Visti con il Professionista/4: 007 – Dalla Russia con Amore

marzo 17th, 2009

Tags: , , , , , , , , , , , ,

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

007 – DALLA RUSSIA CON AMORE

A cura di Stephen Gunn

spy-cine-03-007-dalla-russia-con-amore.jpg

Tra i classici del cinema di spionaggio Dalla Russia con amore (1963) era una scelta obbligata anche se, per successo e popolarità, quasi tutti gli episodi interpretati da Sean Connery sono diventati pilastri del genere. Eppure è in questo film, per certi versi anomalo rispetto al format della serie di spionaggio più duratura e famosa nel mondo, che ritroviamo tutti i segni distintivi dell’intero filone dedicato ai super agenti d’assalto. Il romanzo originale si svolgeva in piena Guerra fredda e dedicava una lunga introduzione al mondo dell’intelligence sovietica. Al cinema l’elemento politico è sfumato. Lo 007 dei film nasce per essere uno spettacolo d’intrattenimento e avventura per tutti ed è sempre stato attento a non prendere posizioni politiche “pericolose”. Benché incentrato sul furto di un decodificatore Lektor in possesso dei Russi all’ambasciata di Istanbul, la sceneggiatura inserisce di prepotenza la SPECTRE creando un nuovo “blocco” apolitico, criminale, terroristico che si rivela ben più organizzato e pericoloso del KGB. Film anomalo sin dalle prima battute, dicevamo. James Bond… muore infatti nella serrata scena d’apertura, ucciso con la garrota celata nell’orologio da un biondissimo Robert Shaw nei panni di Grant, assassino psicopatico, modello per moltissimi altri avversari. Ovviamente non è il vero Bond a lasciarci la pelle, lo rivela una maschera sotto la quale vediamo una ‘cavia’ umana con tanto di baffi, giusto perché lo spettatore abbia chiara la situazione. Dopo questo “ colpo” però il nostro eroe non appare sulla scena per più di 15 minuti, tempo cinematografico lunghissimo. In questo frammento vediamo costruirsi una tela di ragno intorno a 007 che viene sempre evocato e acquista forza con il profilarsi degli avversari. La SPECTRE, che, se vogliamo, è quasi un abbinamento tra la Mafia e Al Qaeda, è incarnata con una trovata geniale dal suo misterioso capo di cui vediamo solo le maniche accarezzano il mitico persiano bianco. Poi c’è Kronsteen (Vladek Sheybal, altro viso notissimo in quegli anni nel filone), l’orribile Rosa Klebb (Lotte Lenya) e Red, Grant. Questi, statuario e micidiale, fino alla fine segue non visto dall’eroe le fasi dell’operazione. L’idea di inserire la sua presenza minacciosa alle spalle dell’ignaro Bond è forse il vero tocco di genio della sceneggiatura rispetto al romanzo. La tensione sale aggiungendo emozioni alle ambientazioni esotiche. Negli anni ‘60 il pubblico non ha ancora la possibilità di viaggiare con facilità e anche un semplice spostamento aereo verso la Turchia assume la valenza di un sogno. Tra gli elementi che caratterizzeranno non solo la serie dedicata a 007 ma tutto lo spionaggio scritto (su Segretissimo in particolare) e filmato di quegli anni, l’esotismo giocherà un ruolo paritario all’intreccio. Sin dai suggestivi titoli di testa giocati sul corpo voluttuoso di una danzatrice del ventre agli angoli più pittoreschi di Istanbul, lo spettatore è trascinato in un universo lontano, pericoloso, che confina con quello della grande avventura tout court.

Video – Titoli di testa

Le versioni rimasterizzate della pellicola rendono giustizia ai vecchi quartieri di case di legno, alle moschee e ai bazar, alle ville sul Bosforo e anche agli interni retrò, tutti rigorosamente in legno, dell’Orient Express. Se a questo aggiungiamo un intrigo che, per una volta è prettamente spionistico ed evita raggi della morte e folli alla conquista del mondo, ben si capisce perché Dalla Russia con amore resti un film amatissimo anche da chi ha saltuariamente frequentato il genere. La punta avvelenata nella scarpa di Rosa Klebb, i pesci siamesi da combattimento, il decifratore Lektor (che assomiglia moltissimo alla famosa macchina Enigma usata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale) forniscono quel tocco di strabiliante tecnologia che ben si equilibra con l’esotismo dell’ambientazione. Ovviamente è il ritmo dell’azione a catturare lo spettatore. Connery sempre più è a suo agio nei panni del Bond concepito dal regista Terence Young, leggermente differente dall’eroe cupo di Fleming. Più bon vivant, più distaccato e ironico, non rinuncia a una certa dose di cinismo con donne e avversari. Per l’epoca la violenza è spesso molto esplicita, ne è prova il duello a mani nude con Grant, a bordo dell’Orient Express, che resta uno dei migliori “pezzi” d’azione della serie. L’intrigo per rubare il decifratore, umiliare e compromettere un famoso agente inglese attirando nella famosa “trappola del miele” grazie alla sontuosa Tanya Romanova (un’italianissima Daniela Bianchi in perfetta aderenza alla spia russa sinceramente non dotata di mente acutissima ma certamente invitante!) funziona come un meccanismo di precisione. Questo grazie a una sceneggiatura firmata da Richard Maibum che integra dove necessario il ritmo della narrazione con battute e scene d’azione assenti nel romanzo. L’inseguimento sui motoscafi e lo scontro uomo contro elicottero (ispirato a Intrigo internazionale di Hitchcock!) chiariscono la differenza tra il racconto romanzato e l’esigenza di creare uno spettacolo cinematografico incalzante. Per la verità tutti i primi film della serie 007 appaiono oggi dotati di una capacità di strutturare gli avvenimenti e inanellare i fatti molto superiore per le pellicole del loro tempo. Se tutto ciò, a volte, va a scapito della coerenza e del realismo è bene ricordare che il mondo di Bond, come lo vediamo sullo schermo, è solo simile al nostro. In realtà tutti, eroi e “cattivi”, vivono a una velocità superiore, illuminati da luci che esaltano ogni colore, ogni sfumatura.

È un po’il trucco, vincente della serie, concesso, è doveroso ammetterlo, da un gran dispendio di mezzi economici ma anche di talenti. Per quanto si siano realizzate delle ottime imitazioni (una su tutte la serie dedicata a OSS117 diretta da Andrè Hunebelle) nessuna è mai riuscita a creare un così perfetto abbinamento di elementi diversi. Siamo a grande distanza dallo spionaggio realistico, cupo di LeCarré, ma lo spionaggio avventuroso si regge sulla sospensione dell’incredulità, sulla capacità di trovare glamour anche negli scenari più squallidi quali potrebbero essere un accampamento di zingari o una fogna sotterranea. Una menzione particolare va alla scelta degli interpreti che sono parte integrante del “look” della vicenda. E nella girandola di intrighi, agguati, appuntamenti clandestini che ci regala Dalla Russia con amore, ci piace concludere rendendo omaggio a Pedro Armendariz che, già gravemente ammalato, recita con brio la parte di Kerim Bey, residente dell’MI6 a Istanbul. Armendariz non vedrà la fine delle riprese ma porterà a termine senza una smorfia tutte le sue scene. Come non citare la famosa battuta che accompagna l’eliminazione del killer Grilenku mentre scappa da una botola ricavata dalla bocca di Anita Ekberg su un manifesto. “Ferito o meno, devo premerlo io quel grilletto”. E James Bond cede, per una volta, il centro dell’azione al suo comprimario.

SCHEDA TECNICA. Genere: Agenti d’assalto

 

Agente 007 dalla Russia con amore(From Russia with Love),1963, diretto da Terence Young. Sceneggiatura di Richard Maibum dal romanzo di Ian Fleming. Durata : 135’ – Sean Connery :James Bond – Robert Shaw: Red Grant- Daniela Bianchi : Tanya Romanova- Pedro Armendariz : Kerim Bey- Lotte Lenya: Rosa Klebb- Realizzato da United Artist. Dal 2001 la MGM ha diffuso in DVD numerose versioni rimasterizzate e ricche di interessanti extra di tutta la serie. La più famosa risale al 2006 in occasione del ventunesimo film della serie, offerta con una valigetta simile a quella che si vede proprio in questo film.

Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista | commenti 4 Comments »

Visti con il Professionista/3: Spy Game

marzo 10th, 2009

Tags: , , , , , , , , , ,

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

SPY GAME

A cura di Stephen Gunn

spycine-04-spy-game.jpg

Praticamente un “bigino” sulla storia dello spionaggio dagli anni ‘70 al ‘91. Con la caduta dell’URSS sembrano cadere i blocchi e la ragion d’essere dello spionaggio come è stato inteso durante la Guerra fredda. Ma gli uomini sanguinano e non si rassegnano. Soprattutto ad abbandonare gli amici. Perché questo film, diretto con un’eccellente controllo di ogni singola immagine da Tony Scott, è soprattutto una storia d’amicizia tra il vecchio agente Nathan Miur (Redford) e il suo giovane e bizzoso allievo Tom Bishop (Pitt). Di mezzo c’è un pezzo di storia, tutto il marcio del mondo dello spionaggio e i suoi compromessi e anche una donna, Elizabeth Headley ( Catherine McCormack), pomo della discordia in un’operazione che da professionale si trasforma in un massacro.

 L’inizio sembra Mission Impossibile. Nel carcere di Sou Chu, in Cina, un gruppo di agenti della CIA si fingono medici per vaccinare soldati e reclusi nel corso di un’epidemia di colera. Invece Bishop sta realizzando una rocambolesca operazione per recuperare la donna che ama, venduta dalla CIA ai cinesi. Ne combina di tutte ma viene catturato.

Non basta, l’operazione l’ha concepita da solo e, a meno che Langley non lo dichiari agente catturato in azione, sarà giustiziato entro ventiquattro ore.

 Alla sede della CIA cercano ogni pretesto per lasciarlo alla sua sorte. Cina e USA sono al tavolo di un delicato meeting economico e nessuno vuole scandali.

 Nathan Miur dovrebbe avallare la linea dei pezzi grossi confermando che Bishop è solo un assassino. Ma, nel suo ultimo giorno prima della pensione, Miur proprio non ce la fa. Contro tutto e tutti, in particolare un odiossissimo funzionario in giacca e cravatta – simbolo del potere costituito – Miur ingarbuglia le carte.

Mentre in sala riunioni rievoca la storia di Bishop sin dal suo reclutamento in Vietnam, fa di tutto pur di salvargli la pelle. Arriva a impiegare fondi propri e a organizzare un’operazione clandestina che porterà alla liberazione di Bishop ed Elizabeth all’ultimo minuto. Ma il fulcro del film è la ricostruzione (con qualche piccola imprecisione. L’azione a Berlino è introdotta da un brano dei Dire Straits che risale a cinque anni dopo…bazzeccole!) delle principali azioni nere della CIA durante la Guerra fredda. Bishop e Miur si conoscono a Da Nangm in Vietnam, e la vecchia volpe della CIA prova subito stima per il ragazzino dalla mira infallibile e la faccia da fotomodello.

Bishop vive con il suo “spotter” locale in una zona riservata del campo, mangia cibo vietnamita e questo dettaglio rivela in lui doti innate. Sul campo il suo odore si fonde con quello del nemico. Con sottile abilità Miur manipola Bishop a Berlino prima isolandolo poi offrendogli un posto nell’Agenzia.

Primo in addestramento sul campo, Bishop è sin troppo umano. Al punto di contravvenire alle regole dell’amico mentore. Dopo una furiosa lite in seguito a un’operazione dai due lati del Muro(che atmosfera…) passiamo al blocco centrale della vicenda. Beirut, anni ‘80. Scott fotografa una città in fiamme dove la CIA fa e disfa, progetta attentati tra cannonate, colazioni sotto il tiro dei cecchini, campi profughi e infidi alleati. Compare la bella Elizabeth, militante schierata con un brutto conto da regolare con i Servizi cinesi. L’omicidio dello sceicco Salameh (uno degli autori della strage di monaco, sfuggito al commando del Mossad… presente anche in Munich di Spielberg) viene ricostruito con precisione, mescolato a rovelli e contrasti personali. Miur ammonisce il suo protetto di mantenere un distacco professionale da Elizabeth. Niente da fare.

 Li vediamo salutarsi, i due amici, con freddezza e rimpianto in partenza per differenti destinazioni. Bishop non sa che la CIA ha deciso di “regalare” Elizabeth ai cinesi e che, dell’ignobile baratto, è responsabile Miur. In una scena tagliata nella versione per le sale ma presente negli extra del DVD, vediamo Miur costretto a prendere la difficile decisione. In sala intuiamo la verità da uno scambio di sguardi tra lo stesso Miur e Troy, il vice direttore della CIA, che, alla fine, gli copre le spalle proprio perché l’agente ormai in pensione si assume la responsabilità di quella porcheria. Il film è tutto un intreccio tra tradimenti, senso del dovere, amicizia, amore e ben calibrate scene d’azione. Se pure l’operazione “Cena fuori” con cui Bishop viene salvato dalla Delta Force Americana abbia qualcosa di poco realistico in una vicenda al contrario improntata sul realismo, resta uno dei migliori film di spionaggio degli ultimi anni. Redford in particolare gioca al meglio la sua faccia rugosa che lo spettatore si è abituato negli anni a identificare come quella di un paladino dei diritti civili. Inevitabile il rimando a I tre giorni del Condor e a Tutti gli uomini del presidente.

Brad Pitt ha ancora il cipiglio del ragazzino selvaggio di “L’ombra del diavolo”, ma l’accoppiata con Redford funziona meglio di quella con Harrison Ford. Catherine McCormack è particolarmente aderente al ruolo della “pasionaria”, occidentale innamorata delle cause nobili e perse, non immune al fascino fanciullesco di Pitt. Siamo lontani dal fascino perverso che aleggia intorno alle figure femminili nei film di spionaggio ma è una presenza femminile di peso che un po’ ricorda Diane Keaton in La Tamburina.

L’azione intercalata tra presente e passato, tra i labirintici uffici di Langley e ben ricostruite location d’ambiente aggiunge valore a una sceneggiatura essenziale ma perfettamente lineare nel suo svolgimento.

Di tutto il film, però, la sezione più interessante risulta la ricostruzione della guerra civile in Libano, uno scenario che credevamo appartenere al passato, alla Guerra fredda appunto, ma che in questi tempi è tornato tristemente di attualità.

 

SCHEDA TECNICA

Genere: Guerra fredda

SPY GAME (Spy game, USA, 2001)- regia di Tony Scott- Sceneggiatura originale: Michael Frost Beckner e David Arata- Durata 122’- Robert Redford : Miur – Bradd Pitt: Tom Bishop- Catherine Mc Cormack: Elizabeth Headley . Realizzato dalla Universal, il Dvd è reperibile dal 2002 in varie versioni a uno o più dischi.

 

 

Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista | commenti 5 Comments »

Visti con il Professionista/2: The Bourne Identity

febbraio 19th, 2009

Tags: , , , , , , , , , , ,

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

THE BOURNE IDENTITY

A cura di Stephen Gunn

spy-cineo2-the-bourne-identityscale.jpgRobert Ludlum (1929-2001) è stato forse uno dei più prolifici e amati scrittori di spionaggio del ventesimo secolo… e forse lo è anche nel ventunesimo, se consideriamo la decina di volumi scritti da abili professionisti (tra i quali Eric van Lustbader, Gayle Linds e Patrick Larkin) ma che recano il suo nome. Un marchio di fabbrica di un filone spionistico basato su intrighi quasi kafkiani, molta azione e un continuo rovesciamento di fronti. Un nome senza volto fu pubblicato nel 1981 e rappresenta forse il suo capolavoro. Ebbe, in quegli anni, anche una riduzione televisiva molto fedele con Richard Chamberlain e Jacklyn Smith, ma il personaggio di Jason Bourne, killer senza memoria e umanissima “macchina “ per uccidere in rivolta contro i suoi stessi burattinai, è tornato al successo solo nel 2002. The Bourne Identity di Doug Liman ha riscritto le regole dello spionaggio cinematografico, lanciato presso il grande pubblico un nuovo eroe e rivitalizzato tutto il filone. Dei tre film finora realizzati con il personaggio(The Bourne Supremacy, 2004, e The Bourne Ultimatum, 2007) è quello che presenta maggiori analogie con il romanzo originale. Non solo, la storia è meglio equilibrata tra azione e indagine e le frenetiche sequenze girate con la macchina a mano, impronta d’autore di Paul Greengrass (autore dei successivi capitoli) non sono ancora presenti, a tutto vantaggio della scorrevolezza del racconto. Certo, rispetto al romanzo le variazioni sono molte, ma il trascorrere degli anni nella spy-story è particolarmente importante. Un nome senza volto raccontava la storia di un agente infiltrato che, per stanare lo Sciacallo (terrorista solo vagamente ispirato al “vero” Sciacallo) creava un sicario fittizio per attirare il suo bersaglio allo scoperto. Nel corso di un’operazione finita male, Bourne veniva ferito e gettato in mare. Ripescato al largo di Marsiglia, si scopriva senza memoria. Unico indizio: un numero di conto cifrato in Svizzera inserito sottopelle. Nell’adattamento del romanzo originale di degli sceneggiatori Gilroy ed Herron, sparisce lo Sciacallo e lo smemorato si ritrova al centro di una complessa trama di inganni e omicidi. Sicario programmato con il lavaggio del cervello, si è lasciato distrarre dal viso di una bimba e ha mancato il suo bersaglio, uno scomodo politico africano. Nel tentativo di comprendere chi è, Bourne risale una labile traccia da Zurigo a Parigi, incontra una “ragazza selvaggia” di cui s’innamora e scopre di essere la pedina di un programma chiamato Treadstone. Ovviamente è una sezione segreta della CIA finalizzata all’omicidio politico. Concklin (che nei romanzi di Ludlum è il mentore di Bourne) qui diventa il suo peggior nemico. Cos’ha di diverso The Bourne Identity da moltissimi film del filone basati sul complotto? Prima di tutto una innovativa carica di violenza e un look delle scene d’azione decisamente più aggressivo della media. Le sequenze di lotta a corpo a corpo, le sparatorie e gli inseguimenti in auto sono altrettanto improbabili di quelli proposti da un film di James Bond ma hanno un taglio più ruvido e violento. Agli occhi dello spettatore, probabilmente, più realistico. Azzarderei che il recente restiling dei film di 007 ne abbia risentito. Poi, per la prima volta, un film di spionaggio diventa un prodotto per il pubblico giovane che, negli anni, ha preferito diversi filoni relegando le storie di spie allo scaffale dedicato ai “vecchi”. Il merito è certamente di Matt Damon, francamente non credibilissimo nel primo episodio, ma certamente in grado di smuovere una fascia di spettatori più giovane di entrambi i sessi. La presenza di Franka Potente e di Julia Stiles inserisce le immancabili figure femminili della spy-story, proponendone una versione più moderna e meno stereotipata della “fatalona”cui siamo abituati. In effetti tutto il film sembra una lotta tra giovani confusi, a volte violenti ma decisi a trovare la verità e un oscuro mondo di cospirazioni popolato da “adulti” cui Chris Cooper (Concklin) e Brian Cox (il suo capo Abbott, cattivo anche nel secondo episodio) danno un volto convincente. l’ambientazione praticamente tutta europea conferisce quel tocco esotico (per il mercato USA…) che ha sempre caratterizzato lo spionaggio classico. Anche in questo caso Marsiglia, Parigi, Zurigo, la campagna francese fotografati d’inverno, lividi di giorno e baluginanti di luci arancioni di notte, creano un set che si discosta molto dal glamour dei modelli più noti. Banche, centrali operative stipate di monitor, alberghi di lusso non mancano ma non c’è compiacimento nel modo in cui sono ritratti. Bourne corre, lotta, sanguina all’interno di androni bui, indossa abiti consunti, si muove in un mondo che preme psicologicamente contro di lui, isolandolo. Non c’è necessità di gadget fantasiosi. I sofisticati sistemi di comunicazioni sul cui funzionamento la storia insiste in questo come nei successivi episodi, sono solo versioni leggermente più avanzate di quel materiale che anche noi possiamo acquistare in qualsiasi negozio. Una trovata particolarmente indovinata è l’inserimento degli “assett”, delle risorse umane dell’organizzazione Treadstone. Sono killer come Bourne, sottoposti ad addestramenti massacranti che possiamo solo immaginare, e a un lavaggio del cervello che li ha resi quasi delle macchine. Disponibili in ogni parte del mondo, si celano tra noi, ma basta un messaggio sul cellulare per scatenarne una ferocia quasi sovrumana. L’abilità in combattimento, il fascino della quasi invincibilità ha un prezzo. Per Bourne che si ritrova di colpo a combattere tra due personalità opposte ma anche per i suoi avversari. Memorabile è il confronto nelle campagne invernali chiazzate di neve sporca con il sicario venuto a eliminarlo. Questi ha il viso quasi sconosciuto, per i tempi, di Clive Owen. Forse la sequenza migliore di tutto il film è il loro duello a fucilate nei campi. Ferito a morte Owen manifesta un’empatia ricambiata verso Bourne. Entrambi sono coscienti di essere macchine, ma strumenti umani usurati. Owen si lamenta di martellanti emicranie, dell’insofferenza ai fari. Che lo faccia in punto di morte con una scarica di pallettoni nel ventre e riesca a scambiare un sorriso con Bourne è una trovata che umanizza i personaggi.

Totalmente privi di morale e disumani sono invece i capi; sia Concklin che continuamente parla di ‘fare pulizia’ con totale sprezzo della vita umana, che il vecchio Abbot. Questi, vista la mala parata, fa eliminare lo stesso Concklin, cancella ogni prova dell’operazione Treadstone e, allo stesso tempo, presenta al Congresso un progetto con identiche finalità mascherandolo da programma di addestramento. E la partita ricomincia.

 

SCHEDA TECNICA

Genere: Il nemico siamo noi

The Bourne Identity(id) del 2002 diretto da Doug Liman. Sceneggiatura :Tony Gilroy e William Blake dal romanzo di Robert Ludlum. – Durata:113’ – Matt Damon: Jason Bourne – Franka Potente: Marie Kreutz: – Chris Cooper: Concklin. Brian Cox : Abbott. Julia Stiles: Niki. L’assasino:Clive Owen- – realizzato dalla Universal disponibile in DVD dal 2003.

Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista | commenti 7 Comments »

Visti con il Professionista/1: Chiamata per il Morto

febbraio 10th, 2009

Tags: , , , , , , ,

VISTI CON IL PROFESSIONISTA: I CLASSICI DEL CINEMA DI SPIONAGGIO

CHIAMATA PER IL MORTO

A cura di Stephen Gunn

spy-cine-01-chiamata-peril-morto.jpgEsordiamo ripescando un piccolo capolavoro tratto da un spy-story d’annata, firmata da maestri del genere. Il romanzo “Chiamata per il morto”(The Deadley Affair) di John LeCarré era del 1961, Sidney Lumet lo diresse nel 1966. Siamo in piena Guerra Fredda ma anche nel momento di maggior fulgore del cinema di spionaggio nella sua versione spettacolare. Sono gli anni, infatti, di James Bond-Sean Connery, quelli in cui Segretissimo con le copertine stuzzicanti di Carlo Jacono vendeva decine di migliaia di copie… ogni settimana.

Apparentemente il film di Lumet va contro corrente rispetto alla moda glamour-avventurosa del momento. Racconta una storia di spionaggio senza eroismi, apparentemente poco esotica, una caccia alla Talpa che si svolge nei quartieri più proletari di Londra (i pub e le autofficine di Battersea, la zona dei moli sul Tamigi) e sfiora solo a volo d’aquila gli uffici del Foreign Office e un centralissimo teatro londinese dove si svolge la scena culminante della vicenda. Eppure anche nei personaggi, così disperati, volutamente “squallidi” ci sono non azzardate somiglianze con il filone ispirato a 007. Difficile da credere? Charles Dobbs (James Mason) è il nome del personaggio che, nel romanzo, è George Smiley, l’ometto grigio, eroe di tutta la saga di LeCarré. Da buona spia ama mimetizzarsi ma non si capisce bene la ragione di cambiarne il nome nel film. Dobbs è un uomo non più giovane, vecchia spia inglese, ligio al dovere e implacabile nella lotta al Comunismo che, all’epoca, è ancora il più odiato e principale avversario di Sua Maestà. Dobbs non ha le qualità atletiche di 007 e la sua vita sentimentale è un fallimento. La giovane moglie Ann (Harriet Andersson) è una ninfomane pronta a gettarsi nei letti di chiunque, eppure ambiguamente legata al marito. La disillusione dell’amore per una donna più giovane è una delle costanti narrative di LeCarré e il rapporto tra Smiley (Dobbs) e Ann sarà il tema portante di tutti i suoi romanzi. Però… Dobbs (lo chiameremo così per rigore verso il film in oggetto) ha un rapporto quasi sadomasochista con la moglie alla quale arriva a perdonare tutto e, così facendo, riesce sempre a portarla di nuovo a casa. Ma le debolezze personali di Dobbs sono controbilanciate dall’estrema efficienza nel lavoro. Contro le spie avversarie il “piccolo ometto grigio” è spietato, implacabile esattamente come 007. Si serve di altre armi perché in queste storie la violenza non è così spettacolare. Ma, alla resa dei conti, smascherato l’agente nemico che ha cercato anche di fregargli la moglie solo per depistalo, Dobbs diventa una furia. Pur con un braccio rotto si batte con ferocia ed elimina l’avversario. E mostra un’identica freddezza quando smaschera una rete di spie o tratta con superiori inetti, preoccupati solo di non alterare il sistema di alleanze ed equilibri tra i dipartimenti. Il Servizio segreto visto come l’apparato burocratico di una grande azienda: questa è la visione di Le Carré riportata anche in questo film. Il capo è un vanesio soprannominato nei dipartimenti rivali “Marlene Dietrich”, pronto a coprire tutto e a rinunciare a capire pur di non sollevare polveroni. E Dobbs si costruisce un suo esercito personale con “vecchi rottami” come l’agente in pensione Mendel o giovani inesperti quale Appleby che ne rispettano il carisma anche a rischio della vita. La vicenda è, come molte storie di spionaggio britanniche, ispirata alla più grande paura dei servizi inglesi del dopoguerra. L’infiltrazione dei Russi nei loro organici. La storia di Philby e McLean, reclutati nelle università dal partito comunista negli anni ‘30 e rivelatisi dopo la guerra efficientissime spie del KGB, fu uno scandalo che allontanò USA e Gran Bretagna per anni alimentando una voragine tra i rispettivi servizi. Qui una lettera anonima getta su un funzionario inglese il sospetto di tradimento. Dobbs indaga scoprendo null’altro che un passato di giovanili simpatie per la causa marxista. Ma l’uomo viene ritrovato apparentemente suicida nel corso della notte. Facile accusare Dobbs di aver tartassato inutilmente un innocente. Qui scatta lo spirito guerriero del vecchio agente che comincia scoprire incongruenze (la sveglia telefonica predisposta dall’assassinato che dà il titolo al film), l’ambiguità della vedova (Elsa, con il viso di Simone Signoret) , un misterioso Biondo che comincia a pedinare lo stesso Dobbs per Londra. In più nella sua vita ricompare brevemente l’affascinante Dieter Frey (Maximilian Schell), agente di Dobbs in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Il suo giudizio sembra velarsi perché al giovane Dobbs è realmente affezionato e il tradimento di sua moglie proprio con Frey rischia di mescolare le carte in tavola. Ma sono il senso del dovere a tutti i costi, la freddezza a dispetto di ogni sentimento che consentono a Dobbs e ai suoi aiutanti di intrappolare la vera Talpa e il suo “controllo”. Senza addentrarci troppo nei dettagli della trama per non rovinare il piacere a chi volesse rivedere questo film da poco ristampata in una versione rimasterizzata di ottima qualità, diremo che Lumet gioca al meglio le sue carte in una memorabile sequenza a teatro. Con lo sfondo emblematico della scena madre dell’Edoardo II, spie e controspie tirano di fioretto alzando la tensione, senza risparmiarsi morti ammazzati e drammatici confronti. Un film emblematico della Guerra Fredda ma anche una delle migliori trasposizioni (benché non fedelissima) dell’opera di Le Carré sugli schermi. La ricostruzione di una Londra degradata dove è comprensibile trovare disperati disposti a vendere il proprio Paese, illusi da speranze di eguaglianza sociale, è perfetta. Alla fine non ci sono buoni o cattivi, né esistono stereotipi assoluti di mariti modello, mogli irrimediabilmente imperfette, seduttori senza umanità. I personaggi sono…umani, con una miscela a volte sconcertante di qualità e lati oscuri.

 

Il mondo delle spie è fatto di grigi. Ed è significativo che Dobbs rimpianga lo spionaggio contro i nazisti. Quella, gli sembra, era una guerra dove i ruoli erano ben chiari. La stessa frase che, oggi, sentiamo ripetere dai vecchi agenti dei romanzi e dei film a proposito della Guerra Fredda.

 

Un caso? Forse la conferma che la guerra “vecchia” sembra sempre più pulita e leale di quella “nuova”.

 

Fa parte anche questo della visione distorta del mondo delle spie.

 

Scheda tecnica – Genere: Guerra Fredda

 

CHIAMATA PER IL MORTO-The Deadly Affair- 1966 diretto da Sidney Lumet- sceneggiatura Paul Dehn dal romanzo di John Le Carré. Durata 107′ interpreti: James- Mason: Dobbs – Maximilian Schell : Dieter Frey – Simone Signoret: Elsa Fennan: – Harriet Andersson: Ann – Harry Andrews: Mendel.- Kenneth Haig: Appleby- realizzato da Columbia- disponibile in DVD nel 2007 da Sony

Posted in Cinema e TV, Visti con il Professionista | commenti 6 Comments »

Visti con il Professionista: I Classici del Cinema di Spionaggio/Introduzione

gennaio 20th, 2009

Tags: , , , ,

Cari lettori e lettrici, ho il piacere di presentarvi una nuova nuova rubrica che ci terrà compagnia per i prossimi mesi: “Visti con il Professionista”, a cura di Stephen Gunn, colonna portante di Segretissimo e grande esperto di cinema, sarà una carrellata attraverso i classici del cinema di spionaggio. Una guida piacevole per chi già conosce la materia e fondamentale per chi invece desidera costruirsi una videoteca di titoli imperdibili. La parola a Stephen Gunn!

Visti con il Professionista: I Classici del Cinema di Spionaggio/1

spy-cine-ointro.jpg

A cura di Stephen Gunn

 

REALTÀ E FINZIONE

Dicevano che la spy-story era morta con la caduta del Muro.

Sbagliavano.

Nei dieci anni seguenti al crollo dei due blocchi il mondo dell’intelligence, la Community come viene definita nel settore, ha subito numerosi e importanti cambiamenti. Non solo formali come quello che ha investito il KGB che si è frantumato in FSB (Interni) e SVR (Esteri) ma, nell’era di Putin, è tornato a operare con identici sistemi per “tutelare” gli interessi della Russia nel mondo.

Sono mutati gli scenari, le alleanze, nuovi avversari hanno affrontato il “campo di fuoco” con maggiore aggressività ma, soprattutto, la tecnologia e i sistemi di raccolta informazioni, analisi e reazione che una volta appartenevano ai Grandi Servizi, sono diventati accessibili a tutti.

Grandi organizzazioni criminali comprese.

La narrativa e il cinema di spionaggio si sono, forse inizialmente con un po’ di fatica, adattati. Il settore ha continuato a produrre dell’ottima fiction ma senza prendere una direzione precisa.

Poi è venuto l’11 settembre.

E anche qui fu decretata la fine della spy-story. Il declino di un’epopea narrativa è stato nuovamente sbandierato da chi il genere non lo poteva proprio soffrire. “I servizi sono inutili, avrebbero dovuto prevedere… gli eroi della spy-story son roba d’antiquariato…”

Errore terminale anche in questo caso.

L’attentato alle Torri Gemelle, la reazione in Afghanistan, la guerra in Iraq sono il frutto di una intensa, a volte confusionaria, mendace, spietata campagna di disinformazione e infiltrazione nei network spionistici da parte di tutte le forze in campo. Per quanto possa sembrare strano si è verificato un recupero di quelle che erano le risorse “umane” (HUMINT) dell’intelligence di fronte alla palese inaffidabilità di quelle esclusivamente tecniche (SATINT). E sempre incombe il pericolo delle notizie false o “interpretate”. La famosa caccia alle Armi di Distruzione di Massa di Saddam lo dimostra. Ancora una volta metodi e tecniche hanno subito un pesante rivoluzionamento, ma il succo di tutto questo lavorio di intrighi è rimasto: non fidarsi di nessuno. Inoltre la “guerra delle ombre” ormai non si combatte più con agenti-funzionari ma con operatori privati, decisamente meno legati a certi codici non scritti della Guerra Fredda. “Non si uccide un agente nemico” era un caposaldo di una lotta crudele che vedeva cadere sul campo specialmente le “risorse”, gli agenti reclutati ma non dotati di una copertura ufficiale (i Non Official Cover di Mission Impossible). Oggi tutti sono bersagli, perché sono tutti professionisti… “liberi”, nel senso che sono mercenari. Non nell’accezione lanzichenecca del termine che implicava repentini cambi di campo e molta improvvisazione. Di solito i nuovi operatori sono ex agenti passati al settore privato presso società quali la famigerata Blackwater che si occupa di vigilanza, protezione, ma anche interrogatori con metodi e sistemi che non sarebbero permessi agli organismi ufficiali. E lo stesso avviene all’Est dove, dopo un periodo di illusoria aderenza alle lusinghe dell’Occidente, la Russia torna a essere un avversario. Pericoloso soprattutto perché persegue obiettivi politici già presenti nell’epoca zarista ma che, oggi, sono sostenuti da oligarchi e società private. Per la maffya lo spionaggio sta diventando un affare.

Cambiare tutto per non cambiare nulla? Questa la realtà. Ma nella finzione?

Il cinema di spionaggio esalta spettacolarità e avventura, ma è strettamente legato all’evoluzione dell’intelligence “vera” e, perché no?, anche a quella dei romanzi cui spesso s’ispira anche se molto liberamente. Nel panorama cinematografico e letterario, la spy-story sta vivendo un momento di ripresa (sì, anche italiana!) che ci auguriamo regali agli appassionati nuove emozioni…

Avete mai pensato al passatempo preferito del Professionista, quando non è in missione? Oltre a quello che state pensando, voglio dire. Quando si trova a casa da solo, a casa con uno dei suoi sigaracci e una bottiglia di vodka. Be’, dovreste vedere la sua collezione di film di spionaggio! E da tale riserva stiamo per attingere…

Cominciamo con questo intervento una rubrica dedicata al grande cinema di spionaggio che è nato con le azioni di sabotaggio della Seconda guerra mondiale è proseguito la Guerra fredda, approdando sino all’epoca contemporanea e la sua guerra…eterna della quale non ci accorgiamo di essere protagonisti. Si tratta di un filone ricchissimo che ha mescolato il noir, la detective story e l’azione bellica di volta in volta con risultati differenti. Il cinema di spionaggio è riuscito a fondere i migliori elementi del thriller “nero” con quelli dell’’avventura. Ci ha portati in cima alle fortezze naziste con i commandos più spericolati, nei più oscuri vicoli della Guerra Fredda per trattare con inaffidabili agenti doppi e negli scenari più esotici e glamour del pianeta a flirtare con le donne più affascinanti. Naturalmente con la pistola sempre in pugno.

Sempre, però, ha raccontato storie complesse, avvincenti al centro delle quali ci sono eroi soli, donne irresistibili e pericolose, personaggi ambigui.

La politica, per la verità, ha sempre avuto un posto relativamente ridotto, se non pretestuoso. La spy-story cinematografica nasce per intrattenere il grande pubblico e, più che sull’ideologia, gioca sull’intrigo, e la capacità dei protagonisti di venirne a capo.

I film che analizzeremo tracciando questa panoramica hanno tutti un denominatore comune. Sono storie affascinanti, ben raccontate. Storie da brivido. Proporremo una carrellata per costruirsi una ideale videoteca di grandi film di spionaggio. Non seguiremo un criterio squisitamente temporale, ma alterneremo dei classici a storie più moderne, specchio dei nostri tempi. Il piacere è quello di sedersi nella sala buia e lasciare che le immagini, i personaggi, le atmosfere ci introducano in un mondo di “maschere e pugnali” come titolava un famoso film di Fritz Lang. Ogni articolo riporterà oltre a un’analisi del film anche una scheda tecnica e l’inserimento in una particolare classificazione del sottogenere che vi permetterà di inserirlo tematicamente rispetto agli altri ( SPIE IN GUERRA- AGENTI D’ASSALTO- LA GUERRA FREDDA- IL NEMICO SIAMO NOI- LOTTA AL TERRORISMO). Un universo di finzione ed emozione sì, perché questo è lo scopo della fiction, ma anche uno specchio.

Soprattutto dell’epoca e del momento politico in cui questi film sono stati girati.

Lo specchio delle spie.

Parola del Professionista.

Posted in Cinema e TV, Segretissimo, Visti con il Professionista | commenti 9 Comments »

Next Entries »