Posizione di tiro – La porta sulle tenebre – Massimo Pietroselli
Intervista a cura di Dario pm Geraci
Amici del giallo, stavolta ci troviamo in compagnia di Massimo Pietroselli, autore dell’ottimo “La porta sulle tenebre” che proprio in questi giorni, vede la luce, nelle librerie spagnole.
Come di consueto, ecco le nostre cinque domande che ci aiuteranno a conoscere meglio l’autore del mese.
DG: Allora Massimo, come ci si sente sulle pagine del Giallo Mondadori? Tu non sei nuovo a questo tipo di “excursus” tra i periodici Mondadori.
MP: Tutt’altro. Da Urania al Giallo, prima con “Il palazzo del diavolo” e ora con la ristampa della “Porta sulle tenebre”, è un po’ che frequento questi paraggi. Dal 1995, per l’esattezza. Ci si sente in ottima compagnia: la collana del Giallo è una miniera in cui si trova di tutto, una gioia per i collezionisti. Adesso Cornell Woolrich esce in edizioni rilegatissime e raffinate (e magari, con lo strillo “inedito” leggermente esagerato)? Be’, lo pubblicava il GM. E Chase? Idem. E Jim Thompson, David Goodis, John Wainwright, Ruth Rendell. Per non parlare del Catalogo Aureo: Christie, Gardner, Stout, Wallace… E in mezzo a loro, piccolo piccolo, ci sto pure io. Come dovrei sentirmi?
DG: Parlaci di questo romanzo. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
MP: Il piacere di raccontare, che dopo il gradimento del mio premio Tedeschi mi ha consentito di tornare presto alle sudate carte. Il piacere di costruire una storia, i rimandi, lo sfondo storico, i personaggi: un puzzle in cui sei autore e solutore ad un tempo. E il fatto che ogni tanto qualcuno mi scrivesse “E allora, il nuovo Quadraccia? Perché il personaggio più amato della serie pare essere l’odioso Quadraccia, piuttosto che il riservato Archibugi. E’ proprio vero: come diceva Kirk Douglas “La virtù non è fotogenica.” Quanto al plot, è piuttosto complesso per poterlo riassumere in breve. Diciamo soltanto che il primo romanzo si incentrava sulla speculazione edilizia, questo sull’intreccio tra politica e affari. Tutto documentato. E per sopramercato, c’è un inglese oppiomane convinto che un serial killer londinese si aggiri per Roma, un bambino forse ucciso e segnato con una doppia W che rimanda a Poe, un giornalista che scompare, un cadavere irriconoscibile che viene ripescato dal Tevere… E poi c’è Roma. Quella prima degli scempi. Quella prima della Grande Svendita.
DG: Ultimamente, il thriller italiano ha spostato la propria attenzione verso gli intrighi economico/politici che riempiono le pagine dei quotidiani negli ultimi anni. Possiamo dire che “La porta sulle tenebre” rientra in questa “new wave” pur facendo riferimento ad un contesto storico diverso?
MP: Questo non so dirlo. Per quanto mi riguarda ho scoperto, studiando il periodo dell’Italia fine XIX secolo, gli stessi discorsi, le stesse facce, gli stessi comportamenti di oggi: per cui capita che, parlando di cose di ieri, si parli dicose di oggi. Questo è forse l’aspetto più desolante, “noir” delle mie storie: non nasce dalla trama in sé, ma piuttosto dallo sconforto di chi constata che niente è cambiato. Questo forse è qualunquismo, ma posso motivarlo.
DG: I nostri lettori hanno ravvisato uno spiccato senso cinematografico nel tuo modo di narrare. Quali sono i tuoi gusti in ambito cinematografico? Per quanto riguarda invece quello letterario, a chi ti senti più “vicino” come autore?
MP: Davvero hanno parlato di senso cinematografico? Questo mi fa molto piacere, perché in realtà le mie regole narrative, se pure ne ho, nascono dal cinema piuttosto che dalla letteratura. Per esempio, una regola base viene da un produttore americano che, a uno sceneggiatore “impegnato” che voleva lanciare un messaggio, rispose: “Se vuoi mandare un messaggio, lascia stare la sceneggiatura e scrivi un telegramma”. Sacrosanto. Io penso sempre che uno scrittore sia un regista che fa vedere quel che vuole al lettore attraverso l’occhio della fantasia. Può indirizzare la costruzione dell’immagine nel suo teatro mentale, può fare zoom, panoramiche, primi piani: può nascondere dettagli, distogliere l’attenzione, dilatare o accorciare il tempo, montare e smontare scene. E in più può far sentire odori, sapori, umori… Per quanto riguarda il cinema, amo tutti i registi che raccontano per immagini. Diceva John Ford: “Un bel film è quello che ha tanta azione e poco dialogo.” E dunque John Ford, Alfred Hitchcock, Ernst Lubitsch, Orson Welles, Stanley Kubrick, Pietro Germi e tanti altri. Per quanto riguarda la letteratura e mischiando alla rinfusa, direi: Simenon, Graham Greene, Sciascia, Chandler, Ross McDonald, McBain, Stevenson, Dickens… uff. Troppi. Lasciamo stare.
DG: Chiudiamo con qualche anticipazione. A cosa stai lavorando attualmente? Possiamo sperare di ritrovarti ospite tra qualche tempo sulle nostre pagine?
MP: Dunque: ho già accennato su questo blog (animato tra l’altro da conoscitori del “giallo” degni di Rischiatutto) che nella prossima primavera dovrebbe uscire il terzo romanzo della serie “romana”, dal titolo “L’affare Testa di Morto”. Per inciso, la Testa di Morto è un orologio da tasca in foggia di teschio, e viene da “Il piacere” di D’Annunzio. In questa puntata, si parlerà della politica che alimenta guerre per destabilizzare altri governi. Roba mai vista prima. E scopriremo qualcosa di inedito sul riservato Archibugi. Che forse è un po’ troppo riservato… Adesso sto invece scrivendo un romanzo storico ambientato nell’impero di Marco Aurelio, che dovrebbe uscire nelle librerie fra un anno e forse più, dal titolo “L’aquila di sabbia e ghiaccio”. Non è un giallo, ma un romanzo di avventura e intrigo che mi pare stia venendo bene. Ma prima di tutto, il mese prossimo ci sarà, dopo De Pascalis, Luceri e Leoni (tutti amici che saluto con affetto), il mio articolo sul concetto di omissione nel giallo! A proposito, ho preparato pure un casereccio trailer. Casomai vi mando il link.
Grazie per il tempo che ci hai concesso caro Massimo.
A presto e buon lavoro!
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