradata al tempo stesso. Il fulcro della guerra che stiamo vivendo. Perché questo è quasi un film di cronaca…

SCHEDA TECNICA

Genere: Guerra al terrorismo

The Kingdom(id) regia di Peter Berg. Sceneggiatura originale di Matthew Michael Carnahan- Interpreti. Jamie Foxx: Fluery- Jennifer Garner: Janet Meyes- Chris Cooper:Sykes- Hashaf Barhoum; Frais Al Ghazi-2007-107’- Il film è recuperabile in un’ottima versione DVD della Universal, accompagnata da una serie di extra e dietro le quinte per approfondire la vicenda e la situazione politica riprodotta nella fiction.

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Visti con il Professionista/9: Assassinio sull’ Eiger

giugno 11th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

Assassinio sull’Eiger

A cura di Stephen Gunn

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 Il significato del film è riassunto in una parola citata nei dialoghi ma omessa nel titolo italiano della pellicola quanto in quello nella prima edizione del romanzo (Il castigo dell’Eiger, Garzanti). “Sanzione”, nel gergo dei servizi segreti, sta per omicidio. Come lo stesso protagonista dice: “lavori bagnati, ritiro, sanzione,…vuol sempre dire omicidio”. E lui ( Hemlock, “Cicuta”, interpretato da Clint Eastwood) lo sa bene. In apparenza il film sembra un’escursione nello spionaggio di un attore all’epoca ancora molto legato alle tematiche del suo maestro Siegel. Una versione spy dell ’Ispettore Callaghan. Le nefandezze non si limitano alla cattiva traduzione del titolo. Il film apparve nel ’75 gravato da tagli di lunghe sequenze che ne rendevano quasi incomprensibile il significato. Tutto il sub-plot basato sul recupero di una formula di un’arma batteriologica, la trappola ordita dagli americani per indurre l’Altra Parte a credere di aver messo le mani su un microfilm di valore, il concetto che la CIA si serviva di ex nazisti e i rapporti tra il protagonista e la bella agente di colore sono totalmente assenti. Visto dopo anni, in edizione restaurata e completa, The Eiger Sanction acquista un significato e un valore totalmente differente. Eastwood è Johnatan Hemlock, assassinio prezzolato da una branca del controspionaggio chiamata C-2 . Il suo capo è un albino completo, il signor Drago, ex criminale nazista e astutissimo “masterspy”, manipolatore gelido e vagamente “bondiano” nella sua mostruosità fisica e morale. Hemlock è, esteriormente, un cinico, un solitario, amante dell’arte (che considera patrimonio di pochi) e dell’alpinismo. Ha lasciato il servizio perché: “ Prima o poi gli assassini vengono assassinati” e si è ritirato dietro la copertura di severo professore universitario. In realtà è un uomo tormentato (lo si comprende meglio leggendo il romanzo originale di Trevanian che scava ancor di più nel suo passato) e, a suo modo, ha un codice etico molto meno reazionario di quanto la critica dell’epoca volle sottolineare. Un agente del C-2 viene assassinato a Zurigo e, per vendetta, Hemlock viene incaricato di eseguire due sanzioni, eliminando a sua volta i sicari nemici. Di questi solo uno è stato identificato con certezza. Si tratta di un cubano che Hemlock uccide senza troppe difficoltà o rimorsi. Ma qui cominciano i guai perché Drago ordisce un ricatto in cui la bella nera Jeminah funge da esca. Caduto nella trappola, Hemlock dovrà trovare è uccidere anche il secondo killer per poter essere libero di ritirarsi. Compito non facile perché le scarne informazioni raccolte indicano l’assassino come uno scalatore che parteciperà alla conquista di uno dei picchi più inaccessibili della storia dell’alpinismo. L’Eiger (L’Orco), infatti, è una bestia nera nella realtà quanto nella fantasia. Nel romanzo ne viene riassunta la storia e ben si capisce che Hemlock provi timore e attrazione nei confronti della montagna che diventa un vero e proprio avversario da abbattere. Sull’Eiger Hemlock ha già provato il gusto amaro della sconfitta, per due volte. Ma, a farlo decidere definitivamente, è la notizia che l’agente ucciso a Zurigo è Henry Baq, un vecchio commilitone dell’Indocina, che gli ha salvato la vita. Mentre Hemlock comincia la sua preparazione nello splendido scenario della Monument Valley, assistito dal vecchio compagno di scalate Bowman, comincia un intrigo di amicizie, tradimenti, vecchi rancori e sotterfugi. Non solo Hemlock non conosce esattamente quale dei suoi futuri compagni di ascensione sia l’assassino ma è anche all’oscuro che tutta l’operazione riguardante l’arma batteriologica è un falso. Drago, infatti, ha sacrificato Baq fornendogli una falsa formula e ordinato le “sanzioni” per rendere credibile l’inganno. Come se non bastasse entra in scena Miles Mellough, il corriere che ha portato al Nemico la formula e che, incidentalmente, è l’uomo che ha tradito Baq e Hemlock in Indocina. Mellough si presenta come una macchietta di omosessuale ( ha uno Yorkshire che richiama… “Finocchio”!) ma è un pericoloso manipolatore. Lui sa chi è il vero bersaglio di Hemlock e cerca di barattare l’informazione con la propria vita. Visto che Hemlock non sembra interessato, cerca di assassinarlo, inducendo la figlia di Bowman a iniettargli una dose mortale di morfina. Il piano fallisce e la vendetta del professore-killer è implacabile. A questo punto inizia la fase finale e più emozionante della storia. Hemlock assistito dal fido Bowman a e raggiunto da Jeminah (che alla fine è innamorata realmente del tenebroso scalatore-sicario) affronta la parete nord dell’Eiger. Benché l’intrigo spionistico continui a tenere saldamente avvinta l’attenzione dello spettatore(ancora non sappiamo chi sia l’assassino da sanzionare) è l’avventura allo stato puro a imporsi sullo schermo. Guidato da una troupe di cascatori e scalatori professionisti, Eastwood girò le sequenze alpinistiche senza controfigura. Durante le riprese uno stuntman perse la vita per un incidente molto simile a quello che, nella finzione, capita a Montaigne, il vecchio scalatore francese.

Bloccati dal maltempo, Hemlock e i suoi compagni devono rinunciare alla vetta. L’unica possibilità è raggiungere una galleria al centro di un ghiacciaio. Sfortuna vuole che anche gli altri compagni di ascensione vengano inghiottiti dal vuoto. Hemlock rimane solo e l’unico in grado di recuperarlo è proprio Bowman. Il finale ci riserva numerose emozioni. Sotto il profilo puramente avventuroso-spettacolare la sequenza in cui Hemlock deve recidere la corda che lo regge per agganciarsi a quella passata dal suo amico, è forse una delle più memorabili. Di fatto chiunque abbia un minimo di esperienza di montagna sa che tagliare la cima che ti sostiene è il peggior incubo di uno scalatore. Tanto più che, nel finale, Hemlock nota che Bowman zoppica. Infatti è lui il secondo nemico da sanzionare. Tutto si decide nel giro di qualche tesissimo minuto. Bowman salva Hemlock e gli confessa di aver partecipato(ma non attivamente) all’omicidio di Baq spinto da Mellough che lo ricattava a causa dei trascorsi nel mondo della droga della figlia. Ma ormai il piano di Drago ha avuto successo e l’albino è convinto che, nell’impossibilità di identificare l’agente nemico, Hemlock abbia ucciso tutti gli altri. Il sicario potrà tornare alle sue opere d’arte in compagnia di Jeminah risparmiando la vita a Bowman che, alla fine, è sempre un suo amico. I veri colpevoli sono stati puniti. Analizzando la vicenda nella sua interezza come permette la nuova versione, si comprende che non ci troviamo di fronte al “solito” film d’azione. Anche se Eastwood non ama molto il genere spionistico la sceneggiatura rispetta lo spirito del romanzo originale. Trevanian è lo pseudonimo di uno degli autori cult della spy-story. Con il personaggio di Hemlock scrisse anche un altro romanzo (Il Castigo del cavallo di bronzo ) e approfondì la figura dell’assassino professionista in I”l ritorno delle gru” che resta il suo capolavoro. La figura del killer solo, cinico in un mondo molto più corrotto di lui (“Quando penso che gente come Drago sta dalla nostra parte comincio a credere che il nemico non possa essere tanto peggio!”,dice Hemlock in una delle sequenze tagliate) è sottolineata dal rapporto dell’uomo con la nuda roccia e dalla musica di John Williams che allontana la pellicola da altri similari prodotti d’azione. L’inutilità del Grande Gioco delle Spie, la freddezza con cui gli agenti vengono messi uno contro l’altro, i complessi rapporti di amicizia e odio tra i vari personaggi ne fanno un piccolo classico da rivalutare.

 

SCHEDA TECNICA. Genere: Agenti D’assalto

 

Assassinio sull’Eiger(The Eiger Sanction) diretto da Clint Eastwood-1975- sceneggiatura di Warren Murphy, Rod Whithaker e Hal Dresner dal romanzo Il castigo dell’Eiger di Trevanian- Durata 124’- Interpreti: Clint Eastwood :Johnatan Hemlock – George Kennedy: Ben Bowman- Vonnetta McGnee: Jeminah Brown- Ted Cassidy: Miles Mellough)- – realizzato dalla Universal disponibile in Dvd in una versione che ripropone sottotitolate le parti tagliate e riproduce i magnifici colori della valle dei Monumenti e dell’Eiger.

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Visti con Il Professionista/8 – Peacemaker

maggio 20th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

Peacemaker

A cura di Stephen Gunn

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“La Russia oggi? Un casino! Quanto mi manca la Guerra fredda!” esclama un agente dei Servizi americani mentre il mondo è in subbuglio in seguito a un’esplosione nucleare avvenuta nei monti Urali. Che non si sia trattato di un incidente ma del primo passo di un complesso piano terroristico ordito da un gruppo di serbo-bosniaci decisi a coinvolgere il mondo occidentale nella loro tragedia, lo spettatore lo sa già.

Con un inizio suggestivo ( fumate bianche di treni in corsa nelle montagne caucasiche, scintillio di infrarossi e musiche dell’Armata Sovietica), Mimi Leder smentisce la convinzione che una donna non possa girare un serrato film d’azione, genere ritenuto abitualmente “da maschi”. Siamo nel ‘97 in epoca di correttezza politica, di finto benessere e il timore di un attacco terroristico nel cuore dell’Occidente sembra ancora e solo un’idea da film. E la sceneggiatura di Michael Schiffer riflette perfettamente un’epoca che adesso ci sembra lontanissima.

Julia Kelly (la Kidman qui bellissima e volitiva) è una donna acuta, indipendente, certamente sicura nelle sue convinzioni. Un personaggio tipico dei thriller della fine del ventesimo secolo. Essere a capo di una task force speciale per il controllo dell’energia atomica da due settimane non l’aiuta quando scoppia il caso di una “nuova Chernobyl”. Fortunatamente le affiancano un ufficiale dei servizi d’azione con il viso e l’aplomb canagliesco di George Clooney (nel film si chiama Tom Devoeux). Intrallazzone, donnaiolo e a volte violento, Devoeux sembra dover ingaggiare una guerra dei sessi con la bella collega. Ma tutto si svolge in poche battute perché entriamo subito nel vivo della vicenda. Alexander Komarov, mastino dell’Armata Rossa deciso a farsi una fortuna a ogni costo ha provocato un incidente e fatto detonare un’arma nucleare in piena Russia per rubarne altre 19 e venderle in Iran. Il piano non è suo ma di Dusan, diplomatico serbo di Sarajevo, pianista, vedovo di guerra che ha organizzato l’operazione in cambio del nucleo di un solo ordigno che progetta di far saltare all’ONU nel corso di una conferenza per la pace nella Ex Yugoslavia. Nei primi venti minuti lo spettatore si trova molte carte in mano, solo con il procedere serrato della vicenda riuscirà a dare un viso a buoni e cattivi e un senso a tutta l’operazione. La vicenda segue binari ben collaudati del genere.

Si sposta a Vienna dove Devoeux e Julia incontrano il colonnello Dimitri Vertikoff, ufficiale russo forse non onestissimo ma chiaramente schierato contro i fanatici del genere di Komarov. Indagando su una società di trasporti austriaca, la Kordek, che fornisce servizi alla mafia russa, ci rimetterà la pelle. Una delle sequenze d’azione clou si svolge proprio in piena Vienna. Devoeux spara, scazzotta, guida come un matto e non si risparmia neppure un gesto di violenza a sangue freddo per l’epoca (dominata da scrupoli di correttezza anche nei film d’azione) piuttosto coraggioso. Julia è sconvolta, condanna il collega maschilista e non nasconde l’indignato disprezzo per i suoi metodi. Eppure una scintilla tra Devoeux e Julia si accende benché i loro rapporti rimangano sempre irrisolti, lasciati all’intuizione del pubblico. L’indagine procede tra triangolazioni satellitari, incursioni informatiche e umane intuizioni. Komarov viene bloccato alla frontiera con l’Iran ma la bomba mancante è l’unica che veramente potrebbe esplodere.

Ormai coppia collaudata sul campo Devoeux e Julia si trasferiscono nella metropoli americana che, malgrado l’allarme terroristico, sembra quasi incurante.

Sullo sfondo svettano ancora le torri gemelle. Nel frattempo abbiamo conosciuto meglio Dusan e i suoi compagni. Se questi sono il classico gruppo di idrofobi bombaroli, Dusan è un uomo ferito, segnato dalla morte dei suoi cari. Ritiene l’Occidente responsabile dei massacri nel suo paese in quanto fornitore di armi. Forse ha ragione. Di certo far assassinare un collega parlamentare e portare personalmente la bomba nel cuore della 42° strada lo sconvolge. Ma Dusan non vacilla sino all’ultimo. La fase finale della vicenda è tutta americana. Filmata con dinamismo e abilità, la caccia al terrorista è scandita da un timer e ripropone,all’interno di una chiesa, la classica lotta contro il detonatore. Forse qualcuno potrà pensare che si tratti di un espediente già visto, ma l’aderenza al ruolo degli interpreti, il montaggio concitato ma non confuso rendono piacevolissima la conduzione dell’intreccio. Ad anni di distanza il film resta un piccolo classico del filone. Soprattutto è emblematico di un’epoca. Oggi tutto è più sporco, più cattivo. Forse a causa di un decennio d’inizio secolo dove la guerra si è protratta troppo a lungo e non solo in lontani campi arroventati dal sole mediorientale. Le immagini della Russia in disfacimento, la fotografia di Sarajevo ridotta a un cumulo di macerie dove uomini e donne cercano ancora di sopravvivere e resistere sono forse il pezzo forte del film. Tracciano un quadro di una situazione che ai tempi non fu analizzata con sufficiente lucidità. Eppure i segni erano tutti lì, davanti ai nostri occhi. Entro quattro anni il fuoco sarebbe piovuto dal cielo veramente e New York avrebbe cambiato skyline con i risultati che tutti sappiamo. “Non è la nostra guerra”, la frase che Devoeux pronuncia cercando di placare l’ossessionato Dusan, avrebbe perso di senso. È curioso come un film d’intrattenimento, un film di spionaggio, brillante nei dialoghi e adrenalinico nell’azione (non un prodotto d’autore) abbia focalizzato problemi e situazioni con tanta chiarezza. Una storia articolata e varia nelle ambientazioni quanto negli spunti, con un buon mix tra commedia (i rapporti tra Clooney e la Kidman sono sempre appena sopra le righe e anche l’inevitabile lieto fine, lascia intendere che la figura femminile rimanga saldamente alla guida della relazione) , indagini, doppi inganni e azione. Questa si riassume fondamentalmente in tre momenti. Il furto delle testate nucleari sul treno è un brano d’antologia nella sua essenzialità. Del violento inseguimento a Vienna abbiamo già accennato e non possiamo che compiacerci della quasi totale assenza di accorgimenti in computer grafica. La spy-story richiede in certe situazioni realismo, corpi che si battono senza prodezze da super eroi, auto “vere” che si ribaltano e momenti d’emozione reali come l’assalto degli elicotteri americani al camion russo in fuga sul ponte sospeso.

In un’epoca in cui il filone sembrava morto una bella prova, sicuramente da tenere in evidenza in una ideale cineteca di spionaggio.

SCHEDA TECNICA. Genere:guerra al terrorismo

The Peacemaker (id.) di Mimi Leder- 1997. Sceneggiatura originale di Michael Schiffer ispirata a un articolo di Andrew e Lesile Cockburn sul contrabbando di armi nucleari dagli arsenali dell’unione Sovietica – Durata:119’- Interpreti. George Clooney: Tom Devoeux- Nicole Kidman. Julia Kelly- Armin Mulder Sthal: Dimitri Vertikoff – Michael Iures:Dusan- – realizzato dalla Dreamworks, il film è reperibile in DVD in varie collane su licenza della Dreamworks Home Entertainment.

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Visti con il Professionista/7 – Funerale a Berlino

maggio 11th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

FUNERALE A BERLINO

A cura di Stephen Gunn

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Nei romanzi di Len Deighton era semplicemente l’Agente Senza Nome e raccontava le sue avventure in prima persona. Quando, in piena era 007, Harry Saltzmann (socio di Broccoli nella produzione dei film con l’eroe di Ian Fleming) decise di creare un anti-Bond, scelse l’ironico, strafottente Michael Caine per dare il viso al personaggio e decise di chiamarlo Harry Palmer. Ex ufficiale dell’esercito inglese nei guai per alcuni non ben precisati ma chiaramente illegali affari legati al mercato nero nella Berlino della Guerra fredda, Palmer viene arruolato di forza dall’MI6 e si presenta apparentemente come l’antitesi del suo collega con la licenza di uccidere. “Apparentemente” perché, se si guardano oggi i film della serie (Ipcress, Funerale a Berlino, Un cervello da un Milione di dollari, Intrigo a San Pietroburgo e All’inseguimento della Morte Rossa) Harry Palmer conserva tutte le caratteristiche dell’agente d’assalto mascherandosi abilmente ma senza percorrere una strada troppo diversa. Certo, fa meno a cazzotti e ricorre all’intrigo più che alla pistola ma, nonostante si presenti con gli occhiali da miope, sia un cultore della buona cucina e mostri una irriverente inclinazione all’indolenza, Palmer è un duro e un donnaiolo. Va a letto con le colleghe e, in missione, sfodera un fascino e una grinta che lo allontanano da personaggi dolenti come quelli di LeCarré. Anche la Guerra fredda sembra diversa rispetto a quella decisamente più cupa del classici britannici della spy-story. Anche di quella dei romanzi originali di Deighton, per la verità. Dei film realizzati sulle avventure di Palmer Funerale a Berlino mi sembra il più esemplificativo di questo ben riuscito tentativo di creare un’alternativa a Bond senza perdere il pubblico che, fondamentalmente, dal cinema di spionaggio voleva azione, belle donne e intrigo. La regia è affidata alla mano sicura di Guy Hamilton, lui stesso regista di 007 Missione Golfinger e di riusciti film di spionaggio bellico (Forza 10 da Navarone). Sin dalle prime battute c’immergiamo nell’atmosfera della vicenda con brillante tema musicale che ci introduce ai punti più famosi della Berlino ovest degli anni ‘60 per passare poi a una desolata panoramica del Muro e del settore orientale rappresentato ancora come un teatro di guerra con edifici grigi e sventrati dalle cannonate. Che si tratti, alla fine, di un film d’azione è ovvio dalla prima spettacolare evasione di un pianista verso l’Occidente; fuga che avviene a bordo di una benna portata con facilità (e poco realismo) da una gru da una parte all’altra del Muro. Harry Palmer riceve dal suo scorbutico capo Ross l’incarico di verificare un’informazione proveniente da Berlino. Johnny Vulkan, amico di Palmer e capo della sezione inglese nella città divisa, ha ricevuto infatti un messaggio dal capo settore del KGB, Stack. Il vecchio colonnello (interpretato dal caratterista Oscar Homolka, attore ungherese molto presente nel ruolo della spia russa in quegli anni) si sente ormai una pedina sacrificabile del nuovo corso dell’URSS. Pur restando nell’anima un vero comunista è pronto a defezionare. Tra le varie richieste la più importante è che, a organizzare la fuga, sia un certo Kreutzman, specializzato in questo genere di operazioni. Inizia così un delicato ma non tedioso scambio di appuntamenti e informazioni in cui Palmer si muove con la netta impressione che dietro ci sia molto di più. Lo dimostra la sin troppo facile conquista della fotomodella Samantha Steel che, in realtà, è un’agente israeliana sulle tracce di un misterioso personaggio: Paul Louis Broum, ex nazista padrone di una fortuna in Svizzera. Broum lavora per gli inglesi che lo ricattano trattenendo i suoi documenti a Londra. Da qui nasce un doppio intrigo che costituisce anche oggi la principale attrattiva del film. Una partita in cui, da una parte, il russo Stack finge di voler fuggire proprio per uccidere Kreutzman e tutti gli altri che, invece, cercano di sfruttare l’operazione per impadronirsi dei documenti di Broum per accedere ai fondi da questi nascosti in Svizzera. Tra pedinamenti, falsi appuntamenti e qualche scazzottata, Palmer comincia a tessere la sua rete. Intuisce, evidentemente, più di quanto allo spettatore sia dato di capire. Ma qui sta la magia del film. Mostrare indizi apparentemente influenti ma in realtà tessere di un mosaico più vasto. Nel carro funebre che attraversa il confine invece dell’ufficiale russo finisce Kreutzmann, ma la trappola di Stack rappresenta solo un risvolto della storia. Palmer scopre che Broum altri non è che il suo amico Vulkan che, con l’aiuto di un archivista inglese, Allan, ha cercato di sfruttare la situazione per liberarsi dei ricattatori e mettere mano sui suoi soldi. In parte la manovra gli riesce, ma viene scoperto da Ross che ordina freddamente a Palmer di eliminare l’agente ormai inutile. Visto che Palmer non è un assassino cerca di risparmiare Vulkan ma cade, almeno in apparenza, in una trappola lui stesso. Saranno gli agenti israeliani a freddare Vulkan-Broum sul punto di passare il Muro verso l’Est. Nel finale tutto tensione e rapidi scoppi d’azione emerge una vena amara che distingue il film da simili avventure di spionaggio. Palmer scopre quanto sia cinico il suo mondo, quanto poco affidabili le amicizie e labili i legami sentimentali. La bella Samantha, infatti, ordina di sparare anche se Vulkan indossa il riconoscibilissimo impermeabile di Palmer. Pur di raggiungere il proprio scopo, personale o politico, tutti sono disposti a tradire e uccidere chiunque. In un bel dialogo tra Palmer e Stack assistiamo a tutta la disillusione di un rivoluzionario sovietico che ormai si sente pericoloso e inutile, proprio come l’archivista Allan, indotto a tradire perché convinto che l’MI6 voglia liberarsi di lui dopo 25 anni di servizio. La sceneggiatura è un riuscito mix di indagine, azione, inganno che ha costruito il filone nell’Immaginario collettivo. Ci sono poi altri risvolti interessanti. Una battuta, eliminata nella versione cinematografica italiana e ripristinata nel DVD, afferma con chiarezza che i Servizi occidentali impiegarono dei criminali di guerra nazisti durante le fasi cruciali della Guerra fredda. Un tema suggerito in maniera meno evidente ma ineludibile per chi conosce le vicende di quell’epoca. Kreutzmann, specialista nelle fughe dal settore Est, sembra ispirato a Ghelen, un ex nazista che trovò ingaggio nella CIA proprio a Berlino nel dopoguerra. Così una storia apparentemente semplice e di puro divertimento, scandita da scene brevi e dialoghi brillanti e ben interpretati, si rivela un ottimo spy-movie, emblematico non solo dell’epoca ma anche della Guerra fredda come fu recepita nella fiction. La versione in DVD da poco pubblicata in Italia restituisce con il formato originale e la rimasterizzazione dei colori tutto il fascino di una Berlino che, pur nel suo squallore, ha qualcosa di esotico e terribilmente insidioso. Non mancano i locali dei travestiti, gli appuntamenti clandestini, falsari, ladri, legami tra servizi e malavita, insomma tutto ciò che lo spettatore si aspettava da una vicenda di suspense e di spie. È giusto citare gli altri film della serie, Ipcress in particolare tutto ambiento a Londra e giocato su un altro tema classico della spy-story: il condizionamento della mente. Un cervello da un milione di dollari fu diretto da Ken Russell e, pur divertente, risultò in qualche modo surrealistico per una serie che si proponeva come alternativa “seria” a 007. A metà degli anni ‘90 furono prodotti due episodi per la TV Intrigo a San Pietroburgo e All’inseguimento della Morte Rossa , sempre interpretati da Michael Caine, giunto all’età della pensione direttore di un’agenzia investigativa nella Nuova Russia. Pur con qualche pregio nell’intreccio, restano prodotti televisivi che l’appassionato troverà difficile recuperare esistendo solo una versione italiana in cassetta.

 

 

SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra fredda

Funerale a Berlino( A Funeral in Berlin) di Guy Hamilton- 1966- sceneggiatura di Evan Jones dall’omonimo romanzo di Len Deighton Durata: 98’- interpreti: Michael Caine: Harry Palmer – Eva Renzi:Smantha Steele – Oscar Homolka: il collonello Stack- Guy Doleman:Ross . – Realizzato da Paramount. La versione in DVD è stato recentemente ristampata nella Paramount Widescreen Collection

 

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Visti con il Professionista/6: Mission Impossible

aprile 20th, 2009

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

MISSION: IMPOSSIBLE

A cura di Stephen Gunnspy-cone-06-mission-impossible.jpg

Un vero fenomeno di longevità e qualità la serie TV Mission Impossibile, ideata da Bruce Geller negli anni ‘60 in piena era Bond. Soprattutto era indimenticabile l’adrenalinico tema musicale di Lalo Schifrin ripreso con vigore in questo film (il primo di tre…per ora) che si propone più come un sequel dello show televisivo che come un remake. Nella vicenda infatti Jim Phelps, capo della sezione della CIA Missione Impossibile passa il testimone all’agente Ethan Hunt, ma in una maniera tutta particolare.

 

A più di dieci anni dall’uscita del film crediamo di non rivelare nulla di ignoto dicendo che – con una trovata di sceneggiatura abbastanza originale- Phelps esce di scena con il marchio del cattivo. Ethan ( Tom Cruise produttore, interprete in tutti gli episodi della saga cinematografica) diventa protagonista assoluto cambiando anche la formula dei telefilm. Rimane sempre l’idea di una squadra radunata per le particolari capacità dei suoi componenti ma nel corso dei tre film realizzati, le finezze da ladri acrobati tendono sempre più a trasformarsi in muscolari prodezze da agenti spaccatutto, in linea con il moderno cinema d’azione destinato agli adolescenti e fratello de videogiochi.

 

In questa occasione Brian De Palma dirige- senza forse troppo entusiasmo- una storia di spionaggio che risente della recente massificazione di Internet. Benché le atmosfere di Praga, di Langley alla sede della CIA e la rocambolesca conclusione sul TGV che passa sotto la Manica siano effettivamente ben rese, il difetto riscontrabile oggi è… l’abuso di Internet. Per lunghissimi periodi di tempo i protagonisti stanno di fronte al computer impiegando modalità a volte semplificate o inventate… la tensione indubbiamente cala. Eppure, forse per il coinvolgimento personale dei due protagonisti, Phelps e Hunt, il film risulta il migliore dei tre realizzati e il più soddisfacente sotto il profilo della trama spionistica.

 

Il fulcro della vicenda è il recupero di una lista che associa nomi veri e di copertura degli agenti NOC (Non Official Cover, senza copertura ufficiale) della sezione CIA denominata Missione Impossibile. Quella che dovrebbe essere un’operazione di routine, quasi demodè a Praga, tra ambasciate e canali, si rivela per la squadra di Hunt un vero massacro. Uno dopo l’altro gli agenti cadono, il famoso dischetto con le informazioni sparisce. Non solo. Hunt viene sospettato di essere una talpa e scopre che il perfido funzionario Kettridge ha montato tutto per smascherare un traditore.

Essendo Hunt l’unico sopravvissuto è ovvio che i sospetti cadano su di lui, come nella migliore tradizione della spy–story. Inaspettatamente rispunta Claire, la moglie di Phelps dato anche lui per morto. Allettato (e chi potrebbe dargli torto?) dallo sguardo intenso di Claire( Emmanule Béart), Ethan Hunt contatta il trafficante che ha commissionato il furto della lista e monta una sofisticata trappola per attirare la vera talpa allo scoperto. Qui entra in scena una strepitosa Vanessa Redgrave nel suolo di Max, indipendente boema che rappresenta uno dei punti di forza della vicenda. E d è proprio lei a proporre a Ethan un piano… impossibile.

 

Per realizzare la macchinazione Ethan recluta una nuova squadra tra gli agenti allontanati dalla sezione Missione Impossibile e mette a segno un colpo da maestro presso il computer centrale di Langley. La sequenza è degna di capolavori come caccia al ladro e, forse, era proprio questo gioco di rimandi che interessava a de Palma. Il resto del film è corretto ma il suo tocco latita. Hunt procede giocando su più fronti ma scopre che Phelps è ancora vivo e che è lui ad aver manovrato tutto per incolparlo di tradimento. Come in ogni buona storia a meccanismo tutto torna in un finale dove i colpi di scena si accumulano e, finalmente, vediamo un po’ d’azione. La sequenza dell’elicottero nel tunnel del TGV è, come del resto tutto il film, giocata su una vena surrealistica che richiede allo spettatore ben più della semplice sospensione dell’incredulità. Il risultato finale, però, sembra aver pagato gli sforzi della produzione che metteranno in cantiere altri due episodi. Personalmente ritengo che, sotto il profilo dell’azione, il meglio riuscito sia senza dubbio MI:2 diretto dallo specialista dell’azione funambolica John Woo. La trama però sembra essere del tutto secondaria e presenta numerosi buchi.

 

Il terzo film(diretto da J.J.Abrams, creatore della serie ALIAS) comincia a mostrare stanchezza. Insomma De Palma è riuscito dove i suoi successori hanno fallito. Parte dell’atmosfera e delle emozioni della serie TV rivivono nel primo capitolo che è ancora un gioco di abilità e non una semplice ammucchiata d’azione. All’energia di Cruise va il merito di aver creato un simpatico agente d’assalto, differente da 007 anche se inserito nel medesimo filone. Vicino a lui John Voight recita bene il suo ruolo di doppiogiochista e Jean Reno è convincente nei annidi Kriegler, inaffidabile alleato. Ma è il nero Ving Rhames a conquistarsi un posto di rilievo nei panni di un non troppo prevedibile genio del computer. Grande e grosso, Rhames sembrerebbe più un uomo d’azione che un hacker ma sarà proprio lui a risolvere… da lontano la maggior parte dei problemi informatici di questa missione. Nei panni di Stickler, Rhames tornerà come comprimario anche nei successivi due film ma, com’era forse prevedibile, passerà a un ruolo più attivo negli scontri a fuoco.

 

A più di dieci anni dall’uscita del primo Mission Impossible è inevitabile che certe lacune del film emergano con maggiore rilievo. In particolare l’incapacità di combinare con maggiore efficacia il genere più avventuroso con quello in cui è prevalente il gioco di spie e controspie. L’operazione, però, ha aperto le porte della spy–story a un pubblico più giovane proponendo Cruise come star d’azione anche per un filone considerato, a torto, legato esclusivamente alla Guerra fredda e a vecchi modelli di eroi.

 

Oggi il cinema d’azione e di spionaggio sta cambiando, forse a causa di recenti e prolungati conflitti globali. L’azione spettacolare, quasi da cartone animato, è stata sostituita da sequenze di maggior realismo e violenza. Il tono scanzonato che Mission Impossibile propone allo spettatore, alla fine, invecchia rapidamente ma la serie è destinata a rimanere una pietra miliare in ogni videoteca dedicata al genere.

 

SCHEDA TECNICA.

 

Genere: Agenti d’assalto.

 

Mission Impossible(id),di Brian de Palma,1996. Sceneggiatura di David Koepp, Steven Zaikian e Robert Towne, basata sulla serie TV ideata da Bruce Geller. Durata 110’Interpreti: Tom Cruise : Ethan Hunt – John Voight : Jim Phelps- Emmanuelle Bèart: Claire- Vanessa Redgrave: Max, Ving Rhames: Luther Stickler – Jean Reno: Kriegler . Anche di questo film sono disponibili numerose versioni in DVD a disco singolo per chi vuol vedere solo il film e a disco doppio pecchi vuol gustarsi gli extra. Mission Impossible 2 diretto da John Woo è uscito nel 2000 e nel 2005 lo stesso Cruise ha diretto il terzo episodio.

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