Intervista a Enrico Luceri

marzo 17th, 2015

Cari lettori de “Il Giallo Mondadori”, abbiamo scambiato due chiacchiere con l’autore di uno dei nostri gialli del mese di Marzo: Enrico Luceri.

Buona lettura!

LUCERI

1 – Come nasce “Le colpe dei figli”? Qual è stata la genesi di questo tuo lavoro?

La prima scintilla della storia è scattata assistendo per l’ennesima volta alle sequenze finali del film “Testimone d’accusa”, diretto da Billy Wilder e tratto dall’omonima commedia teatrale di Agatha Christie: l’ineffabile avvocato sir Wilfrid Robards (interpretato dal grande, in tutti i sensi, Charles Laughton), commenterà così un omicidio commesso nell’aula della corte d’assise: “Non lo ha ucciso, lo ha giustiziato”.  Ecco, a me interessava scrivere una storia per comprendere come una vendetta possa essere vista anche come l’esecuzione dei colpevoli di una colpa e un inganno che altrimenti non sarebbero mai espiati.

Ma non è stata solo questa l’ispirazione. C’era anche un’altra esigenza, che sentivo con forza.

A volte, nei romanzi di genere, gli assassini uccidono per un motivo, o forse sarebbe più corretto chiamarlo movente, che può apparire contraddittorio: per amore. Difficile comprenderlo a prima vista, ma anche i loro crimini, così laboriosi e complicati nella preparazione e la messa in scena, non sono altro che una lunga, disperata, straziante richiesta d’amore. Amore sottratto, amore rubato. Un furto, dunque un crimine, che deve essere punito.

Proprio perché è difficile comprenderlo, io scrivo queste storie. Per capire, o perlomeno provare a farlo, affinché si giudichi solo dopo aver compreso quell’impasto di rancori, rimorsi, rimpianti che chiamiamo sentimenti e sono in fondo la più umana e concreta testimonianza di essere vivi.

2 – Che tipo è Antonio Buonocuore? A chi ti sei ispirato nel tratteggiare la sua figura?

Ho creato il personaggio grazie alla fondamentale collaborazione del mio amico Nello Mascia, il quale gli ha prestato certe abitudini personali, come la passione del fumo, o girare in bicicletta per Napoli, o schizzare a matita i ritratti dei suoi interlocutori. Di mio ci ho messo l’indole di un poliziotto della vecchia scuola che crede ancora nel metodo d’indagine tradizionale, nella ricerca del dettaglio e nei sopralluoghi solitari sulle scene del crimine come un potente incentivo alle sue intuizioni. E insieme abbiamo tratteggiato il profilo di un poliziotto molto umano, concreto, privo di illusioni ma non per questo meno idealista.

Aggiungo che l’ho chiamato Tonio, perchè era il diminutivo che usavamo in famiglia per mio padre. Purtroppo parecchi anni fa gravi incomprensioni familiari ci hanno separato per sempre. Dare il suo nome a un personaggio che ho curato molto era un modo per dirgli, ora che è troppo tardi per farlo a voce, che mi manca.

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The Gilded Fly : analisi di un esordio fortunato

febbraio 13th, 2015

La mosca dorata 001

 

Bruce Montgomery nacque a Chesham Bois , Buckinghamshire, Inghilterra . Studiò alla Merchant Taylors School e si laureò al St. John’s College, a Oxford, nel 1943, in lingue moderne , pur essendo stato, a Oxford, per due anni, organista e maestro del coro .

Fu molto conosciuto con il suo proprio nominativo, come compositore di musica classica (musica vocale e corale , tra cui un Requiem di Oxford) e di colonne sonore di molte commedie, oltre che come interprete di musica per organo, strumento nell’esecuzione del quale, eccelse.

Con lo pseudonimo di Edmund Crispin, Montgomery Bruce  firmò nove romanzi polizieschi e due raccolte di racconti, ambientate quasi tutte ad Oxford, nel St Christopher’s College (istituto che non esiste nella realtà) che egli immaginò essere vicino al St John’s College. Suo personaggio fu il Professor Gervase Fen, docente di Letteratura Inglese, che egli modellò su di sé, sulla figura del Professor W.E.Moore di Oxford e sul Dottor Fell di John Dickson Carr, di cui fu uno sfegatato ammiratore: non a caso, anche in parecchie delle sue storie egli inserì Camere chiuse e Delitti impossibili. Inoltre, come nel caso di Michael Innes, e di Nicholas Blake, altri due romanzieri polizieschi inglesi gravitanti intorno ad Oxford, nei suoi romanzi polizieschi vi sono frequenti riferimenti letterari e soprattutto nel suo caso, musicali.

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A Venezia un…Febbraio, Giallo Shocking!

febbraio 12th, 2014

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Cari lettori de “Il Giallo Mondadori”, questo mese vogliamo regalarvi il resoconto della chiacchierata che abbiamo avuto con Stefano Di Marino, uno dei più grandi scrittori italiani e il più prolifico di sempre. Questo mese, Stefano ci ha regalato una perla “rara” del suo repertorio artistico, andando a confezionare un tipico THRILLING italiano anni ’70.

Non perdetelo per nessuna ragione e correte in edicola. Il volume sarà disponibile per tutto il mese di Febbraio in edicola e in formato EBOOK sul nostro sito inmondadori.it

Buona lettura!

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DPMG Il tuo amore per il thriller italiano anni ‘70 e gli sceneggiati Rai di quel periodo sono stati la leva principale che ti ha spinto a scrivere questo romanzo?

SDM Come ho già scritto in diverse occasioni, oltre all’anima avventurosa e spy, ne ho coltivata una legata al “thrilling italiano”. L’origine è, logicamente, quella che citi, la produzione cinematografica e televisiva degli anni ’70 che ritengo un periodo irripetibile della nostra produzione. Con gli anni ho integrato la mia passione per queste storie con altre suggestioni, in particolare con il mystery alla John Dickson Carr e imparentato con le atmosfere gotiche. Sempre, però, restando nel campo della realtà quando si tratta di identificare i colpevoli.



DPMG Quali sono i tuoi registi preferiti di quegli anni ? Quali ti hanno maggiormente influenzato?

SDM Prima di tutto ho un debito con Biagio Proietti in qualità di sceneggiatore, amico e maestro. Lo conosco da anni e mi sono studiato tutti i suoi lavori, oltre che averne discusso a lungo di persona. Se pensiamo al cinema, oltre all’ovvio riferimento ad Argento, i miei registi preferiti erano Martino, Lenzi e Aldo Lado del quale mi piace ricordare due film che sono rimasti nella mia memoria: “Chi l’ha vista morire’” e “La corta notte delle bambole di vetro”. Poi naturalmente c’è Avati con “La casa dalle finestre che ridono” che è un punto di riferimento ineludibile e Armando crispino, soprattutto con “L’Etrusco uccide ancora”.



DPMG I lettori ricorderanno il tuo meraviglioso ciclo di “Montecristo ‘ per il Giallo Mondadori Presenta.
Che emozione provi però ad essere pubblicato nella collana madre del Giallo Italiano?

SDM “Montecristo” fu concepito per IGMP. È un’opera a cui tengo ancora moltissimo, ma ha uno spirito diverso da quello richiesto nel Giallo che è la testata storica del Mystery in Italia. “Montecristo” è un thriller politico, pieno d’azione, attuale. “Il palazzo dalle cinque porte”, invece, gioca le sue carte sull’atmosfera, sull’intreccio, la ricerca del colpevole. Mi ero ripromesso di non far sparare al protagonista neanche un colpo di pistola. E così è stato.



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DPMG Quali sono a tuo avviso le maggiori differenze tra scrivere per una collana e per la libreria ?

SDM le collane economiche Mondadori sono una grandissima scuola di scrittura. Ti insegnano a restare nel format preciso della testata, nel numero di pagine richiesto. L’atmosfera, le sfaccettature psicologiche, i particolari devono essere studiati con molta attenzione. Non sono ammesse ridondanze o ripetizioni. In pratica non si può … allungare il brodo per scrivere ‘la bella pagina’ come a volte succede nei ‘romanzoni’. Questo non significa usare un linguaggio sciatto o tirato via. Non è facile.


DPMG Se dovessero proporti una trasposizione cinematografica per il tuo romanzo , chi vorresti alla regia e chi proporresti per i ruoli chiave?

SDM. Qui arrivano le dolenti note. Purtroppo(opinione personale e forse non condivisibile) ritengo che cinema e fiction italiani attualmente siano lontanissimi da me. Per “Il Palazzo dalle cinque porte” mi piacerebbe Michele Soavi alla regia, l’unico che credo ancora capace di evocare atmosfere. Bas Salieri, il protagonista, fisicamente è ispirato a un personaggio a fumetti visto oltralpe, non riesco a vedere un interprete particolare. Di sicuro Zemanian è Adolfo Celi come lo ricordiamo e Martina Suzie Kendall dei tempi di “L’uccello dalle piume di cristallo”, “Spasmo” e “I corpi presentano tracce di violenza carnale” che, come sai, è uno dei miei preferiti del genere. Il mio immaginario, in questo senso, lo ammetto, è un po’ retrò.

SDM

Stefano Di Marino si occupa della narrativa d’intrattenimento in tutte le sue forme da oltre vent’anni. Con lo pseudonimo Stephen Gunn firma per Segretissimo la serie Il Professionista dal 1995. Ha pubblicato il saggio C’era una volta il thrillingnell’antologia Il mio vizio è una stanza chiusa (Supergiallo Mondadori, 2009) da lui stesso curata, e Paura sul piccolo schermo in Cripte e incubi (Bloodbuster, 2012). Nel Giallo Mondadori ha pubblicato la trilogia hard-boiled Montecristo e, nella stessa collana, il racconto Donna con viso di pantera in Giallo24. Il mistero è in onda. Dal 2009 scrive romanzi e racconti thriller per la rivista “Confidenze” (Io sono la tua ombraSortilegioAppuntamento a MadridMaschere e pugnaliLa finestra sul lago,Il mare degli inganni e La casa con i muri rosa).

 


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INTERVISTA CON PAUL HALTER di Pietro De Palma

agosto 13th, 2013

Tempo fa ho conosciuto Paul Halter. Il celebre scrittore francese, l’unico che in tempi recenti abbia raccolto con successo l’eredità di John Dickson Carr, scrivendo romanzi e racconti con Delitti Impossibili e Camere Chiuse, vive a Strasburgo: la nostra conoscenza, pertanto, si è approfondita per corrispondenza

Il suo indirizzo email mi è stato fornito da altro mio conoscente, John Pugmire, altro grande conoscitore di Camere Chiuse ed enigmi letterari, che traduce in inglese da alcuni anni, tra l’altro, i romanzi di Halter. John fu invitato anni fa assieme a Igor Longo, a Philippe Fooz, Vincent Bourgeois e Michel Soupart, e a qualche altro critico, al meeting del 2007 di Roland Lacourbe. John, che ho conosciuto due mesi fa, dopo aver letto alcuni miei articoli, soprattutto quelli concernenti le Camere Chiuse, mi ha risposto ed è cominciata una corrispondenza. Un giorno gli ho chiesto la email di Halter, e lui, dopo averlo chiesto ad Halter, me l’ha fornita. Così sono entrato in contatto con Paul Halter.

Ci siamo scambiati impressioni, lui ha voluto leggere degli articoli che avevo dedicato a suoi romanzi, e in anteprima l’ultimo, dedicato a La Quarta Porta, che è molto letto sul mio altro blog, quello in lingua inglese, e che gli è molto piaciuto. Da allora, ci siamo scritti più volte, ancor più quando gli ho detto che avevo conosciuto Igor Longo (che al tempo era stato colui che mi aveva fatto conoscere Halter ed i suoi romanzi).

Un giorno gli ho chiesto se mi avesse potuto concedere un’intervista: era molto tempo che gliene avrei voluto fare una, impostandola diversamente da altre che gli sono state fatte nel tempo, cioè interrogandolo non solo sui suoi romanzi, ma anche sul suo rapporto con il suo lavoro, gli amici, le passioni, gli amori, la sua vita. Ha subito accettato tuttavia sottolineando che, non conoscendo l’italiano e non proprio perfettamente l’inglese, avrebbe preferito colloquiare in francese (alla traduzione ho provveduto personalmente).

L’ intervista tuttavia non ha seguito lo schema consueto, che si adotta quando l’intervistato è lontano, cioè inviare le domande assieme, facendo sì che egli possa rispondervi e restituire il tutto al mittente, magari correggendo qualcosa ma lasciando il tutto inalterato: no, quest’intervista è stata impostata diversamente. Infatti, per merito della mia inesauribile curiosità e della sua amabilità e pazienza (Paul Halter è una persona amabile, gentile e squisita. Chissà perché negli ultimi tempi ho conosciuto solo persone amabili, gentili e squisite: John Pugmire, Roland Lacourbe, Philippe Fooz, Paul Halter. E chissà perché, poi, sono tutte all’estero, mentre da noi…Vabbè è un’altra storia), le risposte alle domande che gli ho posto, hanno generato altre domande e poi altre risposte, dando il via ad una corrispondenza fittissima che ha portato, come risultato finale, alla definizione di un ritratto inedito di Halter, pieno di sogni, di verità, di affermazioni, di negazioni. Un ritratto a 360° che non mancherà di affascinare (e di sorprendere talora: per certi versi ha sorpreso persino me!).

La propongo in occasione della pubblicazione ne Il Giallo Mondadori, del suo romanzo inedito – il diciottesimo ad esser pubblicato in Italia – “La Settima Ipotesi”, Le Septième Hypothèse, tradotto da Igor Longo.

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Buongiorno, Paul. Ti ringrazio per aver acconsentito a rispondere a delle domande. Innanzitutto, ci vuoi raccontare qualcosa di te, in breve: dove sei nato, infanzia, esperienze lavorative, amori, letture, amici. E soprattutto, come sei arrivato un bel giorno a decidere di cimentarti con la scrittura? Il tuo primo romanzo è stato La malediction de Barberousse. Lo hai scritto di getto, nell’imminenza del concorso, oppure vi avevi pensato in precedenza?

Sono nato a Haguenau, e ho trascorso la mia infanzia, abbastanza felice in questi benedetti 60 anni di tempo, senza subire per nulla la terribile “Maledizione di Barbarossa“, anche se poi abitavo a 200 metri dalla Torre di Pescatori (luogo del delitto principale della storia). L’Amore, le ragazze? Certo, ma prima di questo, ero un appassionato di lettura, di misteri. Ho divorato tutta A. Christie dai 12 ai 16 anni. Amavo anche la serie televisiva inglese Chapeau Melon et Bottes de cuir 1 (= Bombetta e stivali in pelle), poi ho sentito (nel 1970) la canzone “Venus” degli Shocking Blue, e ho comprato immediatamente una chitarra, per arrivare a suonare questa canzone . Poi non ho mai abbandonato la mia chitarra, fino a circa i 25 anni. Mi sono sposato, ho condotto una vita tranquilla, e mi sono riallacciato ai miei primi amori: i romanzi polizieschi. Scoperta di Dickson Carr in quel momento. Nuovo colpo di fulmine! Dopo aver letto di lui tutto ciò che era disponibile in francese, ho deciso di seguire questi puzzle, e così è nata La maledizione di Barbarossa … Ero molto motivato e volevo davvero fare qualcosa di speciale. E ho scritto nella scia (di questa) La quarta porta, nello stesso stato d’animo …

Perché “La maledizione di Barbarossa”, nonostante sia stato il tuo primo successo, ha dovuto aspettare numerosi anni prima di essere ripubblicato, mentre “La Quarta Porta”, dopo aver vinto un concorso, è stato immediatamente pubblicato?

A proposito di “Barbarossa” era stato pianificato con Le Masque che questo romanzo sarebbe stato pubblicato un giorno, ma non subito. Le Masque ha voluto aspettare fino a quando io avessi già una certa notorietà, prima della pubblicazione. Non mi ricordo esattamente, ma è possibile che il corretto apprezzamento di John2 mi abbia ricordato che questo romanzo era ancora in riserva e (quindi) ho poi (1995) parlato a Le Masque al fine di pubblicarlo. Quel che è certo è che non ho avuto “dubbi”, perché mi piace questa storia, che è stato per di più il mio primo tentativo.

Il tuo secondo romanzo è stato “La Quarta Porta. Con esso, hai vinto una prima grande competizione e, soprattutto, è stato un successo. Il romanzo, come tutto le tue opere, presenta delle caratteristiche fisse: ha sfide impossibili (2 Camere Chiuse), ha molta atmosfera e un finale d’effetto.
Perché queste caratteristiche sono così importanti per te?


Sì. Per me, scrivere una storia di questo genere, era soprattutto una sfida. (Ricordate a quel tempo ero sotto una buona influenza, dopo aver letto i principali Carr , ma anche Robert Bloch e Fredric Brown). Carr ha detto: Quando ho scritto un romanzo, ho sempre voluto fare qualcosa di speciale, un libro che avrebbe reso tutti gli altri mediocri” 3 Ho cercato di applicare questo metodo con La Quatriéme Porte .. Devo anche dire che avevo appena letto una biografia di Roland Lacourbe su Houdini. Lì, ho sentito che avevo trovato la mia materia! Perché, a suo modo, si può dire, che Houdini fosse anche un maestro de “l’impossibile! “.

Ho spesso notato che i tuoi romanzi contengono citazioni e riferimenti ad autori e opere che hanno avuto un certo effetto su di te: le tue citazioni sono intenzionali oppure no? Per esempio, il racconto del ponte in La malediction de Barberousse, che cita un racconto di Hoch; o i rimandi a opere del passato nel caso de La mort derrière les rideaux: la pensione del L’assassin habite au 21 di Steeman, oppure la figura della zitella di Murder is Easy di Agatha Christie; o la presenza del gatto guercio, come in Poe, nel finale de L’Image Trouble.

Non credo che sia davvero intenzionale. Semplicemente, ho fatto riferimento ad autori, libri che ho amato, che hanno segnato la mia infanzia. La storia del Gatto Nero di Poe mi aveva terrorizzato unitamente al film di Clouzot (L’assassin habite au 21), o ancora Murder is Easy da Agatha Christie, come tu hai giustamente indovinato. Quindi è più una questione di piacere personale che di voler onorare loro, anche se lo meriterebbero alla grande. Inconsciamente o no, io non lo so, ho voluto restituire quello che avevo provato nella scoperta di queste storie e di questi film. Penso che si possano trovare altri riferimenti di questo tipo, nella maggior parte dei miei romanzi. Sta a te scoprirli! E penso che sia abbastanza facile per persone come voi che conoscono bene i loro “classici” …

Come si scrive un romanzo? In altre parole, quale tecnica usi? Immagini la fine della storia e da essa vai indietro sino all’inizio, come fanno alcuni; o hai un idea precisa in mente, o forse prendi appunti, come faceva Agatha Christie e dopo scrivi la trama , più o meno delle linee guida; o anche inizi a scrivere, e poi, man mano che vai avanti, inserisci sempre nuovi cambiamenti in base alle idee che ti si formano in mente?

In verità, io cambio spesso circa il metodo, soprattutto per il punto di partenza, che può essere qualsiasi cosa: un’idea, un’immagine, una sfida, una discussione tra amici, una notizia, che è mi è arrivata. Così, nel caso de L’image trouble (Cento Anni prima), mi sono imbattuto in una copertina di un libro che mi ha molto commosso, senza che abbia compreso il perché. Sembrava una buona partenza della storia, e ho debolezza di credere che l’Image Trouble sia stato un buon successo.
Tuttavia, ho ancora le mie piccole abitudini. Così, ho sempre impostato un piano molto specifico prima di iniziare a scrivere. Ma non tutto è definito, è necessario lasciare un po’ alla sorpresa, all’improvvisazione. E una volta che sei lanciato, delle nuove idee affluiscono … che cerco di usare il più possibile. (Perché è difficile cambiare colpevole nel mezzo della storia!)
In caso contrario, prendo appunti. Li scrivo su un pezzo di carta che metto in una scatola (di scarpe). A volte li rileggo, e metto insieme le mie idee. Infine, la “atmosfera” è cruciale. Questa nozione, devo ammettere, proviene spesso dalle mie letture,da i film che mi hanno segnato. A questo proposito, devo molto a Carr e Christie. Mi dico che voglio fare una storia come The Burning Court, Murder Is Easy, ecc. Allo stesso tempo, cerco di innovare, di trovare una nuova illuminazione per un giallo. Oppure, come ho detto sopra, la riflessione di un amico mi può portare molto. Un giorno, Igor Longo, che stava sfogliando un fumetto di Ric Hochet (Le Double qui tue= Il Doppio che uccide), mi ha detto: “Questa è una eccellente storia di bilocazione! Non hai mai usato questa idea come tema principale”. E così è nato La Corde d’argent  (a proposito, apprezzo e ringrazio Igor per il suo intervento!)
Ma ci sarebbero ancora molte cose da dire! Il design di ogni romanzo ha una lunga storia! Il defunto Fredric Brown ha detto che ci vorrebbero 100.000 pagine per descrivere l’elaborazione di un libro che ne avrà 250! E in fede mia, aveva ragione!

Nella tua carriera letteraria, quanto peso hanno avuto scrittori come Carr, Christie, Rawson, Chesterton, Doyle, Talbot? E chi di loro ha pesato più di altri?

L’influenza di Carr e Christie, è enorme, si capisce. E quella di Doyle, naturalmente. Rawson e Talbot sono venuti dopo. Ma di questi ultimi due, non ho mai cercato di riprodurre qualcosa. Le loro trame sono eccellenti, ma manca il “tocco British”, l’atmosfera, il senso del bizzarro. E a proposito di “Bizzarro”, il maestro del genere, è forse Chesterton (che ha notevolmente influenzato Carr in proposito). Il “Bizzarro” è anche una situazione impossibile di prim’ordine. Qui, l’impossile riguarda il comportamento umano. Perché Tal dei Tali mangia il suo cappello all’uscita della Messa? Ancora una volta, le nostre cellule grigie sono messe a dura prova nello sforzo di dare un senso a tale “nonsense”. Per me, per esempio, “The Club of Queer Trades4 è un top, soprattutto la prima grande avventura.

E gli autori francesi, quale influenza hanno avuto su di te? Chi di loro ha avuto una maggiore influenza su di te? E quali opere in particolare?

Senza grande originalità, citerò Gaston Leroux, e il suo famoso “Le Mystère de la Chambre jaune” (=Il mistero della camera gialla) che Carr stimava molto, e a ragione. Vi è un po’di tutto in questo romanzo: i crimini impossibili, maschere strappate (identità rivelate), colpi di scena incredibili, ecc. Ho letto questa storia molto giovane ed è stata probabilmente la mia prima vera “camera chiusa”. Ho scoperto Arsene Lupin più tardi, nei telefilms televisivi. Era più leggero, l’umorismo ha la precedenza sul mistero, anche se era a volte di qualità. Vindy e Lanteaume, non li ho letti che dopo. (Vindry) è tecnicamente buono, ma manca dolorosamente di romanticismo (lo stesso vale per Boileau). In un libro come A travers les murailles (= Attraverso i muri), c’è qualcosa davvero che manca. Per me, Le Mystère de la Chambre jaune è nettamente superiore. Infine, lo ammetto, questo è un punto di vista puramente personale.Questo è tutto quello che posso dire di autori francesi. Il mio “latte materno” sono stati senza dubbio gli intrighi di A. Christie, nella famosa collezione gialla di Le Masque. Una collezione leggendaria, e non avrei mai immaginato che un giorno io potessi farne parte ! E mai avrei potuto immaginare che Le Masque potesse seguire la devianza “noir” di oggigiorno … ma questa è un’altra questione.

I tuoi finali sono spesso bizzarri e sono concepiti come un coup de theatre, riprendendo la tradizione surrealistica e antirealistica di autori francesi come Leblanc, Leroux, Steeman, Very, Boileau, Narcejac, Vindry. Molto spesso ho notato che i tuoi romanzi – e per questo mi piacciono – sono visionari, fanno dei salti pindarici di fantasia, sacrificando il realismo e la logica dei romanzi di marca anglosassone a ciò. Intendiamoci, è una caratteristica tipica dei romanzieri francesi, soprattutto quelli che ho citato (forse tranne Vindry che è quello più legato a Carr e Simenon che è l’applicazione del realismo e la negazione del surrealismo).

Che peso ha la fantasia rispetto agli altri ingredienti nell’elaborazione delle tue opere?

E l’atmosfera che è sempre molto suggestiva, è il risultato di qualcosa connesso allo stile oppure è qualcosa di innato in te, cioè anche quando eri più giovane riuscivi ad evocare suggestioni intense?

Il grosso problema per un romanzo poliziesco, è che la magia del mistero cessa di operare alla fine, quando tutto è spiegato in dettaglio. Abbiamo bisogno di trovare un escamotage per cui il fascino continui a funzionare sempre. L’esempio migliore resta a mio avviso la fine di The Bourning Court di Carr. In altre parole, trovare qualcosa per accreditare il fantastico dopo la spiegazione finale. Come definizione del romanzo poliziesco, Pierre Véry parlava di “favola per adulti” e io sottoscrivo senza riserve questa dichiarazione. Per i bambini piccoli che siamo stati, quelle storie di streghe, di fate e di draghi sono state una vera e propria scuola di preparazione al romanzo poliziesco! E inconsciamente, penso di cercare di trovare questi primi brividi scrivendo le mie storie. Il tema della fiaba è sempre celata al di sotto. Ne “L’homme qui aimait les nuages” 5 , è ancora evidente. L’eroina sembra essere una fata, mentre il colpevole è il “vento”.
Parlando dell’ “atmosfera”, non so sia qualcosa di innato, ma in ogni caso, mi sembra necessaria per scrivere una buona storia. E tanto che se non la sento, non comincio a dare inizio alla mia storia.

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9) Tu sei francese, ma non solo. Nella tua formazione letteraria, ha giocato un ruolo solo la tua eredità francese oppure anche quella alsaziana?

Francese, sì, ma come ho spiegato sopra, sono stato particolarmente sensibile ai romanzi polizieschi inglesi. L’Alsazia, si trova solo, credo, ne La malediction de Barberousse . Non si dice spesso di un autore che la sua prima opera è autobiografica? Certo, io amo la mia regione natale, ma sono anche appassionato di esotico. E non è certo il mio unico paradosso …

10) Mi ricordo che una volta Igor fece una distinzione tra i due grandi gruppi del Mystery: gli sperimentali ed i tradizionali. I primi sono quelli che non amano chiudersi in una formula, i secondi quelli invece che continuamente rielaborano, variandoli, dei clichè da cui non si discostano, moltiplicando enigmi e misteri. Lui ti poneva nel primo gruppo (Christie, Queen, Halter, Leroux, Steeman) e non invece nel secondo (Stout, Rhode, Van Dine,  Marsh , Sayers, Crofts, e in parte lo stesso Carr). Che ne pensi?

Tengo Igor in alta considerazione (la cultura poliziesca è veramente prodigiosa), quindi non mi permetterò di contraddirlo. In realtà, ho spesso voglia di scrivere le mie storie con nuova illuminazione. Con successo? Non so … Mi sembra sempre di fare bene, ma i miei lettori a volte non sono d’accordo. In verità (e questo è ciò che è grande nel mestiere di un romanziere), io voglio fare veramente, ciò che viene reso nelle mie storie. Mi piace scrivere storie. Altrimenti, come produrre qualcosa di convincente, se non si è sicuri di sé?

11) Ho notato che ci sono dei motivi ricorrenti in alcuni tuoi romanzi: i bambini e i ragazzi per esempio (la fanciullezza), il macabre, la pazzia. In particolare per esempio diversamente dai romanzi di Carr o di Ellery Queen o di Agatha Christie o di Van Dine in cui di solito gli assassini sono sempre soggetti calcolatori, astuti, talora anche vittime, ma sempre nel pieno possesso delle proprie facoltà, i tuoi assassini sono spesso vittime della pazzia, follia, amnesia, cioè soggetti con tare della mente, quasi non fossero responsabili in fondo delle proprie azioni. Che ne dici?

Sì, mi piace il tema della follia. Ciò consente di presentare modelli vari e sorprendente. Interessanti anche i problemi psicologici legati ai bambini (evitando il sacrosanto stupro dello zio!). Direi che i miei criminali sono spesso “ossessionati” da una passione, una fobia, ecc. Per essere più precisi, avrei dovuto dettagliare ognuna delle mie storie, ma vorrei lasciare al lettore la cura di scoprirlo di persona.

12) E ora analizziamo le tue fissazioni: le valigie, la pittura, le tende, per esempio presenti in vari romanzi. Come sono nate ? Ci sono altre fissazioni?

Un giorno un lettore mi ha fatto notare che la maggior parte dei miei titoli presentano spesso elementi d’architettura o delle figure, o entrambi: La Quatrième Porte, La Chambre du fou, La Septième hypothèse, les Sept Merveilles du crime, La Mort derrière les rideaux, etc.. Allora non ne ero cosciente. Le figure apportano di per sé un elemento di mistero: le porte, le finestre. E allo stesso modo puntare sulle “porte”, sulle “finestre”. Una porta socchiusa, una finestra illuminata di notte … questi sono elementi specifici del romanzo poliziesco. E a questo riguardo, mi inquadro in un filone decisamente classico. Le strade, le case per me sono esseri viventi, hanno un anima. Naturalmente, la magia non funziona in un sobborgo moderno. Ma chi ha letto John Ray, per esempio, può capire molto bene cosa intendo.

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13) Nei tuoi romanzi talora si riscontrano delle caratterizzazioni sociali e culturali: forse ho interpretato male, ma talora ho visto una tua negazione dell’aborto, una tua condanna di certi atteggiamenti etici libertari. In sostanza per me tu sei sostanzialmente un credente, cattolico o protestante non importa. Ma sicuramente non sei agnostico. E in un certo senso sei anche tradizionalista. Questi tuoi valori, in un certo senso in contrasto con quelle che sono le tendenze culturali e sociali odierne, e anche il tuo genere letterario (Mystery) in un tempo in cui i Noir vanno per la maggiore, ti ha procurato delle noie?

In realtà, io sono molto tradizionalista. Amo tutte le tradizioni, tutte le epoche. Tutte tranne una: quella odierna. La caratteristica del nostro secolo è senza dubbio la bruttezza che si presenta in tutte le sue forme (musica, architettura, idee sovversive, ecc.) E’ fisicamente impossibile per me seguire questa moda. Ho bisogno di un ambiente pittoresco (cioè tradizionale) per sviluppare una storia. Devo senz’altro rappresentare la figura di un fossile agli occhi dei nostri critici, ma non importa. Uno scrittore deve essere innanzitutto onesto. Avendo fino ad oggi scritto una quarantina di romanzi, ritengo di aver contribuito col mio blocco di costruzione all’edificio dell’enigma. Per il resto …

Ho letto in altra intervista che dal confronto con alcune persone, sono nati alcuni tuoi romanzi: per es. hai raccontato in passato che Le toile de Penelope è stata la risposta a Philippe Fooz che ti sfidava a inventare una Camera Chiusa, in cui ci fosse una ragnatela. E io che invece pensavo che anche quella fosse una citazione, un rimando a due romanzi: uno di Abbot prima, ed uno di Rogers dopo…

Hai prodotto altri romanzi, elaborati sulla base del confronto con altre persone? Che influenza e che importanza hanno i tuoi amici nella tua vita?

Preciso: l’idea di “La toile de Penelope” non proviene da Philippe Fooz ma Vincent Bourgeois, un altro dei miei amici belgi. Questa è per me una sublime idea, che ho subito usato in un romanzo. Colgo l’occasione per ringraziarlo ancora una volta, tuttavia precisando che “le idee” fornite dagli amici sono raramente sfruttate. Ma devo allo stesso modo ancora ricordare Roland Lacourbe, che mi ha fornito una quantità di soggetti molto interessanti, situazioni bizzarre, e che soprattutto ha saputo stimolare la mia passione per il mistero con il suo eccezionale talento di narratore. Tra le altre cose, è lui che mi ha ispirato l’idea de Le Septième Hypothèse (“La settima ipotesi”), riesumando la storia di Arabian Nights Murder (“Delitti da Mille ed una notte”) di Carr. Alcuni lettori d’altronde a ragione hanno messo in chiaro l’analogia tra il mio medico della peste e il “profeta barbuto” di Carr.

16) Nei tuoi romanzi abbondano Camere Chiuse, ma anche elementi sovrannaturali. Condividi in definitiva le stesse idee di Carr. Ma tra te e Carr c’è una fondamentale differenza: il sovrannaturale in Carr finisce laddove interviene il detective, espressione di logica e razionalismo (tranne che in The Bourning Court e in qualche racconto), (mentre) nei tuoi romanzi, invece, il sovrannaturale non è detto sempre che non sopravviva. Nei tuoi romanzi il mondo dei vivi e il mondo dei morti sono spesso intimamente connessi. Perché?

Credo che derivi dal mio interesse per il passato. Mi piace quando un puzzle ha le sue radici in un passato misterioso, un sinistro, che fa riferimento ad un caso che si perde nelle pieghe del passato. L’indagine diventa quasi il lavoro di un archeologo. E ‘anche vero che le credenze erano molto più radicate nei periodi remoti. Ciò mi consente di tuffare più facilmente una storia nel soprannaturale. Gli antichi misteri mi affascinano … Darei molto per disporre di una macchina del tempo per tornare indietro e regolare, per esempio, i comandi sulla caduta nell’autunno 1888 nel quartiere di Whitechapel. Potrei anche smascherare il sinistro Jack lo Squartatore …

Siccome tu ne La Quarta Porta, immetti a profusione elementi fantastici, ed essenzialmente lasci in sospeso la reincarnazione di Harry Houdini, come bene si legge in molti altri tuoi romanzi di letteratura fantastica, per esempio il paradosso temporale in L’Image trouble (Cento anni dopo) allo stesso modo di Fear, Burn! di Carr, pensi di essere solo un romanziere di letteratura poliziesca, o anche un romanziere di letteratura fantastica?

Penso di essere nella categoria di scrittori di gialli classici, perché in fondo tutti gli elementi fantastici della storia sono sempre spiegati alla fine, come il paradosso temporale in ” L’image trouble “. Tuttavia, mi è anche capitato di conservare un aspetto fantastico in uno o due dei miei romanzi, come ” Le Chemin de la lumière “, con un ritorno al passato. Questo è senza dubbio un romanzo fantastico, anche se altri misteri si spiegano (l’uccisione della sacerdotessa minoica nel suo tempio circondato da sabbia vergine).

Va notato che il soprannaturale, anche se è evidente, è un elemento chiave delle mie storie, come in Carr. In questo ci distinguiamo da molti scrittori di mistero. Noi amiamo più di altri, le storie di fantasmi. perché in realtà, un problema di camera chiusa non è altro che una storia di fantasmi, poiché solo loro possono attraversare le pareti. E riflettendo, un “mistero” non è di per sé un evento inspiegabile? Quindi, non potremmo definirci come degli “autori di misteri”?

Molto spesso, i tuoi romanzi sono narrati in prima persona, piuttosto che in terza. Questo va, ovviamente, a sollevare il problema della verità di ciò che è stato detto dal narratore, e che può anche essere l’assassino (il che accade in alcuni dei tuoi romanzi, più di uno). Tu adotti il racconto in prima persona (quando capita), per questo motivo, o lo fai per un altro?

Semplicemente, si tratta di una tecnica narrativa, accoppiato con una focalizzazione particolare sulla recitazione. L’uso della prima persona porta il lettore ad identificarsi nel narratore. Ma la terza persona facilita descrizioni accessorie. Ovviamente, devo fare una scelta. Questa è una funzione della storia. E io devo sempre dare priorità alla storia.

19) L’uso della prima persona, identifica il lettore nel narratore, dici.
Siamo d’accordo. Ma l’adozione di questa procedura, per te, è solo una questione di ordine tecnico, o è il frutto dell’influenza di Agatha Christie su di te?

Anche su questo piano (è vero), ho sofferto l’influenza di Agatha Christie. La scoperta del colpevole in The Murder of Roger Ackroyd (“L’assassinio di Roger Acroyd”) è stata una grande sorpresa per me. Ma spesso si dimentica che AC si ripetuta con “la Nuit qui ne finit pas  ” (Endless Night) 6. Un ottimo libro, che mi aveva anche colpito ai suoi tempi. Credo anche che far scrivere “io” quando si parla dell’assassino, fornisce anche qualche bel brivido al romanziere. Se mi ascoltassi, tutte le mie storie avrebbero il narratore come colpevole!

Che valore hanno le traduzioni delle tue opere, sul tuo successo all’estero? Con i tuoi traduttori, ci sono solo rapporti di lavoro o anche relazioni amichevoli? E soprattutto in Italia, qual è il tuo rapporto con Igor Longo? Quanto tempo fa vi siete conosciuti?

In generale, non vi è alcun legame tra l’autore e il traduttore, ma per Igor Longo e John Pugmire (USA), è diverso. Ero in contatto con John prima che cominciasse a tradurre i miei libri. Lui è appassionato di enigmi della camera chiusa, come Igor, anche. Penso che Igor sia uno dei maggiori esperti al mondo per il romanzo poliziesco. L’ho incontrato poco dopo le sue prime traduzioni, quando venne a Strasburgo. Ora sono due amici, e a loro devo un sacco. Entrambi hanno lavorato molto per l’enigma classico. E mi piace cogliere l’occasione per ringraziarli calorosamente. Che Dio benedica le Camere Chiuse!

Oggi pochi autori scrivono mystery (tranne che in Giappone).

Conosco la tua posizione a riguardo della letteratura noir e quindi non ti rifaccio la stessa domanda. Mi piacerebbe sapere se tu abbia incontrato difficoltà in Francia con gli editori circa la pubblicazione dei tuoi romanzi, prendendo in esame la grande maggioranza di scrittori noir, e se tu hai incontrato resistenze ad accettare il mystery in luogo del romanzo noir. E secondo te se vi sia differenza tra il mystery storico e il puro mystery, poiché tutti gli scrittori oggi scrivono mystery storici: evidentemente c’è un’abbondanza di storici, oggigiorno!

Onestamente, no, non ho quasi avuto problemi con le case editrici quando ho ricevuto il premio di Cognac e il premio del Romanzo d’avventura. E dal momento che ero pubblicato dalle edizioni Le Masque, simbolo francese del mistero, mi sentii in perfetto accordo con questa collezione, che mi pubblica ancora 35 romanzi (se non ricordo male.)
Per i gialli storici, sono d’accordo, è diventato una moda da qualche tempo. Non credo che la maggior parte dei lettori apprezzino i dettagli sociali o storici che vengono sviluppati. Se voglio conoscere la vita dei romani o greci dei tempi antichi, compro un libro di storia.
Detto questo, io non metto tutto in un carrello. Ci sono buone sorprese. E torno ancora alla mia cara A. Christie, che ci ha offerto un bellissimo libro ambientato nell’antico Egitto: La Mort n’est pas une fin 7. E ‘una bella storia, che si arricchisce di atmosfera, la magia dell’antico Egitto. A.Christie non è caduta nell’ulteriore trappola della descrizione sociale. Le sue priorità sono come sempre: il romanzo, la storia, i personaggi. Spesso mi capita di rileggere un romanzo di Agatha Christie, ed è sempre con la stessa felicità. Il giorno che fossi stanco delle sue storie, sarei stanco della vita!

Tu hai 57 anni, e puoi dire “ho scritto quasi quaranta romanzi”. Scrivi un romanzo per anno, si può dire. L’ultimo è stato “La Tombe indenne”. Non ti è mai venuto in mente di scrivere storie per ragazzi come Jo Nesbo o l’italiano Giulio Leoni? E, mettendo la parola fine a quest’intervista, cosa fai oltre che scrivere romanzi? Stai lavorando a qualche altro romanzo?

Quest’intervista sarà diffusa non solo in francese ed in inglese, ma sarà posta all’attenzione del pubblico italiano. Vuoi dire qualche cosa?

Ti ringrazio del tempo e dell’attenzione che mi hai riservato.

No, non ho intenzione di scrivere regolarmente romanzi per ragazzi. “Spiral” era un’eccezione, una richiesta del direttore della collezione, che mi aveva già sollecitato per un’altra serie (La Nuit du Minotaure = La Notte del Minotauro). Ci sono troppi vincoli, preferisco scrivere storie per i “grandi”!
Attualmente sto rileggendo il romanzo appena finito Le Masque du Vampire (= La Maschera del Vampiro – titolo suscettibile di essere cambiato). Dopo di che, mi dimenticherò per qualche tempo le “camere chiuse” per ricaricare le mie batterie al meglio, facendo qualcosa di diverso (musica, acquerelli, escursioni), come ho l’abitudine di fare dopo aver completato un libro.

Per concludere, mi sia permesso di parafrasare il compianto John Dickson Carr: “Se i miei lettori potranno divertirsi leggendo anche solo la metà delle storie che io abbia scritto, sarò entusiasta!”.

Vorrei aggiungere che io sono molto felice di essere pubblicato regolarmente in Mondadori, tra l’altro, per le sue belle copertine di libri, che sono fonte sempre d’ammirazione dei miei amici collezionisti.

1 The Avengers, serie televisiva britannica ultrafamosa con Patrick Macnee (John Steed) e tre belle assistenti: Cathy Gale (Honor Blackman), Emma Peel (Diana Rigg), e più tardi Tara King (Linda Thorson)

2 John Pugmire : “The first novel Paul actually wrote was La Malediction de Barberousse… No sooner had I said that than Paul authorized Le Masque to publish it, based, he said, on the fact that I liked it. It came out in 1995”. L’affermazione mi è stata fatta personalmente da John. Sgombra il campo. Paul Halter si ricordò di segnalare a Le Masque che avrebbe potuto pubblicare il libro, una volta saputo che il libro piaceva anche ad uno dei suoi amici più cari. Si fidò cioè del commento di John Pugmire (oltre che del proprio).

3 L’espressione usata da Paul è stata: Carr a dit : « Lorsque j’écris un roman, j’ai toujours envie de faire quelque chose d’exceptionnel, un livre qui frapperait tout les autres de nullité. ». In realtà l’espressione completa e fedele di Carr è: « Mon intention est toujours d’écrire un roman policier véritablement exceptionnel, ce à quoi en toute honnêté j’estime ne pas être encore parvenu. Quand un auteur de mon espèce déclare une chose pareille, il veut en réalité dire qu’il souhaite écrire un roman policier qui frappe tous les autres de nullité. C’est là bien entendu quelque chose d’impossible. Mais on peut toujours essayer. » (Roland Lacourbe, John Dickson Carr, scribe du miracle – Inventaire d’une oeuvre, pag.25)

4 Raccolta di racconti di Chesterton, pubblicata nel 1905. Il riferimento in particolare è al primo capitolo: The Tremendous Adventures of Major Brown

5 L’uomo che amava le Nuvole (inedito in Italia)

6 Nella mia fine è il mio principio

7 Death comes as the End (C’era una volta)

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Posizione di tiro – Ottobre 2010 – Massimo Pietroselli

ottobre 23rd, 2010

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Questo mese, abbiamo intervistato per Voi, Massimo Pietroselli.

Buona lettura.

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DG: Siamo giunti al capitolo conclusivo di questa Tua trilogia, ripubblicata sul Giallo. Ti ritieni soddisfatto della risposta del pubblico?

MP: Anzitutto farei una precisazione: si tratta di una trilogia solo perché finora ne ho scritti tre. Voglio dire che, con l’aiuto di Dio e dell’editore, questa potrebbe diventare col tempo una tetralogia, una pentalogia, una esalogia etc. Ciò detto, mi pare che nel complesso sia stata apprezzata, a giudicare dalle mail che ricevo e dai post sul vostro blog, nonché dalle varie recensioni in rete.

DG: In cosa pensi differisca il pubblico del Giallo Mondadori da quello del circuito librario standard?

MP: Mah, questo è veramente difficile a dirsi dalla mia posizione “esterna”, da non addetto ai lavori. Forse i lettori del GM sono in gran parte lettori affezionati a una testata che negli anni ha proposto una certa qualità, vorrei dire un certo tipo di giallo. Proprio per questo, alcune novità possono trovare fatica a imporsi sul GM, mentre invece in libreria possono avere un più ampio riscontro. Ad esempio: se io scrivessi un giallo contaminato con la fantascienza, o con l’horror, forse i lettori del GM storcerebbero il naso. Tuttavia, credo che il GM debba tentare di proporre novità, non solo di autore ma di contenuto, sia pure senza perdere di vista i desiderata dei lettori forti: dopotutto, il catalogo del GM è sempre stato ampio. Negli anni ’50 e ’60, autori d’avanguardia, ben fuori dagli schemi soliti, venivano proposti con frequenza: è lì che sono stati pubblicati Jim Thompson o Richard Stark. Il GM non è mai stato solo “giallo classico”.

DG: A quale dei tre capitoli sei maggiormente legato?

MP: Direi che l’ultimo è il migliore dei tre. Tra l’altro, questo mi permette di credere che sto migliorando, no?

DG: Domanda di routine: Se dovessi scegliere un regista al quale affidare la trasposizione della trilogia, chi sceglieresti?

MP: A Luigi Magni, ovviamente! Oppure, visto il cinismo di alcuni personaggi – i primis il famigerato Quadraccia – a Monicelli. Tanto è un gioco, no?

DG: In questi ultimi giorni è uscito un tuo nuovo lavoro dal titolo: “L’aquila di sabbia e di ghiaccio”. Ce ne vuoi parlare?

MP:Ah, questa è tutta un’altra storia! Non siamo nel giallo, ma in un corposo romanzo storico ambientato nell’impero di Marco Aurelio. Nonostante ciò, gli elementi di intrigo abbondano: il protagonista è uno speculator, ovvero una spia, il quale attraverso una serie di indizi, tra cui il trafugamento di un cadavere da un ipogeo segreto del tempio di Iside e Serapide, scopre una macchinazione che rischia di far naufragare la campagna danubiana dell’imperatore. L’indagine lo porta da Roma fino al Danubio, e poi ad Alessandria d’Egitto, e di nuovo tra i ghiacci del settentrione. E come tutti i personaggi che si rispettano, il mio speculator ha anche un passato segreto, che si svelerà poco a poco, e un peso sulla coscienza. E poi c’è Marco Aurelio, imperatore poco frequentato dai romanzieri. Di lui l’uomo medio sa che andava a cavallo, perché c’è la sua statua in Campidoglio, e che era un filosofo. Quelli che hanno visto “Il gladiatore” ricorderanno forse che fu ucciso dal figlio Commodo: il che non è vero. Ma fece anche dieci anni di guerra lontano da Roma, sopportò il tradimento di intimi amici, abusò di oppio che gli era stato prescritto per dolori allo stomaco… insomma, un personaggio molto complesso e contraddittorio, che spero di aver reso su carta.

DG: Grazie Massimo. A prestissimo!

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Posizione di tiro – Settembre 2010 – Simone Tordi

settembre 27th, 2010

  • Allora Simone, direi di partire con una piccola presentazione per i lettori del Giallo Mondadori. Innanzitutto, come sei approdato sulle pagine di questa storica colllana?

In passato ho scritto diverse cose: racconti per altre collane edicola Mondadori (Epix, Il Giallo Mondadori Presenta), articoli per riviste (come la storica NoirMagazine della DeAgostini), graphic novel (La banda della Magliana per BeccoGiallo). Ho anche scritto qualcosa per la Tv. Insomma, il piacere per la scrittura, che nasce insieme a quello per la lettura, mi ha sempre accompagnato. Come sono approdato alla storica collana del Giallo Mondadori? Semplice, grazie all’incoraggiamento dell’editor, Sergio Altieri. Conoscendolo, conoscendo la sua modestia, farà rimuovere questa frase…

  • Passiamo a Luna in Scorpione. Come mai l’idea di cimentarsi con la formula dei due romanzi brevi? E’ la soluzione narrativa che prediligi o è una casualità che siano stati accorpati?

In generale mi trovo meglio con la formula del racconto e del romanzo breve. Sono due romanzi scritti in tempi diversi, con stili diversi. Nero Luna è più realistico, veloce, tradizionale se vogliamo. Scorpioni nel cervello ha dei personaggi più spinti, estremi, e anche le atmosfere sono molto più dark. L’idea di fare una doppietta, di accorpare i due romanzi è nata, come sempre, dalla mente contorta e geniale di Altieri.

  • Nel tuo lavoro è forte l’impronta cinematografica. I tuoi personaggi sembrano quasi usciti da un serial televisivo. Creandoli, hai volutamente “rimarcato” questo aspetto o sono cresciuti autonomamente man mano che la storia prendeva forma?

Quando scrivo ragiono molto in termini di scene, sequenze, azioni e quindi mi viene naturale usare uno stile cinematografico. Spesso divido i romanzi in brevi capitoli quasi fossero delle sequenze di un film. Se a questo aggiungiamo che, come produttore e story editor, lavoro quotidianamente a contatto con sceneggiatori e registi di ficiton televisive, le influenze risultano evidenti.

  • Quali sono i tuoi gusti da lettore? Sei un lettore del Giallo Mondadori o i tuoi gusti ti portano altrove?

Sono un lettore piuttosto onnivoro. Per quanto riguarda il noir, vado dai numi tutelari, come Hammett, a Scerbanenco. Sono attratto anche dalla commistione dei generi e dalla forza diromoente della narrativa popolare. Per capirci, oscillo tra la forza sferzante di un Willeford e quella pulp dirompente di Latimer, un autore poco conosciuto che voi del Giallo avete riproposto di recente.  Per restare nel genere: Peace, Burke, Thompson, Ellroy della quadrilogia di LA.

  • Se dovessi scegliere uno dei due racconti da trasporre al cinema, quale sceglieresti? A chi lo faresti dirigere?

Domanda difficile. Sarebbe molto più facile trasporre Nero Luna. Ha già un taglio cinematografico (o televisivo) e, secondo me, diventerebbe un bel poliziesco teso e duro. Per Scorpioni nel cervello, più eccessivo e a tinte forti, servirebbe un regista visionario, cupo. Nonostante la veneranda età per Nero Luna vedrei bene William Friedkin, per Scorpioni nel cervello invece oserei Nicolas Winding Refn, quello della trilogia di Pusher. Tanto per vedere che diavoleria ci tira fuori…Certo, per restare nei confini nazionali, se qualche giovane regista italiano si mostrasse interessato ne sarei felicissimo.

  •  Grazie per il tempo che ci hai concesso e alla prossima!

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Posizione di tiro – Giugno 2010 – Gianfranco De Turris

giugno 16th, 2010

Cari lettori del Giallo, anche questo mese torna “Posizione di tiro”, il nostro consueto appuntamento con i protagonisti della letteratura poliziesca. Questo mese abbiamo il piacere di avere con noi Gianfranco De Turris ,curatore dell’antologia attualmente in edicola “Sul filo del rasoio”.

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Nessuno meglio di Lui può raccontarci l’itinerario, il dietro le quinte e qualche curiosità su questa, incredibile antologia, che segna un ulteriore “punto di svolta” nell’ambito della new wave del thriller italiano.

Here we go:

DG: Come e quando nasce l’idea di costruire questa antologia e con che criterio ha individuato gli autori?

GDT: L’idea ha due fonti: la prima è che sono sempre stato un appassionato del giallo classico (alla Sherlock Holmes e alla Giudice Dee, per intenderci) e negli anni Settanta pubblicai nella collana “Futuro” dell’editore Renato Fanucci il libro di Algernon Blackwood, John Silence, investigatore dell’occulto in cui lo scrittore inglese, che ne sapeva parecchio di magia ed esoterismo, aveva applicato appunto i sistemi investigativi di Sherlock Holmes al suo John Silence ma sul piano – appunto – dell’occulto. Quindi la passione per la mescolanza di poliziesco e di fantastico ha una lontana origine, che ho personalmente concretizzato in seguito, prima con un numero speciale del fanzine Diesel nel 1994, poi con l’antologia Investigatori dell’ignoto, edita da Alacràn nel 2002 e poi ampliata nel 2008, in cui misi alla prova, credo con eccellenti risultati, scrittori italiani su questa specifica commistione in un ambiente italiano.

Seconda fonte: tempo fa ho avuto l’occasione di assistere alla presentazione di alcuni libri durante la quale un amico scrittore e curatore specialista in storie poliziesche e d’avventura polemizzò in modo graffiante con gli stereotipi imperanti nel giallo provinciale italiano e che riassunse nella definizione di “Commissario Cliché”. La cosa mi divertì e mi intrigò. Mi chiesi allora perché, dopo aver sollecitato vari amici ad affrontare il giallo fantastico, non potevo fare altrettanto con il giallo fantascientifico. Per far questo non era ovviamente necessaria una iper-specializzazione nel giallo tout court appunto perché non di esso si tratta, ma di un mix che si deve giudicare nel suo complesso. L’idea è stata accettata anche con entusiasmo dagli autori e Sul filo del rasoio era pronto già all’inizio del 2009. Sergio Altieri, che mi aveva incoraggiato a portare avanti l’idea, ha deciso poi di pubblicarla come supplemento dei Gialli e non di Urania. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo: se non ci fosse stato lui questo libro non sarebbe mai uscito.

DG: Si trova d’accordo nel definire questo genere “Cyber-noir?”. Pensa che sia improprio accostarlo all’ambito del connettivismo?

GDT: La definizione non mi piace troppo. Nella introduzione all’antologia ho detto esplicitamente, infatti, che non uso di proposito il termine noir che è nato in Francia con una specifica intenzione e che adesso si applica ai testi più disparati, al punto da non significare granché. Da parte sua cyber mi ricorda troppo cyperpunk, definizione coniata da un critico all’inizio degli anni Ottanta per le opere di Sterling, Gibson & C. Se ne è voluto fare, soprattutto in Italia, un movimento non solo letterario ma anche politico-ideologico e i suoi stessi scrittori simbolo ora non lo riconoscono più. Quindi cybernoir non mi piace. Quanto alla corrente italiana del “connettivismo” non mi pare che i racconti di questa antologia vi abbiano a che fare, dato che anche qui gli autori che si dicono “connettivisti”, indipendentemente dai loro risultati, mirano ad un movimento non solo letterario ma quasi filosofico. Certo nel giallo fantascientifico c’è la fusione di due generi che potrebbe ricordare il nexialism vanvogtiano da cui emerge una loro fusione, ma siamo sempre e solo a livello letterario e non “ideologico”.

Se proprio si vuole porre un’etichetta a questo tipo di storie allora perché non il più semplice fantathriller? Esiste già il tecnothrller con cui sono stati definiti, se non sbaglio, certi romanzi del nostro Altieri. Le etichette però valgono per quel che valgono, spesso sono artificiali e artificiose, al massimo servono per comodità.

DG:Pensa che questo genere possa ritagliarsi una finestra importante    nel panorama del thriller italiano (seguendo il trend del mercato americano) o è destinato a rimanere una corrente “crepuscolare”?

GDT: Mah, tutto dipende dal cosiddetto “mercato” che è circolare: se in Italia l’argomento va perché piace ai lettori, anche sull’onda delle traduzioni americane, i curatori e i direttori di collane ne chiederanno anche agli scrittori italiani. I quali, se scriveranno testi interessanti per linguaggio e idee si faranno comprare e leggere. E così via. Ovvero: se curatori e direttori editoriali crederanno a questo sottogenere chiederanno ai loro autori che vi si impegnino, e se le opere saranno interessanti saranno lette e richieste. E’ già successo che certi generi siano stati “imposti” dall’alto per preveggenze editoriali, ed altri uccisi nella culla per incomprensioni editoriali. Se uno dei passaggi fa cilecca l’impalcatura crolla. Ma, come al solito – è già avvenuto in passato – la sovrabbondanza di romanzi pubblicati solo per seguire una “moda” senza molto guardare la qualità producono l’effetto contrario: la disaffezione del pubblico. Che è molto esigente e oggi, per la nota crisi, compra di meno scegliendo tra le molte offerte.
Che questa antologia possa costituire l’indicazione per una nuova direzione del thriller italiano sarebbe per me “fantascientista” una sorpresa e mi farebbe piacere, ma preferisco che resti in una zona “crepuscolare” ma con testi buoni, che non diventi alla “moda” con testi mediocri, scritti solo perché c’è una “moda”.

DG: Giallo e Fantascienza sono spesso stati “compagni di viaggio” nel corso della storia della letteratura; quali attinenze secondo Lei legano questi due generi all’apparenza così dissimili?

GDT: Una volta non ricordo chi scrisse che la fantascienza assommava in sé tutti gli altri generi e tipologie letterari: le storie d’avventura, d’amore, il dramma sociale, la speculazione filosofica, l’introspezione psicologica, l’orrore, la fantasia più bizzarra, le estrapolazioni della scienza, le visioni sociologiche, politiche, utopiche. Quindi perché non anche il giallo, cioè l’indagine poliziesca in un futuro più o meno vicino? Charles Eric Maine, Eric Frank Russell, Philip Dick e soprattutto Isaac Asimov ci hanno provato con ottimi risultati. La conclusione è quindi che la fantascienza può anche comprendere il giallo senza problemi. Che due generi “popolari”, “di massa”, come si diceva una volta, si fondano, come ho anche detto prima, non deve sembrare una novità, però alla fine sono i risultati quelli che contano.

DG: Senza voler fare delle classifiche, dei racconti presenti all’interno dell’antologia, quali sono a Suo parere, rispettivamente: Il manifesto della raccolta, la sorpresa, il racconto più cinematografico e la storia dove i due generi meglio si assortiscono?

GDT: Domanda oltremodo imbarazzante! Non tanto perché rischio di farmi dei nemici, ci mancherebbe!, ma perché ritengo tutti i racconti di una buona a in alcuni casi eccellente qualità, non fosse altro perché li ho scelti io, magari dopodiverse riscritture…. Però la domanda individua delle specificità, e potrei forse dire che la sorpresa è Il ritorno di Iside di Pietrangelo Buttafuoco,giornalista e scrittore mainstream  di successo che si è cimentato per la prima voltain questa mescolanza di “generi” con un risultato eccellente dal punto di vista linguistico e straniante dal punto di vista contenutistico, dato che oltre alla fantascienza e al giallo c’è anche una preponderante componente mitica. Per il racconto più cinematografico ne segnalo due: Il Grande Sceneggiatore di Andrea Carlo Cappi, autore versatile ma non tanto in fantascienza che ha scritto una storia, come gli ho detto, che merita di essere trasformata in romanzo e che ha tutti gli ingredienti per un film spettacolare. Ma anche, intendendo questo aggettivo come struttura della narrazione, Maschere di Antonio Tentori, che, proprio perché l’autore è uno sceneggiatore di film polizieschi e horror, è pensata quasi come fosse un soggetto cinematografico. Il racconto in cui meglio si mescolano i due generi? Forse Il metodo Bulard di Lombardi e Necropolis di Passaro che, pur brevi, immaginano allo stesso tempo nuovi crimini e nuove pene, senza far torto a parecchi altri che pure meriterebbero di essere citati. Infine, non è il caso di indicare un racconto manifesto, troppo difficile: diciamo allora che Sul filo del rasoio è una antologia manifesto. Ma di che? Sinceramente non avevo intenzione di proporre un sottogenere perché esso, in quanto tale, non è una completa novità; piuttosto di lanciare una provocazione in positivo: il poliziesco italiano può percorrere proficuamente anche la strada del futuribile che, a sua volta, come si può leggere, ha innumerevoli varianti, anche la storia alternativa.

Grazie per la Sua disponibilità, alla prossima e..continui a seguirci.

Note biografiche: 

Gianfranco de Turris (Roma, 1944), giornalista e scrittore, ha esordito nel 1961 con articoli e poi racconti di fantascienza, spesso insieme a Sebastiano Fusco, sulla rivista romana Oltre il Cielo. Con lui ha curato per dieci anni (1972-1981) le collane dell’editore Renato Fanucci che hanno lasciato una traccia critica nella editoria italiana di science fiction. Ha scritto su giornali, riviste, enciclopedie, cataloghi. E’ stato per 26 anni a RadioRai occupandosi soprattutto di cultura e realizzando il programma settimanale L’Argonauta per cui ha ottenuto il Premio Saint-Vincent 2004. Ha curato l’edizione italiana di tre o quattrocento volumi (almeno crede, perché non li ha mai contati tutti). Ha ideato sin dal 1981 innumerevoli antologie di fantasia e fantascienza italiana a tema: tra le ultime Se l’Italia (Vallecchi, 2006), Il mondo di Lovecraft (Alacràn, 2007), Investigatori dell’occulto (Alacràn, 2008), Nel nome di Lovecraft (Bottero, 2008), Da Arkham alle stelle (Bottero, 2008), Sul filo del rasoio (Mondadori, 2010). E’ stato fra coloro che hanno fatto conoscere o riscoprire in Italia Tolkien e Lovecraft, la protofantascienza italiana e la storia alternativa o ucronia. Ha pubblicato, anche con pseudonimo, sedici volumi e volumetti tra narrativa e saggistica, sia di politica culturale sia di letteratura dell’ Immaginario: tra gli ultimi: Il drago in bottiglia (Ibiskos, 2007) e Cronache del fantastico (Coniglio, 2009). Insieme a Sebastiano Fusco cura a partire dal giugno 2010 la collana “Ai confini dell’Immaginario” dell’Editore Coniglio dedicata ai classici di science fiction, fantasy, horror che si inaugura col ciclo di Solomon Kane di Howard (il film esce in Italia a luglio) e Schiavi degli invisibili di Russell.     

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Posizione di tiro – Febbraio 2010 – Barbara Baraldi: “Bambole pericolose”

febbraio 10th, 2010

A cura di Dario pm Geraci

Autrice ormai di spicco del nuovo thriller italiano, Barbara Baraldi con questo “Bambole pericolose” ci porta negli oscuri meandri di una Bologna mai così violenta e spettrale.

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DG: Allora Barbara, pronta ai nostri cinque colpi a bruciapelo?

BB: Per citare John Carpenter: sono nata pronta. A parte gli scherzi, grazie Dario, è un onore per me essere ospite sul blog del Giallo.
DG: Se ti guardi alle spalle, come pensi si sia evoluto il tuo stile?

BB: Ho sempre cercato di adattare il mio stile alla storia da raccontare. Ne “La collezionista di sogni infranti” la vicenda parte da una riflessione sul mondo virtuale e i pericoli della rete. In questo caso ho optato per uno stile secco, con frasi brevi e incisive che ricordino l’immediatezza della chat. Seguendo questo ragionamento ho scelto di non suddividere i capitoli e il lettore si trova catapultato dalla mente di Marina a quella di Amelia, le due protagoniste, come in un gioco di specchi. Per “Bambole pericolose” ho cercato uno stile più descrittivo. C’è una Bologna gotica, notturna, combattimenti clandestini come ancestrali riti di sangue. Ci sono magia nera, tradimenti, vendetta e sentimenti primigeni come l’amore e l’odio. La vicenda è descritta in terza persona con alcuni stacchi in prima, come se una telecamera immaginaria offrisse, di tanto in tanto, il punto di vista di uno dei protagonisti.

DG: Come identifichi il tuo pubblico? Tracciaci l’identikit del tuo lettore medio.

BB: Dalle mail che ricevo non ho un lettore tipo. Ci sono ragazzine, magari attratte dallo stile a volte onirico, che si trovano vicine alla sensibilità delle mie eroine più giovani; ci sono appassionati di cinema che si divertono a scovare le citazioni che nascondo tra le righe. Una volta una mamma mi ha detto che avrebbe fatto leggere le vicende di Amelia a sua figlia, per farle aprire gli occhi sui pericoli del mondo virtuale. Con “Bambole pericolose” ho ricevuto varie mail da parte di cultori delle arti marziali. Mi ha fatto molto piacere.

DG:  Sappiamo che il mestiere dello scrittore richiede, oltrechè molta passione e dedizione, anche una grossa parte di ricerca La famosa “fase spugna” dei luoghi e dei personaggi. Ci racconteresti le fasi della lavorazione di un tuo romanzo?

BB: Sono molto scrupolosa nel lavoro di ricerca prima della stesura di un romanzo. Con “Bambole pericolose”, per esempio, mi sono documentata a lungo sulle tecniche di combattimento. Ho una passione per le arti marziali, ma avevo bisogno di approfondire l’argomento. Ho frequentato per settimane un corso di Kick boxe e ho assistito agli incontri dei Nazionali di Thai Boxe, una grandissima emozione! Ho parlato con esperti e istruttori. E poi lo ammetto, gioco da anni a Tekken J. Dopo essermi documentata ho preparato una scaletta generale, e poi via con la stesura. Successivamente c’è il lavoro di revisione, che è sempre il più duro. Perché, come ha detto qualcuno prima di me: “Scrivere vuole dire riscrivere”.

DG: Abbiamo in comune una smodata passione per il cinema, di genere soprattutto. La definiresti una passione fine a sè stessa o trovi sia funzionale alla lavorazione di un romanzo/racconto?

BB: Sicuramente questa passione ha contagiato il mio stile. Quando scrivo procedo a visioni, quasi come un film mi passasse davanti. Hanno definito la mia scrittura cinematografica: è quello che cerco di ottenere.

DG: Domanda “cult” della nostra rubrica: Se dovessi scegliere un regista a cui far trasporre un tuo romanzo al cinema, quale sceglieresti tra le tue opere e quale fra i registi (solo quelli in attività altrimenti, conoscendoti, sarebbe fin troppo facile pescare tra i nostri artigiani degli ’60/’70).

BB: Niente anni 60/70, ok. Rimango in Italia e scelgo i Manetti Bros. Ho apprezzato il loro metodo di lavoro direttamente sul set de L’Ispettore Coliandro. Soprattutto, lavorano con passione e professionalità. Forse, per cominciare, sceglierei proprio “La bambola dagli occhi di cristallo”: una Bologna oscura, insidiosa, e un ritmo sincopato.

Grazie Barbara e tienici sempre aggiornati sui tuoi progetti. I lettori del Giallo Mondadori ti seguono sempre con estrema attenzione…ah! sappi che si tratta di un avvertimento!

BB: Non manchero’

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Posizione di tiro – Legame di sangue – Roberto Riccardi

dicembre 18th, 2009

Intervista a cura di Dario pm Geraci 

DG: Tenente Colonnello Riccardi, è un piacere averla qui sulle pagine del nostro sito. Che sensazione si prova ad aver vinto un premio così prestigioso nell’ambito della narrativa thriller?

RR: Una bellissima soddisfazione. Il Premio Tedeschi, il Giallo Mondadori, sono la storia del genere letterario in Italia. Per mia natura sono portato a non prendermi troppo sul serio. In questo caso, catapultato  al  Noir in Festival di Courmayeur per la premiazione, in mezzo a veri Maestri del settore, sono stato costretto a farlo! 

DG: Il Suo è quello che viene comunemente considerato un “esordio al fulmicotone”. Qual è stata la Sua “formazione” nel thriller? Da lettore, quali sono i suoi gusti?

RR: Premetto che sono, da sempre, un lettore tendenzialmente onnivoro. Da adolescente leggevo libri di avventure, classici e… Gialli Mondadori! La prima autrice che ho divorato è stata Agatha Christie. Nel tempo mi sono affezionato ad altri, come Simenon, Chandler e soprattutto Sciascia, che per Legame di sangue è forse il riferimento più presente.  

DG: Cosa pensa possa distinguere il Suo romanzo, rispetto ad altri prodotti che trattano temi simili, come ad esempio lo “spinoso” rapporto con la mafia?

RR: Non so se oggi qualcuno possa ritenere di scrivere cose autenticamente originali. La produzione letteraria è sterminata, inconoscibile. Ho messo nella mia storia, che ha una trama di fantasia, un realismo che deriva dall’aver maturato esperienze simili a quelle di Roversi, il protagonista del romanzo. Come lui sono stato un giovane capitano dell’Arma impegnato in Sicilia, e ho svolto indagini su delitti di mafia. Forse questo è un tratto peculiare del mio libro.  

DG: Sta già lavorando su un nuovo testo o vuole prima godersi appieno i fasti di questa vittoria?

RR: Scrivere è una malattia difficilmente curabile. Sto lavorando ad altri soggetti, non solo dello stesso genere. Ho imparato poche cose nella vita. Una è che i fasti non tornano da chi sta fermo a goderseli. Per raccogliere occorre seminare. Sempre. Come nelle indagini.

DG: Domanda ricorrente qui a “Posizione di tiro”: Se dovesse scegliere un regista (Italiano o Straniero) al quale far dirigere l’adattamento cinematografico di questo Suo romanzo, chi sceglierebbe?

RR: Resto in patria, credo che un’ambientazione come quella di Legame di sangue possa essere resa meglio da chi ha un’idea più precisa del fenomeno mafioso siciliano, che ha poco a che fare con film (pur bellissimi) come Il padrino o The untouchables. Posso sparare qualche nome enorme? Giuseppe Tornatore e Roberto Faenza, per citare registi che  hanno raccontato molto bene la Sicilia. Oppure Gabriele Salvatores, che ha diretto diversi thriller di elevato livello. Ma il mio è un sognare ad occhi aperti, me ne rendo conto.    

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Posizione di tiro – Novembre 2009 – Il mio vizio..

novembre 9th, 2009

Intervista a cura di Dario pm Geraci 

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Torniamo piacevolmente a scambiare quattro chiacchiere con Stefano Di Marino che, a differenza

delle altre volte, non è qui a presentare un suo nuovo romanzo, bensì una raccolta (da lui curata)

di racconti ispirati al cinema italiano degli anni ’70. Quello che viene comunemente etichettato

come thrilling o spaghetti horror. Allora Stefano, pronto per la nostra raffica?

DG  Perché una raccolta sul thriller cinematografico italiano degli anni ’70?

In cosa differisce il thriller letterario italiano odierno da quello cinematografico di quel decennio?

SDM. È mia opinione (discutibile ma non priva di fondamento) che i migliori talenti della

narrativa thriller italiana abbiano nel loro bagaglio culturale il cinema ‘argentiano’.

Con questo termine intendo però una produzione che ha inizio una decina di anni prima dell’uscita

dell’Uccello dalle piume di cristallo. Intendiamoci di  Gialli in Italia se ne sono

sempre scritti ma il classico  ‘italian giallo’che sfiora a volte il paranormale ma ha come

solida base la suspense e lacaccia all’assassino ha una fortissima connotazione cinematografica.

Ovviamente i tempi cambiano e a quel genere di tradizione se ne sono  aggiunte altre.

Resto convinto però che la radice del thriller italiano emergente sia quella. Certo si tratta di un’influenza,

una rilettura che ogni autore interpreta alla sua maniera.

–  

DG Con che criterio hai scelto gli autori? Sei soddisfatto del risultato?

C’è un nome eccellente che avresti volutoassoldare nella squadra?

SDM. Il progetto è nato, come altri, da uno scambio di idee con Sergio Altieri.

A lui ho presentato il progetto assieme a un concetto di come avrei voluto che ogni autore

si muovesse(lunghezza e aderenza al genere) pur restando libero di

sviluppare come voleva il suo racconto. L ‘idea è piaciuta  e siamo passati

a contattare una serie di amici e colleghi che immaginavamo avessero la sensibilità per

inserirsi nell’antologia. L’idea era di selezionare poche storie di una certa

consistenza. Racconti che cogliessero l’atmosfera di quel cinema ma che, fondamentalmente,

raccontassero delle storie. Dei  piccoli film, se vuoi. Ovviamente, come per tutti i libri,

abbiamo dovuto fare i conti con tempi, budget e paginazione. Sono soddisfatto dell’entusiasmo

dimostrato dagli autori che hanno aderito subito alla mia proposta. Una volta formata la

squadra il volume era già praticamente composto. Impossibile aggiungere altri nomi.

Al di là del fatto che tra i miei colleghi non considero nessuno ‘più eccellente’ di altri,

ci sono però un paio di nomi (un’autrice in particolare) che, con più spazio e tempo per la realizzazione,

mi sarebbe piaciuto inserire. La scelta del format e la tabella di lavorazione

erano però rigidi ma, spero, ci saranno altre occasioni per replicare l’iniziativa…

DG  Il Tuo contributo stavolta, non è di stampo narrativo bensì saggistico.

Come mai questa scelta?

SDM. ‘L’avventura del thrilling italiano’ è in sé un racconto di un pezzo

della nostra storia cinematografica. Una precisazione. Anche per me valeva la regola

di un numero consistente ma non illimitato di pagine. Pur avendo visionato negli anni e per

questa occasione un gran numero di film si tratta di un testo introduttivo per chi volesse muoversi in

questo filone del thriller italiano. Omissioni e scelte di gusto personale sono quindi  inevitabili,

non me ne vogliano registi e sceneggiatori che non si ritrovano nello spazio che magari ritengono

più adeguato alla loro opera. Di fatto ho contenuto la mia analisi a quei film che trattano vicende

da cui è bandito l’horror e il fantastico, se non tangenzialmente. Buone vecchie storie di assassini e maniaci in carne e ossa quindi.

Recentemente ho scritto per una rivista popolare(‘Confidenze’) due  thrilling di

successo(Io sono la tua ombra e Sortilegio) ai quali ho applicato solo un director’s cut eliminando

i momenti più cruenti ma che sono la mia interpretazione del filone. Qui volevo che i

protagonisti fossero i colleghi che si sono cimentati con la narrativa.

DG Quali sono stati secondo te i registi simbolo del Thrilling italiano?

SDM lo scoprirete leggendo appunto L’avventura del thrilling italiano…

scherzi a parte è stato un cinema estremamente prolifico e ricco di idee. Impossibile non citare Mario Bava,

Dario Argento, Lucio Fulci, Umberto Lenzi e Sergio Martino.

Se devo esprimere un giudizio strettamente personale ritengo Chi l’ha vista morire di Aldo Lado

uno dei capolavori del filone… ma come dicevo,  una volta formulato un nome ne vengono

alla mente mille altri: Tessari, Cavara, Bido, Miraglia, Ercoli, Pradeaux, Dallamano…ù

DG Pensi che sia ipotizzabile un ritorno al cinema di genere in Italia o i tempi e le mode di

oggi non lo permetterebbero?

SDM Io me lo auguro proprio. I segnali non sono particolarmente positivi in questo senso

ma qualcosa ogni tanto si muove. Mi piacerebbe molto che i racconti dei colleghi raccolti

in questo volume diventassero una serie di telefilm.

I numeri ce li hanno sicuramente…

 Grazie e a presto qui su Posizione di tiro.

Il sito dell’antologia http://ilmiovizio.horror.it/

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