Visti con il Professionista/24: Codice Swordsfish

febbraio 20th, 2011

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

CODICE SWORDFISH

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A cura di Stephen Gunn

Sin dalle classiche immagini del logo Warner Bros, la proiezione appare disturbata, come soggetta a un’interferenza. All’interno di quello che si rivelerà poi un doppione di un locale della catena Starbucks, John Travolta fuma il sigaro e discetta sulla mancanza di realismo del cinema americano. Un dialogo lungo, volutamente ripreso come attraverso una digitale mal utilizzata . Si parla di film ma ci sono indizi che lasciano intuire una tensione nascosta. ‘Il depistaggio è l’anima dello spionaggio. Ciò che l’occhio vede e l’orecchio sente , la mente crede’ dirà più avanti Travolta spiegando l’essenza del suo lavoro. E in effetti questa è la chiave di lettura del film e, a ben guardare, di tutto il genere. Un continuo gioco d’inganni di false informazioni che i non addetti ai lavori faticano a recepire. Sarà per questo o per la raggelante ma veritiera filosofia di fondo casualmente espressa nei terribili giorni dell’attacco alle Torri Gemelle che il solito paludato critico italiano si accanisce contro il film di Dominique Sena (autore anche di Fuori in 60 secondi) senza riuscire a ricostruirne la trama? Questa, spogliata di ogni orpello e ricostruita dal montaggio che gioca con i tempi sempre per ingannare lo spettatore, non è poi così difficile da capire. Negli anni ’80 i servizi segreti americani crearono un fondo segreto alimentato con i soldi sequestrati durante alcune operazioni nere. Denaro che, disseminato accuratamente in banche fidate, ha fruttato la bellezza di 400 milioni di dollari, tutti controllati via internet da un server in una filiale di Los Angeles della World Bank. Lo stesso governo americano, dai tempi di Hoover ha creato una cellula segreta nota come Black Sea per combattere con ogni mezzo e con ferocia qualsiasi nemico dello stile di vita americano. Una missione folle, oggi coordinata dal senatore Kirman e posta in essere da un ex agente israeliano, Gabriel Ushir, Travolta appunto. Questo tipo di guerra al terrorismo basata su una serie di vendette e azioni preventive così raccapriccianti da rendere impensabile un attacco all’America costa. E i 400 milioni di dollari vanno recuperati. Gabriel ha quindi il compito, assieme a una squadra di agenti ‘fuori quadro’, di mettere a segno il colpo perfetto. Unico problema: l’hacker finlandese che dovrebbe mettere a punto il worm (diciamo il ‘grimaldello’ informatico necessario per trasferire i conti in modo che siano irrintracciabili e pronti all’uso) viene fermato all’aeroporto. Roberts, nero capo della squadra anti hacker dell’FBI, si precipita a interrogarlo annusando il bruciato ma viene beffato. Il finlandese nomina un misterioso personaggio che l’avrebbe ingaggiato ma viene ucciso subito dopo. A quel punto entra in scena una fascinosa ragazza di colore con le gonne cortissime, un’abilità sorprendente nel provocare gli uomini , nel giocare a golf e un quoziente intellettivo oltre la media. Il suo compito è attirare nella rete Stanley Jobson, uomo dell’anno della rivista Wired nel 1997, poi incarcerato per aver violato il programma Carnivore che, per chi non lo sapesse, è quello che permette all’FBI di controllare ogni singolo messaggio di posta elettronica degli USA. Uomo di saldi principi anarchico- liberal, Stan è uscito di prigione e si guadagna – male- da vivere come operaio in Texas. Il suo punto debole è la figlioletta Holly che l’ex moglie (ora sposata con un produttore di film porno) gli sottrae per pura perfidia, visto che non se ne cura minimamente. Ma Gabriel può offrire a Stan, per un unico lavoro, i soldi necessari per riprendersi sua figlia. Stan , infatti deve, sostituire l’hacker morto. La prova d’ammissione non è facile. Entrare nei files informatici del Dipartimento di Stato mentre una bionda gli pratica un piacevole ma piuttosto sconvolgente servizio sessuale e Marko (un cattivissimo Winnie Jones) gli punta una pistola alla testa. Tempo concesso:60 secondi. Con la medesima precisione geometrica con cui dirigeva furti d’auto, Sena allaccia lo spettatore con questa sequenza proiettandoci in un’avventura dove l’extralusso in stile Bond si fonde con il film di rapina e lo spionaggio. Insomma ce n’è per tutti i gusti. Stan, seguito a distanza da Roberts, capisce che sotto ci deve essere qualcosa di molto losco ma accetta di programmare il worm necessario alla rapina per amore della figlia. Intanto di fronte a lui la scena s’ingarbuglia e l’impressione netta è che sia proprio Gabriel a tirare le fila. Gabriel , di cui Stan scopre un sosia morto tenuto in una ghiacciai. Gabriel, che sembra diffidare della stessa Ginger che, scoperta da Stan in ridottissimo bikini con un microfono addosso, asserisce di essere un’agente della DIA. Non tutto va secondo i piani di Gabriel, però. La squadra di Roberts, seguendo Stan, fotografa la villa dove è radunata la squadra di Gabriel . Le foto finiscono in mano al senatore Kirman che, preso dal timore che si possa risalire a lui, ordina l’annullamento dell’operazione. Ma Gabriel è talmente fanatico da voler continuare. Sfuggito assieme allo sbalordito Stan a una squadra di sicari mandati d Kirman, arriva a cancellare fisicamente il senatore e il suo aiutante. Procederà da solo nella sua guerra. Apparentemente senza motivo spiega i suoi piani a Stan che crea una diversione e fugge verso la figlioletta Holly. Peccato che madre e patrigno siano stati massacrati e la bimba sia nelle mani di Gabriel. Questi ha bisogno che Stan sia fisicamente presente al furto informatico e sia stimolato a eseguire le operazioni nel modo corretto. Così torniamo al punto di partenza quando la storia si era interrotta con una terrificante esplosione intimidatoria destina a sbloccare lo stallo tra gli uomini di Gabriel asserragliati nella banca e le forze dell’FBI.

Stan gioca sul filo del rasoio inserendo il codice con una sequenza di cancellazione e riesce a mettere in salvo sua figlia. Ma resta nelle mani di Gabriel che questa volta lo costringe a collaborare minacciando Ginger, la cui identità di agente infiltrata è stata scoperta. Il nostro eroe, che per la bella agente di colore ha un debole, obbedisce ma Ginger si becca due pallottole a distanza ravvicinata. Niente sangue, però…

Gli avvenimenti precipitano. L’estrazione della banca vira sulla spettacolarità più esasperata con una sequenza in cui l’autobus su cui viaggiano rapinatori e ostaggi viene sollevato da un elicottero e trasportato su un tetto. Qui un elicottero aspetta Gabriel e i suoi. Con un sussulto di rabbia Stan s’impadronisce di un RPG7 che gli era stato appositamente mostrato e distrugge i terroristi in fuga. Lieto fine che richiama la discussione sul cinema dei primi minuti del film? Sembrerebbe di sì, ma di fronte al cadavere semicarbonizzato di Gabriel, Stanley ricuce tutti i falsi indizi che gli sono stati mostrati appositamente. Il depistaggio ancora una volta ha confuso le carte determinando il risultato della partita. Ginger, infatti, non è mai stata un’agente della DIA, ma un comodo ‘ cavallo di Troia’ per controllare Stanley. La ritroviamo a Montecarlo , con una nuova pettinatura . Qui recupera i soldi e li divide tra decine di banche, poi raggiunge Gabriel tutt’altro che morto anche se con un nuovo look e insieme si allontanano su un motoscafo mentre un noto terrorista il cui nome suona molto simile a quello di Bin Laden esplode a bordo di un panfilo. Nel dvd è mostrato anche un finale alternativo in cui Stanley e la figlia riuscivano a impadronirsi loro di tutto il malloppo. Il film era pronto per l’uscita quando venne l’11 settembre. Non solo la filosofia di fondo basata sulla vendetta contro gli stati canaglia ma anche alcune sequenze della fuga finale(in cui in effetti un grattacielo veniva distrutto) consigliarono una dilazione dell’uscita nelle sale, almeno negli USA. Io vidi il film in Italia pochi giorni dopo l’inizio delle operazioni di Enduring freedom in Afghanistan. Rivisto oggi Codice Swordfish resta, un piccolo gioiello di azione e intrigo, ottimamente servito da attori in parte. Proferito e agghiacciante sula lotta al terrorismo e sicuramente degno di entrare in una cineteca ideale del filone.

SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra al terrorismo

Codice Swordfish (Swordfish)USA 2001.Durata 98’circa- regia di Dominique Sena. Sceneggiatura originale di Skip Woods. Interpreti: John Travolta:Gabriel Urish- Hugh Jackman: Stanley Jobson- Halle Berry: Ginger Knowles- Don Cheadle: Agente Roberts- Sam Shepard: senatore Jim Kirman- Realizzato dalla Warner Bros è disponibile in dvd in diverse collezioni dal 2002.

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Visti con il Professionista/23: L’agente speciale Mackintosh

gennaio 22nd, 2011

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

L’AGENTE SPECIALE MACKINTOSH

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A cura di Stephen Gunn

Desmond Bagley (1923-1983) è uno di quegli scrittori di azione-avventura di grande successo in tutto il mondo che hanno goduto solo di una parziale fortuna in Italia ed è un peccato perché nella sua produzione figurano piccoli capolavori di avventura allo stato puro (Una lettera dei Maya- Uno straniero a Fort Farrell) e certamente almeno cinque romanzi di spionaggio degni di entrare nella biblioteca ideale del genere. L’agente speciale Mackintosh di John Huston si ispira a La trappola della libertà, romanzo del 1971 pubblicato su Segretissimo e riproposto in una elegante collana formato libro intitolata I classici dello Spionaggio una decina di anni dopo. L’edizione italiana del film apparve sullo schermo mutilata di una decina di minuti e con una curiosa anomalia rimasta anche nell’ edizione dvd. Probabilmente per una strategia di marketing l’agente speciale Mackintosh sembrava il nome perfetto per il protagonista Joseph Rearden (interpretato da Paul Newman) prendeva questo appellativo che, nel romanzo quanto nella versione originale del film, è quello del suo capo, il veterano Harry Andrews. Si tratta di una classica storia di spionaggio sulla Guerra fredda giocata su toni volutamente realistici che, all’epoca dovevano sembrare anti-bondistici e oggi, al contrario, si avvicinano molto alla nuova versione dell’eroe di Fleming. In realtà Mackintosh (seguiremo la versione italiana…) è un agente del servizio segreto inglese incaricato dal suo capo Masterson (Andrews) di fingersi un ladro di diamanti e finire per quindici mesi in galera in modo da poter fuggire con Slade (Ian Bannen sempre in parte in questi ruoli) un agente venduto ai sovietici e ed evadere con lui. Lo scopo è smascherare una talpa nei servizi inglesi. L’ombra del ‘Quinto Uomo’ della vicenda Philby come sempre incombe sulle trame che implicano infiltrati russi in Inghilterra. La talpa in questione è sir Wheeler, deputato reazionario a parole ma in realtà agente comunista. Aiutato da Pamela (Dominique Sanda) la figlia di Masterson, Newman segue il piano nei dettagli ed evade con Slade grazie a una efficiente organizzazione che lo segrega in una villa di un non ben identificato paese. A questo punto Masterson commette un’imprudenza, forse credendo di tendere una trappola. Rivela a Wheeler che l’evasione di Slade è una trappola per catturare il suo ‘controllo’. Disgraziatamente Masterson viene investito da un’auto la sera stessa e finirà prima in coma e poi al cimitero. Mackintosh viene scoperto e malmenato ma rivelando, ancora una volta doti di agente d’assalto, evade dopo aver restituito sberle e calcioni ai suoi sequestratori. Si permette anche atti politicamente scorretti che oggi il cinema non potrebbe più presentare. Piglia a calci la giunonica Gerda e annega un rottweiler. Un ‘augusto’ critico cinematografico in base queste scene e a un paio di battute sugli omosessuali durante la sequenza del carcere ha bocciato il film, liquidandolo come una prova priva di tensione di John Huston. Errore madornale, o almeno rivelatore di una scarsa conoscenza del genere. L’agente speciale Mackintosh è un film che forse oggi può sembrare lento ma negli anni in cui fu realizzato mostrava la giusta dose d’azione e atmosfera, volutamente schivo da esagerazioni e inutili esotismi. La storia, in verità, procede con numerosi sotterfugi, inseguimenti,scambi di persona tra l’Irlanda e Malta dove Mackintosh e Pamela tentano l’ultima carta per intrappolare Wheeler e Slade. È interessante notare come Mackintosh sino a questo momento freddo e cinico ceda al sentimento nelle ultime battute della vicenda. La relazione sentimentale, più che altro fisica, tra l’agente e la bella Pamela potrebbe rientrare nel cliché del filone. Poche battute di dialogo intorno a una piscina in attesa dello show down finale ci lasciano intendere che una parentesi romantica è gradita a entrambi mail dovere e l’abitudine alla violenza sono vincolanti per entrambi e non consentono distrazioni. Wheeler è arrivato a La Valletta in veste diplomatica accolto con tutti gli onori. Nelle cabine del suo yacht nasconde Slade e Pamela si intrufola tra gli ospiti scoprendone la presenza. Suo padre, intanto, è morto e ha lasciato una lettera in cui si spiega tutto. Tale missiva, che non lascia scampo a Wheeler, è ancora per poche ore nelle mani di un avvocato ma presto finirà sul tavolo del primo Ministro. Wheeler è pronto a rifugiarsi all’est con il suo agente e, sorpresa Pamela, prima cerca di far arrestare Mackintosh poi, visto che proprio non riesce a levarselo dalle calcagna, organizza uno scambio. In una antica chiesa medioevale il deputato traditore è pronto a scambiare la ragazza per la possibilità di fuggire assieme a Slade.

Questi, che durante la prigionia ha imparato a conoscere l’agente inglese,intuisce che lo scambio è possibile. Mackintosh ha un suo codice e forse di Pamela, è un po’ innamorato. I due traditori si allontanano. Ma è proprio Pamela ad afferrare un antiquato ma micidiale modello di pistola mitragliatrice Mauser e a ucciderli. Carica di rabbia, Pamela accusa Mackintosh di aver ceduto e sistema i cadaveri in modo che ogni scandalo venga tacitato per il bene dell’Inghilterra. Ufficialmente Wheeler si è sacrificato per impedire la fuga di Slade. I due si sono uccisi apparentemente a vicenda.

E, senza uno sguardo per l’amante, Pamela si allontana nel buio lasciando gli stupefatti occhi blu di Newman a guardare nel nulla.

Una grande storia di spionaggio che, con il passare degli anni, non solo non è invecchiata ma ha acquistato anche fascino. L’azione è filmata con secca essenzialità, proprio come la prosa di Bagley si limita al racconto dei fatti senza infiorettarli inutilmente. È proprio la freddezza psicologica dei protagonisti che fa loro acquistare spessore in una sorta di procedimento ‘al contrario’. Dialoghi freddi, violenza esplicita e non spettacolare, una grande cura di paesaggi vuoti(la fuga nel campo santo costellato di croci celtiche è un esempio riuscitissimo di questa tecnica) suggeriscono allo spettatore un più profondo livello psicologico di ogni personaggio. Ma lo spionaggio, alla fine è solo una partita a scacchi e l’ideologia quanto i sentimenti dei singoli eroi, devono cedere il passo all’intrigo. Alla fine una lezione di cinema e di scrittura da parte dell’autore. Vorrei ricordare gli altri romanzi di spionaggio di Bagley Lassù qualcuno mi odia, Un uomo da spendere e Il nemico siamo noi, tutti pubblicati da Segretissimo nei primi anni della settima decade del secolo scorso. Per i collezionisti un’occasione per riscoprire un autore della forza di Deighton e Le Carré del periodo migliore.

SCHEDA TECNICA: Genere: guerra fredda

L’agente speciale Mackintosh (The Mackintosh Man) USA,1973- durata 104’- regia di John  Huston – sceneggiatura di Walter Hill dal romanzo La trappola della Libertà di Desmond Bagley- Interpreti: Paul Newman: Ian Mackintosh. Dominique Sanda: Pamlea. James Mason: Wheeler- Harry Andrews. Masterson. Ian Bannen: Slade – realizzato dalla Warner è stato ristampato nel 2007 in DVD

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Visti con il Professionista/22 – Face off

novembre 22nd, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

FACE OFF

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A cura di Stephen Gunn

Forse non è il miglior film di John Woo in assoluto ma di certo la sua escursione più convincente nella spy-story. Una vicenda di spionaggio anomala, certo, con un risvolto futuristico che, soprattutto al momento dell’uscita nelle sale, poteva lasciare perplessi. Ma Segretissimo ne pubblicò anche una non malvagia novelization che copriva quei buchi che l’azione incalzante lasciava all’immaginazione. Sì, perché John Woo è stato, nei decenni tra l’80 e il ‘90, incondizionato re dell’azione e mentore di autori di tutto il mondo dediti al filone. Con Face off, sua terza prova sul suolo americano, si conclude la parabola al fulmicotone del cinema d’azione made in Hong Kong. Poi, come al solito, la macchina produttiva americana si è impadronita di talenti e storie, assorbendo il manierismo ma non l’anima e una vastissimo repertorio che ha radici nel cinema del Kung Fu ma che si era espanso ad altre categorie si è gradualmente inaridito. Siamo in un’epoca pre 11 settembre in cui è ancora vivo il mito del terrorista apolitico, al soldo di chiunque e disposto a ogni nefandezza per denaro e gusto personale. In pratica la fotografia di Castor Troy che vediamo nella prima scena seguire da dietro un mirino telescopico il suo avversario di sempre Sean Archer, integerrimo agente dell’FBI e amorevole papà. Debolezza che gli costerà, per errore, la vita del figlioletto Michael . Da quel momento la cattura di Troy diventa un’ossessione per Archer che si tuffa nel lavoro distaccandosi dalla moglie Eve e dalla figlia Jamie altrettanto traumatizzate ma costrette a vivere con un fanatico cane da caccia che, a volte, mette paura ai suoi stessi uomini. “Riprendere fiato? Riprenderemo fiato quando avremo preso Castor Troy!” tuona Sean con qualche ragione dagli uffici di Los Angeles del Bureau. Troy, infatti, ha appena piazzato un ordigno chimico al Centro Congressi travestito da prete. Ma la tematica cara al regista dell’identità dei ruoli tra avversari, spunta nelle battute iniziali del film. Ognuno di loro ha un punto debole nell’affettività. Per Troy è il fratello Pollux. Costruttore di ordigni geniale, il fratello minore del terrorista è vagamente ritardato, un imbelle. Castor lo tratta rudemente ma gli allaccia le scarpe e sarebbe disposto a tutto pur di proteggerlo. Disgraziatamente Pollux, ansioso di mostrarsi all’altezza, commette un’imprudenza che porta Archer sulle tracce del gruppo. Una scena d’azione e inseguimento funambolica in cui, come al solito, le armi sono usate in maniera fantasiosa e l’alternanza di accelerazioni e rallentamenti si trasforma in una danza. Castor è in coma e l’incubo sembra finito. Sean può tornare a casa e cercare di recuperare il rapporto con la moglie e la figlia, compito non facilissimo. Ma incombe sempre l’ultima missione. Un dischetto trovato tra i bagagli di Pollux rivela l’esistenza dell’ordigno di cui ormai solo Pollux, rinchiuso in un carcere quasi fantascientifico, conosce il segreto. E Pollux parlerebbe solo con il fratello… una squadra speciale offre ad Archer un incarico di massima copertura ed è in questa fase che si dipana l’intreccio più propriamente fantastico e anche l’idea forte del film. In una clinica di cui nessuno sembra saper nulla un chirurgo è in grado di sostituire la faccia di Troy a quella di Sean e poi rimettere le cose a posto. Solo per pochi giorni, assicurano. Ma l’idea stessa di acquisire le fattezze dell’assassino del figlio ripugna Sean. In breve tempo torchia i superstiti della banda di Castor. Qui facciamo conoscenza di Dietrich (un luciferino Nick Cassavetes) e soprattutto di Sasha(Gina Gershon) amante di Troy e madre del piccolo Adam che, lo spettatore impiega poco a capirlo, è figlio del terrorista. Purtroppo anche con i metodi più brutali , Archer non riesce a cavar nulla ai terroristi. Non gli resta che sottoporsi all’operazione e farsi rinchiudere in carcere con Pollux. Lo stratagemma di per sé riesce con una certa facilità e, in breve, Sean/Troy scopre l’ubicazione della bomba. Ha , però, un’amara sorpresa quando tenta di contattare le autorità. Castor si è risvegliato dal coma, ne ha preso le sembianze e la posizione (anche in famiglia) e ha intenzione di trovare lui stesso l’ordigno e diventare un eroe nazionale. In questo modo libererà il fratello e potrà spazzar via la concorrenza preparando il terreno per un ritorno alla grande. Non prima però di essersi preso una sadica vendetta sul nemico costretto in carcere con il suo volto. Certo il confine con il fantastico è labilissimo ma anche tradizione dello spionaggio avventuroso mettere in scena meccanismi e operazioni al limite della credibilità. Dal finale del romanzo Si vive solo due volte a L’uomo allo specchio, il tema del doppio poi è sempre stato un classico della narrativa avventurosa d’intrigo.

Comincia così una partita di mosse e contromosse saltuariamente interrotta da piccoli capolavori d’azione. La sequenza dell’assalto alla roccaforte dei complici di Troy in cui il bimbo figlio del terrorista passa incolume tra miglia di colpi, scintille, scoppi e calcinacci con Over The Rainbow che suona nell’auricolare è da manuale. Emergono tutti tratti caratteristici del cinema di Woo dal mexican stand-off a due o anche a quattro, il volo delle colombe, lo scambio tra buono e cattivo e l’iconografia cattolica che è uno dei tratti fondamentali del regista istruito a una scuola religiosa di Hong Kong. Sul piano narrativo Archer cerca di convincere la moglie Eve di essere se stesso pur con il viso del suo nemico. Evade dalla prigione e stringe un patto con Sasha promettendole la salvezza per il suo bambino. Nel frattempo Troy ha causato l’infarto del suo capo e si candida come prossimo direttore dell’FBI. La morte di Pollux, ucciso da Sean, scatena una nuova ondata di rancore personale ed è nella cornice del funerale del vecchio direttore dell’FBI che si consuma un ultimo atto al piombo che forse esagera in un lungo e forse non completamente giustificato inseguimento in motoscafo ma culmina con un corpo a corpo di rara violenza. Ricordiamo che siamo in un’epoca in cui anche nel cinema d’avventura americano prevale il buonismo e la crudezza di certe immagini è linfa nuova proveniente dall’Oriente. Di fatto il film, che si conclude con un consolatorio ritorno alla normalità completato dall’adozione del bimbo ormai orfano di Troy, soprattutto visto ad anni di distanza si conferma un buon thriller spionistico d’azione, una summa per il pubblico occidentale di quanto di meglio la produzione orientale poteva offrire. Woo aveva già dimostrato di poter lavorare secondo le procedure americane (nel primo film Usa Hard Target gli avevano messo accanto Sam Raimi perché ne mitigasse gli eccessi…) e ripropone il suo repertorio servito da attori di qualità, aderenti alla parte come poche volte. Insomma crea un grande spettacolo che forse non soddisfa i puristi dello spionaggio classico ma di certo pompa adrenalina tra gli appassionati del filone avventuroso. Di fatto Woo ha una visione molto manichea del mondo e gli sfuggono qui (come in Broken Arrow anche questo novelizzato su Segretissimo e Mission Impossible 2) le reali ambiguità che sono i codici della spy story. Dopotutto alla produzione interessa solo il Woo maestro dell’azione e, al pubblico che ne ha seguito l’epopea gangsteristica orientale, interessa farsi una scorpacciata di piombo, di rallentatore, di effetti visivi. Un peccato perché Woo ha una personalità artistica variegata e lasciato un po’ più libero, o meglio consigliato da sceneggiatori di valore, avrebbe potuto creare storie di spionaggio avventuroso memorabili. Un James Bond diretto da lui forse non sarebbe stato male, non pensate?

SCHEDA TECNICA. Genere: Agenti d’assalto

Face-off(id) USA 1997, durata 104’- regia di John Woo da una sceneggiatura di Mike Werb & MichaelColleary.

Interpreti: John Travolta: Sean Archer – Nicholas Cage: Castor Troy – Joan Allen: Eve Archer – Gina Gershon: Sasha – Nick Cassavetes: Dietrich. prodotto da Touchstone e Paramount il film è disponibile in versione widescreen in varie collezioni.

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Visti con il Professionista/21 – L’Incarico

ottobre 18th, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

L’INCARICO

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A cura di Stephen Gunn

Questo film è solo uno dei tantissimi esempi di narrativa ( cinematografica e letteraria) che trattano una delle figure più controverse della storia del terrorismo tra gli anni ‘70 e ‘80. Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos lo Sciacallo è stato la bestia nera dei dipartimenti antiterrorismo occidentali per quasi due decenni. Particolarmente attivo tra il ‘74 e l’87, fu catturato in Sudan nel ‘94 ed è detenuto in un carcere di massima sicurezza a Parigi. La realtà – obiettivamente non limpidissima – ci ha rivelato un uomo attempato, grassoccio, privo di reale fascino e tutt’altro che la belva pericolosa che la leggenda ha alimentato. Carlos è una reliquia del terrorismo del secolo precedente, in qualche modo legato a certe trame del KGB ma anche figura indipendente, ispiratrice di molti ‘ terroristi professionali’ che abbiamo visto al cinema. Un modello che, sebbene coincidente in alcuni aspetti, si allontana moltissimo dal terrorista islamico post 11 settembre. Nondimeno la sua leggenda è affascinante e anche il film di Christian Duguay ( talento di altalenante qualità, autore però anche di un altro spy-film d’azione degno di nota L’arte della guerra con Wesley Snipes) appartiene al filone celebrativo. Carlos, qui , è il genio del male. Il nemico pubblico da distruggere a ogni costo, dotato di capacità e istinti fuori dl comune e, probabilmente anche dalla realtà. La storia ricostruisce un tentativo congiunto dei servizi americani e israeliani di screditarlo agli occhi del KGB durante gli anni ‘80 e convincere i russi ad eliminarlo.
Il meccanismo- creare una replica di Carlos stesso in modo da confondere i suoi committenti- ricorda per più di una ragione i romanzi della serie Jason Bourne di Ludlum nei quali il cattivo era appunto un super killer chiamato Carlos lo Sciacallo, benché tutto il risvolto politico fosse attenuato rispetto al puro intrigo criminale. Rivedendo il film (girato nel ‘97) oggi si notano ancor di più le somiglianze con la saga di Ludlum. Il condizionamento dell’eroe che diventa il doppio del terrorista assorbendone anche i lati peggiori è evidentissimo nella fase dell’addestramento e anticipa alcuni elementi dell’elaborazione che Bourne ha subito nella serie interpretata da Matt Damon in cui Carlos scompare per lasciar spazio ad altri più attuali nemici.

La chiave di lettura del film sta nella prima sequenza che c’introduce con lentezza a una Parigi degli anni ‘70. La sagoma della torre Eiffel, i ragazzini che corrono sull’acciottolato, le brasserie. Un uomo e una donna si amano carnalmente,sudati e gementi in una camera d’albergo. Lui si alza e allontana la ragazza dicendo di ‘ avere delle cose da fare’. Ha il completo controllo della situazione. Lo vediamo dal sadico gioco della sigaretta che brucia il ragno al centro della sua tela, simbolismo che, nella vicenda, assumerà una valenza importante. L’uomo è Carlos che, truccato d hippy, si fa beffe di Harry Fields, capo sezione della CIA a Parigi, avvicinandolo e chiedendogli un fiammifero poco prima di far saltare una granata in un bar provocando una strage. Un anno dopo Carlos (barba e capelli lunghi, basco nero, occhiali specchiati secondo l’iconografia del terrorista dell’epoca) irrompe in una conferenza dell’OPEC a Vienna. Fields, non si rassegna al cedimento delle autorità austriache e cerca di uccidere lo Sciacallo, fermato all’ultimo istante dal suo capo. Sono gli anni in cui la CIA, è fuori ‘ dal business degli omicidi’. Fields che ha il viso e il sorriso inquietanti di un Donald Sutherland della maturità, non la pensa così. Lentamente la storia prende corpo introducendoci a un sosia di Carlos. Si tratta del comandate della US Navy, Hannibal Ramirez interpretato con convinzione da Aidan Quinn. Hannibal vorrebbe essere un buon padre di famiglia, un leale ufficiale e gentiluomo ma le origini cubane non lo aiutano a far carriera.
Protagonista di uno scambio di persona , viene arrestato in Israele da Amos (Ben Kinsley) che, sulle prime, lo scambia proprio per Carlos. Il meccanismo si mette in moto e Ramirez viene più volte avvicinato da Fields – che adesso si presenta con il nome Shaw – che fa di tutto per convincerlo ad accettare la più pericolosa delle missioni. Diventare Carlos e convincere i russi che il super terrorista sta per vendersi agli americani. Dopo qualche riluttanza Ramirez accetta e per lui comincia un inferno. Addestrato in un vecchio carcere in Canada, Ramirez diventa la cavia da esperimento di Shaw-Fields e dello stesso Amos pronti a sottoporlo a qualsiasi angheria per trasformarlo nel super terrorista favoleggiato dalle scarse notizie che circolano nell’intelligence occidentale. Tutto per salvargli la vita, ovviamente, ma Ramirez acquisisce insieme a un’abilità diabolica di battersi e di intuire i potenziali tranelli anche la coscienza del suo lato oscuro.

Forse è colpa dell’ossessione di Fields-Shaw che farebbe qualsiasi cosa per stanare il nemico che lo ha umiliato dieci anni prima. Lentamente Ramirez diventa Carlos e la trappola comincia a muovere gli ingranaggi. Gli americani creano un conto fantasma in Svizzera allertando i russi che di Carlos già non si fidano molto. Viene coinvolta un’ex amante del terrorista che dalla Francia va a incontrare Ramirez in Libia credendolo lo Sciacallo. I russi sorvegliano, ma le cose s’ingarbugliano perché la ragazza è stata reclutata dal DST francese che interviene convinta di aver messo le mani sul vero Carlos. Ramirez è costretto a una rocambolesca e ben filmata fuga per i vicoli di Tripoli e riesce a salvarsi solo uccidendo, tra gli altri ,un agente francese. Per lui tutto comincia a prendere le caratteristiche di un incubo. Shaw, invece, non dà importanza alle perdite tra gli alleati e vuol continuare. A questo punto il vero Carlos comincia a sospettare qualcosa ma ancora non capisce. Elimina brutalmente uno dei suoi sospettandolo di connivenza con i francesi e invia il suo sicario giapponese (probabilmente introdotto per rammentare i legami con i movimenti rivoluzionari del Renko Sekigun, l’armata rossa giapponese). Il caso vuole che, dopo il brutale omicidio della ragazza, le piste del sicario orientale e del finto Carlos si incrocino all’aeroporto di Londra. Ramirez si tradisce e ci lascerebbe la pelle in un ben coreografato scontro nei bagni se non intervenisse Amos che muore eliminando il giapponese. L’operazione sembra definitivamente saltata.
Ramirez cerca di tornare alla sua vita normale ma ormai è ossessionato anche lui. Tanto da suscitare la repulsione della mogliettina e farsi coinvolgere in risse senza ragione. Non gli resta che giocare l’ultima mano con Fields, infestato quanto lui dal desiderio di vendetta. A Berlino est i due tendono l’ennesima trappola ai russi che si convincono che Carlos stia per passare con tutti i suoi segreti all’ Occidente. Inviano una squadra di sicari per ucciderlo ma lo Sciacallo, fedele al suo personaggio di killer invincibile, li elimina e cerca di fuggire. Qui Ramirez affronta la sua nemesi. Entrambi finiscono a lottare selvaggiamente in un laghetto. Fields interviene ferendo quello che crede il vero terrorista, poi ha un ripensamento. Salva Ramirez mentre Carlos scompare. Da quel momento siamo informati che non si registrarono più atti di terrorismo firmati dallo Sciacallo, la sua epoca volgeva al termine come l’Unione sovietica. Ramirez con la famiglia viene dato per morto in un misterioso incidente e si ritira a vivere in un’isoletta dei Caraibi. E qui la sceneggiatura ha un ultimo colpo di coda annunciato dalla non chiarissima sequenza del duello a Berlino. L’uomo che vediamo con la famiglia di Ramirez potrebbe non essere il nostro eroe ma Carlos che ne ha preso il posto. Il film termina con una sequenza che ricalca quella iniziale ma ci lascia nel dubbio. Seduto in riva al mare Ramirez avvicina la brace della sigaretta a un ragno al centro della sua tela. Un gesto inconscio? Un indizio rivelatore? Non lo sapremo mai perché la storia si interrompe su questo stop frame e l’annuncio che Carlos fu catturato nel ’94, in Sudan. Davvero un ottimo film di spionaggio diretto da un autore di mestiere qui forse alla sua prova migliore con un ottimo cast e una sceneggiatura compatta cui l’accuratezza delle scenografie e il ritmo serrato dell’azione conferiscono credibilità e fascino. Di tutta la storia le sequenze dell’addestramento, però, restano le migliori, da inserire in un’antologia sul genere.

SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra al terrorismo

L’incarico (The Assignement) USA,1997. Regia di Christian Duguay sceneggiatura originale di Dan Gordon e Shabi H. Shabtai. Durata 115’. Interpreti: Aidan Quinn: Ramirez/Carlos. Donald Sutherland: Harry Fields/ Jack Shaw. Ben Kinsley: Amos. Realizzato da Columbia disponibile dal 2002 in DVD.

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Visti con il Professionista/20

agosto 19th, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

IL SIPARIO STRAPPATO

A cura di Stephen Gunn

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Compito non facile selezionare un film di spionaggio nell’opera di Alfred Hitchcock. Maestro del thriller(da Psycho a Marnie a Frenzy la scelta nel campo è vastissimo) ‘Hitch’ frequentò spesso anche il filone spionistico. Dai 39 scalini (adattamento di un romanzo classico di Buchan) a Notorius, Topaz, al celeberrimo Intrigo internazionale, la possibilità di inserire un titolo in questa rassegna sembrava semplice.

Il problema è di coerenza con la rubrica, che segue… i criteri del Professionista. Questi per quanto possano essere discutibili, cercano di formare una cineteca ideale ed eterogenea ma secondo un gusto particolare. La re-visione dei titoli sopracitati mi ha portato alla conclusione che, pur trattandosi di ottimi film, molti di essi inserivano l’elemento propriamente spionistico sullo sfondo. Di fatto sono storie sentimentali in cui spesso il climax è fuori scena (si veda il finale di Notorius dove l’azione definitiva viene raccontata…) e i meccanismi del Grande Gioco non sono sempre efficacissimi, almeno per i fan del settore. Ho scelto quindi questo Sipario strappato, tratto da un romanzo di Richard Wormser pubblicato da Segretissimo, perché meglio di altri si adattava a questa raccolta. È una vicenda di Guerra fredda dove sicuramente il tema sentimentale è declinato con gli immancabili elementi di ambiguità, conflitti e risoluzione. La storia d’amore che coinvolge il professor Michael Armstrong ( Paul Newman) e la sua assistente fidanzata Sarah Sherman ( Julie Andrews) predomina ma la varietà di ambienti e tutta l’ultima parte giocata sulla fuga verso l’Occidente meritano una visione. Sicuro, una volta che l’amore è salvo e anche la fidanzata di Armstrong capisce che l’amato bene non è un traditore, tutto sembra più ‘lieve’ ma le regole della suspense, anche se giocate su alcuni cliché che nel ‘66 erano già piuttosto abusati, tengono.

Inizio spettacolare, in un fiordo norvegese a bordo di una nave da crociera che ospita un convegno di studiosi di fisica che avrà il suo culmine a Copenhagen. Qui abbiamo modo di conoscere l’aitante professor Armstrong deluso (a prima vista) del trattamento riservato dal governo americano ai suoi studi su un missile difensivo in grado di neutralizzare quelli offensivi del Patto di Varsavia. Scopriamo anche che il bel professore ha promesso all’adorante assistente di sposarla al ritorno dal convegno ma che, per qualche ragione, avrebbe preferito viaggiare da solo. Non certo per sollazzarsi con le bellezze nordiche… Armstrong, infatti, sin dal tragitto in nave, riceve misteriosi cablogrammi che gli fissano un appuntamento misterioso in una libreria nella capitale danese. C’è anche la presenza ingombrante del non certo avvenente collega, il professor Karl Manfred, che corteggia Sarah e sembra particolarmente deluso quando scopre l’imminente matrimonio tra i due colombi. Ma dietro questi siparietti da commedia si ordisce una trama più oscura.

Al suo arrivo a Copenhagen, Armstrong non può evitare che sia Sarah a ritirare il libro per lui (il libraio-spia è un classico) ma legge il messaggio che gli comunica di rivolgersi in caso di difficoltà a un misterioso π. La vicenda si addormenta un poco sino a quando veniamo a conoscenza del piano di Armstrong di recarsi a Berlino est e poi a Lipsia con l’aiuto di Manfred per realizzare oltre la Cortina di Ferro il suo super missile, finanziato dai russi. Sconvolta, Sarah lo segue cercando di dissuaderlo da quello che ritiene un tradimento. Che Armstrong con la sua faccia pulita e gli occhioni cerulei voglia passare la nemico sembra essere solo l’ingenua Sarah a crederlo. Gli uomini della STASI sono i primi a dubitarne, infatti mettono alle costole del professore un controllore, Gromek, che, con il cappottone di pelle e la faccia da gangster sa veramente un po’ troppo di macchietta. Armstrong in realtà si è offerto come spia. Il suo piano è arrivare al professor Lindt dell’università di Lipsia e provocarlo in un gioco intellettuale per carpire i segreti che ancora gli mancano per la realizzazione del famoso missile. Per fuggire (e a questo punto portarsi dietro la recalcitrante Sarah cui non ha ancora rivelato nulla) deve affidarsi agli uomini del π. Qui in una delle sequenze spionisticamente migliori , Armstrong incontra i suoi contatti in una fattoria sperduta nella campagna tedesca ma, sorpreso, è costretto a sopprimere Gromek occultandone corpo e motocicletta. La sequenza è, pur nella sua mancanza di dinamicità, notevolmente cruda. Pensate: Gromek viene strangolato, pugnalato e pestato con una vanga prima di cedere. La sua scomparsa non resterà celata per molto. Nel frattempo Armstrong e Sarah raggiungono Lipsia e qui finalmente il professore rivela alla fidanzata la verità prima che questa rovini tutto. Si produce poi in una sequenza abbastanza divertente se non realistica e carpisce i segreti al vecchio professore più preoccupato del suo orgoglio professionale che della sicurezza. I mastini della STASI, però, hanno stretto la morsa. E qui inizia una fuga prima verso Berlino ovest e in seguito sino alle coste della Finlandia dove la corsa contro il tempo la concitazione rendono la vicenda realmente emozionante. Prima i due fuggiaschi fuggono a bordo su un finto autobus di linea con i membri dell’organizzazione capitanti dal signor Jacobi (un grande David Opatoshu, caratterista proveniente dal Dottor Zivago). Arrivati miracolosamente a Berlino, Armstrong e Sarah si sentono sperduti, impacciati più che aiutati da una contessa polacca desiderosa di passare il muro se la cavano sempre grazie all’intervento degli uomini del π che li imbarcano tra i bagagli di una compagnia di balletto. Qui torna utile una gag vista all’arrivo a Berlino del professore. Una famosa ballerina aveva mostrato irritazione di fronte allo scarso interesse dei fotografi per la sua persona, attenzione riservata invece al professore transfuga. Sfortuna vuole che la ballerina riconosca Armstrong a teatro durante il passaggio sino alla nave e cerchi di denunciarlo, se non altro per vendicare il suo onore. Anche qui la sequenza è un po’ troppo caricata per risultare realmente realistica ma funziona. Fortunatamente l’uomo incaricato di portare i transfughi oltre cortina attua uno stratagemma e tutto finisce in gloria. Anche se il film sotto un profilo drammatico spionistico non risulta del tutto convincete, ha ritmo e certamente regia, fotografia e interpreti assicurano un reale divertimento per lo spettatore. Siamo ancora in un’epoca in cui la fotografia è illuminata da luci cartolinesche e tutto sembra vagamente irreale. Sicuramente il thriller puro si adattava più ai gusti del maestro o forse, lo spionaggio gli sembrava più adatto a narrare vicende sentimentali venate di sfumature da commedia.

SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra Fredda

Il Sipario Strappato (Torn Curtain).USA, 1966 regia di Alfred Hitchcock – sceneggiatura di Brian Moore dal romanzo omonimo di Richard Wromser- durata 123’- Interpreti. Paul Newman: Michael Armstrong:. Julie Andrews: Sarah Sherwood- David Opatoshu:Jacobi – Tamara Tomanova: La ballerina. Realizzato dalla Universal è disponibile in ottime versioni in DVD con ottimi extra e master digitalizzato dal 2001

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Visti con Il Professionista/19

maggio 20th, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

SHOOTER

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A cura di Stephen Gunn

Shooter si presenta come una riuscitissima miscela di intrigo e azione, quasi un cult per gli appassionati di storie in cui l’intreccio spionistico si fonde con precise nozioni di balistica e sequenze belliche che il regista Antoine Fuqua – specializzato in film d’azione sin dall’esordio wooiano Costretto a uccidere a Training Day e King Arthur – dirige con sicurezza grazie anche a un cast di specialisti del filone come Mark Wahlberg e Danny Glover. Ma è anche l’occasione per ricordare un autore di grandissimo valore pubblicato a singhiozzo in Italia ma che avrebbe meritato un successo maggiore, almeno pari a quello estero. Stiamo parlando di Stephen Hunter che i lettori di segretissimo ricorderanno esordire proprio in un numero ‘serie oro’ (il 1042) intitolato Target Scuola Omicidi. Era una novelization basata su una sceneggiatura originale scritta per l’omonimo film di Arthur Penn. Nella lunga bibliografia di Hunter il titolo non è accreditato, si trattava di una prova generale di Hunter che, critico cinematografico del Baltimore Sun stava per iniziare una sua carriera di scrittore a oggi ricca di titoli. Un ottimo esempio di come una sceneggiatura possa arricchirsi di sfumature e dettagli nella versione romanzata. Shooter fa parte di un complesso progetto editoriale che Hunter persegue da molti anni, la storia della famiglia Swagger raccontata prima nelle avventure di Earl veterano della guerra del pacifico e in seguito sceriffo nel Sud degli USA ( Hot Spings-Giocarsi la pelle, Pale Horse Coming- Il cavaliere pallido, Havana inedito in Italia) per proseguire con le vicissitudini del figlio Bob Lee, eroe del Vietnam e costruito sulla figura di Charles Hathckok, il leggendario cecchino che ha ispirato numerosi altri mastersniper del cinema e della letteratura. Shooter arriva nel 2006 ma è ispirato a un romanzo del 1993, Point of Impact che i lettori di Segretissimo ricorderanno con il titolo Una pallottola per il presidente (1258). Sono passati più di dieci anni e non solo i tempi ma l’intera situazione politica mondiale è mutata. Il romanzo originale raggiungeva una complessità difficilmente riproducibile in un film ma, succintamente, raccontava di Bob Lee veterano dell’Indocina che, per patriottismo accetta di collaborare con un gruppo della Sicurezza nazionale per evitare un attentato al presidente Bush (padre) e finisce incolpato per l’omicidio di un eminente personaggio sudamericano. Ne scaturiva un complotto con contractor, agenzie parallele e sporche manovre della CIA in un paese sudamericano. Il film prende lo spunto iniziale e il personaggio, perfettamente interpretato da Wahlberg ma che, in altri anni, personalmente ho sempre immaginato con il viso di Clint Eastwood. In effetti i personaggi di Hunter sono figli del cinema anni 70, quello di Siegel e di Peckinpah( Dirty White Boys pubblicato da Sperling, è quasi un western moderno) e propongono un’immagine virile solitaria, anarcoide anche se a suo modo patriottica. Fuqua riesce a rendere le introversioni del personaggio con poche inquadrature di Bob Lee che dopo una fallita missione in Etiopia dove ha perso il suo spotter(il compagno del cecchino che individua i bersagli e calcola variabili come distanza e direzione del vento) si è ritirato a vivere nelle Montagne rocciose con il suo cane. Si allena nel tiro di precisione come a una disciplina zen, si disinteressa della politica e cerca di venire a patti con i suoi demoni. Ma quando il colonnello Isaac Johnson viene a cercarlo per affidargli una missione per salvare il presidente, Swagger non si tira indietro. “Non è che mi piaccia molto il nuovo presidente, ma neanche quello vecchio, ma sono fatto così quando mi si parla di patriottismo chiedo: Dove devo andare?”. In queste battute è riassunta tutta l’amara consapevolezza del personaggio di essere un uomo a parte, fuori dal suo tempo. Non tanto, però, da non immaginare che qualcosa di strano in quella richiesta di aiuto c’è. Lo vediamo prendere misteriose precauzioni prima di lasciare il suo rifugio, ancora non sappiamo che rappresenteranno la sua salvezza. Bob Swagger si immerge nel nuovo incarico. Secondo lo spionaggio un micidiale cecchino minaccia la vita del presidente con un ‘ tiro impossibile’ da più di un miglio e mezzo. Swagger esegue perlustrazioni e rilievi in tutte le città dove sono previsti eventi pubblici e individua in Filadelfia il luogo ideale per il ‘tiro’. Qui il presidente riceverà pubblicamente l’arcivescovo dell’Etiopia in una cerimonia che promette scottanti rivelazioni. Già lo spettatore ha immaginato che ci sia un complotto dietro. Prima di tutto perché il legame con l’iniziale sequenza in Etiopia non può essere casuale e poi per la presenza di un misterioso personaggio relegato su una sedia a rotelle che tratta con Johnson all’insaputa di tutti. Viene il grande giorno e le squadre sono pronte per un’operazione di contro-cecchino per salvare il presidente. Improvvisamente Bob Swagger si trova sulla linea di tiro di un agente di polizia. Viene sparato un colpo che manca di pochi centimetri il presidente ma uccide l’arcivescovo. Bob è in fuga, ferito. Ruba un’auto a Nick Memphis, novellino dell’FBI, e fugge inseguito per tutto il paese. Qui il protagonista si esibisce in una serie di manovre di evasive e tecniche di sopravvivenza da far sembrare Rambo una recluta e passa al contrattacco convinto di esser stato incastrato. Dal momento in cui contatta Sarah, la moglie del suo spotter morto in Etiopia il film prende veramente il volo. Non che la prima parte non sia ben riuscita ma, purtroppo, negli anni la storia del cecchino incastrato nel’omicidio del presidente l’abbiamo vista molte volte. Originale e serrata è invece la seconda parte in cui Bob si costruisce il suo esercito personale. Sarah lo aiuta anche per vendicare il marito morto. Nick Memphis,ostracizzato dai suoi, s’intestardisce a proseguire un’indagine che tutti vorrebbero chiudere. Invece arriva alla conclusione del’esistenza di un secondo abilissimo cecchino che ha approfittato del diversivo per colpire il vero bersaglio. L’arcivescovo. È solo questione di tempo. Bob e Nick entrano in contatto e risalendo al cecchino(l’uomo sulla sedia a rotelle, che spara con un comando a distanza) scoprono l’esistenza di una misteriosa organizzazione privata che fa il lavoro sporco per un senatore nei paesi dove si combatte per il petrolio. L’assassinio del’arcivescovo era volto a coprire la rivelazione di un massacro avvenuto anni prima in Etiopia. Una squadra di contractor massacrò un intero villaggio per pacificare la regione, lo stesso incidente in cui fu a sua insaputa coinvolto Bob . A questo punto inizia una partita di astuzia e azione con trappole, contro trappole e continui rivolgimenti di fronte in cui Bob sembra prevalere ma all’ultimo moneto Johnson e il senatore Mitchum ribaltano sempre le prove. Tutto condito con sequenze d’azione perfettamente coreografate(l’assalto alla fattoria e la sparatoria nella neve sono le migliori) sino a un confronto diretto di fronte alla corte di giustizia. Qui Swagger dimostra la sua innocenza rivelando il trucco iniziale. Contro di lui Johnson ha raccolto il suo fucile indicato come arma del delitto. Ma Bob ne ha sostituito il percussore e l’arma- fino a ora custodita dall’FBI- non è materialmente in grado di sparare. Per cui emerge la spinosa verità sui contractor che, però, la giustizia americana non può ufficialmente perseguire. Ma nelle sibilline parole del procuratore Bob ottiene un implicito permesso a farsi giustizia. Sorprende il senatore e Johnson in una baita e li uccide dando fuoco a tutto per poi andarsene con Sarah, ormai innamorata di lui. Una semplificazione del romanzo, se vogliamo, ma anche un ottimo esempio di action-thriller dove le scene d’azione non sono mai gratuite e l’intreccio malgrado i molti contorcimenti resiste bene anche a visioni successive del film. I fanatici della balistica troveranno ampia soddisfazione nelle nozioni centellinate ma precise che affiorano per tutta la durata del film.

SCHEDA TECNICA. Genere: agenti d’assalto

Shooter(Id) USA, 2006- durata 121’-regia di Antoine Fuquà- sceneggiatura di Johnathan Lemkin dal romanzo Point of Impact di Stephen Hunter. Interpreti: Mark Wahlberg: Bob Lee Swagger- Danny Glover: Isaac Johnson- Kate Mara:Sarah- Michael Pena:Nick Memphis – Ned Beatty: il senatore Mitchum- – realizzato da Paramount disponibile in DVD dal 2007

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Visti con il Professionista/18

aprile 19th, 2010

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Visti con il Professionista – I Classici del Cinema di Spionaggio/18 – Intrigo a Berlino

A cura di Stephen Gunn

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“Non si lascia mai veramente Berlino” dice uno dei personaggi di questa spy-story sofisticata, diretta con grandissima cura dei particolari e cinefila affezione da Steven Soderberg. Il romanzo originale di Jospeh Kanon, pubblicato qualche anno fa da Mondadori, creava un affresco della capitale tedesca nell’immediato dopoguerra senza decidersi tra l’intrigo politico e la fotografia d’ambiente.

Il film di Soderberg preferisce citare indirettamente Il Terzo Uomo, ma strizza l’occhio a Casablanca benché l’innegabile romanticismo sia stemperato dall’amarezza.

Ne esce una storia di emozioni che trova i suoi punti di forza nel bianco e nero che, a volte, sembra voler cancellare i mezzi toni e, in altri passaggi, vibra di sfumature.

La carrellata di immagini prese dagli archivi dell’Armata Russa sui primi giorni di “pace”, nel giugno del 1945, ci introduce in una città devastata dove in una lussuosa villa di Postdam si svolgerà la conferenza tra Alleati e Sovietici per la divisione dell’Europa. Jacob ‘ Jake’ Geismer, ex giornalista dell’Associated Press a Berlino prima del conflitto, e reduce lui stesso come inviato di guerra a Londra e in Europa, arriva in città per seguire la conferenza. Indossa panni militari, ma il suo grado non ha valore, uno dei tanti inganni di cui neppure lui si rende conto. A cominciare dall’autista assegnatogli d’ufficio, Tully. L’intraprendente giovanotto vive di traffici al mercato nero, si accompagna a una enigmatica e fascinosa prostituta locale, Lena, che, scopriremo, è stata amante e collaboratrice di Jake prima della guerra.

Berlino, nei giorni che precedono il lancio della bomba atomica su Hiroshima sta pianificando la divisione dell’Europa e preparandosi alla prossima guerra, quella “fredda” dominata dal terrore dei missili e dell’ossessione dei governi per la loro costruzione. Quindi alla frenetica corsa ad accaparrarsi i migliori cervelli teutonici, indipendentemente dai crimini commessi durante il regime nazista. Un tema che abbiamo già visto in numerosi film e romanzi dell’immediato dopoguerra.

Presto Jake Geismer comprende di essere al centro di una complessa partita che vede numerose forze in conflitto tra loro. I servizi americani guidati da Muller, il procuratore militare Bernie, alla caccia di criminali di guerra , l’ambiguo Sikorski del servizio d’intelligence sovietico e una manciata di poveracci che cerca di guadagnare da ogni commercio possibile all’interno di una città distrutta. Emblematico è proprio il personaggio dell’autista Tully, un furbo ragazzotto americano che vede in Berlino un ‘ventre molle’ da spremere e cerca di vendere segreti che lo sfiorano appena. Quello più importante è la presenza in città di Emil Brandt, segretario dello scienziato missilista Bettmann che gli americani già nascondono con l’intenzione di trasferirlo negli USA.

Emil è anche il marito di Lena. Si nasconde nelle viscere della città custodendo un segreto spaventoso: le orribili pratiche ordinate da Bettmann nel campo segreto Dora dove si costruivano i missili. Migliaia di prigionieri sacrificati, crimine che sarebbe più comodo attribuire a una non ben identificata volontà di sterminio nazista. Ma Emil, che si sente un ‘buon tedesco’, vuole espiare, raccontare le atrocità di cui è stato impotente testimone. La sua presenza e i suoi appunti diventano la posta di una partita incrociata. Gli americani sperano che Geisman attraverso la sua veccia fiamma Lena li porti a Emil.

Tully cerca di vendere il marito di Lena sia agli americani che ai russi e ci riuscirebbe se l’avidità non lo spingesse a pericolosi caroselli dentro e fuori dal settore sovietico. Finisce con una pallottola nella schiena; ma scoprire l’assassino, per Jake, si rivelerà più amaro di quanto immagina. E intorno al giornalista americano prende forma una città che, come in tutte le migliori storie di spionaggio di ieri e di oggi, è la vera protagonista della vicenda. Ciniche prostitute che farebbero di tutto per un ‘vero’ panino con il prosciutto, ebrei sopravvissuti senza gambe chevendono ogni cosa, spie, sbirri brutali, assassini dei servizi segreti. Si muovono sotto porticati in penombra, localacci fumosi, case circondate da cumuli di macerie e piazze affollate da parateche, invece di celebrare vittoria e prosperità a venire sono solo presagi di nuovi conflitti. In tutto questo intrigo di tradimenti, doppi giochi, rapide ma efficaci esplosioni di violenza.

Il rapporto tra Jackie e Lena si riaccende, diventa più complesso. Con il viso di Kate Blanchett , Lena è un personaggio sfaccettato, affascinante e terribile, ingenuo e pericoloso. Lena è una sopravvissuta, un’ebrea cui il destino ha regalato solo una spigolosa bellezza. Per sopravvivere ha tradito la sua gente, ha sposato un SS, dopo la guerra ha subito violenza da un sovietico e lo ha ucciso, tratta con tutti, da Tully ai vertici americani, è disposta a tutto pur di lasciare Berlino con una somma che le permetta di rifarsi una vita a Londra e ad espiare,a suo modo, concedendo al marito la possibilità di redimersi con una confessione. È persino disposta a fingere amore per Jack e, ingenuamente cede alle promesse di Bernie che, nel frattempo, ha barattato la vita di Emil con la possibilità di punire con la pena capitale dieci criminali di grosso calibro.

Così all’appuntamento che dovrebbe garantire una relativa sicurezza a Emil, si presenta un sicario di Muller. Qui Jake ha la sua occasione di mostrarsi eroe d’azione. Elimina l’assassino ma non prima che abbia ferito Lena e Emil. Questi fugge, indifeso, e viene eliminato da uno sbirro tedesco che completa il lavoro degli americani. Sulla Postdamer Platz sfila una parata di fronte ai potenti della terra mentre Hiroshima consuma la sua tragedia.

La guerra è finita ma non i travagli dei protagonisti. Sinceramente innamorato, Jake scambia i diari di Emil – dei quali è entrato in possesso – contro la libertà di Lena che, ristabilitasi, può imbarcarsi in una notte di pioggia sul volo per Londra. Sulla pista di volo la realtà emerge in tuta la sua crudezza. Lena è una vittima ma anche un carnefice, donna capace dei tradimenti più biechi pur di sopravvivere. Un futuro con Jake è impossibile anche se, dalle occhiate che si scambiano lo spettatore intuisce una passione che il Destino ha avversato. Una trama complessa che richiede attenzione e conoscenza della storia da parte dello spettatore ma che risulta coinvolgente grazie all’intensità degli interpreti, alle musiche scelte con cura e le immagini ancor una volta vere dominatrici dell’azione. Intrigo a Berlino è al tempo stesso un omaggio al cinema della guerra fredda e al noir americano anni ’40 con le sue donne fatali. La cornice storica conferisce alla narrazione un ulteriore interesse.

SCHEDA TECNICA

Genere: Guerra fredda

Intrigo A Berlino(The Good German) USA, 2006 – Durata103’- regia di Steven Soderberg. Sceneggiatura di Paul Attanasio dal romanzo omonimo di Josepf Kanon. Interpreti- George Clooney: Jacke Geismer. Kate Blanchett: Lena Brant- Tobey McGuire: Tully- Beau Bridges:Muller-. realizzato dalla Warner, è disponibile in DVD

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Visti con il Professionista/17

febbraio 15th, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

SCORPIO

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A cura di Stephen Gunn

 

Michael Winner, solido professionista del cinema d’azione americano (Io sono Valdez, Professione assassino, L’assassino di pietra e un paio di episodi del Giustiziere della notte forniscono una panoramica del suo lavoro) firma con questo film una delle sue più riuscite produzioni. Forse anche una tra le più anomale. È una spy-story della prima metà degli anni ’70 ma riesce a seguire una strada che allude a vari elementi del filone creandone uno suo, del tutto originale. Siamo in piena Guerra fredda eppure, nella dinamica degli avvenimenti, cogliamo fremiti provenienti dal cinema gangsteristico francese, il ritmo dell’hard boiled abbinati con l’atmosfera dei romanzi di Deighton e Le Carré. Merito di una sceneggiatura originale di Rintel e Wilson ricca di sfaccettature e senso dello spettacolo dalla quale fu tratta anche una novelization pubblicata da Segretissimo a firma di Mike Roote.

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Jean Lorrier ( Delon) è il killer Scorpio, assassino a contratto perché, come dice il suo controllore Cross (Lancaster), “La CIA non ama uccidere in proprio”. Ex ufficiale dei paracadutisti in Algeria, bello e dannato, Scorpio uccide senza scrupoli morali ma ama i gatti randagi e ha una fidanzata, Susan, di cui è innamoratissimo. Facciamo la sua conoscenza sul volo di ritorno da Parigi durante il quale, in una sequenza flashback che alterna frammenti in bianco e nero come un notiziario a ricordi a colori in tempo reale, scopriamo che Scorpio ha ucciso un dittatore eritreo filo americano, più utile morto che vivo. Il ‘tiro’ glielo ha commissionato proprio Cross, amico e maestro, vecchia volpe dello spionaggio americano sin dalla Seconda guerra mondiale. Cross non sa che Scorpio è stato incaricato dal burocrate di Langley, McLoud, di eliminare proprio Cross. Simili giochetti non sono nuovi nella dinamica del potere della CIA, in seguito sapremo che McLoud aveva impartito l’ordine di eliminazione per Scorpio già due volte.

Questa volta Jean “Scorpio” non ha eseguito il contratto per eliminare il suo mentore a Parigi, apparentemente perché già impegnato con Cross. In verità i due uomini si stimano, sentono di appartenere a un mondo a sé, rispetto ai burocrati che popolano il loro universo. Probabilmente hanno ragione ed è proprio la sensazione di sentirsi estranei e prigionieri a questo mondo di intrighi dal quale è impossibile scappare che accomuna tutti i personaggi positivi del film. “Siamo pedine di un gioco di cui non ci frega nulla. E, tra pedine, ci si mangia tra noi”, dice amaro Cross. Lui, Scorpio, persino la riuscitissima figura dell’agente russo Zharkov, combattente antifascista, amico e avversario al tempo stesso di Cross, si sentono dinosauri, schiacciati dai nuovi burocrati dello spionaggio con il mito dell’efficienza ma privi di ideali politici. Tutti loro vorrebbero sparire ma il meccanismo di cui sono diventati ruote lo impedisce. Cross ha deciso di mollare tutto e ritirarsi. Ha capito di essere bruciato. In verità non sapremo mai se, come lo accusa McLoud, si è venduto al nemico oppure è diventato d’impaccio per le ambizioni di altri all’Agenzia. Si accorge di essere pedinato mentre sta andando a rassegnare le dimissioni e reagisce con prontezza. In questo si distacca dagli stanchi e depressi funzionari inglesi della spy-story letteraria dell’epoca. Cross è un uomo anziano ma ancora ruggisce. Liquida i due incompetenti inseguitori e mette in atto un piano già evidentemente preparato. Grazie alla complicità di un nero che gestisce un ambiguo centro sportivo, si dilegua disseminando la sua pista di falsi indizi che lasciano letteralmente in una palude i suoi avversari. Questi non trovano di meglio che reclutare con il ricatto (una falsa accusa di traffico di droga) proprio Scorpio. Gli promettono denaro, l’ingresso ufficiale nella CIA e, soprattutto, gli assicurano che Cross è marcio. Per amore o per forza Scorpio accetta non senza ritrosie. Riesce però dove gli altri falliscono. Rintraccia cross a Vienna dove ha temporaneamente trovato appoggio presso Zharkov, un vecchio avversario del KGB con il quale ha condiviso però la guerra di Spagna e molti anni di Guerra fredda. Qui il film sembra cambiare registro. L’ambientazione europea non rallenta il ritmo, ma fornisce una cornice ideale all’intrigo spionistico. Stretti vicoli lastricati, giardini asburgici, interni curatissimi di case mitteleuropee ammantano l’azione di una patina di credibilità. I disillusi dialoghi tra Cross e Zharkov, vecchi leoni che riconoscono l’identità dei poteri corrotti da cui si sono lasciati manovrare, hanno qualcosa di letterario che completa una vicenda giocata sul ritmo e sull’azione. Mentre Scorpio si trova a collaborare con una squadra di incompetenti macellai, Cross sa di avere poco tempo a disposizione. Zharkov lo ammonisce, prima o poi Malkin, il suo freddo controllore sovietico, pretenderà qualcosa in cambio dell’aiuto che gli fornisce nella capitale austriaca. Il principale problema di Cross è far uscire la moglie Sarah da Washington. Tra gli altri si serve come corriere di Max Lang un vecchio violinista ebreo salvato dai lager nel ‘45. Proprio attraverso Lang, Scorpio quasi riesce a incastrare Cross. Ne segue una delle sequenze d’azione meglio coreografate del regista. Tra spari, scazzottate e botti, Cross sfugge alla trappola. Sembra quasi che, malgrado i suoi sforzi, Scorpio proprio non lo voglia prendere. Nel frattempo in America l’incompetenza degli agenti della CIA provoca un’altra tragedia. Durante quella che doveva essere una perquisizione, Sarah viene accidentalmente uccisa . Cross, appresa la notizia, perde ogni desiderio di fuggire. Zharkov, alla fine, lo aiuta non solo a sottrarsi a Malkin ma anche a simulare per gli americani un suo passaggio all’Est. Invece, come immagina Scorpio che lo conosce intimamente, Cross torna in America per vendicarsi di McLoud, ritenuto responsabile della morte di Sarah. Scorpio, però, non ne vuole più sapere. Progetta di lasciare l’America e tornare in Francia, persino vorrebbe sposare Susan. Micidiale, Cross sorprende McLoud con un trucco e lo uccide. Il suo successore torna a reclutare di forza Scorpio cercando di convincerlo che Cross ha tradito. Le prove mostrate rivelano sicuramente che Cross, negli anni, si è coperto le spalle, ha creato una propria rete di contatti e amicizie, di certo ha accumulato soldi. Ma non c’è nulla di conclusivo. “Nel nostro mestiere le prove sono necessariamente indiziarie” , ammette il funzionario CIA. Ma, esaminando le registrazione degli spostamenti di Sarah, Scorpio ha notato un particolare sfuggito ad altri. La sua Susan ha brevemente incrociato la moglie di Cross al museo della biblioteca del Congresso. Per lui è la prova di essere stato manovrato da Cross anche nella vita privata. E, in effetti, attraverso Susan (un corriere cecoslovacco molto abile usata per trasferire soldi ma, forse, realmente innamorata di Jean) Scorpio arriva a cross. Accecato dalla rabbia fredda la ragazza senza lasciarla spiegare. E Cross, ormai stanco e disgustato, si lascia uccidere. Il meccanismo in atto è sin troppo complesso e non può essere fermato. All’uscita dal garage dove si è consumato l’ultimo confronto, Scorpio si ferma per accarezzare un gatto randagio. E lì, senza difesa, lo raggiunge il proiettile di un ignoto sicario che chiude il caso senza testimoni scomodi.

SCHEDA TECNICA.

Genere: Guerra fredda.

Scorpio (Scorpio) Usa, 1973- Durata 114- ’regia di Michael Winner- sceneggiatura di David W. Rintel e Gerald Wilson dalla quale fu tratta una novelization di Mike Roote. – interpreti: Burt Lancaster: Cross. Alain Delon : Jean Lorrier- Scorpio. Paul Schofield: Zharkov. John Colicos: Mc Loud. Gayle Hunnicut: Susan. Realizzato dalla MGM, è stato ristampato nel 2004 in DVD nella collana MGM- home video.

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Visti con il Professionista/16

febbraio 3rd, 2010

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

GIOCHI DI POTERE

A cura di Stephen Gunn

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Tom Clancy è indiscutibilmente uno dei grandi nomi di quella narrativa che si è sviluppata partendo come ‘tecno-thriller’ per approdare in seguito allo spionaggio e alla fantapolitica più estrema, generando spin-off, serie parallele, saggi tecnici su forze militari regolari e speciali. Tra tutte le sue creazioni John Patrick “Jack” Ryan è forse il personaggio più noto e riuscito. Al cinema è stato interpretato nell’ambito di un’unica serie da ben quattro interpreti. Alec Baldwin( Caccia a Ottobre Rosso), Harrison Ford in due occasioni(Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo) e Ben Affleck (Al vertice della tensione). Realizzato da Philip Noyce, Giochi di potere (1992) si ispira a Attentato alla corte d’Inghilterra ed è, a mio giudizio, forse il più significativo tra i film realizzati nell’ambito di una rassegna dedicata allo spionaggio. Per comprendere appieno la storia, che mescola spionaggio e motivazioni personali, è necessario focalizzarsi sulla situazione politica che sta alla base della vicenda. Siamo nell’epoca che segue il crollo dell’Unione Sovietica. Il terrorismo internazionale più o meno segretamente fomentato dal KGB sta vivendo i suoi ultimi sussulti e quei legami con organizzazioni irredentiste un tempo favoriti da una logica di rivoluzione internazionale stanno sciogliendosi. I gruppi come Sinn Fein e la stessa IRA, nei decenni precedenti legati a oscure trame anti britanniche finanziate dal’Est, devono venire a patti. La guerriglia nelle strade dell’Irlanda del Nord deve arrivare a una fine. I finanziatori americani irlandesi preferiscono cercare una soluzione diplomatica. Ma l’odio, il rancore dei combattenti irriducibili resta. Così come il senso di appartenenza a un gruppo ristretto a una famiglia. Questa è la vera molla che spinge i principali antagonisti del film. Da una parte troviamo Jack Ryan, non più marine o agente CIA, ma insegnante all’accademia navale di Annapolis. Jack è un patriota ma legato alla famiglia (la moglie-chirurgo Kathy, la figlioletta Sally e il nascituro bimbetto (che vedremo nel successivo episodio) che occupa tutti i suoi pensieri. In una drammatica sequenza il direttore della CIA gli domanda se conosca qualcosa di certo nella vita e la risposta di Ryan è:“L’amore per mia figlia”, sapendo che, con quelle parole scatenerà una strage. Perché, durante una giro di conferenze in Inghilterra, Ryan si trova coinvolto in un fatto di sangue con conseguenze micidiali. Salvare il cugino del principe, lord Holmes, da un tentativo di rapimento da parte di un gruppo di fuoco dell’IRA riporta Jack sulla linea di tiro. Guidato più dal vecchio istinto del guerriero che dalla ragione Ryan interviene, sventa il rapimento. Ci guadagnerà il titolo di baronetto, una pallottola nella spalla e un morto sulla coscienza: Paddy Miller. In una delle molte riuscite sequenze d’azione del film Ryan, ferito, vede gli agenti inglesi intervenuti sollevare i cappucci dei terroristi. Il giovane che ha ucciso per difesa ha appena diciassette anni. Bloccato sul terreno, Ryan lo guarda con angoscia e incontralo sguardo feroce del fratello di questi,Sean Miller ( Sean Bean quanto mai in parte) condannato poi grazie alla testimonianza di Jack. L’odio feroce , “personale” tra i due uomini è , ancor più del piano per rapire lord Holmes delegato alla riappacificazione in Irlanda, il centro rovente della storia. Miller fa parte assieme a Kevin O’Donnel, alla sexy e micidiale Annette, al libraio Cooley e all’infiltrato nell’entourage reale Watkins, di una fazione ultraviolenta dell’IRA che non esita a eliminare i moderati o a buttarli in pasto alle forze inglesi. Sean viene fatto evadere e si rifugia in Libia per addestrarsi nei campi di Gheddafi in attesa dell’occasione per ripetere il sequestro di lord Holmes. Ma l’odio personale per l’assassino del fratello lo divora al punto da costringerei compagni ad assecondarlo in una ‘vendetta privata’ che raggiunge Ryan in America. Questi, per amore della famiglia, ha più volte rifiutato l’offerta di tornare a collaborare con la CIA contro i terroristi. Sfugge di misura a un attentato alla scuola navale ma non può far nulla per evitare che Kathy e sua figlia vengano coinvolte in un gravissimo incidente. Non moriranno, ma la piccola Sally trascorrerà diversi giorni tra la vita e la morte perdendo la milza in seguito alla folle vendetta di Miller. A questo punto Ryan vuole tornare sul campo e chiudere la partita. Fa il diavolo a quattro e, benché sia un semplice analista, ottiene di potersi concentrare sulla caccia al gruppo dei terroristi. Grazie a un’analisi dei suoi ricordi degli attentati e alle sue capacità di osservazione, stabilisce l’esistenza della cellula ribelle nell’IRA e, soprattutto, il legame tra il fanatico Kevin e Annette. Non riuscirebbe ad andare più in là se non forzasse la mano a Paddy O’Neal , portavoce dei moderati irlandesi d’America dai cui fondi dipende la sopravvivenza del movimento Sinn Fein. O’Nea l (un grandissimo Richard Harris ormai anziano ma ancora vigoroso) sulle prime resiste, non vuol tradire nessuno della sua fazione anche se si tratta di individui pericolosi come Sean Miller e i suoi compagni. Alla fine fornisce una traccia che permette, assieme a un’indagine degli inglesi che hanno scoperto il libraio Cooley, di rintracciare i terroristi in un campo in Nord Africa. Si apre qui una delle sequenze più drammatiche e innovative del film. Dalla sede della CIA Ryan e i suoi colleghi seguono via satellite un’incursione del SAS inglese al campo dei terroristi. L’annientamento del nemico come un orribile videogioco che allontana la violenza, cristallizzandola nelle immagini a infrarosso ma rende tutto più disumano, meccanico. Lo stesso Ryan che pure ha dato il via libera all’incursione nella speranza di liberarsi del nemico, ne resta sconvolto. Disgraziatamente Kevin, Sean Miller e Annette sono già partiti e ,grazie al traditore Watkins, si trovano già negli Usa. Il caso gioca a favore del vendicativo Sean offrendogli la possibilità di un attacco a lord Holmes ospite proprio a casa di Ryan. Nell’occasione Jack festeggia il ritorno a casa della piccola Sally e la consegna dell’onorificenza britannica. Malgrado le misure di sicurezza, la casa dei Ryan resta isolata in una notte di tempesta. Ancora una volta, smascherato Watkins tocca a Ryan vestirei panni dell’uomo d’azione. Aiutato dal fedele collega di colore interpretato da Samuel Jackson, affronta i terroristi. Lord Holmes e la famiglia di Ryan sono in salvo. Ryan attira su di sé Kevin, Annette e Sean, fuggendo su un motoscafo. Resisi conto che sulla barca non c’è il loro obiettivo Kevin e Annette si ritirerebbero dalla partita ma l’odio di Sean ha preso il sopravvento. Li uccide e ingaggia un duello sul mare con Ryan che,alla fine, lo uccide. Questa ultima sequenza spettacolare è, a mio avviso, forse la parte più debole della storia. Ryan è stato il perfetto anti-Bond, l’uomo di famiglia, l’analista acuto che solo in casi estremi torna a essere un uomo d’azione. Il duello finale, per quanto drammatico ha qualcosa del cinema superoistico che stona con il resto della vicenda giocata per altro con grande abilità, sull’equilibrio tra l’azione anche ben coreografata ma realistica e l’intrigo personale e politico.

SCHEDA TECNICA

Genere:Guerra al terrorismo

Giochi di potere (Patriot Games) –USA,1992- Durata 112’ – Regia di Philip Noyce- sceneggiatura di Peter Iliff e Donald Stuart dal romanzo Attentato alla corte d’Inghilterra di Tom Clancy- – Interpreti: Harrison Ford: Jack Ryan- Sean Bean: Sean Miller- Patrick Bergin: Kevin O’Donnell- Polly Walker:Annette- Richard Harris: Paddy O’neal- Anne Archer:Kathy Ryan- Realizzato dalla Paramount è disponibile in varie collane DVD

 

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Visti con il Professionista/15

gennaio 6th, 2010

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Cari lettori e lettrici, augurandovi buon anno, riprendiamo la rubrica “Visti con il Professionista” che si era interrotta qualche tempo fa per fare spazio ai contributi extra di Ghelfi, Narciso, Novel e Di Marino. Si riparte alla grande con un classico: “I Tre Giorni del Condor”. Ne approfitto per ricordarvi gli apppuntamenti di questo 2010 che comincia col botto: Segretissimo presenta “Balkan Bang!” di Alberto Custerlina, storia nera ambientata nei Balkani tra criminali, poliziotti e killer senza pietà, mentre Segretissimo SAS di questo mese è “Sudestremista Asiatico“. Per via della pausa per le vacanze natalizie, l’invasione delle edicole è cominciata proprio in questi giorni. Un caro saluto a tutti e di nuovo a tutti e… un buon anno “Segretissimo”!

Alessio Lazzati

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

I TRE GIORNI DEL CONDOR

A cura di Stephen Gunn

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Alla metà degli anni ’70 la crisi petrolifera mondiale e la paranoia generata da complotti, colpi di stato e assassinii politici della CIA, offrono un terreno fertile per ottime spy-stories dove l’intrigo predomina sull’azione. Ispirato romanzo I sei giorni del Condor (che avrà anche un meno convincente seguito in L’ombra del Condor) del forse non giustamente apprezzato James Grady , I tre Giorni del Condor, resta forse uno dei classici imperdibili del filone che trova un’alternative alle vicende puramente avventurose e a quelle basate essenzialmente sulle atmosfere della Guerra fredda. In pratica è la “via americana” al genere che, almeno al cinema, alterna momenti introspettivi e indagini ad azioni rapide ma ottimamente coreografate. Turner ( che nel film si chiamava Malcom) è l’agente Condor, analista della CIA, interpretato da Robert Redford , all’epoca icona liberal del cinema indipendente. Lo vediamo entrare in scena in motorino, con sciarpetta, occhiali e zucchetto di lana in una fredda giornata di novembre. È l’epitome dell’anti eroe degli anni ’70. Indisciplinato, simpatico, intellettuale. Lavora presso un istituto letterario e il suo lavoro è … leggere libri, principalmente gialli. Si tratta di una delle tante sottosezioni della CIA in cui vengono analizzati e codificati metodi bizzarri di omicidio, trucchi per eludere codici e sorveglianza, insomma tutto quello che la fiction può insegnare al mondo reale dello spionaggio. Tra l’altro non si tratta di una trovata narrativa … il KGB aveva sin dai tempi di Ian Fleming sezioni incaricate di leggerei romanzi occidentali per trarne informazioni. Lavoro comodo “entro ovvi limiti”. Turner crede nel suo paese e nella democrazia, non considera far parte della “Compagnia” , un lavoro “sporco” però si fida ancora dei suoi amici e non poter raccontare apertamente ciò che fa gli rimane incomprensibile. Un ingenuo, infatti. Tanto da notare l’anomalia di un mediocre romanzo di spionaggio pubblicato in un assortimento bizzarro di stati (Medio Oriente, Venezuela, Olanda) ma non nei principali paesi del mondo. Segnala questa stranezza attraverso i canali dell’Agenzia ma non riceve risposta e, un pomeriggio, al ritorno dall’abituale uscita per prendere la colazione per tutto l’ufficio trova i colleghi massacrati da un efficientissimo gruppo di sicari. È vivo per miracolo, un collega malato è stato ucciso a casa. In pieno delirio paranoico chiama la sede di Langley dove Wicks, il suo caposezione, gli fornisce un punto di incontro dove avverrà il suo recupero. Ormai in preda al sospetto più feroce Turner-Condor esige la presenza di Sam Barber, suo vecchio amico, collega e compagno di università. Da quel momento gli avvenimenti precipitano. Sulle sue tracce c’è uno spietato killer a capo del gruppo di fuoco, Joubert, un flemmatico europeo con i tratti nordici di Max Von Sydow . L’appuntamento si risolve in una trappola che scatena una concitata sparatoria in cui Turner riesce a ferire Wicks che ha cercato di eliminarlo. Fugge senza accorgersi che, pur ferito gravemente , Wicks fa a tempo a uccidere Barber, il cui omicidio verrà imputato proprio a Condor. Qui si apre una finestra sul mondo della CIA. Sezioni, sotto sezioni, comitati dove vediamo uomini grigi complottare, ordinare l’eliminazione uno dell’altro in virtù delle regole di un gioco non sempre chiaro. Per loro Condor è diventato un pericolo, ma non solo. Il suo modo di agire, a volte disordinato e causale li sconcerta. Tanto da far sospettare loro di trovarsi di fronte a un abilissimo agente indipendente che deve essere eliminato a ogni costo. Siamo in pieno delirio di potere. Tra questi personaggi kafkiani distinguiamo subito Higgins (Cliff Robertson) che è un po’ un coordinatore sul campo e Wabash interpretato con la sinistra aderenza al ruolo di master spy da John Houseman. Ricordiamo che il film uscì tra l’impeachment di Nixon e la pubblicazione del rapporto Watergate. Si adombra l’esistenza di una ‘CIA nella CIA’ che persegue con il tacito consenso del governo fini criminali per un non specificato “bene del paese”. L’ingenua segnalazione di Turner ha messo in moto un meccanismo perverso per cui un libro, studiato come ‘gioco da tavolo’ per simulare un colpo di stato nei paesi produttori di petrolio, potrebbe diventare motivo di imbarazzo se portato a conoscenza del grande pubblico. Perciò ogni traccia andava eliminata. Il problema per Higgins non è tanto l’ipotesi sovversiva in sé (che in altro momento politico potrebbe anche essere valida) quanto la “negabilità” dell’operazione. In un sottile gioco di inganni ognuno cerca di fare pulizia usando pedine indipendenti senza darlo a vedere. Più facile far tacere Wicks ormai uscito allo scoperto a causa del ricovero in un ospedale pubblico. Se ne incarica Joubert, che prende ordini da uno dei componenti del comitato direttivo di questa seconda CIA, Atwood. Turner , però, è sempre in fuga e con una serie di mosse azzardate che ci dimostrano quanto alla fine sia intelligente anche se non preparato all’azione brutale, prima sfugge a Joubert poi trova rifugio presso Kathy ( Faye Dunaway), fotografa tormentata che prima si ribella poi lo aiuta e forse anche u po’ s’innamora. Il loro è un breve incontro di due solitudini, destinato a non rinnovarsi e minacciato dall’ingresso in scena di Lloyd, sicario di Joubert. Qui ha luogo, nello spazio di pochi minuti, una delle più riuscite scene di combattimento corpo a corpo con tecniche di karate, sparatorie, confusi grovigli di corpi in lotta della storia del cinema. Sono questi scoppi di violenza assolutamente realistici che imprimono adrenalina al lavoro di Pollack. Con astuzia e disperazione Turner allaccia un diffidente contatto con Higgins e gli fornisce le prove che Atwood ha preso l’iniziativa di cancellare tutti i testimoni sin dalla prima strage servendosi di Joubert e il suo gruppo che, ufficialmente, sono morti e vengono impiegati come agenti a contratto. Si riunisce di nuovo il comitato nella stanza dei potenti e Atwood viene giudicato un pericolo per tutti. La soluzione più semplice pare quella di affidare a Joubert l’eliminazione del suo stesso committente. L’anziano killer, esperto nel ‘grande gioco delle spie’, è l’unico ad immaginare di trovare anche Turner – scomparso dalla circolazione – proprio a casa di Atwood. L’omicidio viene consumato ma per Turner Joubert non ha una pallottola. Solo il consiglio di stare in guardia. Ma Redford è, per il pubblico, il paladino della democrazia. In un drammatico confronto finale con Higgins chiarisce i meschini maneggi della CIA e si fa forte di aver rivelato la verità al New York Times. Ma l’uomo dei servizi lo brucia con una domanda. “Sei sicuro che lo pubblichino?”. Così, su uno stop frame agghiacciante, sì infrangono le certezze dell’America democratica e lo spauracchio di uno strapotere occulto della CIA tornano a vivere anche dopo la fine del singolo complotto. Il tema politico, l’abile resa della suspense che alterna rapidissime sequenze di violenza e alternati ad algide discussioni di potere rendono questo film e i suoi interpreti pietre miliari del filone, imperdibili punti di riferimento per chi voglia approfondire la spy-story quanto per chi ambisca a scriverla con un piglio moderno.

SCHEDA TECNICA. Genere. Il nemico siamo noi

I tre giorni del Condor( Three Days of the Condor), USA, 1975, Durata 112’- Regia di Sindey J . Pollack. Sceneggiatura di Lorenzo Sample Jr. e David Rayfiel dal romanzo di James Grady. Interpreti: Robert Redford: Joseph Turner- Condor. Max Von Sydow: Joubert. Cliff Robertson: Higgins. Faye Dunaway: Kathy. John Houseman: Mr. Wabash. Realizzato da Paramount è disponibile in varie versioni DVD più volte ristampate.

 

 

 

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