Stephen Gunn, “Il Professionista: Matrioska”, Segretissimo 1647

giugno 26th, 2019

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Stephen Gunn, "Il Professionista: Matrioska"

Stephen Gunn, “Il Professionista: Matrioska”, Segretissimo 1647, luglio 2019

Stephen Gunn, “Il Professionista: Matrioska”, Segretissimo n. 1647 – luglio 2019

 

Non c’è niente di meglio di un buon inedito per cominciare al meglio l’estate e la nuova avventura di Chance Renard, alias Il Professionista, è proprio quello che ci vuole per scaldare i motori.

In “Matrioska” il Prof dovrà fare i conti con l’eredità criminale di un vecchio nemico, il criminale di guerra Ruslan Nicovic, scomparso in circostanza misteriose nel 2019. Per farlo dovrà riassemblare la sua vecchia squadra e coinvolgere una nuova affascinante alleata, l’avventuriera Elisha Young.

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I combattimenti di Segretissimo – Spy Combat 1 di Stefano di Marino

aprile 18th, 2019

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Spy Combat 1

Spy Combat 1

 

SPY COMBAT-1

L’azione è un componente fondamentale, non l’unica, ma certamente di Segretissimo che, ricordiamolo, ha sempre pubblicato con successo romanzi del genere spy-avventuroso lanciato dalle avventure di OSS117 e proseguite sulla scia del successo di 007 con Nick Carter, Sam Durell, Phil Sherman e altri. Anche il Professionista s’inserisce in questo filone e, avendo notato che molti dei miei lettori sono, o sono stati, praticanti di arti marziali, sin dal principio ho messo particolare attenzione ai duelli corpo a corpo.

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Visti con il Professionista/33 – Telefon

febbraio 20th, 2014

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

telefon

TELEFON

Don Siegel è una leggenda nel cinema d’azione. Specializzato in storie hard boiled di ambiente metropolitano(Dirty Harry e L’Uomo con la cravatta di cuoio sicuramente i più famosi) si cimenta con lo spionaggio nel 1977 realizzando una vicenda di altissima tensione con tutti gli elementi richiesti ma inserita in un panorama americano che distacca il film da prodotti simili dell’epoca. La fonte è un ottimo romanzo di Walter Wager che Segretissimo pubblico nel 1976 (n.699 Pronto? Qui KGB ) e la solida struttura della vicenda si vede. Siamo ancora in piena Guerra fredda anche se cominciano a vedersi i primi segnali se non di disgelo della volontà di disfarsi della rigida dottrina stalinista. Proprio da una purga in puro stile KGB ordinata dal generale Strelsky nelle strade gelide di Mosca comincia la vicenda. Nel giro di un giorno un gran numero di “falchi” della Guerra fredda trovano la morte più o meno accidentalmente. L’unico che sfugge di misura è Nicholai Dalmchinsky, luciferino personaggio che vive con la mamma ma progetta lo scoppio di una guerra mondiale. Il sistema è semplice e riporta d’attualità un vecchissimo tema dello spionaggio post bellico. Il lavaggio del cervello. Alla fine degli anni Cinquanta vuole la leggenda (che ha qualche fondo di verità) più di cinquanta agenti furono infiltrati in America. Preso il posto di cittadini americani morti in giovane età si sono integrati nel tessuto sociale americano tanto che dopo quasi trent’anni non ricordano neppure più chi sono e qual era la loro missione. Dalmchinsky rammenta tutto invece in quel suo taccuino in cui ogni nome, ogni numero e obiettivo sono segnati a mano. Basta una telefonata e i versi di una celebre poesia per risvegliare l’inferno. “Hai promesse da mantenere e strade da percorrere prima di dormire…” quando al telefono risuonano queste parole l’agente ‘dormiente’ entra in uno stato catatonico. Predispone la trappola e si schianta come un kamikaze contro il suo obiettivo. Se, come nel caso di una casalinga, si tratta semplicemente di far esplodere a distanza un impianto c’è una capsula di K-3, terribile veleno che evidentemente non ha perso la propria efficacia, pronta a essere inghiottita. Questi guerrieri dell’Apocalisse risvegliati d semplici telefonate sono persone normali, quasi tutti di mezza età. Gente comune che s’impala contro obiettivi spesso declassificati e non più vitali. Ma il piano di Dalmchinsky non è quello di colpire gli USA distruggendo vecchi bersagli. Il suo scopo portare alla luce della CIA il piano ‘Telefon’ e creare una crisi. Di questo se ne rende perfettamente conto il generale Strelsky che è uno dei pochi ancora a conoscenza del piano. Non può parlarne al segretario del Partito perché questi non ne sa nulla ed essersi lasciato scappare Dalmchinsky potrebbe rivelarsi mortalmente pericoloso. Viene a questo punto richiamato in servizio un gelidissimo Grigori Borzov, maggiore del KGB, ritiratosi a insegnare l’hockey a Leningrado (ancora si chiamava così). L’ordine è recarsi in America, eliminare Dalmchinsky e recuperare la lista e far sparire ogni traccia dell’operazione. Ovviamente c’è un risvolto che Borzov ignora. Barbara, l’agente di collegamento in America che deve assisterlo, ha l’ordine di chiudere la catena uccidendolo una volta portata a termine la missione. E anche per i russi c’è una sorpresa. Barbara da anni è un agente doppio della CIA.

A Langley una arguta analista, Evelyn Puttermann ,ha collegato la recente purga con gli attentati apparentemente senza logica che avvengono da un lato all’atro degli USA.

La vicenda non si perde in lungaggini e segue un suo canovaccio sempre efficace. Barbara sembra, in tutto e per tutto, una donna americana moderna. Bionda, affascinante, persino un po’ maliziosa. La tipica donna che Siegel oppone in un accenno di commedia ai suoi eroi duri e puri. Borzov, che ha il fisico di Bronson, sembra tutto dovere anche se, sotto i baffi, rivela una nota di ironia. Mentre l’indagine procede sulle tracce degli attentatori nella speranza di poter bloccare il loro controllo, i due battibeccano e, malgrado tutto, cominciano a provare stima e attrazione reciproca. Ma lo sguardo del regista è costantemente sull’evolversi della situazione. Uno degli agenti kamikaze è un prete che fallisce il suo attentato e viene ricoverato in coma. Perché i servizi segreti USA non scoprano cosa c’è sotto (dopotutto è questa la missione di Borzov) Barbara è costretta a fingersi infermiera e uccidere con un’iniezione letale il poveraccio. Un atto che compie con qualche ritrosia ma che crea un legame con Borzov che comincia a fidarsi realmente di lei. Tanto da rivelarle il nome di Dalmchinsky che Barbara comunica alla CIA. Qui, Puttermann elabora dal computer i dati necessari a far luce sulla catena di bizzarri attentati. Resta ancora un mistero l’ordine con cui gli agenti vengono risvegliati. Da una discussione tra Borzov e Barbara scaturisce la soluzione. Dalmchinsky sta semplicemente seguendo un ordine che lega le lettere del suo nome con le città di residenza dei kamikaze. Siamo arrivati alla H . A Houston, Bozov – che ha una lista dei 51 agenti kamikaze- elimina nei sotterranei di un grande albergo il suo bersaglio. Fuori Barbara scorge Dalmchinsky che si da alla fuga pronto ad attivare il successivo contatto nella sperduta cittadina di Halberville. Qui avviene lo show down finale. Borzov strangola senza tanti complimenti il gestore di un ritrovo sul lago e si trova faccia a faccia con Dalmchinsky. L’intempestivo intervento di due agenti di polizia permette però al russo di chiudersi nella cabina telefonica di un locale e cominciare a chiamare tutti i contatti per provocare l’apocalisse. Con l’aiuto di Barbara , Borzov scatena un putiferio liberando un crotalo da una teca e, finalmente, elimina Dalmchinsky con la famosa pillola di veleno. Adesso viene il difficile. Barbara che è innamorata del ruvido Borzov dovrebbe ucciderlo per mantenere la sua copertura nel KGB. Ma Borzov, che è sicuramente più scaltro di quanto la maschera di Bronson suggerisca, intuisce la trappola e, non solo, mostra di ricambiare i sentimenti di Barbara. Entrambi avvertono le rispettive centrali che il pericolo è stato eliminato ma che è prudente dimenticarsi sia di Barbara che di Borzov. Questi ha ancora la lista dei bersagli. Qualsiasi gesto ostile scatenerà l’apocalisse. Barbara e Borzov possono finalmente allottarsi liberi dei rispettivi impegni spionistici. Lui distrugge il taccuino ma Barbara gli chiede. “Non avresti intenzione di scatenare i killer,vero?” E Bronson che tiene tutto a memoria, si limita a sorriderle. Per il momento le indica le dieci miglia da percorrere per arrivare al Love Motel che li aspetta… Una vicenda serratissima, dei tempi in cui non esistevano i cellulari e neanche i PC. I computer di Puttermann sono macchine magiche dalla grafica antidiluviana che occupano interesse stanze, a detta dell’analista sono anche molto sensibili e non disdegnano, in linea con l’immagine che se ne aveva ai tempi, di fornire consigli e commenti sulla vita privata dei personaggi. Una piccola ingenuità riscattata da un ottimo cast perfettamente aderente alla sceneggiatura. Donald Plaseance piccolo e dimesso ma animato da uno sguardo folle fa veramente paura e se Bonson è la perfetta incarnazione dell’ufficiale del KGB, Lee Remick si conferma come una delle attrici più versatili e affascinanti del poliziesco anni ’70. Morì prematuramente pochi anni dopo ma il Professionista la ricorda con particolare affetto.

SCHEDA TECNICA: Genere: Guerra fredda

Telefon(Id)-USA1977- durata102’ regia di Don Siegel. Sceneggiatura di Peter Hyams e Stirling Silliphant dal romanzo omonimo di Walter Wager- interpreti: Charles Bronson: Borzov- Lee Remick: Barbara- Donald Pelasenace: Dalmchinsky- Tyne Daly. Puttermann-Patric Magee:il generale Strelsky- realizzato dalla Universal il film è di difficile reperibilità in italiano soprattutto. Ne esiste una versione con traccia inglese e sottotitoli olandesi pubblicata dalla A film in una collana che raccoglie tutti i film di Bronson. Il formato è in 4/3 e si tratta di un riversamento da cassetta con una relativa nitidezza dell’immagine. Vale però la pena di procurarselo.

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Visti con il Professionista/32

ottobre 16th, 2013

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

 

SHIRI

Shiri_PosterIl cinema d’azione, il noir gangsteristico in particolare, ha ricevuto nuova linfa negli anni80/90 dalla produzione di Hong Kong.. Con il trascorrere del tempo altre cinematografie si sono evolute tecnicamente al punto da non aver nulla da invidiare ai prodotti statunitensi che, ammettiamolo, restano sempre un termine di paragone. Shiri(che vidi per la prima volta al Far East Film festival di Udine nel 1998) fu il primo sforzo per proporre un cinema d’intrattenimento basato sull’azione e sulla spettacolarità del cinema coreano. Da quell’epoca dalla Corea del Sud sono arrivati innumerevoli prodotti di grande impatto sia d’azione moderna che di fantasy cavalleresco che horror. Shiri è però il primo e forse meglio riuscito esempio di spy story orientale. Il problema politico e umano della divisione delle due Coree anche qui come in film più strettamente bellici (JSA circolato anche in Italia) è fondamentale per comprendere lo spirito della vicenda. Shiri è il nome di un pesce che vive in Corea. La divisione dei due stati ha portato branchi della stessa razza a vivere in paese diversi. Shiri è, appunto, il nome della missione suicida del commando Forza 8 che, refrattario a ogni proposta di riunificazione pacifica, si prepara dal 1992 a scatenare una guerra definitiva. In una magnifica sequenza iniziale assistiamo all’addestramento del gruppo guidato dal truce capitano Park. Sotto la pioggia, al gelo, tra uno sventolare di bandiere rosse, i soldati selezionati si battono con metodi che definire brutali è un eufemismo. Pallottole vere, sfide tra canditati all’ultimo sangue, punizioni feroci, pratica su prigionieri sacrificabili. Nel gruppo si distingue in particolar modo Hee, giovane e bella come solo certe coreane riescono a essere. Inviata a Seoul, Hee si distingue subito come sniper uccidendo una serie di funzionari statali e dei servizi di sicurezza. L’agente U2 è quasi riuscito a smascherarla rivelandone il volto e il nome ai suoi compagni ma viene trovato assassinato. Poi Hee scompare per più di un anno. Ryu e Lee, agenti dei servizi segreti, però non si rassegnano a perderne le tracce. Ryu, il più giovane e belloccio, si divide tra la fidanzata Hyun, commessa in un negozio di acquari, e le indagini. Lee, più anziano e ‘roccioso’ è ossessionato da Hee. Nella sua mente è l’unica donna che vuole e farà di tutto per rintracciarla. Improvvisamente un trafficante d’armi spaventato da una richiesta inusuale di un cliente contatta Ryu dandogli appuntamento in un grande magazzino. Qui emerge un primo elemento importante. La Corea del Sud che viene rappresentata è un paese ricco , moderno, occidentalizzato. Si prepara persino ai mondiali del 2002 con una squadra unica. Una partita tra le due nazionali alla presenza dei presidenti delle repubbliche rivali sancirà una sorta di riconciliazione. Informazione questa passata dai notiziari quasi distrattamente ma che si rivelerà importante per lo svolgimento della trama. Che procede serrata. Il mercante d’armi viene ucciso e non c’è dubbio che sia proprio Hee a giustiziarlo tornata in azione mentre Park e gli uomini dell’unità Forza 8 penetrano al Sud. Il loro obiettivo è un chimico di una società che sta eseguendo studi particolari sul CTX, esplosivo liquido che reagisce a una miscela di luce e calore che ne provocano la detonazione. Ryu e Lee riescono a risalire sino al chimico che viene eliminato ‘ prima’ che possa incontrarli. Nel frattempo Park e i suoi sottraggono con la forza un quantitativo di CTX, visto che non sono riusciti a procurarselo in altro modo. Sembra che siano sempre un passo avanti agli agenti che iniziano a sospettare una talpa. Per dirla tutta Lee qualche idea ce l’ha. In diverse occasioni Hee ha avuto nel mirino il collega Ryu ma ha sparato solo due colpi del suo fucile automatico risparmiando tre proiettili con cui avrebbe potuto mettere fuori gioco il nemico. Così, nascostamente, Lee comincia a disseminare la casa di Ryu e l’acquario dove lavora la dolcissima Hyun di microfoni. Park intanto crea un diversivo facendo esplodere un palazzo con una delle fiale di CTX. Questo ci porta alla scoperta che Park odia Ryu che ha eliminato una delle sue squadre durante un tentativo di dirottamento, anni prima.

 

La realtà è che il commando Forza 8 incaricato dell’operazione Shiri ha come obiettivo la famosa partita di calcio e piazza l’esplosivo sotto i riflettori della tribuna presidenziale. Di più scopriamo che Hee in effetti è proprio Hyun. Scoperta un prima volta nel 1993 la ragazza si è fatta rifare la faccia in Giappone prendendo le generalità di una giovane coreana ammalata di AIDS e ricoverata in una lontana clinica del paese. In questo modo non solo ha potuto conquistare senza sospetti Ryu ma lo ha anche indotto a far acquistare per il suo ufficio diverse vasche di pesci rossi alcuni dei quali hanno ingerito sofisticati microfoni di sorveglianza. Tutto ciò Ryu e Lee ancora non lo sanno. Sospettano persino uno dell’altro e, un po’ maldestramente, ordiscono una trappola inventando un finto informatore al corrente del piano Shiri. Park non può correre rischi e con due dei suoi compagni si reca all’appuntamento. Una sparatoria e un inseguimento spettacolare girato con capacità di coinvolgimento e adrenalina porta alla morte di due terroristi. Hee è costretta a intervenire per salvare Park ma viene ferita. Seguendola sino al negozio di acquari Ryu comincia ad avere conferme dei sospetti del suo amico Lee. Segue la traccia della vera Hyun che trova in un sanatorio sulla costa. Nel frattempo l’operazione sta per giungere a termine. Lee si accorge quasi per caso della morte di uno dei suoi pesci rossi e trova la trasmittente. In un drammatico conforto con Hyun la fa confessare, ma Park è in agguato e lo uccide. Al tempo stesso Ryu sta tornado in città con il cuore a pezzi ma deciso a smascherare i terroristi. Trova l’amico morto ma un biglietto dello stadio indirizza verso il vero obiettivo Shiri il giovane collega. Ovviamente i suoi capi, attirati all’aeroporto da un diversivo, non vogliono dargli ascolto. Solo con la testardaggine e l’aiuto di un giovane agente Ryu penetra nella sala controllo dove Park e i suoi hanno costretto un tecnico ad accendere le luci sul palco presidenziale innescando così l’esplosivo. Una furibonda battaglia seguita a un drammatico confronto tra le ragioni dei due (un piccolo paterozzo politico , considerata la situazione, è inevitabile) riesce a evitare la catastrofe. Park muore ma Hee è ancora nello stadio con il suo micidiale fucile. Ryu lo capisce. Inseguimento,spari, evacuazione del presidente e classico Mexican Stand Off tra il buono e la sua innamorata. Mitra contro pistola. Hee, alla fine, ha passato troppo tempo sotto copertura e Ryu lo ama davvero. Non avrebbe il coraggio di premere il grilletto se non vedesse passare la macchina presidenziale e decidesse di tentare l’ultimo colpo. A quel punto Ryu non ha più scelta e deve ucciderla. Il film termina con una vena melodrammatica con il protagonista che riflette sull’amore per la donna che ha ucciso e sulla situazione politica del suo paese lacerato dalla divisione che ha portato a una situazione drammatica come quella che lo ha visto protagonista. Malgrado alcune scivolate sul melò che sono tipiche del cinema orientale anche quello più duro, Shiri è un film compatto, ottimamente filmato in grado di soddisfare per intreccio e azione gli appassionati. Inoltre ci offre la possibilità di allargare il panorama della produzione e delle tematiche all’estremo oriente che,negli ultimi anni ha proposto film decisamente interessanti. Sfortunatamente il film è di abbastanza difficile reperibilità. Io ne ho un’edizione francese con traccia originale sottotitolata e, stranamente su IMDB il film viene presentato con i nomi dei personaggi completamente differenti. Una piccola ricerca però vale la pena perché si tratta di una storia complessa e avvincente.

 

 

SCHEDA TECNICA. Genere. Guerra al terrore

 

Shiri(id)-Corea del Sud.1998- durata120’- regia di Kang Jegu- sceneggiatura originale di Kang Jegu- interpreti :Suk-Kyu Han: Ryu-J un-Jin-Kim: Hee- Min-Sik Choi: Park- Kang Ho Song: Lee- reperibile in DVD in edizione francese per la Imatim diffusion

 

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Visti con il Professionista/31 – La Cruna dell’Ago

marzo 20th, 2013

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

LA CRUNA DELL’AGO

Crunaago

Anche se con gli anni la sua vena narrativa ha cambiato percorso con alterne fortune (il grandissimo successo dei Pilastri della terra e qualche mediocre prova come Nel Bianco) Ken Follett resta uno degli autori capaci di scrivere spy-stories di grande impatto anche per un pubblico non specializzato. Se Triplo e Un letto di leoni sono buoni esempi di storie di spionaggio dei nostri giorni, la sua specialità sono le storie di ricostruzione bellica in cui si intrecciano sentimenti, efficaci quadri d’epoca e una sapiente uso di tutti gli artifizi dell’avventura. In questo filone ricordiamo L’uomo di Pietroburgo, Il Codice Rebecca e, più recentemente, Le gazze ladre che era un po’ una versione femminile di Quella sporca dozzina. La cruna dell’Ago è il suo primo successo internazionale pubblicato nel 1978 e portato sugli schermi nel 1981. Il film di Richard Marquand rimane fedele al romanzo cogliendone la sostanza e sfrondandolo da alcune lungaggini soprattutto nella parte iniziale riassunta in poche, geniali sequenze. Tutto comincia nel 1940 allo scoppio della guerra quando già l’Inghilterra è sotto il tiro delle bombe naziste e gli agenti dell’Abwher sono infiltrati nel tessuto sociale britannico sotto spoglie insospettabili. È il caso di Harry Faber, funzionario delle ferrovie inglesi, apparentemente reduce ferito della prima guerra mondiale e perciò esente dall’obbligo morale dell’arruolamento. In realtà è una spia dell’ammiraglio Canaris e, ogni notte, trasmette importanti informazione sugli spostamenti delle truppe inglesi per via ferroviaria verso i porti che le porteranno in Finlandia. La curiosità della sua padrona di casa però lo smaschera. Faber, senza esitazione, pugnala la donna con il suo stiletto, fornendoci una spiegazione per il suo soprannome: L’Ago. Nel contempo assistiamo alle nozze tra la bella Lucy e l’affascinante David, futuro pilota della RAF. I due hanno già ampiamente consumato (tanto che segretamente lei è incinta) e,si concedono qualche bicchiere di troppo sulla via di casa. È così il brillante ufficiale perde l’uso delle gambe in un incidente automobilistico.

Sono trascorsi quattro anni e la guerra si avvicina a una fase cruciale. L’interrogativo che più assilla i servizi segreti tedeschi è il luogo in cui gli Alleati sbarcheranno in Francia. Ricognizioni aeree e altre fonti indicano Calais in base a supposti assembramenti di aerei sulla costa inglese. Ma l’astrologo del Furher ha predetto che lo sbarco arriverà in Normandia e così Faber, che è sfuggito alla caccia di Scotland Yard mimetizzandosi nell’Inghilterra semidistrutta dai bombardamenti, è chiamato a investigare. Canaris e Hitler si fidano solo di lui. Deve scattare foto e consegnarle personalmente. Verrà raccolto da un U-boat al largo delle coste scozzesi, in un’isoletta sperduta, Storm Island appunto, dove il destino vuole che si siano stabiliti David, Lucy e il loro figlioletto John. Che, dopo l’incidente, il matrimonio tra i due abbia imboccato una china discendente lo capiamo da alcuni ruvidi dialoghi tra i due coniugi. David è diventato un ubriacone, chiuso nell’autocompatimento. La moglie neanche la tocca e trascorre tutte le sue giornate a bere con il vecchio guardiano del faro. Già si delinea la situazione che porterà al culmine della vicenda. Faber, nel frattempo scopre che gli aerei in bella mostra per essere fotografati dalle ricognizioni nazista sono di compensato, uno specchietto per le allodole. Nel procurarsi le prove di questo artificio degli inglesi Faber si dimostra ancora una volta spietato e capace di uccidere con un’abilità e un sangue freddo non comuni. Ma Scotland Yard, nella persona dell’ispettore Godliman, è sulle sue tracce. Riesce persino a identificarlo tra i cadetti di una scuola di guerra nazista , vicino a Canaris. Ne ricaviamo il classico ritratto della spia di ghiaccio, dell’assassino senza scrupoli visto in molti romanzi e film. Freddo, solitario, senza scrupoli, Faber non è un nazista convinto. Svolge solo il suo lavoro e non sembra avere punti deboli. In realtà sguscia tra le maglie della polizia con una sorprendente abilità ma finisce per naufragare proprio a Storm Island. Qui comincia forse la fase più drammatica e meglio realizzata sotto il profilo della tensione di tutto il film. Faber ha poche ore a disposizione per segnalare con la radio del faro la sua presenza all’U-boat che dovrà recuperarlo. Se è pur vero che, rispetto al romanzo, Lucy, ormai amareggiata e disillusa dal matrimonio ma sempre animata da sentimenti di fedeltà coniugale, materna e patriottica, cede un po’ troppo rapidamente alle avances amorose di Faber, resta il fatto che il film rende più dinamica una vicenda che, sulla pagina, si dilungava forse oltre il consentito. Il triangolo amoroso Faber- Lucy-David ha esiti drammatici. Spinto da gelosia e diffidenza, David smaschera la spia tedesca e, malgrado la menomazione, gli crea un sacco di problemi. Alla fine Faber lo getta da una scogliera ma quasi controvoglia. Adesso sa di essere incamminato per un sentiero di morte. E, in quel preciso momento, malgrado il dovere, non lo vorrebbe, perché intuiamo che si è realmente innamorato di Lucy. Questa, dopo una breve illusione, scopre il cadavere del marito e capisce che l’uomo arrivato sull’isola è malvagio. In una notte di tempesta in cui per Godliman è impossibile raggiungere l’isola, si svolge un duello a distanza tra la giovane donna e la spia che, avvisato l’U-boat, ha anche ucciso il guardiano del faro. Qui si intrecciano diversi elementi di tensione. Faber e Lucy che pur si amano finiranno per uccidersi? Arriveranno prima i tedeschi a raccogliere la spia o gli inglesi a bloccarla? Il gioco è costruito con sufficiente abilità da farci dimenticare per un istante che la Storia è già stata scritta. Lucy in preda ai sensi di colpa, spinta dal desiderio di proteggere suo figlio e l’Inghilterra non esita agli atti più estremi. Quasi si fulmina nel tentativo di sabotare la radio, trancia due dita con un’accetta a Faber e, alla fine, impugna la vecchia Weabley del marito defunto e la punta verso l’amante che, all’alba corre verso la spiaggia per raggiungere il sottomarino tedesco.

Ma Lucy non può lasciarlo andare. Lo ferisce più volte e lo implora di fermarsi. Faber si lascia uccidere sulla barca a pochi metri dalla salvezza, forse ferito a morte da un sentimento che mai prima di allora aveva provato. “Mi piacciono le donne forti” disse Follett in un’intervista dell’epoca. Una frase che è diventata uno slogan nel lancio dei suoi romanzi d’avventura dominati da protagoniste intense e appassionate e che gli hanno valso un largo pubblico femminile in libreria e quindi raddoppiato il pubblico rispetto ad altri colleghi autori di romanzi dedicati più che altro a un pubblico maschile. Il film trova in Donald Sutherland ancora relativamente giovane un ottimo interprete. Aitante ma non superomistico, capace di una fissità nello sguardo da cui trapela una sofferenza interiore, ripesca a tratti caratteristiche di altri suoi famosi personaggi quali l’ispettore Klute e il killer protagonista di Unico indizio un anello di fumo ed evita gli ammiccamenti che lo hanno caratterizzato in Mash e nei Guerrieri. In pratica è l’epitome dell’assassino di pietra con un cuore ben nascosto. Uno stuolo di ottimi caratteristi come Ian Bannen e Kate Nelligan lo circondano in una ricostruzione storica che riesce a tender alta la tensione e a ricreare l’atmosfera cupa dell’Inghilterra nei tempi di guerra.

 

SCHEDA TECNICA Genere:Spie in guerra

La cruna dell’Ago (The Eye of the Needle)-USA, 1981- durata112’- regia di Richarrd Marquand- sceneggiatura di Stanley Mann dal romanzo di Ken Follett. Interpreti: Donald Sutherland: Faber- Kate Nelligan: Lucy- Ian Bannen: Godliman- Christopher Cazenove: David- realizzato da United Artist è distribuito in DVD nella collana MGM Classic.

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Visti con il Professionista: Nessuna Verità

gennaio 19th, 2013

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

NESSUNA VERITÀ

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A cura di Stephen Gunn

Nel 1987 David Ignatius pubblicò quello che credo sia uno dei migliori romanzi di spionaggio scritti prima della caduta del Muro, Agenti d’innocenza(Mondadori) . era una superba commistione delle atmosfere e dei ritmi di Le Carré con quelle di Forsyth con un occhio particolarmente attento a tutta la situazione mediorientale. In seguito la sua carriera di autore ha subito degli alti e bassi sino a un ritorno di buona qualità con questo Nessuna Verità che si presenta più lungo e articolato ( in alcuni tratti radicalmente differente) dal film realizzato da Ridley Scott. Il registra di Blade Runner riesce non solo a cogliere la capacità d’intrigo, le lotte intestine a tutti i servizi segreti e gruppi terroristici ( invidie personali, meschinità di carriera anche tra jihadisti…) ma imprime un ritmo moderno e visionario che fanno di Nessuna Verità uno dei miei film preferiti di questo ultimo anno. Ancor prima di addentrarci nell’analisi del film e nel riassunto della sua vicenda è importante notare che nessuna verità sottolinea sin dalle battute iniziali due precise realtà che trascendono il semplice racconto. La guerra al terrore in corso è combattuta, dice il pacioso ma astutissimo Ed Hoffmann a in una riunione della CIA, da un Occidente ipertecnologicizzato e un nemico ancora arcaico nei modi di vita ma irriducibile. L’estremismo musulmano cerca il califfato universale, non vuole trattare, ma si è anche accorto di avere di fronte un avversario dotato di mezzi tecnici superiori. Allora scompare.

Usa l’antico sistema hawallah di trasferimento del denaro (basato su semplici foglietti e strette di mano), smette di usare la e-mail, il cellulare. Sul campo di battaglia i campi si confondono e gli occidentali non vedono più il bersaglio. Il secondo punto riguarda la supremazia. Abu Salim, il jihadista di una cellula vagamente legata ad al – Qaeda responsabile di atroci attentati a Manchester e ad Amsterdam, si finge un uomo pio ma, in realtà, è assetato di potere come qualunque altro boss dello spionaggio occidentale. Più di ogni altra cosa teme di perdere popolarità, detesta anche solo l’idea che un altro guerriero di Allah possa rubargli la scena. Da questi presupposti parte una vicenda dove l’azione non manca. Ritmata, sanguinosa, ripresa con un eccezionale controllo dell’immagine. A essa si abbinano inseguimenti, pedinamenti, doppi e tripli giochi inseriti in un caleidoscopio di scenari che ci portano dall’Iraq dove la spy–story si confonde con la guerra vera e propria, ad Amman, con grattacieli e viali alberati confinanti con suk, vicoli infestati da cani rabbiosi e desolanti distese di rifiuti, a Washington sino a Dubai con la sua foresta di grattacieli. È il mondo globalizzato dove uomini e servizi sono alleati e avversari per quello che basta in una girandola che, per dirla come il titolo originale, crea un ‘ammasso di menzogne’ dalle quali è impossibile districarsi. Sull’ormai rodata formula della vecchia volpe al controllo Hoffman( Crowe che sembra prenderci gusto a recitare nei panni del grassone) e del giovane agente sul campo Roger Ferris ( Di Caprio con barbetta islamica e pistola rapida) si innesta un complesso piano eversivo che ha per posta la cattura di Abu Salim (che nel romanzo viene chiamato Suleiman), califfo del terrore non dissimile a Osama bin Laden nell’aspetto e negli atteggiamenti. Educato in Occidente, proveniente da una ricca famiglia araba Abu Salim è il califfo dei salafiti e sparge terrore in Europa per minare la sicurezza degli alleati dell’America.

È anche considerato un nemico dal governo che gli dà ferocemente la caccia nella persona di Hany Pasha, capo dei servizi molto britannico nei modi e nell’aspetto ma in realtà un feroce “strappa unghie”. Con lui Ferris deve stringere una pericolosa alleanza dopo il fallimento di una missione in Iraq che ha comunque fruttato la nozione che una casa nel centro di Amman è la centrale giordana di Salim. Hoffman, che trama e dispone a distanza, invece, gioca sporco. Vuol usare Hany Pasha ma non essergli leale. Errore, perché il primo tentativo di infiltrazione va a monte e diversi agenti ci rimettono la pelle. Morso da cani rabbiosi, Ferris fa a tempo a intrecciare una platonica relazione con Aisha, infermiera giordana di origini iraniane che rappresenta tutto ciò che di bello e affascinante il giovane agente trova in medio Oriente. Ma la guerra procede. Abu Salim deve essere catturato. Così Ferris crea una ‘leggenda’ con un complicato piano che prevede un finto attentato in una base americana in Turchia e la creazione di un pericoloso nuovo leader della guerra santa. Un architetto che non c’entra per nulla ma che viene usato come esca per attirare Abu Salim allo scoperto. Purtroppo ancora una volta mezze verità e antagonismi mandano in fumo il piano e l’architetto ci rimette la pelle. Sarà invece Hany Pasha a ordire il piano più diabolico fingendo di rapire Aisha per vendere Ferris ad Abu Salim. Lo sceicco del terrore non sta nella pelle all’idea di aver veramente catturato un agente della CIA da giustiziare, ma un infiltrato dei giordani scatena l’arrivo della cavalleria appena in tempo perché Ferris se la cavi con un paio di dita rotte e qualche livido in faccia. Salim viene arrestato dai Giordani che riaffermano la loro sovranità territoriale facendo fare una figuraccia agli Americani. Per Ferris che, malgrado tutto è un eroe,viene riservato un futuro da dirigente a Langley. Ma lui decide di mollare, di restare in oriente e di cercare di riconquistare con la sola forza della verità (e anche del suo faccino da Titanic…ammettiamolo) la bella Aisha. Hoffman scuote il capo ma capisce di averlo perso come agente. Il film termina con un distacco improvviso della sorveglianza satellitare. Il mercato dove Ferris sta acquistando dolcetti per la bella infermiera diventa uno scacchiere indistinguibile e si riduce a un punto che scompare sullo schermo. Collegamento chiuso. Interpreti assolutamente in parte e non soloi due protagonisti yankee. Hany Pasha è la quintessenza del moderno guerriero del deserto e di fronte al sorriso di Aisha è difficile restare insensibili. La riuscita del film è una perfetta combinazione di intreccio, simpatia generata dai personaggi, ritmo e azione sapientemente divisi tra intreccio e sparatorie e, ancora una volta, la totale capacità di Scott di cogliere in ogni strada, in ogni interno la luce più drammaticamente adatta alla narrazione. Da vedere e rivedere.


SCHEDA TECNICA. Genere: Guerra al terrorismo.

Nessuna Verità (Body of Lies)- USA,2008- durata 123’ – regia di Ridley Scott- sceneggiatura di William Mohanan, ispirato al romanzo omonimo di David Ignatius- interpreti Leonardo DiCaprio: Roger Ferris- Russel Crowe: Ed Hoffmann- Mark Strong: Hany Pasha- Golshifteh Farahani: Aisha. Realizzato dalla Warner Bros. è disponibile in DVD dal 2009

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Il giorno dello sciacallo & the Jackal

ottobre 24th, 2012

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

IL GIORNO DELLO SCIACALLO & THE JACKAL

A cura di Stephen Gunn

Frederick Forsyth e Il Giorno dello Sciacallo hanno cambiato i parametri del racconto di spionaggio e, in parte, anche i film che ne sono stati ricavati in epoche differenti lo hanno fatto. Forsyth ha imposto una narrazione di stampo realistico senza rinunciare alla suspense e alla spettacolarità. Lo ha fatto firmando per oltre trent’anni romanzi di ampio respiro, scritti con uno stile inizialmente disprezzato dalla critica ufficiale ma amatissimo dal pubblico. Uno piglio giornalistico, volutamente freddo e lontano da ogni partecipazione emotiva dell’autore alla storia che narra e ai suoi protagonisti. Uno stile narrativo che attorno al nucleo principale della vicenda, sempre estremamente ben documentato, costruisce un complesso mosaico di notizie, informazioni che sembrano stralci di biografie di uomini più o meno illustri, reportage di cronaca estera, notizie dell’ultima ora dei telegiornali. Romanzi come Dossier Odessa, L’alternativa del Diavolo, I mastini della guerra, Quarto protocollo e molti altri hanno ispirato il cinema ma, prima di ogni altra cosa, sono diventati dei classici della spy-story. Oggi Forsyth ha accorciato notevolmente il volume delle pagine di ogni sua storia e forse anche per lui gli anni e il passaggio del mondo dell’Intelligence a una nuova fase si fanno sentire. Sulla pagina scritta il suo stile ha fatto scuola ma sembra superato dai tempi. Nel 1971 quando uscì nelle librerie di poco seguito dal film omonimo di Fred Zinnemann Il Giorno dello Sciacallo divenne subito un classico. Della spy- story perché, malgrado l’assenza del classico duello tra servizi segreti, la vicenda era un intrecciarsi di azioni, mosse e contromosse dell’intelligence e dell’organizzazione anti gaullista(Organisation de l’Armé Secrète,OAS). Obiettivo l’eliminazione di un presidente scomodo che molti ex militari francesi dopo l’Algeria e l’Indocina consideravano un traditore della patria. E il film inizia proprio con la rievocazione di un avvenimento storico. Il 22 agosto del 1962 il colonnello Bastien -Thiry (giovanotto dal viso aperto portato sullo schermo da Jean Sorel) guida un attentato contro il presidente francese. Decine di colpi sparati ma nessun risultato se non il tracollo dell’OAS e l’esecuzione capitale di Bastien –Thiry. Rodin, vecchio capo del gruppo e un comitato direttivo di vecchi soldati si riuniscono segretamente sulle Alpi, a Vienna e infine a Roma presso compiacenti espatriati. Volinski, granitico ex legionario, bada alla loro sicurezza e, malauguratamente, ascolta un nome durante una riunione con un misterioso personaggio venuto dal’estero. Quel nome è “Chacal” lo Sciacallo, codice usato per identificare un killer a contratto. Affidare l’attentato a un professionista non conosciuto al Servizio di informazioni francese e non coinvolto emotivamente pare l’unica soluzione. Chi sia lo Sciacallo resta un mistero. Viene evocato il recente omicidio mai risolto di Lumumba in Congo, quello del dittatore Trujillo nella Repubblica Dominicana e si adombra che il biondo e gelidissimo professionista possa essere un inglese. Pagato l’anticipo lo Sciacallo si mette in azione programmando nei minimi dettagli un colpo che dovrà avvenire il 25 luglio dell’anno successivo durante la cerimonia di consegna delle medaglie agli eroi della resistenza, nell’anniversario della liberazione. I francesi non stanno con le mani in mano. Sorvegliando i capi dell’OAS rapiscono Volinski e lo torturano cavandone solo quell’enigamatico nome: “Chacal”. A questo punto il gabinetto dei ministri, di fronte al rifiuto del presidente di alterare la sua abituale routine di incontri, decide di affidare l’incarico al miglior detective della gendarmeria. Questi, per antitesi, sembra l’opposto dell’implacabile e affascinante killer a pagamento. Il commissario Le Belle ha il faccione di Michael Londsdale, vive in campagna con una moglie preoccupata che non faccia tardi a cena e, per svegliarlo quando lo chiama il ministro, gli torce i pollici. Scarpe grosse e cervello fino, Le Belle è guardato con malcelato disprezzo dai membri del consiglio dei ministri. Eppure si butta con ogni energia nella partita. In poco tempo riesce a risalire(grazie ai contatti con l’MI6 britannico) a un nome Charles Chaltrop, misterioso personaggio il cui nome anagrammato suona come sciacallo. L’uomo è introvabile ma nel suo appartamento c’è un passaporto. Perciò è chiaro che il sicario viaggia con documenti falsi. Qui comincia una doppia partita giocata con astuzia e grande capacità di Zinnemann di portare sullo schermo i complessi movimenti descritti sulla pagina da Forsyth. Lo Sciacallo in parte ruba e si procura vari documenti falsi, in parte ricorre all’aiuto di collaboratori esterni. A Genova incarica un falsario di procurargli i documenti necessari all’ultima parte del piano, le carte di un vecchio ex combattente che si infilerà in un palazzo prospiciente all’Etoile con un fucile particolarissimo, rimasto nella leggenda. Gozzi, armaiolo genovese, costruisce infatti un capolavoro di arte balistica. Un’arma di precisione con proiettili esplosivi, smontabile e celato in una stampella. Lo sciacallo non ha scrupoli. Elimina sia il falsario che cerca di ricattarlo che l’armaiolo, si allena sparando ai meloni sulle pendici del Monte Moro e si prepara a muoversi. Le Belle però non è rimasto con le mani in mano e ha ricostruito parte delle sue mosse arrivando al nome sul passaporto inglese richiesto a nome di un bambino morto trent’anni prima. Ma l’OAS ha anche altre carte al suo arco. La bella Denise, fidanzata di Bastien –Thiry, accetta di diventare l’amante di un ministro e informare i congiurati dei progressi della polizia. Benché, dopo aver passato il confine francese lo Sciacallo venga informato che i servizi di mezza Europa sono sulle sue tracce, per sfida e serietà professionale decide di continuare. E come Le Belle non si concede riposo, lo ScIacallo supera ogni difficoltà. Seduce una bella proprietaria terriera per procurarsi un rifugio per la notte, la strangola, ne ruba l’auto,ridipinge la propria sostituendone la targa, cambi nuovamente identità e prende il treno per Parigi con i panni di un maestro danese. Le Belle è sempre solo un passo indietro a lui. Arriva alla stazione di Austerlinz solo pochi minuti dopo. Pur braccato lo Sciacallo aggancia un omosessuale in un bagno turco e sparisce, ovviamente sopprimendo il suo incuto ospite. Le Belle che è stato quasi liquidato dal primo ministro vien richiamato in servizio e riesce a sorprendere tutti scoprendo la talpa nel ministero. L’anziano politico, roso dal rimorso si spara e la bella Denise finisce in manette. Ma lo Sciacallo resta sempre introvabile. In una sequenza memorabile per la tensione che genera con la dilatazione dei tempi della parata, seguiamo minuto per minuto le fasi della cerimonia in un gioco incrociato di accelerazioni e false piste, momenti di assoluta calma e infine nel lampo di genio che permette a le belle di individuare la postazione di tiro del sicario. Lo scontro finisce “da duri” con Le Belle che raccoglie il mitra del gendarme appena ucciso dal killer e chiude la partita con una scarica secca. Ma, colpo di scena finale, in Inghilterra riemerge il vero Caltrop che, evidentemente, non era il famigerato chile. E allora chi era lo Sciacallo? Un film pressoché perfetto nei tempi e nelle ambientazioni, con una sceneggiatura secca, priva di fronzoli centrata quasi esclusivamente sui due avversari che s’incontrano solo nei brevi e furiosi attimi decisivi della vicenda. Intorno a loro c’è una serie di set dalla Francia a Londra, alla riviera sino ai carruggi genovesi ricostruiti con meticolosa capacità di far parlare gli ambienti perché ci raccontino con la suggestione delle immagini quello che il regista ha dovuto tagliare dalla pagina scritta. Il Giorno Dello Sciacallo ha creato il mito del killer freddo e invincibile che poi si trasferirà nel terrorista professionale, un anti agente segreto del quale eredita la micidiale capacità di reagire con freddezza a ogni imprevisto e un fascino indiscutibile di fronte al quale la goffa testardaggine di Le Belle può solo ispirare simpatia.

Alla fine degli anni ’90 la produzione decise che era tempo per realizzare un remake del film di Zinnemann, le giovani generazioni lo avevano visto solo in qualche replica televisiva e, forse, non ci avevano capito granché. La situazione politica mondiale era cambiata, il modo di raccontare al cinema le storie di spionaggio e d’azione anche, c’erano nuovi eroi con volti nuovi. Ma l’impianto della storia con il killer gelido e inafferrabile ancora resisteva. Nel film The Jackal il romanzo originale non è neppure citato e la sceneggiatura è basata su quella di Ross. Eppure, per quanto discutibile per i puristi, l’operazione non fu né stupida né mal eseguita. Di certo i giovani di allora (e quelli di oggi temo…) l’OAS neanche sanno cosa sia. Il film inizia con un mix di immagini sulla storia della Russia dallo sventolare del vessillo comunista, Lenin che arringa la folla e gli squadroni a cavallo durante la guerra civile. In sottofondo: l’Internazionale. Pochi fotogrammi e le immagini corrono in fast-forward sino alla caduta del Muro, al golpe del ‘91, ai raid della maffya. Il commento musicale diventa techno, moderno, sincopato. E ci troviamo in una nuova era. In una discoteca di lusso a Mosca Gazzhi Murad, mafioso ceceno, fronteggia la milizia capitanata da l maggiore Valentina Koslova, sfregiata e impavida. Al suo fianco c’è il nero Preston della task force anti crimine che unisce l’FBI elle autorità della Nuova Russia. Nello scontro che ne segue Gazzhi viene ucciso da Valentina. Da Helsinki, proprio come i capi dell’OAS in esilio nel primo film., Terek Murad ordina a un sicario abilissimo e sconosciuto che porta il nome in codice di Jackal di eseguire un omicidio plateale e cruentissimo in America. Lo Sciacallo oggi ha il viso di Bruce Willis, nuovo idolo d’azione e, ovviamente, accetta. Si ripropone così la situazione del primo film e del romanzo. Un passaggio è quasi citato letteralmente. La cattura del portaordini dei mafiosi, che muore sotto i rigori dell’interrogatorio rivelando solo un nome. Lo Sciacallo. Ora, sia la CIA che il KGB si sono serviti in passato di questo killer apolitico, spietato e abilissimo ma nessuno è in grado di scoprirne l’identità. Lo spettatore è indotto a credere che il bersaglio sia il direttore dell’FBI ma, in realtà Terek ha programmato di uccidere la First lady durante una cerimonia pubblica. Nel frattempo lo Sciacallo segue il suo copione rinnovando solo qualche aspetto della storia originale. Chi ha l’occasione di vedere il film in lingua originale apprezzerà le caratterizzazioni che Willis ci propone per ciascuna delle sue personalità fittizie. In realtà segue alla lettera il copione originario spostandosi semplicemente in America. Al posto del fucile di precisione questa volta ordina un cannone ciclico che spara proiettili all’uranio impoverito. Si sbarazza di alcuni gangster che vorrebbero fregarglielo, giustizia l’armaiolo che qui è poco più di una macchietta ma seduce uno yuppy di Washington per procurarsi una copertura dopo aver attraversato il lago Ontario in barca a vela, con i capelli ossigenati, così giusto per darsi un tono bizzarro. La vera innovazione sta sull’altro fronte. La squadra dei suoi avversari si arricchisce di un elemento e di una carica di passione personale assente nel primo film. Preston e Valentina infatti sono risaliti a Isabella Zancona, una ex terrorista basca che si è stabilita illegalmente negli USA ma conduce una vita normale con tanto di marito e figli. Forse lei conosce lo Sciacallo. Ma per arrivare a lei l’agente di colore e la coraggiosa russa devono recupera da una prigione il suo amante. Richard Gere, brizzolato ma ancora aitante, fornisce il viso a Declan Malquinn che, oltre a essere stato amante di Isabella, conosce lo Sciacallo. Si innesta qui un conflitto personale perché Malquinn è stato venduto dallo Sciacallo anni prima e isabella, nel corso della stessa vicenda, è stata ferita e ha perso il figlio che aspettava da Declan. Tutto ciò lo scopriremo a poco a poco. Per proteggere isabella che ancora lo ama, Declan accetta di partecipare attivamente alla caccia allo Sciacallo e siccome il bel Richard un po’ di fascino lo mantiene anche con i capelli bianchi si capisce che la gelida Valentina arrivi a invaghirsene. Mentre la caccia prosegue con alterne vicende torniamo alla sceneggiatura originale con la talpa nella task force dei cacciatori, un colonnello russo scoperto esattamente come Le Belle smascherava il ministro francese. Intercettazione a tappeto di tutti i sospetti. A questo punto Declan e lo Sciacallo si affrontano sparandosi una prima volta sui moli del lago Ontario e il killer, per punirlo, devia dal suo piano lanciandosi in una cruenta rappresaglia nella casa di Isabella occupata da Valentina e dagli agenti americani. Isabella ha passato una chiave con il necessario per sparire a Declan che però non molla. Ormai la sua è una vendetta personale. Tanto più che lo Sciacallo spara una pallottola nel fegato a Valentina e le lascia un messaggio rivelatore diretto al suo nemico. “Non puoi difendere le tue donne”. Sembra una banale sfida ma Declan scopre il vero bersaglio. Il finale rispetto al primo film non risparmia i colpi d’arma da fuoco e gli inseguimenti. Lo Sciacallo perde la sua imperturbabilità ma finisce in una trappola che Declan e isabella gli hanno teso per vendicare il loro bambino. Tutto sembra finire bene anche se, come in passato, nessuno saprà mai chi era lo Sciacallo. Isabella torna nell’anonimato e Preston, ormai amico di Declan gira lo sguardo in modo che l’ex galeotto possa sparire. Un film d’azione, ben ritmato, recitato e scritto con la cura dei blockbuster americani della fine del ventesimo secolo. Non un capolavoro come il misurato film di Zinnemann ma un’onesta trasposizione nella nostra epoca di un romanzo classico.

SCHEDE TECNICHE. Genere: Guerra al terrorismo

Il giorno dello Sciacallo( The Day Of The Jackal)-Gran Bretagna-Francia,1975- durata 141’- regia di Fred Zinnemann- sceneggiatura di ken Ross dal romanzo omonimo di Frederic Forsyth- Interpreti.Edward Fox: Lo Sciacallo- Michael Londsdale- le Belle-Delphine Seyrig:Denise-jean Sorel:Bastien –Thiry –realizzato da Universal è disponibile in dvd in varie collezioni

The Jackal(id) USA ,1997- durata 119’- regia di Michale Caton-Jones- sceneggiatura di Chuck Pfarrer basata su quella di Ken Ross del film precedente- interpreti: Bruce Willis: Lo Sciacallo- Richard Gere: Declan Malquinn- Diane Venora: Valentina- Sidney Poitier: Preston- Mathilda May: Isabella- realizzato da Universal è disponibile in dvd in diverse collezioni

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Visti con il Professionista/27

febbraio 21st, 2012

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

THE SENTINEL

A cura di Stephen Gunn

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Beccarsi una pallottola al posto del Presidente non sempre apre un glorioso avvenire. Lo sa l’agente Pete Garrison che, vent’anni dopo aver salvato la pelle a Reagan è rimasto un semplice agente dei Servizi Segreti, addetto alla protezione personalità. Una leggenda ma senza ufficiali riconoscimenti di responsabilità. Bisogna ammettere che ha un caratteraccio e, con la ghigna di Michael Douglas con gli occhialini da Blues Brothers, non potrebbe essere altrimenti. Si alza alle 4 del mattino, fa ginnastica come un forsennato poi va alla Casa Bianca. E qui cominciano i suoi segreti. Prima di tutto una relazione con la moglie del presidente, Sarah Ballantine (Kim Basinger) e poi una travagliata amicizia con il collega di un tempo, l’inflessibile Breakenridge (Kiefer Sutherland) che lo stima ma anche lo odia, convinto che gli abbia sedotto la moglie. Ma, questa volta, Garrison è innocente. Ci sono però altri segreti, pericolosi, nei corridoi del potere. Un collega accenna vagamente a Garrison di volergli parlare e viene filmato dalle telecamere interne. Mentre i Servizi Segreti sono in subbuglio a causa di un presunto legame tra il cartello della droga di Barranquilla e Al-Qaeda che minaccia di tirare una ‘ bomba santa’, il collega di Garrison viene freddamente ucciso sulla porta di casa. Breakenridge che sta istruendo (compito ingrato…) l’affascinante Jin Marin (Eva Longoria qui poco ‘casalinga disperata’ e pronta a usare la pistola…) comincia a indagare e scopre che il defunto era preoccupato a causa di strane voci.

A quanto pare Garrison era al centro di una tresca amorosa alla Casa Bianca. Basta poco a Breakenridge per prendere fuoco e convincersi che le informazioni che denunciano un complice dei presunti attentatori nei Servizi conducano all’ex amico.

Peggio ancora, questo viene ricattato da qualcuno che sa della sua relazione con Sarah. E le cose non migliorano dopo una sparatoria in pieno centro durante la quale l’informatore sparisce e, nel frattempo, il Marine One(l’elicottero presidenziale) esplode, fortunatamente senza il capo dello Stato a bordo. Il pericolo è, come si dice in gergo, “real and present”. Garrison è anche caduto in un tranello recandosi a un appuntamento con i presunti ricattatori in un bar frequentato abitualmente dagli uomini del cartello di Barranquilla. Ciò, insieme a conti bancari appositamente ritoccati, getta su di lui il marchio dell’infamia. Resosi conto di essere nel mirino di una vera talpa nei servizi segreti, Garrison reagisce da vecchia volte dello spionaggio quale è. Scappa, fidando sul fatto che nessuno dei suoi colleghi avrà il coraggio di sparargli alle spalle. Jin, che è stata sua allieva all’accademia, infatti esita. E Garrison si dilegua nel buio.

Da quel momento fa il diavolo a quattro mettendo in atto ogni strategia possibile per confondere gli ex colleghi e cercare di recuperare i fili dell’intricata matassa. Perché, non dimentichiamolo, c’è realmente una talpa nei Servizi Segreti e qualcuno vuol servirsene per uccidere il presidente. Ma non si tratta né di Al-Qaeda né dei narcotrafficanti colombiani. Una cellula composta da tre agenti dell’ex KGB ora sicari del presidente islamico del Kazastan(repubblica più o meno immaginaria del Caucaso islamista) ricattano Montrose, supervisore dei servizi segreti in base a un vecchio legame con lo spionaggio russo. I Servizi Segreti americani hanno due funzioni. La lotta alla contraffazione della valuta e la protezione delle autorità politiche. Montrose è la persona più adatta a favorire un attentato ma, in cuor suo non vorrebbe tradire. L’attentato al Marine One è fallito per causa sua e anche se ha messo i colleghi sulle tracce di Garrison vorrebbe tirarsi indietro. Peccato che i tre russi minaccino di sterminargli la famiglia se non consentirà loro di penetrare la muraglia umana che circonda il presidente al prossimo G8 di Montreal. Nel frattempo Breakenridge e Garrison, si sfidano, si inseguono, si sparano e, lentamente, cominciano a sospettare di essere dalla stessa parte. È la confessione della relazione che la lega a Garrison, resa da Sarah a Breakenridge, a convincere quest’ultimo non solo di aver mal giudicato l’amico in passato ma anche di essere su una falsa pista.

Brekenridge, Jin e Garrison uniscono le forze e identificano i russi come i veri avversari. Non solo, grazie a un’astuzia di Sarah scoprono che la talpa è Montrose.

Drammatica resa dei conti al G8 canadese con una battaglia inseguimento nei meandri del palazzo che, seppure non chiarissima nel suo svolgimento, riesce a sciogliere ogni nodo della vicenda.

Montrose si fa uccidere, riscattandosi parzialmente, ma sono le forze riunite di Breakenridge e Garrison a salvare il presidente. Non solo, in un ultimo colpo di scena Garrison salva la First Lady dall’ultimo degli assassini. La loro storia d’amore non ha futuro ma Garrison diventa l’eroe del momento. Jin viene accettata nel gruppo e non più considerata una recluta e Breakenridge oltre a tornare amico di quello che ha considerato a torto un rivale, si riconcilia con la moglie.

Un thriller d’intrigo ma anche scandito da ottime scene d’azione e da un ritmo frenetico che deve molto alla serie 24 che all’epoca era un faro nelle storie di spionaggio televisive. Il personaggio di Breakenridge, interpretato da Sutherland sembra ricalcato su quello di Jack Bauer, protagonista della sere tv.

Si tratta di una vicenda inserita in un filone spionistico che si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni e che ha portato intrighi e doppi giochi tra le mura della Casa Bianca o comunque sul suolo americano. Condotto con mano sicura è anche un esempio riuscito di come il cinema possa dinamizzare un romanzo. La sceneggiatura infatti è basata abbastanza liberamente sul romanzo La sentinella(pubblicato qualche anno fa da Sonzogno) di Gerald Peitevitch. Il libro seguiva una direzione differente, con alcuni nomi e intrecci decisamente differenti . Il ruolo della relazione tra Garrison e la First Lady era preponderante e l’azione decisamente meno intrigante. Il film invece adotta un ritmo convulso, giocando al meglio le carte dei suoi interpreti tutti perfettamente in ruolo. In particolare è interessante notare come il Presidente, marito tradito ma non detestato dalla bella Sarah, risulti, in epoca Bush , un moderato, fermo nell’atteggiamento con i terroristi ma determinato a riguadagnare la simpatia del mondo agli USA con la diplomazia piuttosto che con i cannoni. Un film uscito in Italia a luglio, stagione infausta per il cinema, ma ripreso in seguito in dvd con un certo successo. Di sicuro uno dei migliori del filone negli ultimi anni.

SCHEDA TECNICA. Genere: Il nemico siamo noi

The Sentinel(id)-USA, 2007. Durata 104’- regia di Clark Johnston- sceneggiatura di George Molfi dal romanzo The Sentinel di Gerald Pietievich- interpreti. Michael Douglas: Garrison- Kiefer Southerland:Brakenridge- Eva Longoria: Jin Marin. Kim Basinger:Sarah Ballantine- Martin Donovan: William Montrose- Realizzato dalla Fox è disponibile in dvd dal 2008

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Visti con il Professionista/26

dicembre 20th, 2011

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VISTI CON IL PROFESSIONISTA:I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

A cura di Stephen Gunn

CASINÒ ROYALE- QUANTUM OF SOLACE

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Dimenticate tutto ciò che avete visto e letto. O meglio ricordatelo bene perché, alla fine, scoprirete che è cambiato tutto, ma non è cambiato nulla. “Non se ne vada, abbiamo bisogno di lei”, dice M al termine di Quantum of Solace e l’agente 007 sotto la neve di Kazan risponde gelido. “Non me ne sono mai andato”. Prima di tutto un concetto. L’uscita del DVD di Quantum of Solace stimola una visione congiunta al precedente episodio Casinò Royale perché si tratta di un’ unica complessa vicenda che si può cogliere in tutte le sue sfaccettature solo in questo modo. Secondariamente, dopo 20 film, anche la serie di maggior successo e longevità al mondo necessitava di un ripensamento. Questo senza togliere assolutamente nulla a tutto ciò che è venuto prima che inevitabilmente porta con sé grandissimi successi e momenti di stanchezza, influenze della moda cinematografica di alcuni anni che ora risultano superati, un distacco via via più marcato dall’opera narrativa di Fleming che, comunque, risaliva degli anni ‘50-‘60. Di fronte a quest’impresa per rivitalizzare il serial, conquistargli nuovi fan senza perdere i vecchi la produzione (Wilson – Broccoli, ossia i resti della famiglia del mitico Cubby lasciato a metà strada dal socio Saltzmann) dovevano affrontare una serie di insidiosi ostacoli. La memoria, il mito alimentato da milioni di fan nel corso di quattro decenni e più, una compagine di intenditori che, tuttavia, ha subito un naturale assottigliamento forse un ricambio generazionale. Il confronto con il passato è stato forse l’ostacolo più alto. Questo anche se il personaggio Bond è passato attraverso le mani di registi differenti, sceneggiatori, maestri d’arme, scenografi e registi che hanno tutti costruito un piccolo tassello della saga pur restando all’interno di un format ancora valido nella sua struttura base. Il problema è che molti appassionati hanno scambiato l’intelaiatura interna per l’esteriorità che ha subito nel corso degli anni influenze dettate dalle mode cinematografiche. In pratica, soprattutto durante l’ ‘Era Moore’ Bond, da apripista del cinema d’azione, diventava un prodotto che ricucinava a modo suo i successi nuovi del momento. Guerre Stellari, Indiana Jones, i road movie di John Badham, la Blaxploitation, persino il Kung Fu si possono ritrovare – spesso elaborati addirittura meglio degli originali – negli episodi dell’epoca. C’è stato un periodo intorno agli anni ‘80 in cui sembrava che il cinema d’azione fosse diventato un prodotto per bambini, accettabile dai ‘grandi’ solo se condito di dosi sempre più massicce di ironia e umorismo sino a trasformare Bond nella caricatura di se stesso. Che tristezza vedere Moore emergere dal sottomarino-coccodrillo e fare allegre battute mentre estrae la spada dalla bocca di un fachiro in Octopussy, film tra l’altro particolarmente ben riuscito in altri momenti in cui la tensione prendeva il sopravvento come l’inseguimento con i gemelli lanciatori di pugnali sul treno nella Germania ovest. Evitiamo di parlare del ridimensionamento del ruolo di ‘sciupafemmine’, punto di forza negli anni ‘60 ma non politicamente corretto venti anni dopo … ed ecco il Bond di Dalton con l’occhio sdolcinato e una sola avventura per film … Certo Brosnan aveva ridato smalto al personaggio anche se al centro di vicende forse sin troppo d’azione, senza intrigo e in qualche modo di routine. Personalmente ho sempre ritenuto che il ritmo delle sceneggiature, le trovate sceniche dei film di Bond fossero per gli anni ‘60 in anticipo di diversi decenni su tutto il resto della produzione. Guardando l’inseguimento sulle paraslitte di Il mondo non basta (girate a mio avviso con scarso mordente nel taglio delle immagini e un commento musicale non adeguato) sembrava di vedere un prodotto televisivo poco convinto. Tutto da rifare?Apparentemente sì , secondo il marketing e l’ufficio stampa ma, alla fine, la vera ossatura bondiana, quella legata ai romanzi originali di Fleming era l’unica soluzione per cambiare tutto senza cambiare nulla che era poi la quadratura del cerchio cercata dai produttori. Casinò Royale e Quantum of Solace sono l’equivalente che ha riportato interesse per la figura dell’uomo pipistrello con Batman Begins e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro. Risalire alle origini del mito collegando fili, fornendo spiegazioni sottese, recuperando ciò che c’era di autentico e mescolandolo con la nostra epoca, la situazione politica radicalmente cambiata e il cinema d’azione sviluppatosi in uno spettacolo molto simile al videoclip musicale del quale proprio non si poteva non tener conto.

Primo fattore. I romanzi di Fleming erano storie della Guerra fredda , a volte più politicamente ispirate ( Dalla Russia con Amore) altre virate verso l’avventura a tutto tondo (Si vive solo due volte) o il noir(Una cascata di diamanti, La spia che mi amò). Insomma Fleming, che era stato giornalista e uomo di intelligence ma soprattutto protagonista del suo tempo, bon vivant, lettore, seduttore e solitario nell’animo, aveva creato una miscela che solo un disattento poteva scambiare per reazionaria. Il cinema, per motivi squisitamente commerciali, accentuò il risvolto avventuroso e apolitico. 007 divenne il raffinato personaggio che Terence Young ricavò dell’eroe dei romanzi forgiandolo a sua immagine e fu proiettato in un mondo di tecnologia spesso esagerata, di bellissime donne, alberghi lussuosi e luoghi da favola. Elementi presenti nei romanzi e nella vita di Ian Fleming, ma non in via esclusiva. Il nero dell’anima, l’anarchismo di fondo di James Bond restarono nei romanzi e si stemperarono in … uno spettacolo per tutti, al cinema. Oggi la Guerra fredda è un ricordo di vent’anni fa, il terrorismo internazionale, la finanza della morte hanno cambiato radicalmente ‘ l’ambiente della spia’, paradossalmente avvicinandolo ad alcuni schemi narrativi presenti in Fleming ed esasperati in alcuni dei film precedenti. Occorreva saperli impiegare nella misura corretta. Forse ‘il pazzo che vuol dominare il mondo’ è ormai un cliché sin troppo usato, ma è credibile l’esistenza di una organizzazione ramificata, corporativa ed extrastatale che persegue il propri fini in maniera, surrettizia e invisibile. Come la Spectre. Come il Quantum. Per esplicito convincimento della produzione la storia del ‘nuovo Bond’ poteva ricominciare daccapo ma non essere un remake di quanto già visto. I film già girati restano una leggenda. Prova ne è Mai dire mai che scimmiotta Operazione Tuono, in alcuni momenti anche in modo divertente, ma lascia l’amaro in bocca … quello del confronto.

Si doveva partire quindi da soggetti originali rielaborati. Casinò Royale era quindi la scelta più logica. Oltre a un telefilm in bianco e nero molto americano(Bond in un paio di battute è chiamato ‘Jim’) ne era stata realizzata una versione farsa sulla quale non sto neanche a soffermarmi. Casinò Royale, oltre essere stato il primo romanzo di Fleming era anche inedito. Perfetto per una nuova partenza. Si trattava in effetti di una storia di Guerra fredda scaturita dalla fantasia di Fleming in seguito a un’esperienza personale vissuta nel secondo conflitto mondiale. La celebre scorribanda di Fleming al casinò del’Estoril, in Portogallo, con l’intento di sbancare gli agenti nazisti che vi andavano a giocare è nota. Bond perse tutto ma ritenne uno spunto per una storia che avrebbe sviluppato molti anni dopo. Le Chiffre, agente della Smersh russa e banchiere dello spionaggio anti occidentale veniva affrontato in una partita di carte e di nervi sulla costa azzurra. Vi si trovava delineato il mondo di Bond, le caratteristiche psicofisiche ma anche i lati oscuri. Conoscevamo Vesper e Mathis e la vicenda, dopo una minuziosa ricostruzione di una partita a carte subiva uno scatto in accelerazione, mostrandoci crudi metodi di tortura (presenti nella novelization ma non nel film La spia che mi amava , scritto da Christopher Wood). E, alla fine, la realizzazione della ferocia del mondo delle spie, delle sue leggi ineluttabili che non permettono di fidarsi di nessuno, né di sbagliare. “La puttana è morta”concludeva Bond con una delle chiusure più riuscite di tuta la narrativa noir del secolo scorso, fedelmente riportata anche nel film del 2006.

Da qui si partiva per ricostruire il Bond degli anni 2000 un personaggio che, prima di tutto doveva conquistare un pubblico nuovo senza deludere il vecchio. Uno che doveva poter indossare lo smoking senza apparire fuori moda e poco trendy.

Daniel Craig, all’inizio contestato, sembra la scelta peggiore e invece si rivela la mossa vincente. Craig è fisico, duro, biondo, meno alto ma prestante. Indossa gli abiti eleganti fatti su misura perché la sua compagna di lavoro e collega considera non adeguato lo smoking da sera che già possiede. In effetti ancor più che nel forsennato parcour (disciplina d’inseguimento senza trucchi importata dalla Francia dove è stata lanciata dal gruppo Ymakasi ) delle prime scene, Bond si delinea in un dialogo con Vesper a bordo del treno che li porterà in Montenegro. Bond non è uno snob. Veste con capi firmati solo perché è convinto che chi è ricco si vesta così ma porta quegli accessori con sufficienza, senza scordarsi di avere goduto di un’educazione superiore solo per i buoni uffici di qualche parente. È uno che si è dovuto guadagnare ciò che ha (Cosa veramente? Una licenza doppio zero acquisita con due omicidi brutali e a sangue freddo? Il diritto di godere di donne e piaceri sinché non deve rischiare la vita?) con sangue sudore e lacrime. È un eroe dark. Vicino al gusto del pubblico più giovane che lo vuole dinamico, violento, adrenalinico. Però riesce a conquistarsi anche i fan del Bond più puro perché in pochi accenni vediamo scorrere nella memoria le note biografiche stese come necrologio della sua presunta morte al termine del romanzo Si vie solo due volte dal suo capo M.

M. appunto. Judi Dench, incarnazione femminile del potere è tutto ciò che resta della famiglia allargata del ciclo precedente. Q, Moneypenny, le varie incarnazioni di Bill Tanner cambiano o scompaiono. Persino Felix Leiter l’amico della CIA cambia pelle e sembra più un rapper di un G-man. Ma Judi Dench resta M. Forse perché dopo Bernard Lee nessuno era in grado di sostituire la vecchia figura di padre vicario del ‘vecchio’ Bond. Non per nulla in Quantum of Solace Bond si concede una battuta riguardo al fatto che la nuova M ami pensare di essere sua madre. Genitrice severa quanto il vecchio capo ma disposta a difenderlo in pubblico quanto a bacchettarlo in privato. Un fortissimo legame sia con la serie cinematografica precedente che coni romanzi che necessitavano di questo dualismo tra 007 e il suo capo. Chissà cosa ne penserebbe Fleming? In effetti, ai tempi dell’inserimento della Dench nella serie il servizio segreto inglese era effettivamente guidato da una donna … Adattare Casinò Royale per il cinema, in realtà, presentava qualche difficoltà oltre alla necessità di rivedere e attualizzare la saga, facendola ripartire dall’inizio. Il romanzo, almeno, nella sua prima parte, è una riuscita ma molto letteraria raffigurazione dell’ambiente del casinò e della partita con le sue fasi alterne. Già il testo, letto oggi presenta pur nella sua misurata scansione narrativa un ritmo non inseribile nelle attuali linee editoriali avventurose che impongono azione dalla prima pagina.

Sullo schermo tutto deve procedere ancor più velocemente e la necessità di mostrare il viso nuovo e adrenalinico di Bond impone una “pre missione” totalmente nuova che si agganci alla vicenda principale. Forse per questo Casinò Royale è il più lungo film di Bond mai realizzato, quasi due ore e mezza. Cominciamo da… 00 . Praga, un palazzo moderno in netta contrapposizione con l’iconografia classica della capitale ceca. Ascensori con sostegni tubolari, modernità. Eppure neve, un bianco e nero che sa d’antan. Bond smaschera un residente del servizio scoperto a vendere segreti. E contemporaneamente un flashback che lo mostra durante il primo dei due omicidi richiesti per diventare agente doppio zero. Un bagno squallido con un avversario lercio. Una scazzottata violenta, ottimamente coreografata ma spettacolare più per l’impressione di violenza e brutalità che per la tecnica. Niente karatè o mosse da arti marziali anni ‘70. Per la verità le sequenze close combat dei film di Bond sono sempre state attente a mescolare realismo, violenza e spettacolarità. Ma è proprio l’ambiente, un bagno pubblico che si sbriciola letteralmente sotto i colpi dei due nemici a creare subito l’impressione che il nuovo agisce in un mondo dove non sarà un gadget sofisticato o una battuta a toglierlo dai guai. Il suo primo nemico muore “male” e il secondo peggio. A sangue freddo. La sezione doppio 00 si delinea per ciò che è. Una squadra di assassini.

E poi di corsa in Madagascar. Un’altra sequenza dove Bond suda, sanguina, uccide e forse commette anche l’errore di uccidere un pesce piccolo invece di pensare al quadro più ampio come lo rimbrotta M al suo ritorno. Però trova una traccia e inceppa il piano di Le Chiffre. Questi ci viene presentato per brevi scene. È un agente lui stesso di una potenza occulta di cui Mr. White è enigmatico burattinaio ma non capo. La sequenza in Uganda tra bambini soldato, guerriglieri, pioggia battente ci invia un altro importante messaggio. Il mondo in cui Bond si muove è quello dello spionaggio di oggi. Il denaro ha sostituito l’ideologia, le manovre finanziarie (l’allusione alle speculazioni seguite all’11 settembre sono più che evidenti). Ancora una volta ‘ sembra’ tutto differente. Ma la seconda sequenza in cui vediamo Le Chiffre perdere lacrime di sangue durante il poker, lo yacht con la bionda, i giocatori,il lusso ci ricordano che, infine, il mondo non è cambiato. È solo passato del tempo. E Bond, fedele al suo modello di agente capace di analisi e ragionamento oltre che di violenza, segue testardamente una pista. Intercettazioni via internet, navigatori, passaggi al computer. Fumo negli occhi. La tecnologia che una volta sembra fantascienza oggi è a portata di tutti. Il modo in cui viene usata crea tensione, però. La sezione della storia tra le Bahamas e Miami non è avaria di emozioni care agli appassionati bondiani. Lo stesso glamour di Solange, dell’albergo sulla spiaggia rimandano alla vecchia serie mentre il folle inseguimento con l’autobotte sulla pista di atterraggio e l’attentato fallito proiettano Bond nel presente e, al tempo stesso, creano l’antefatto necessario al nodo centrale. La partita. Le Chiffre ha perso i soldi dei suoi clienti terroristi. Per sfuggire alla loro vendetta e a quella della sua organizzazione deve giocare d’azzardo. A questo punto siamo già catturati, il ritmo può rallentare, farsi più disteso come un viaggio nelle foreste del centro Europa mentre scopriamo particolari psicologici sul protagonista e il suo vero interesse sentimentale: Vesper. Vesper è una donna speciale. È la femmina che provoca e compete con Bond, la donna che porta il nodo d’amore algerino al collo,che gli contesta il suo ego ma che è palesemente già sua. Meno scontato il contrario. Eppure a poco a poco è esattamente quello che avviene. Prima (o forse dopo,la finzione cinematografica mescola le carte) di Tracy Draco, Bond ama Vesper .

Alla fine in maniera così disperata da non rassegnarsi a perderla. E qui inizia la trasposizione del romanzo nella cornice del Montenegro che suggerisce un’Europa balcanica nella memoria dello spettatore. In realtà il Montenegro oggi è uno scenario devastato. Quello che vediamo è un attento collage di ambientazioni ceche usate sia negli interni che negli esterni. Una cornice sofisticata, asburgica che contrasta con le immagini ultramoderne iniziali e le ruvide atmosfere africane. Qui al casinò, in uno scenario che ha qualcosa di ‘asburgico’ Bond ritrova tutto il suo glamour perché senza quello l’evidente matrice basata sul successo dei film dedicati a Jason Bourne dai romanzi di Ludlum interpretati da un sin troppo giovane ma dinamico Matt Damon, avrebbero cancellato il mondo di Bond. A questo punto s’impone un’osservazione sulle luci. Nei film della prima serie, soprattutto quelli con Connery, imperava un’illuminazione artificiale tipica di quegli anni con colori molto staccati, tanto da sembrare artificiosi. Senza accorgersene lo spettatore percepiva ancor più che dallo svolgersi della storia, che il mondo di 007 era parallelo ma non coincidente al nostro. Era larger than life come il suo eroe. E accettando il gioco tutto diventa possibile dai gadget all’azione più funambolica. Oggi il cinema non si fa più così. Le sequenze d’azione sono più rudi e filmate con un montaggio più frenetico e la luce ci appare quasi naturale, senza artifizi. Realtà e fiction si avvicinano anche nella percezione sensoriale. In realtà non è esattamente così. Le luci del nuovo Bond sono moderne, quasi vere ma ugualmente “lavorate”. Basti pensare alla sfumatura più calda dell’inseguimento iniziale di Quantum of Solace a Limone sul Garda che al cinema appariva abbastanza simile a quella di quei giorni (credetemi c’ero…) segnati dalla pioggia. Nel DVD c’è un alone più caldo che cambia totalmente la percezione dello spettatore. Allo stesso modo tutta la sequenza del casinò riporta la storia in un ambiente raffinato dove la sceneggiatura porta sulla pellicola la partita in tutte le sue fasi, necessariamente dilatate. Il poker sostituisce il baccarat, ma le fasi del gioco sono abilmente intersecate da momenti personali che vedono soprattutto delinearsi i rapporti tra Bond e Vesper. E naturalmente Mathis, animato da un eccezionale Giannini, collega, amico, forse traditore. Mentre il gioco procede con alti e bassi bond ha modo di battersi con un gruppo di terroristi venuti a intimidire Le Chiffre, spiegarci il dosaggio del suo famoso cocktail, finire quasi avvelenato (qui viene sostituita la trappola del bastone animato utilizzata invece nel cortometraggio americano con Barry Nelson e presa dal romanzo ) . Alla fine il defibrillatore diventa il gadget che i nostalgici chiedono a gran voce. Leiter recita il suo ruolo di alleato che permette a Bond di rientrare in gioco nel momento in cui tutto sembra perduto. Visi fortemente caratterizzati ci introducono nel mondo dei giocatori professionisti. La modella Verushka, Nancy Kwan, un nero che potrebbe essere il fratello di Mr. Big, un giapponese dalla lunga chioma bianca, altre facce che sfilano ma restano imprese come esterni ed interni del casinò. Alla fine Bond vince e si permette anche alcuni brevi intermezzi che, senza necessità di digressioni, mostrando la personalità, i dubbi che si abbinano al carattere di Vesper, al suo segreto celato nel nodo d’amore algerino che porta al collo. Poi la vicenda riprende con la scoperta del presunto tradimento di Leiter e una sequenza di incidente stradale da antologia.

Alla fine la tortura, feroce, sadica al limite dell’ambiguità sessuale. La faccia sporca dello spionaggio, mai vista nella serie precedente ma presente sia nel romanzo di Fleming che nel corto con Nelson (dove Le Chiffre sta per amputare un dito del piede di Bond che urlava scosso dalla sofferenza). Ma anche qui la sceneggiatura attinge sapientemente dal romanzo creando un “contro climax”. Contrariamente alle regole del filone il nemico principale di Bond muore a venti minuti dalla fine. Ucciso da Mr. White che così ci dimostra che il vero avversario è un altro. Un’organizzazione per ora indefinita e senza nome, spietata con i propri agenti che sbagliano e diabolica con gli avversari. Bond è ferito nel corpo e nell’animo. Recupera le forze in uno scenario da favola italiano e conquista per sempre la bella Vesper. Le scena sulla spiaggia mi hanno ricordato il medley musicale della storia d’amore tra Bond e Tracy in Al Servizio di Sua Maestà ma certamente l’epilogo veneziano ripesca suggestioni cinematografiche di Dalla Russia con amore. Torna il passato, l’uomo con la benda nera e , amaramente, Bond viene travolto dal turbine di odio e passione di fronte al tradimento di Vesper. La sequenza veneziana che si conclude con la morte di lei è tra le più strazianti della serie. ripescata ormai priva di vita, Vesper lascia una nuova ferita sul viso di Bond. Ma gli lascia un ultimo regalo proprio quando 007 riallaccia i rapporti con l’MI6 e pronuncia la famosa frase( “la puttana è morta”) quasi per autoconvincersi. Scopre un indizio sulle motivazioni che hanno spinto Vesper a tradire e una traccia che lo porta, ancora una volta in uno scenario italiano fuori dal tempo, Mr. White. Gli spara in una gamba e recupera il denaro sottratto. E dopo due ore e mezza di attesa si annuncia con il fatidico “Il mio nome è Bond, James Bond”. E a questo punto ci rendiamo conto di essere solo al principio.

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Quantum of Solace recupera il titolo di un racconto inserito in Solo per i tuoi occhi, una short story che dimostra quanto Fleming non si considerasse vincolato dal format dell’avventura seriale. Bond è solo un testimone di un racconto dove non c’è violenza o spionaggio, solo un’amara considerazione sulla vita di coppia.

Il film comincia a tutto gas, proprio dove era terminato l’episodio precedente come per sottolineare la ricostruzione del mito. Vorrei ricordare ancora una volta che l’ambiente fisico in cui inizia l’inseguimento NON È realmente Limone sul Garda. È un luogo di quella geografia indefinita che rende l’universo di Bond parallelo al nostro. Tra sparatorie, incidenti, primi piani, ombre e luci, si passa dal lago alle cave di Carrara sino alle strade medioevali di Siena dove il palio è un elemento di caratterizzazione ma estraneo alla vicenda. È il set italiano con le gallerie di mattoni, i tetti di coppi, un’atmosfera vagamente gotica che importa. L’immagine è funzionale allo svolgimento della vicenda. E questa ci fornisce dopo una buona dose di adrenalina alcuni elementi importanti. Prima di tutto scopriamo che anche Mr. White è un ingranaggio di un’organizzazione che potrebbe essere la nuova Spectre.

In effetti il Quantum è qualcosa di ancor più sfuggente, quasi non viene nominato nel corso del film. Sappiamo che è una piovra tentacolare, invisibile persino agli apparati di intelligence perché li ha infiltrati. Profondamente. Non solo perché una delle guardie del corpo di M si rivela un killer disposto a sparare sulla ‘signora’ per favorire la fuga di Mr. White, ma perché, come scopriremo in seguito, del Quantum fa parte anche il consigliere del Primo Ministro. Il tradimento e la corruzione vengono a minare l’immagine della famiglia allargata inizialmente evocata per mostrare l’MI6 nella prima serie. Trevelyan di GoldenEye era un incidente di percorso, un agente uscito dagli schemi per una vendetta personale. C’è, ovviamente una ragione per questo inserimento che non deve sfuggire allo spettatore attento. Sicuro, immediatamente dopo c’è un altro ‘parcour’ che ci mostra un Bond adrenalinico e psicologicamente quasi fuori controllo per il desiderio di vendicare e capire Vesper ma la ragnatela di inganni è destinata a portarci a un dialogo tra Bond e Mathis rimasto inedito in tutta la serie cinematografica e che oggi s’impone. La storia procede giocando abilmente con le nuove tecnologie, gli interni algidi e modernissimi e gli scenari “sporchi” di Haiti. Si profila una nuova missione e un nuovo agente del Quantum. Dominique Greene, finto ecologista in realtà manovratore di colpi di stato. Entra anche in scena la sensuale Kurylenko che incarna la tipica Bond Girl in cerca di vendetta, c’è persino il volto marcio della CIA affiancato però a quello leale incarnato da Leiter. Il Quantum sovvenziona terroristi ma, abilmente, la sceneggiatura si tiene lontano dal Medio Oriente come un tempo faceva con la Guerra tra blocchi. Interessi economici giocati a discapito dell’ambiente, dittatori sadici sono obiettivi e nemici che tutti possono apprezzare senza essere costretti a schierarsi politicamente. La vicenda procede con un abile incastro di azione sincopata e di indagine che dai caraibi ci porta a una delle mie sequenze preferite. L’infiltrazione di Bond all’incontro segreto del Quantum nella cornice futuristica del teatro dell’opera di Bregenz e con la sua mise en scene alternativa della Tosca, la sparatoria senza suoni sono uno dei punti più alti del film. Ci rivela molto del complotto in atto e, soprattutto, delle sue diramazioni che arrivano a portare Bond ‘fuori’ dal suo stesso servizio. Non è la prima volta , è vero, ma in questo caso Bond può far ricorso solo all’amico con cui ha un conto in sospeso a livello personale. Mathis lo ritroviamo ancora una volta in Italia, in pensione, parzialmente compensato per le torture subite ingiustamente dai ‘buoni’, ma carico di amarezza. E qui arriva, direttamente dalle pagine di Fleming, l’osservazione su come, passando gli anni, amici e nemici si confondano. Il rapporto tra Bond e Mathis è intenso, psicologicamente difficile e perfettamente inquadrato in poche battute. Mathis perderà la vita tra le braccia di Bond. “Vogliamo perdonarci?”

Basta una frase per suggellare un ’amicizia virile che dieci scene di dialogo non avrebbero saputo ricreare meglio. In verità Bond è diventato come il deserto di Atacama dove, assieme a Camille(la Kurylenko) cerca le prove della colpevolezza di Greene. È divorato dall’odio e dalla sete di distruzione. Un atteggiamento che costa indirettamente la vita a una giovane agente che finisce ricoperta di petrolio come Jill Masterson moriva placcata d’oro da Goldfinger. Ma di tempo per le rievocazioni proprio non ce n’è. Affiancato solo da Camille, Bond sfugge alla CIA e grazie a un indizio fornitogli da Leiter affronta i suoi nemici in un albergo modernissimo, un incubo nel deserto. La partita contro il Quantum è vinta anche questa volta ma il trionfo non è totale. Bond e Camille non finiscono neppure sotto le lenzuola,ognuno consapevole degli incubi dell’altra e rispettoso dei sentimenti reciproci. Epilogo a Kazan, in Siberia, dove il falso fidanzato di Vesper si appresta a tendere un’altra trappola a una giovane agente canadese. Bond lo ha rintracciato e … ha un conto in sospeso da chiudere.

Non sappiamo ciò che avviene tra i due ma, quando Bond emerge nella notte siberiana trova M e la informa che l’uomo è ancora vivo. A quel punto getta il famoso nodo d’amore algerino che ha tenuto come feticcio della sua vendetta per tutto il secondo film e annuncia “Non sono mai andato via”. Partita chiusa? Non ancora ma il ciclo delle origini si può dire concluso. Certamente ritroveremo il Quantum e Mr.White e altri nemici, altre donne, altre emozioni e nuovi scenari, ma la formazione della leggenda è ormai completa.

Nel rispetto di una tradizione riscritta con attenzione.

Schede tecniche. Genere spie d’assalto

Casinò Royale (id)-USA-UK2006- durata 139’- regia di Martin Campbell sceneggiatura di Neal Purvis, Robert Wade e Paul Haggis dal romanzo omonimo di Ian Fleming. Interpreti . Daniel Craig: James Bond- Eva Greene. Vesper Lynd- Giancarlo Giannini: Mathis-Mads Mikkelsen: Le Chiffre. Realizzato da Columbia, Eon Pictures è disponibile dal 2006 in edizione mono disco e de luxe in doppio disco

007 Quantum of Solace(id) USA-UK-2008- durata 109’- regia di Marc Forster- sceneggiatura di Neal Purvis, Robert Wade , Paul Haggis, ispirato al racconto Un quantum di sicurezza pubblicato nella raccolta Solo peri tuoi occhi di Ian Fleming. Interpreti. Daniel Craig:James Bond- Olga Kurylenko(Camille)- Mathieu Alamlric: Dominic Greene- Giancarlo Giannini: Mathis- realizzato da Columbia,Eon Pictures è disponibile dal 2009 in edizione a disco singolo e de luxe a disco doppio

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Visti con Il Professionista/25 – Ronin

agosto 21st, 2011

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Visti con Il Professionista/25 – Ronin

A cura di Stephen Gunn

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L’accostamento dei samurai senza padrone (i Ronin del Giappone feudale) e gli agenti segreti senza più una guerra dei blocchi da disputare non è casuale. Malgrado le apparenze che mascherano questo action –movie diretto con mano felice da John Frankenhiemer da gangster-story si tratta di una riflessione sulla Guerra fredda in un’epoca in cui lo scenario mondiale dell’intelligence doveva ancora subire la trasformazione indotta dall’11 settembre 01. Nei vicoli di una Parigi notturna, ‘antica’ che rimanda al cinema di Melville quanto agli intrighi del conflitto tra i blocchi, si aggirano uomini pericolosi. Mercenari sembrerebbe, agenti segreti rimasti senza padrone dopo la caduta dei blocchi e ridotti a vendere la propria abilità in guerre clandestine di cui nessuno comprende realmente il senso o le parti in causa. Reclutati dalla misteriosa Deidre (nome irlandese ma che significa?) Sam, Vincent, Larry, Spencer e il russo Gregor devono preparare un colpo. Rubare una misteriosa valigetta di metallo a un gruppo di ex militari arroccati tra una villa e un albergo alla moda di Nizza. Non si conoscono i mandanti e la valigetta, per lo spettatore scafato, si rivela essere da subito un ‘McGaffin’, termine gergale per indicare un oggetto feticcio, da tutti bramato ma del quale alla fine non è importante conoscere la reale natura. La preparazione del colpo, i rituali di sfida virile tra veri professionisti e velleitari duri come l’inglese Spencer (che si spaccia per ex SAS ma viene smascherato e buttato fuori dall’operazione senza neppure la dignità di una pallottola) questo importa. Un mondo senza ideali popolato da uomini che portano sul volto storie di lunghe guerre nell’ombra. Gente di cui è meglio non fidarsi a cominciare dai trafficanti d’armi parigini che dovrebbero fornire il materiale ma sono pronti a sparare per tenersi il malloppo e la mercanzia. Oppure la stessa Deidre che sembra manovrata da un oscuro personaggio,Seamus, rivoluzionario in fuga dai suoi stessi capi. Ed entrano in gioco anche i russi, ex agenti diventati mafiosi, capitanati dal luciferino Miki che protegge una celebre pattinatrice sul ghiaccio (la vera Katarina Witt) reclutata in funzione di un finale clou girato con 2000 comparse all’arena Zenith di Parigi. È un mondo fatto di ombre doppi giochi dove tutti hanno vecchi contatti, informatori, amici pronti ad aiutare e tradire, conti da regolare. Sam, l’americano, sembra un reduce deluso ma diventa presto la mente del colpo attirando anche un ambiguo interesse di Deidre. Gregor il russo sembra in un ingegnere esperto di computer eppure ha riflessi prontissimi, una ferocia fuori dal comune e quando si tratta di correre e sparare non è secondo a nessuno. Comincia così un gioco al massacro che, dietro una trama apparentemente semplice basata su un semplice colpo, ingarbuglia le carte richiedendo allo spettatore non avvezzo al genere qualche sforzo per seguire tutti i fili della vicenda. L’ambientazione esclusivamente francese (ma dilatata dalle periferie parigine a Nizza , alla campagna sino all’anfiteatro di Arles) suggerisce un tono melanconico,una sensazione di rimpianto che si coglie nei dialoghi quanto nell’accompagnamento musicale. Tutti sembrano rimpiangere la Guerra fredda con le sue apparenti certezze. Non manca l’azione che si sviluppa fondamentalmente in due inseguimenti in auto (uno dei quali a Parigi con inevitabile incursione nel tunnel dell’Alma… siamo nel 1998, appena un anno dopo la morte della principessa Diana). Scene d’azione dove si ricorre ancora con parsimonia alla computer grafica e le auto sgommano, si capottano, si sfasciano davvero. C’è anche pane per chi ama sparatorie, pestaggi,e una memorabile sequenza in cui De Niro, ferito al fianco, dirige Jean Reno (Vincent) in un’operazione chirurgica che avrebbe ucciso chiunque. In questo frammento s’inserisce di prepotenza la retorica cui fa riferimento il titolo. In fuga, nei guai, traditi da tutti, Sam e Vincent si rifugiano in casa da un altro vecchio agente segreto francese in pensione con il viso di Michael Lonsdale e la passione delle miniature storiche. È lui a raccontare a uno scettico Sam la leggenda dei 47 samurai rimasti senza padrone che vendicano il signore tradito e poi si uccidono perché non hanno più un ideale da seguire. Sam (De Niro) finge indifferenza ma, alla fine, dimostrerà di essere il vero e unico agente ancora in servizio. È un infiltrato della CIA, infatti, e più della valigetta vuol mettere le mani su Seamus, ultimo superstite degli irriducibili dell’IRA, ostacolo al raggiungimento della pace tra irlandesi e governo britannico. Sam è un personaggio sfaccettato che si svela attraverso sorriso, battute, azioni. Un agente che ama le pistole d’epoca (parlando della vecchia Colt 1911 dice :“Ha servito bene il mio Paese”) dimostra di essere emotivamente sensibile alla bellezza algida di Deidre tanto che, ad affare concluso, indugia nel bar dove il gruppo si è incontrato la prima volta sperando di rivederla. Vincent, forse legionario, forse agente della DGSE ora mercenario gli ha salvato la pelle e ha stretto con lui un legame di solida amicizia virile, sostenuta dalla consapevolezza di essere ‘ operai’ e non ‘ dirigenti’ in un mondo che, anche virato al nero, conserva gerarchie di potere spietate e rigidamente separate. Vincent, alla fine, resta il personaggio più simpatico, più umano, quello che disillude l’amico dicendogli che quella ragazza non la rivedrà mai più e che si allontana pensando che il loro mestiere è fatto di “Niente domande, niente risposte, bisogna accettarlo e andare avanti”. Per la verità è stato girato anche un finale alternativo disponibile nella versione DVD in cui Deidre cerca di tornare al fatidico bar per ritrovare Sam ma viene rapita da misteriosi personaggi ma il regista ha deciso di non inserirlo nella versione per le sale. Scelta equilibrata perché il film resta così secco, romantico ma solo per allusione. Violento ma senza compiacimenti se non qualche minuto di troppo durante il secondo inseguimento. Resta comunque uno specchio della spy-story non solo del periodo pre-guerra al terrore ma anche dei tempi moderni in cui molti servizi si sono riorganizzati dietro pretese ideologie politiche. I Ronin, gli agenti, sono soldati. L’insistenza a parlare di lavoro e non di politica è voluta. Se i meccanismi del tradimento, della suspense, del doppio e triplo gioco restano quelli di sempre come il feticismo per armi e macchine,i ruoli si confondono. Le spie russe vestono con abiti eleganti,gli agenti dell’occidente si nascondo in alberghi male in arnese, ma che importa? Frankenheimer firma il suo penultimo film regalandoci una grande prova servita da attori in parte e da un budget che permette di unire spettacolarità a riflessione. Decisamente un film da ricordare e certamente modello dell’evoluzione del filone negli anni successivi.

SCHEDA TECNICA. Genere: guerra fredda

Ronin(id) regia di John Frankenheimer- Usa 1998-durata 121’- – Sceneggiatura originale di J.d. Zeik e Richard Weist con una collaborazione non accreditata ai dialoghi di David Mamet.- interpreti :Robert de Niro:Sam- Jean Reno:Vincent- Stellang SkarSgard: Gregor- natashsa McElhone:Deidre- Jonathan Pryce: Seamus – disponibile in DVD in diverse collane dal 1999.

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