Posizione di tiro – Giugno 2010 – Gianfranco De Turris

giugno 16th, 2010

Cari lettori del Giallo, anche questo mese torna “Posizione di tiro”, il nostro consueto appuntamento con i protagonisti della letteratura poliziesca. Questo mese abbiamo il piacere di avere con noi Gianfranco De Turris ,curatore dell’antologia attualmente in edicola “Sul filo del rasoio”.

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Nessuno meglio di Lui può raccontarci l’itinerario, il dietro le quinte e qualche curiosità su questa, incredibile antologia, che segna un ulteriore “punto di svolta” nell’ambito della new wave del thriller italiano.

Here we go:

DG: Come e quando nasce l’idea di costruire questa antologia e con che criterio ha individuato gli autori?

GDT: L’idea ha due fonti: la prima è che sono sempre stato un appassionato del giallo classico (alla Sherlock Holmes e alla Giudice Dee, per intenderci) e negli anni Settanta pubblicai nella collana “Futuro” dell’editore Renato Fanucci il libro di Algernon Blackwood, John Silence, investigatore dell’occulto in cui lo scrittore inglese, che ne sapeva parecchio di magia ed esoterismo, aveva applicato appunto i sistemi investigativi di Sherlock Holmes al suo John Silence ma sul piano – appunto – dell’occulto. Quindi la passione per la mescolanza di poliziesco e di fantastico ha una lontana origine, che ho personalmente concretizzato in seguito, prima con un numero speciale del fanzine Diesel nel 1994, poi con l’antologia Investigatori dell’ignoto, edita da Alacràn nel 2002 e poi ampliata nel 2008, in cui misi alla prova, credo con eccellenti risultati, scrittori italiani su questa specifica commistione in un ambiente italiano.

Seconda fonte: tempo fa ho avuto l’occasione di assistere alla presentazione di alcuni libri durante la quale un amico scrittore e curatore specialista in storie poliziesche e d’avventura polemizzò in modo graffiante con gli stereotipi imperanti nel giallo provinciale italiano e che riassunse nella definizione di “Commissario Cliché”. La cosa mi divertì e mi intrigò. Mi chiesi allora perché, dopo aver sollecitato vari amici ad affrontare il giallo fantastico, non potevo fare altrettanto con il giallo fantascientifico. Per far questo non era ovviamente necessaria una iper-specializzazione nel giallo tout court appunto perché non di esso si tratta, ma di un mix che si deve giudicare nel suo complesso. L’idea è stata accettata anche con entusiasmo dagli autori e Sul filo del rasoio era pronto già all’inizio del 2009. Sergio Altieri, che mi aveva incoraggiato a portare avanti l’idea, ha deciso poi di pubblicarla come supplemento dei Gialli e non di Urania. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo: se non ci fosse stato lui questo libro non sarebbe mai uscito.

DG: Si trova d’accordo nel definire questo genere “Cyber-noir?”. Pensa che sia improprio accostarlo all’ambito del connettivismo?

GDT: La definizione non mi piace troppo. Nella introduzione all’antologia ho detto esplicitamente, infatti, che non uso di proposito il termine noir che è nato in Francia con una specifica intenzione e che adesso si applica ai testi più disparati, al punto da non significare granché. Da parte sua cyber mi ricorda troppo cyperpunk, definizione coniata da un critico all’inizio degli anni Ottanta per le opere di Sterling, Gibson & C. Se ne è voluto fare, soprattutto in Italia, un movimento non solo letterario ma anche politico-ideologico e i suoi stessi scrittori simbolo ora non lo riconoscono più. Quindi cybernoir non mi piace. Quanto alla corrente italiana del “connettivismo” non mi pare che i racconti di questa antologia vi abbiano a che fare, dato che anche qui gli autori che si dicono “connettivisti”, indipendentemente dai loro risultati, mirano ad un movimento non solo letterario ma quasi filosofico. Certo nel giallo fantascientifico c’è la fusione di due generi che potrebbe ricordare il nexialism vanvogtiano da cui emerge una loro fusione, ma siamo sempre e solo a livello letterario e non “ideologico”.

Se proprio si vuole porre un’etichetta a questo tipo di storie allora perché non il più semplice fantathriller? Esiste già il tecnothrller con cui sono stati definiti, se non sbaglio, certi romanzi del nostro Altieri. Le etichette però valgono per quel che valgono, spesso sono artificiali e artificiose, al massimo servono per comodità.

DG:Pensa che questo genere possa ritagliarsi una finestra importante    nel panorama del thriller italiano (seguendo il trend del mercato americano) o è destinato a rimanere una corrente “crepuscolare”?

GDT: Mah, tutto dipende dal cosiddetto “mercato” che è circolare: se in Italia l’argomento va perché piace ai lettori, anche sull’onda delle traduzioni americane, i curatori e i direttori di collane ne chiederanno anche agli scrittori italiani. I quali, se scriveranno testi interessanti per linguaggio e idee si faranno comprare e leggere. E così via. Ovvero: se curatori e direttori editoriali crederanno a questo sottogenere chiederanno ai loro autori che vi si impegnino, e se le opere saranno interessanti saranno lette e richieste. E’ già successo che certi generi siano stati “imposti” dall’alto per preveggenze editoriali, ed altri uccisi nella culla per incomprensioni editoriali. Se uno dei passaggi fa cilecca l’impalcatura crolla. Ma, come al solito – è già avvenuto in passato – la sovrabbondanza di romanzi pubblicati solo per seguire una “moda” senza molto guardare la qualità producono l’effetto contrario: la disaffezione del pubblico. Che è molto esigente e oggi, per la nota crisi, compra di meno scegliendo tra le molte offerte.
Che questa antologia possa costituire l’indicazione per una nuova direzione del thriller italiano sarebbe per me “fantascientista” una sorpresa e mi farebbe piacere, ma preferisco che resti in una zona “crepuscolare” ma con testi buoni, che non diventi alla “moda” con testi mediocri, scritti solo perché c’è una “moda”.

DG: Giallo e Fantascienza sono spesso stati “compagni di viaggio” nel corso della storia della letteratura; quali attinenze secondo Lei legano questi due generi all’apparenza così dissimili?

GDT: Una volta non ricordo chi scrisse che la fantascienza assommava in sé tutti gli altri generi e tipologie letterari: le storie d’avventura, d’amore, il dramma sociale, la speculazione filosofica, l’introspezione psicologica, l’orrore, la fantasia più bizzarra, le estrapolazioni della scienza, le visioni sociologiche, politiche, utopiche. Quindi perché non anche il giallo, cioè l’indagine poliziesca in un futuro più o meno vicino? Charles Eric Maine, Eric Frank Russell, Philip Dick e soprattutto Isaac Asimov ci hanno provato con ottimi risultati. La conclusione è quindi che la fantascienza può anche comprendere il giallo senza problemi. Che due generi “popolari”, “di massa”, come si diceva una volta, si fondano, come ho anche detto prima, non deve sembrare una novità, però alla fine sono i risultati quelli che contano.

DG: Senza voler fare delle classifiche, dei racconti presenti all’interno dell’antologia, quali sono a Suo parere, rispettivamente: Il manifesto della raccolta, la sorpresa, il racconto più cinematografico e la storia dove i due generi meglio si assortiscono?

GDT: Domanda oltremodo imbarazzante! Non tanto perché rischio di farmi dei nemici, ci mancherebbe!, ma perché ritengo tutti i racconti di una buona a in alcuni casi eccellente qualità, non fosse altro perché li ho scelti io, magari dopodiverse riscritture…. Però la domanda individua delle specificità, e potrei forse dire che la sorpresa è Il ritorno di Iside di Pietrangelo Buttafuoco,giornalista e scrittore mainstream  di successo che si è cimentato per la prima voltain questa mescolanza di “generi” con un risultato eccellente dal punto di vista linguistico e straniante dal punto di vista contenutistico, dato che oltre alla fantascienza e al giallo c’è anche una preponderante componente mitica. Per il racconto più cinematografico ne segnalo due: Il Grande Sceneggiatore di Andrea Carlo Cappi, autore versatile ma non tanto in fantascienza che ha scritto una storia, come gli ho detto, che merita di essere trasformata in romanzo e che ha tutti gli ingredienti per un film spettacolare. Ma anche, intendendo questo aggettivo come struttura della narrazione, Maschere di Antonio Tentori, che, proprio perché l’autore è uno sceneggiatore di film polizieschi e horror, è pensata quasi come fosse un soggetto cinematografico. Il racconto in cui meglio si mescolano i due generi? Forse Il metodo Bulard di Lombardi e Necropolis di Passaro che, pur brevi, immaginano allo stesso tempo nuovi crimini e nuove pene, senza far torto a parecchi altri che pure meriterebbero di essere citati. Infine, non è il caso di indicare un racconto manifesto, troppo difficile: diciamo allora che Sul filo del rasoio è una antologia manifesto. Ma di che? Sinceramente non avevo intenzione di proporre un sottogenere perché esso, in quanto tale, non è una completa novità; piuttosto di lanciare una provocazione in positivo: il poliziesco italiano può percorrere proficuamente anche la strada del futuribile che, a sua volta, come si può leggere, ha innumerevoli varianti, anche la storia alternativa.

Grazie per la Sua disponibilità, alla prossima e..continui a seguirci.

Note biografiche: 

Gianfranco de Turris (Roma, 1944), giornalista e scrittore, ha esordito nel 1961 con articoli e poi racconti di fantascienza, spesso insieme a Sebastiano Fusco, sulla rivista romana Oltre il Cielo. Con lui ha curato per dieci anni (1972-1981) le collane dell’editore Renato Fanucci che hanno lasciato una traccia critica nella editoria italiana di science fiction. Ha scritto su giornali, riviste, enciclopedie, cataloghi. E’ stato per 26 anni a RadioRai occupandosi soprattutto di cultura e realizzando il programma settimanale L’Argonauta per cui ha ottenuto il Premio Saint-Vincent 2004. Ha curato l’edizione italiana di tre o quattrocento volumi (almeno crede, perché non li ha mai contati tutti). Ha ideato sin dal 1981 innumerevoli antologie di fantasia e fantascienza italiana a tema: tra le ultime Se l’Italia (Vallecchi, 2006), Il mondo di Lovecraft (Alacràn, 2007), Investigatori dell’occulto (Alacràn, 2008), Nel nome di Lovecraft (Bottero, 2008), Da Arkham alle stelle (Bottero, 2008), Sul filo del rasoio (Mondadori, 2010). E’ stato fra coloro che hanno fatto conoscere o riscoprire in Italia Tolkien e Lovecraft, la protofantascienza italiana e la storia alternativa o ucronia. Ha pubblicato, anche con pseudonimo, sedici volumi e volumetti tra narrativa e saggistica, sia di politica culturale sia di letteratura dell’ Immaginario: tra gli ultimi: Il drago in bottiglia (Ibiskos, 2007) e Cronache del fantastico (Coniglio, 2009). Insieme a Sebastiano Fusco cura a partire dal giugno 2010 la collana “Ai confini dell’Immaginario” dell’Editore Coniglio dedicata ai classici di science fiction, fantasy, horror che si inaugura col ciclo di Solomon Kane di Howard (il film esce in Italia a luglio) e Schiavi degli invisibili di Russell.     

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Un “born writer”: Rufus King. Invenzioni, stile e rapporti con la letteratura di genere coeva

maggio 26th, 2010

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di Pietro De Palma

Rufus King (1893-1966) fu un romanziere molto attivo dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’50 inizio ’60, pur facendo tutto sommato vita ritirata: in vita, nulla di lui si sapeva molto, all’infuori del fatto che vivesse “nella parte rurale dello Stato di New York, che fosse single, e che ogni anno avesse problemi a causa della neve”[1], tant’è vero che si “fece una villa” a Miami; del resto proprio a Miami ambientò alcune delle sue storie.

Altra cosa che si sa è che avesse studiato a Yale[2], che nel 1916 si laureò e che si arruolò proprio in quell’anno per la Grande  Guerra e che dopo di essa lavorò per del tempo come operatore radio sulle navi

Oggi è molto poco conosciuto e i suoi romanzi vengono di rado pubblicati, ma al tempo fu molto noto: era un fine esponente di quella scuola di scrittori americani (anche J.D.Carr, Mignon Eberhart) che non volevano rinunciare alla scuola di giallo all’inglese, in favore invece della “scuola dei duri”, nata in ambiente americano.

In Italia è stato un autore, pubblicato parecchio negli anni ’30 – ’40 e ’50, e meno dopo: infatti, parecchi dei romanzi pubblicati soprattutto da Mondadori, risalgono a questi anni. Solo in pochissimi casi, altre case editrici si son cimentate in romanzi di Rufus King : tra queste, la Casa Editrice Martello con I Gialli del Veliero : “Il colombo della morte” (The Deadly Dove, 1945); la Italedit di Cremona che pubblicò “Intervallo Tragico”: questa pubblicazione, ricavabile tramite ricerca OPAC, è disponibile solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non si ricava da alcun indizio, il suo titolo d’origine[3]; e i Gialli del Secolo di Gherardo Casini Editore.

I rapporti tra il mondo dell’editoria italiana e Rufus King, possono essere inquadrati dal carteggio assai interessante  tra un famoso traduttore degli anni trenta, Mario Benzing, e la casa Editrice Bemporad[4] .

Mario Benzing, fine traduttore, di origine tedesca, di moltissime opere di narrativa straniera in Italia, che aveva già intrattenuto rapporti con la Bemporad per altri romanzi, il 9 maggio 1933, scriveva:

“..Mi permetto d’informarvi che ho ottenuto l’esclusività per la traduzione delle opere  di Rufus King, giovane scrittore americano veramente eccezionale […]. Non soltanto incuriosisce, come Wallace e Van Dine, ma anche interessa: i suoi personaggi sono vivi, studiati, e i suoi casi anche psicologici, profondamente umani. Tutti casi circoscritti, a campo chiuso: uno yacht, una famiglia, una casa; e sono i casi più efficaci del genere e insieme anche i più difficili a congegnare con rispetto al buon senso, e a sostenere senza borra per trecento pagine. Si svolgono negli ambienti dell’aristocrazia americana, che il King conosce a fondo; e li risolve il detective Valcour, della polizia di Nuova York, uno specialista di quegli ambienti, che sa cercare indizi anche nei meandri delle anime. Per la cessione dei diritti di traduzione, Rufus King chiede soltanto L. 800  per  romanzo. La serie Valcour si compone di dieci romanzi, naturalmente indipendenti”.

Faccio notare due cose: la prima è che la serie completa con personaggio principale Valcour è di undici romanzi; la seconda, ancor più interessante, riguarda la data  riportata nel carteggio: infatti,  se non è sbagliata, dovremmo dedurne che Rufus King aveva in mente già la serie o gran parte di essa oppure l’aveva già scritta e attendeva la pubblicazione di ciascun romanzo: non potremmo infatti altrimenti comprendere come il Nostro parlasse di una serie di dieci romanzi con protagonista Valcour, (per bocca di Benzing) quando a quell’anno, 1933, di romanzi con protagonista il Tenente Valcour, ne erano usciti solo sei; gli altri quattro (Benzing parla di una serie di dieci) sarebbero usciti posteriormente: The Lesser-Antilles Case, 1934 – Profile of a Murder, 1935 – The Case of the Constant God, 1936 – Crime of Violence, 1937; infine, l’undicesimo, Murder Masks Miami, sarebbe uscito nel 1939.[5]  Quello che possiamo evincere è che Benzing volesse proporre alla Bemporad quello che per lui era un affare: Rufus King chiedeva allora solo 800 lire per ognuno dei suoi romanzi (compenso deducibile in caso di forfait, come affermato in altro passo) molto noti oltre oceano: si accontentava di poco o era solo molto modesto? Fatto sta che la Bemporad rifiutò il 12 maggio la proposta: “..Non conosciamo affatto questo autore. D’altronde abbiamo già una riserva di libri di questo genere per le nostre collezioni, fra gli altri tutti i più recenti volumi del celebre autore inglese Oppenheim”.

Allora Benzing rinnovò la proposta con altre argomentazioni: cercò di forzare l’assenso della controparte facendo riferimento al fatto che delle case editrici italiane fossero interessate alla pubblicazione dei romanzi di R.King: “..la Libri X sta per pubblicare Sangue a bordo di uno yacht..”; e il 20 maggio inviò, all’editore, l’edizione americana di Murder in the Willett family, mentre  il 1° giugno fu la volta di Valcour meets murder. La Bemporad rinviò ogni decisione al futuro pur riconoscendo la validità dei romanzi proposti, ma.. non se ne fece nulla , nonostante lo stesso traduttore ricordasse che altri editori erano in contatto e trattativa con gli agenti dello scrittore. In Mondadori, “Delitto sullo yacht” (trad. di Matilde Fanno) uscì nel 1936, e “L’agguato” (tit. orig. Valcour meets murder; trad. di Cesare Giardini), nel 1937; mentre “Delitto in casa Willett” (trad. di Carla Merlo) uscirà solo nel 1975.

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Pollanet chiama: Il Giallo Mondadori risponde!

maggio 10th, 2010

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Cari lettori,

Sabato 15 Maggio, in occasione della 4a edizione dell’ “Appuntamento a mano armata” (l’unico raduno internazionale dedicato al cinema poliziesco italiano), festeggeremo gli 80 anni de “Il Giallo Mondadori”.
Per l’occasione, ripercorrerò insieme a degli amici che ho voluto invitare, la lunga storia della più prestigiosa collana editoriale specializzata in thriller/noir/mistery mai esistita nel nostro paese.
A seguire, un dibattito sulla situazione attuale del thriller italiano.

Appuntamento quindi a Sabato 15 Maggio, ore 16.00 al Terrazzamare di Jesolo.

Dario pm Geraci presenta:

Nero su Giallo: Gli 80 anni del Giallo Mondadori

A seguire:

Gangland boogie 

(a cura di Corrado Artale) con:

Stefano Di Marino
Andrea Carlo Cappi
Stefano Pigozzi
Dario pm Geraci

Per maggiori informazioni sulla manifestazione

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La detective lady secondo Fabio Lotti

aprile 29th, 2010

Buona lettura

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La detective lady nel romanzo poliziesco. Dalle vecchiette terribili alle giovani sfigate

All’inizio volevo scrivere una specie di polpettone con più di cento citazioni. Poi mi sono ricordato della famosa frase di Totò che ogni limite ha una sua pazienza ( per i lettori in questo caso) e allora il polpettone è diventato un semipolpettone. Sempre indigesto, magari, ma almeno più breve.

Mi butto sicuro sulla Introduzione del nostro beniamino Mauro Boncompagni scritta per Le signorine omicidi colpiscono ancora, Gli speciali del Giallo Mondadori 2009, per trovare conforto a qualche mia lettura. In principio erano zitelle. Ovvero “vecchiette terribili”, ovvero “eroine in pericolo”. Niente a che fare con quelle di oggi, ma non anticipiamo. Vediamone qualcuna.

Miss Silver di Patricia Wentworth è una “zitella sferruzzante” sempre china sui lavori a maglia per i vari nipoti. Ex insegnante ed istitutrice, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce.  Mentre Miss Marple sorride, lei tossisce ( non so se si è capito) ma all’occorrenza sa tirare fuori un bel sorriso accattivante. Educata, educatissima, vive con le sue vestaglie ornate di pizzo, con le sue pantofole vezzeggiate di perline, tra i suoi adorabili servizi di ceramica, sempre attenta e composta. Difficile, se non impossibile, che alzi la voce, al massimo scuote la testa. Talvolta il ticchettio dei ferri segue il ritmo della conversazione e mi pare di vederla impegnata a passare dall’adagio all’andante mosso. Si concede qualche citazione e qualche massima personale (si sente che ha studiato) Vista da un personaggio “Sembra uscita da una stampa del secolo scorso”.

Altra zitella Hildegarde Withers di Stuart Palmer, alta e rinseccolita, dalla faccia cavallina che ti aspetti un nitrito da un momento all’altro. Letterariamente parlando nasce qualche anno dopo Miss Marple (siamo negli anni trenta) ma non ne sono sicuro e non ho certo voglia di scartabellare tra i miei libri. Controllate voi. Dunque Hildegarde. Intanto è americana e non inglese. E questo è assodato. Insegnante di scuola elementare, tosta, dallo scilinguagnolo sciolto e affilato. Pettegola, insomma. Proprio non ce la fa a stare zitta e vuole mettere bocca dappertutto, dando lezione anche al capo della polizia di un’isola vicino a Manhattam. Ha un amico fidato, suo corteggiatore, (c’è speranza per tutti) nell’ispettore Oscar Piper della polizia di New York che la tiene in alta considerazione (considerazione non ricambiata almeno del tutto se lei pensa che non abbia una particolare intelligenza). Con il suo modo di fare aperto e sfrontato (sempre nei limiti) riesce a carpire i segreti altrui con la sua faccia da cavalla mattonata. Ama disegnare e camminare, vedere, osservare, esplorare. Certo non è una “signorina” sedentaria adatta all’uncinetto come Miss Silver. Per concludere una “vecchia gallina spennacchiata” che mette il naso dappertutto e che risolve i misteri criminosi del suo tempo.

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Pulp corner – Aprile 2010 – Jonathan Latimer

aprile 22nd, 2010

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di Dario pm Geraci

Tutto si potrebbe dire della vita di Jonathan Latimer fuorchè tacciarla di monotonia. Latimer arriva al mondo della letteratura (poliziesca precisamente) dopo anni di cronaca, giornalismo investigativo e correzione di bozze. Scrive discorsi politici, frequenta sporadicamente “The boss”, Al Capone, l’uomo che solo Dillinger riuscì ad eguagliare nell’impresa di ridicolizzare politica e forze dell’ordine statunitensi, Latimer insomma arriva sul foglio bianco “zeppo” di fatti e fattacci da raccontare, la differenza con molti altri suoi colleghi cronisti è semplice: lui SA farlo.
Non solo. Ci prende gusto, scrive dei gioielli di incontrastata bellezza, confeziona storie al cardiopalma nella più pura tradizione hard-boiled. Del pulp-writer veste meravigliosamente i panni, variando all’interno del proprio bagaglio stilistico registro e armonia senza mai abbandonare la strada maestra, una “Long ad winding road” per dirla alla McCartney che descrive impietosamente e ferocemente l’altra America, quella lontana da Las Vegas, lontana da Broadway e dalle luci di Hollywood. Quel paese sporco e pieno di “cattivi” che farà da scenario per i “western metropolitani” di molti autori suoi contemporanei ed epigoni. Latimer, i cui romanzi sono stati regolarmente pubblicati in Italia, accantona nell’ultima fase della sua veriegata carriera l’attività di romanziere per dedicarsi a quella di soggetista e sceneggiatore per diverse produzioni televisive. Tra i suoi lavori ricordiamo con particolare attenzione la collaborazione al serial “Perry Mason” e la stesura dell’episodio “Il terzo proiettile” per la serie “Il Tenente Colombo”.

Vi segnalo due ottimi articoli su Latimer disponibili in rete:

Il primo di John Fraser reperibile sull’ottimo “Misteryfile”

Il secondo di Luca Conti direttamente dal suo sito personale “Last of the independents”

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Hardcover in libreria/2

marzo 19th, 2010

James is back. Torna in libreria uno dei maestri del Noir.

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Leggi il primo capitolo de “Il sangue è randagio! in esclusiva!

Estate del ’68. Dopo gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy, gli Stati Uniti sembrano sul punto di esplodere. Disordini, speculazioni politiche e teorie del complotto scuotono dalle fondamenta la stabilità sociale. Una squadra di sabotatori si prepara a creare disordini durante la convention del partito democratico a Chicago. Le organizzazioni di militanti afroamericani sono sul piede di guerra nel southside di Los Angeles. J. Edgar Hoover, capo dell’FBI, prepara drastiche contromisure. E il destino ha piazzato tre uomini in un punto nevralgico della Storia.
Dwight Holly, laureato a Yale, è l’uomo di fiducia di Hoover, incaricato di fomentare contrasti fra i gruppi del potere nero e ossessionato dalla figura di una comunista ebrea di nome Joan Rosen Klein. Wayne Tedrow, ex poliziotto e trafficante occasionale di droghe, lavora per il miliardario Howard Hawks alla costruzione di una rete di case da gioco nella Repubblica Dominicana. Il giovane Don Crutchfield, guardone e investigatore privato di mezza tacca, coinvolto in cose più grandi di lui.
È un destino crudele e inesorabile a intrecciare le loro vite, trascinate in un vortice troppo violento per poter resistere. Con al centro un unico fulcro attorno a cui tutto ruota: Joan Rosen Klein, la Dea Rossa, autentica femme fatale.
Ellroy attraversa un quadriennio infuocato della storia americana mescolando la crudezza di eventi realmente accaduti alle vicende di personaggi le cui esistenze minime sono la sintesi di un’epoca di corruzione e malaffare. In una progressione da tragedia greca, nessuno scampa a questa dimensione catastrofica: non i militanti radicali, tossici e corrotti, non le loro controparti inviate dal potere, un branco di assassini pervertiti e psicotici accecati dal delirio di onnipotenza.
Terza tappa di un viaggio cominciato con American Tabloid e proseguito con Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio è un noir di rara profondità, spaventoso e magnetico, l’aspro ritratto di un mondo che ha perduto le linee di confine tra bene e male, giusto e ingiusto, dove nessuno può reclamare redenzione né tantomeno resurrezione.

James Ellroy è nato nel 1948 a Los Angeles. La sua infanzia è stata segnata prematuramente dall’omicidio della madre. Dopo un’adolescenza difficile e inquieta che gli ha fatto conoscere la prigione, ha iniziato a scrivere quelli che ora sono bestseller in tutto il mondo: Dalia Nera, Il Grande Nulla, L.A. Confidential, White Jazz, American Tabloid, Sei pezzi da mille e la sua autobiografia I miei luoghi oscuri.

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Hardcover in libreria/1

marzo 19th, 2010

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 Splendida edizione con copertina “vintage” per questo capolavoro di Joe Gores

Quando Sam Spade viene coinvolto nel caso del falcone maltese sappiamo cosa aspettarci: corruzione, donne astute e manipolatrici, un groviglio di conflitti irrisolti. Sappiamo che il suo ultimo socio, Archer, era un figlio di puttana; che Spade ha avuto una relazione con sua moglie Iva; che Effie Perine, la sua segretaria, è l’unica figura innocente della sua vita. Ciò che non sappiamo è come Spade sia diventato quello che è. Ora Spade & Archer completa il quadro.
1921. Dopo aver lasciato la Continental, Spade avvia una sua agenzia di investigazioni a San Francisco, e ben presto i clienti bussano alla sua porta. I sette anni successivi lo vedono alle prese con delinquenti da fronte del porto, persone scomparse, morti misteriose, frodi bancarie e contrabbandieri d’oro. Eventi che, in qualche caso, nascondono collegamenti inquietanti. Spade sceglie Miles Archer come suo socio, nonostante gli abbia rubato la ragazza e l’abbia sposata mentre lui era al fronte durante la Prima guerra mondiale. Si ritroverà legato a un delinquente che non ha mai rinunciato a fargliela pagare per aver mandato a monte quello che sarebbe stato il colpo perfetto. E si innamorerà, anche se le cose non andranno per il meglio.
In questo memorabile prequel del Falcone maltese, Joe Gores proietta il lettore nell’atmosfera brumosa e sinistra della San Francisco ai tempi del proibizionismo, delle prime dure lotte sindacali, funestata da gangster incalliti e senza pietà. Spade & Archer è un romanzo che ripropone intatto nella sua ricchezza espressiva un personaggio come Sam Spade – cinico, carismatico, ruvido e coraggioso -, perennemente in bilico sul sottile confine che separa il buio dalla luce, emblema dell’America violenta e amara del disagio urbano; un classico di quello stile hard-boiled di cui Dashiell Hammett è uno dei massimi rappresentanti.

Joe Gores (1931), ex investigatore privato, è autore di altri sedici romanzi, tra cui Hammett, con cui ha vinto il Japan’s Falcon Award. È anche l’unico ad aver vinto tre Edgar Award in tre diverse categorie: il romanzo, il racconto e la commedia televisiva.

Ricordo che Joe Gores è stato pubblicato recentemente all’interno della collana “Segretissimo”.

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La condanna del sospetto

marzo 13th, 2010

Roberto Riccardi, vincitore del Premio Tedeschi, ci regala una riflessione intensa su un caso di cronaca, tornato, sfortunatamente sotto i riflettori.

L’articolo che riportiamo qui, sul Blog del Giallo Mondadori, appare per gentile concessione del quotidiano “Il Tempo”

Buona lettura

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Se si è ucciso doveva essere colpevole. Era innocente, non ha retto il peso di un’accusa infondata. Tutto valido, tutto opinabile. Di sicuro c’è che poche ore fa Pietrino Vanacore si è messo alla guida della sua auto. Marina di Torricella, provincia di Taranto. Ogni posto è buono, quando hai stabilito di scrivere la parola fine alla tua vita. E il portiere dello stabile B di via Poma 2, dove il 7 agosto 1990 si è spenta Simonetta Cesaroni, la sua decisione l’aveva presa. L’ha spiegata in poche righe, prima di lasciarsi affogare in un corso d’acqua: “20 anni di martirio senza colpa e di sofferenza portano al suicidio”. Vent’anni: tanto era durato il suo calvario, in un’altalena di incriminazioni che lo aveva visto più volte al centro dell’inchiesta capitolina. Nelle ore del delitto, negli uffici dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù dove Simonetta lavorava, terzo piano scala B, nessuno era entrato o uscito. A questo si legano i primi sospetti. Nella scala tre persone: la vittima, l’anziano architetto Cesare Valle e il portiere. Si aggiungono un alibi precario, macchie di sangue sui pantaloni che risulteranno dello stesso Vanacore, elementi che lo lasciano a lungo nella lista nera. Omicida, complice di Federico Valle, figlio dell’architetto, inquinatore della scena del crimine. Nulla però regge al vaglio giudiziario, in un procedimento che vede oggi un altro imputato alla sbarra.        

C’è un elemento che colpisce, nella vicenda dell’uomo Pietrino. La sua responsabilità oggettiva, perché di quella scala, nel giorno del sangue e della falce, era il custode. Pesa l’ombra di un’altra morte misteriosa: nel 1984 Renata Moscatelli era stata trovata soffocata con un cuscino, nello stesso stabile, e non c’erano segni di scasso. Il portiere come il maggiordomo, colpevole ideale se il teatro di un crimine è un palazzo, il tipico luogo in cui viviamo, dove abbiamo il diritto di sentirci protetti. Così si è innescata l’ulteriore tragedia, chiedendo il conto di una vita a chi poteva offrire solo quello delle sue azioni. Galeotto fu il mestiere. Inquietante come il Dirk Bogarde di un film anni Settanta, intellettuale come il riccio raccontato da Muriel Barbery, il portiere è una figura vicina, che intreccia le nostre vite alla sua. Secondo ricerche recenti è uno dei lavori che scompaiono, uccisi dalla tecnologia che ovunque soppianta l’uomo. Intanto è scomparso lui, Pietrino Vanacore. Il suo dolore, la sua angoscia, li ha portati con sé.                                                                                                       

Roberto Riccardi (autore di “Legame di sangue”)

“Il Tempo” il 10.03.10 (pag. 9)

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Lettera ai lettori

febbraio 10th, 2010

Care lettrici e cari lettori,

scrivo queste poche righe per porre fine, una volta per tutte, alla catena di dissidi, provocazioni e incomprensioni, riguardanti lo spazio “commenti dei lettori”.

Come ben sapete, nella serata di ieri ho chiuso tale spazio a seguito dell’esasperarsi dei toni, questo è il caso più recente, purtroppo queste “crisi” capitano quantomeno una volta al mese e fanno male a tutti. In primo luogo nuociono a Voi, che non potete usufruire di un servizio importante come quello dello scambio di opinioni, in secondo luogo fa male agli scrittori che si vedono privati di un feedback fondamentale , infine fanno male anche a me che sono costretto ad agire secondo modalità che non rientrano nel mio modo di pensare e agire e che a lungo andare mi privano della linfa necessaria (la passione) per proporre nuovi contenuti e contributi al sito.

Come possiamo uscire da questa situazione? Personalmente le ho provate tutte: Inizialmente mi sono attirato l’antipatia di tutti Voi moderando, cancellando, richiamando all’ordine,..Poi sono passato al “monitoraggio passivo”, ho cercato di lasciarvi esprimere controllando dalle retrovie che tutte procedesse per il verso giusto..non ho avuto il riscontro che mi aspettavo…Infine ho provato l’ultima strada, la più recente in ordine temporale. Ho letto i commenti (superando più volte la voglia di cancellarli istantaneamente), ho lasciato che gli screzi si risolvessero tra di Voi (superando ancora una volta la voglia di intervenire duramente quando si è scaduti nell’offesa gratuita e personale), insomma mi sono affidato al buon gusto e al buon senso. Ho, di nuovo, miseramente fallito. Tutto digeribile fin qui, sennonché questa situazione sta avendo ripercussioni anche sui miei rapporti interpersonali privati e questo, per me è un “punto di non ritorno”. Il ruolo che ricopro qui, mi porta a dover agire in modo imparziale, super-partes, il meno personalistico possibile. Sono ben conscio del fatto che si debba scindere i ruoli, come d’altronde ho fatto io i primi tempi, cercano di “capire” che le critiche e le prese in giro riguardavano il mio ruolo e non la mia persona. Detto questo, non posso permettere che il sito mantenga questa “nomea” di scannatoio, dove io passo una volta per censore, un’altra per “assenteista” con il rischio di perdere la stima che faticosamente derco di guadagnarmi giorno per giorno. Non va affatto bene. Non va bene neppure e soprattutto, che si arrivi addirittura a valicare la mera disputa letteraria andando a scadere nell’offesa e nella presa in giro. Il sito del Giallo Mondadori non può e non deve diventare un contenitore di malessere e astio. I frutti di questa condotta stanno portando i lettori a leggere e passare oltre, gli scrittori a sentirsi attaccati sul piano personale (fatto gravissimo) certi dell’inutilità di combattere contro invalicabili muri di gomma. Penso, ripeto, che continuare così non sia affatto un bene per noi tutti.

 A tal proposito, certo della vostra comprensione, illustro per punti alcuni accorgimenti che adotterò da questo momento in avanti: 

  • E’ diritto di ogni utente utilizzare un nickname.
  • Nessun utente ha l’obbligo di rivelare dati personali su richiesta altrui se non lo ritiene necessario
  • Qualsiasi commento “ambiguo” o “insinuante” verrà CANCELLATO a mio insindacabile giudizio
  • E’ considerato indesiderato l’utilizzo di termini volgari anche se utilizzati in ambito amichevole.
  • Lo spazio commenti è riservato SOLO ED ESCLUSIVAMENTE all’argomento che ne dà il titolo. Qualsiasi commento OFF TOPIC/FUORI ARGOMENTO verrà cancellato.

Chiunque desideri informazioni su romanzi/saggi non ancora pubblicati può scrivere all’indirizzo collez@mondadori.it

Per qualsiasi altra richiesta di chiarimenti sulle regole di cui sopra lascio attivo lo spazio commenti sottostante.

Buon proseguimento.

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Posizione di tiro – Febbraio 2010 – Barbara Baraldi: “Bambole pericolose”

febbraio 10th, 2010

A cura di Dario pm Geraci

Autrice ormai di spicco del nuovo thriller italiano, Barbara Baraldi con questo “Bambole pericolose” ci porta negli oscuri meandri di una Bologna mai così violenta e spettrale.

barbara_baraldi.jpg

DG: Allora Barbara, pronta ai nostri cinque colpi a bruciapelo?

BB: Per citare John Carpenter: sono nata pronta. A parte gli scherzi, grazie Dario, è un onore per me essere ospite sul blog del Giallo.
DG: Se ti guardi alle spalle, come pensi si sia evoluto il tuo stile?

BB: Ho sempre cercato di adattare il mio stile alla storia da raccontare. Ne “La collezionista di sogni infranti” la vicenda parte da una riflessione sul mondo virtuale e i pericoli della rete. In questo caso ho optato per uno stile secco, con frasi brevi e incisive che ricordino l’immediatezza della chat. Seguendo questo ragionamento ho scelto di non suddividere i capitoli e il lettore si trova catapultato dalla mente di Marina a quella di Amelia, le due protagoniste, come in un gioco di specchi. Per “Bambole pericolose” ho cercato uno stile più descrittivo. C’è una Bologna gotica, notturna, combattimenti clandestini come ancestrali riti di sangue. Ci sono magia nera, tradimenti, vendetta e sentimenti primigeni come l’amore e l’odio. La vicenda è descritta in terza persona con alcuni stacchi in prima, come se una telecamera immaginaria offrisse, di tanto in tanto, il punto di vista di uno dei protagonisti.

DG: Come identifichi il tuo pubblico? Tracciaci l’identikit del tuo lettore medio.

BB: Dalle mail che ricevo non ho un lettore tipo. Ci sono ragazzine, magari attratte dallo stile a volte onirico, che si trovano vicine alla sensibilità delle mie eroine più giovani; ci sono appassionati di cinema che si divertono a scovare le citazioni che nascondo tra le righe. Una volta una mamma mi ha detto che avrebbe fatto leggere le vicende di Amelia a sua figlia, per farle aprire gli occhi sui pericoli del mondo virtuale. Con “Bambole pericolose” ho ricevuto varie mail da parte di cultori delle arti marziali. Mi ha fatto molto piacere.

DG:  Sappiamo che il mestiere dello scrittore richiede, oltrechè molta passione e dedizione, anche una grossa parte di ricerca La famosa “fase spugna” dei luoghi e dei personaggi. Ci racconteresti le fasi della lavorazione di un tuo romanzo?

BB: Sono molto scrupolosa nel lavoro di ricerca prima della stesura di un romanzo. Con “Bambole pericolose”, per esempio, mi sono documentata a lungo sulle tecniche di combattimento. Ho una passione per le arti marziali, ma avevo bisogno di approfondire l’argomento. Ho frequentato per settimane un corso di Kick boxe e ho assistito agli incontri dei Nazionali di Thai Boxe, una grandissima emozione! Ho parlato con esperti e istruttori. E poi lo ammetto, gioco da anni a Tekken J. Dopo essermi documentata ho preparato una scaletta generale, e poi via con la stesura. Successivamente c’è il lavoro di revisione, che è sempre il più duro. Perché, come ha detto qualcuno prima di me: “Scrivere vuole dire riscrivere”.

DG: Abbiamo in comune una smodata passione per il cinema, di genere soprattutto. La definiresti una passione fine a sè stessa o trovi sia funzionale alla lavorazione di un romanzo/racconto?

BB: Sicuramente questa passione ha contagiato il mio stile. Quando scrivo procedo a visioni, quasi come un film mi passasse davanti. Hanno definito la mia scrittura cinematografica: è quello che cerco di ottenere.

DG: Domanda “cult” della nostra rubrica: Se dovessi scegliere un regista a cui far trasporre un tuo romanzo al cinema, quale sceglieresti tra le tue opere e quale fra i registi (solo quelli in attività altrimenti, conoscendoti, sarebbe fin troppo facile pescare tra i nostri artigiani degli ’60/’70).

BB: Niente anni 60/70, ok. Rimango in Italia e scelgo i Manetti Bros. Ho apprezzato il loro metodo di lavoro direttamente sul set de L’Ispettore Coliandro. Soprattutto, lavorano con passione e professionalità. Forse, per cominciare, sceglierei proprio “La bambola dagli occhi di cristallo”: una Bologna oscura, insidiosa, e un ritmo sincopato.

Grazie Barbara e tienici sempre aggiornati sui tuoi progetti. I lettori del Giallo Mondadori ti seguono sempre con estrema attenzione…ah! sappi che si tratta di un avvertimento!

BB: Non manchero’

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