Scorribande giallistiche

dicembre 13th, 2010

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Incasinamenti sentimentali- Ma il noir è morto o non è morto?- Tra bassotti e mastini- Il rinnovamento della Mondadori- In giro per blog-  Gli irritanti spot della pubblicità- Eco porta scompiglio e…e Jonathan che fa?

Questa volta non mi lascio trascinare da un solo argomento (vedi l’ultimo pezzo sul riso e il sorriso)  ma saltello giulivo (finalmente!) di qua e di là come un fringuello appena nato. Ormai questo con il blog del giallo Mondadori è diventato per me un appuntamento assolutamente imprescindibile. Un momento di svago e di riflessione su ciò che accade nel mondo letteral-giallistico, con qualche puntatina nel personale. Un momento di relax, insomma, per togliere di mezzo incipienti paturnie senili.

Dunque, partiamo. Già assodata la sfiga tremenda dei protagonisti in altra sede, ora assodiamo un tormentato incasinamento sentimentale prodotto soprattutto dalle autrici giallistiche. Sfrutto una parte di articolo già scritto per “Corpi freddi” (visitatelo!).

“Non voglio fare distinzione tra autore maschio e femmina che mi frego qualche sudata simpatia, ma se l’autore è una dolce fanciulla (va bene per qualsiasi età) e il personaggio principale è pure dotato di “argomenti” femminili, sicuro che l’amore, quando c’è, trattasi di amore incasinato. Incasinatissimo. Su questo non ci piove.

Senza andare troppo indietro mi rifaccio agli ultimi esempi che mi sono capitati a tiro. Prendiamo Janne Korowa, giovane giudice istruttore di Nanterre, personaggio principale di “L’istinto del sangue”, Garzanti 2010. Trentacinque anni, zitella. Vita sentimentale tribolata. Citati come fidanzati un avvocato, un ingegnere informatico, un editore fallito e “Molti altri…”. Ultimo della serie il fotografo Thomas che le fa girare gli zibidei e allora vada pure al diavolo. Non aggiungo le disgrazie che in questo genere di libri sono come il cacio sui maccheroni (rimando a http://corpifreddi.blogspot.com/2009/11/la-paura-della-sfiga-fabio-lotti.html ).

Cassandra Fallows, scrittrice in “L’amica di un tempo” di Laura Lippman, Giano 2010, non è da meno (va verso la cinquantina e la menopausa). Due matrimoni alle spalle con “relazioni prima, dopo e durante i legami coniugali” ( meglio non farsi mancare niente). Da ragazzetta incline ai giovanotti con i capelli rossi e, cito testualmente, “me ne scopai quanti più possibile” che il buon tempo si vede dal mattino. Non mancano, naturalmente, le pene d’amore e, dulcis in fundo, il sacrificio per l’Amore, quello con la a maiuscola (di solito non ricambiato, tanto per creare un’atmosfera più sofferta).

Cambiando latitudine il risultato, a dir la verità, un po’ cambia. In ” La dea cieca” di Anne Holt, Einaudi 2010, l’avvocato Karen Borg non si limita a sognare il poliziotto  Håkon Sand ma salta sul letto allegramente insieme a lui (e questa volta niente da fare per il povero marito di cui taccio il nome). Qui abbiamo pure, devo dire accennato con molto garbo e tatto, il rapporto omosessuale tra Hanne Wilhelmsen “una donna straordinariamente bella, da poco promossa al grado di detective” alla centrale di Oslo, e la dottoressa Cecilie, con la quale convive da diciannove anni senza che gli altri lo sappiano (o fanno finta di non sapere).

Di solito in diversi romanzi polizieschi si creano situazioni opposte: la donna in gran spolvero fra i maschietti alla fin fine sogna l’amore vero e quella impacchettata con l’unico uomo della sua vita è percorsa da fremiti stuzzicarelli che poco hanno a che vedere con il sentimento. Difficile trovare un rapporto tranquillo e sicuro per tutte le centinaia di pagine della storia. Anche perché l’incasinamento sentimentale (in genere) serve a rendere ancor più appetibile l’incasinamento delittuoso. Il lettore, si sa, è sotto sotto, un po’ cattivello e si diverte a seguire vicende complicate e sofferte (per i personaggi) dimenticandosi, oltretutto, le proprie. Sempre che, vista la qualità di certi romanzi, non siano una frana tutti e due (più che probabile)”. Ultimamente alla ribalta tradimenti per ogni dove a rendere più appetitosa la vicenda…

Domande angoscianti che serpeggiano sulla salute delle sigle giallistiche: il noir è morto?, il thriller come sta?, il mystery che fine ha fatto? Domande angoscianti, dicevo, con risposta univoca. Una valanga di noir, thriller, mystery e via discorrendo a dimostrazione che le sigle, come gli umani, non ne vogliono proprio sapere di tirare il calzino.

Ancora sui mallopponi scandinavi che, secondo alcuni, invadono il mercato togliendo spazio agli autori nostrani, piccinini santi. Ora a me queste tonnellate di roba stanno pure in quel posto, però ricordiamoci che siamo nel villaggio globale dove tutto può entrare da tutte le parti. Come scrittore di scacchi mi sono dovuto confrontare con i colossi dell’est europeo (la Russia, l’ex Jugoslavia ecc…), padroni incontrastati del settore. Ergo, prima che spuntasse fuori il mio nome su qualche libro, centinaia di articoli, centinaia di partite per corrispondenza, un anno intero per scrivere il primo. E dunque un culo così senza avere tanti santi in Paradiso (già detto  millanta volte ma i vecchietti sono ripetitivi da morire e poi ci tengono a far sapere le loro titaniche imprese. Voi, comunque, non contrariateli e assentite con la testa…). Conclusione? Un consiglio spassionato frutto di atavica saggezza: Arrangiatevi!.

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Double tap @ Genova

novembre 16th, 2010

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 Oggi 16 Novembre 2010, alle ore 17, presso la libreria Mondadori di Via XX Settembre 210/r, io e AnnaMaria Fassio, presenteremo il romanzo “Santiago 544″ e l’antologia “Eros & Thanatos”.

Venite a trovarci!

More info at: http://www.negozimondadori.it/eventi/altre_citta.html#ge_161110_1700

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Thin air

novembre 8th, 2010

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Sarebbe un vero peccato leggere lo straordinario romanzo di Howard Browne senza prima aver letto questo ottimo (come di consueto) articolo di Luca Conti.

Questo, come molti altri imperdibili contenuti, sono disponibili sul suo sito ufficiale: lconti.com

Non mi resta che augurarvi una buona lettura.

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Howard Browne (Omaha, Nebraska, 15 aprile 1907 – San Diego, California, 28 ottobre 1999) è stato – malgrado sia completamente sconosciuto in Italia – uno dei personaggi chiave nella storia dell’hard boiled e della fantascienza, sotto il suo vero nome ma anche con lo pseudonimo di John Evans. Con tale firma, infatti, Browne ha scritto tra il 1946 e il 1949 quattro romanzi nei quali appare il detective privato Paul Pine, considerato dalla critica uno dei più brillanti emuli di Philip Marlowe. Browne e Chandler vantavano una solida amicizia, nata negli anni in cui Browne era direttore di Amazing Stories, una delle più popolari riviste pulp di fantascienza del’epoca, pubblicata da un autentico colosso del settore quale la Ziff-Davis; e il nome «John Evans» appartiene ad una delle primissime incarnazioni di Philip Marlowe, come si può verificare nel racconto di Chandler No Crime in the Mountains.

Browne, figlio illegittimo di una maestra di scuola diciassettenne e di un medico itinerante, era stato adottato dalla famiglia di un fornaio, scomparso quando Howard aveva poco più di dodici anni. Il giovane Browne finì quindi per qualche anno in una sorta di casa-famiglia, fin quando la madre adottiva non poté dimostrare di poterlo mantenere; all’interno dell’istituzione, comunque, aveva già scoperto il suo interesse per la scrittura, e a quindici anni decise infine di abbandonare gli studi per trovare lavoro a Chicago. Nella migliore tradizione degli scrittori americani, collezionò i più disparati impieghi in acciaierie, sanatori, magazzini di uova, come commesso viaggiatore, eccetera: tutto questo fino alla Grande Depressione del 1929, quando il gangsterismo iniziò ad espandere la sua influenza sulla città soprattutto grazie al bootlegging, la distillazione e vendita illegale di alcolici.

La crisi economica permise a Browne di trovare con relativa facilità numerosi lavori in un campo in evidente espansione come quello del recupero crediti, fin quando (era il 1937) la lettura di un racconto sul Chicago Daily News gli fece balenare l’idea che, certo, anche lui poteva diventare uno scrittore. E perché no? Detto, fatto. Un racconto di mille parole, scritto in men che non si dica e inviato al giornale, aprì a Browne le porte del mondo delle riviste pulp.

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Riso e sorriso (soprattutto il mio) tra furti, rapine e morti ammazzati.

ottobre 26th, 2010

Una nuova “chiacchierata tra vecchi amici” del Nostro Fabio Lotti. 

Buon divertimento.

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A scuola ero un patito del tema libero. Anzi, all’inizio, del “pensierino” libero che alle elementari si partiva da questo. Mi è rimasto impresso un pensierino di un ragazzo che fece scompisciare tutto il paese (Staggia). Verteva sulla figura del muratore. Papale papale “ Zenzerino. I maratore fa i gabinetto e poi ci caca” che, a parte gli errori ortografici, formulava una sintesi perfetta di lavoro e utilità. Il poveretto si beccò l’appellativo di “Zenzerino” per tutta la sua vita…Dicevo del tema libero. Potevo scorrazzare a mio piacimento con la fantasia e farlo lungo come mi pare. Ci infilavo di tutto e di più, mentre parecchi compagni andavano nel pallone per tirar fuori tre parole. In compenso ero io a sudare freddo, quando si trattava di mettere insieme un paio di numeri.Ah, la Natura…Eccomi dunque a sfruttare la mia presunta dote anche in campo giallistico. Parto dal riso e dal sorriso intrufolato per lo più nel romanzo poliziesco.Domanda alla Di Pietro “Che c’azzecca il sorriso e il riso con la nera signora dalla lunga falce?”.Di primo acchito sembra proprio che non c’azzecchi niente. A meno che la vista del morto non ci riporti alla mente le battute che faceva da vivo e allora una risatina (se erano passabili) sotto voce ci può anche scappare. Eppure la morte non è proprio disgiunta dal sorriso, anzi dal riso, che in certe società il dipartito si festeggia con canti e balli senza piangerci troppo sopra.

Il riso come spauracchio contro la morte,  diciamo pure uno spernacchio tanto per cercare di renderla  meno terribile.Sorriso e morte, dunque, ci può stare. Nella realtà, volevo dire, figuriamoci nei parti allucinanti e allucinati della fantasia umana. Ergo nel romanzo poliziesco (già detto). Sorriso che si può carpire in vari modi e vari espedienti sui quali un breve accenno come in una chiacchierata fra vecchi amici. Il trucco della chiacchierata è furbetto e pure vigliacchetto. Ci si può permettere un linguaggio semplice e nello stesso tempo nascondere qualche pecca culturale (se è una chiacchierata non si sta a guardare tanto per il sottile). Mentre l’aggettivo “vecchi” tende a scoraggiare qualsiasi tipo di intervento. Soprattutto degli amici che non vogliono riconoscere lo scorrere inesorabile del tempo. Meglio una pagina bianca che gli insulti (consiglio per i giovani scrittori).

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Posizione di tiro – Ottobre 2010 – Massimo Pietroselli

ottobre 23rd, 2010

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Questo mese, abbiamo intervistato per Voi, Massimo Pietroselli.

Buona lettura.

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DG: Siamo giunti al capitolo conclusivo di questa Tua trilogia, ripubblicata sul Giallo. Ti ritieni soddisfatto della risposta del pubblico?

MP: Anzitutto farei una precisazione: si tratta di una trilogia solo perché finora ne ho scritti tre. Voglio dire che, con l’aiuto di Dio e dell’editore, questa potrebbe diventare col tempo una tetralogia, una pentalogia, una esalogia etc. Ciò detto, mi pare che nel complesso sia stata apprezzata, a giudicare dalle mail che ricevo e dai post sul vostro blog, nonché dalle varie recensioni in rete.

DG: In cosa pensi differisca il pubblico del Giallo Mondadori da quello del circuito librario standard?

MP: Mah, questo è veramente difficile a dirsi dalla mia posizione “esterna”, da non addetto ai lavori. Forse i lettori del GM sono in gran parte lettori affezionati a una testata che negli anni ha proposto una certa qualità, vorrei dire un certo tipo di giallo. Proprio per questo, alcune novità possono trovare fatica a imporsi sul GM, mentre invece in libreria possono avere un più ampio riscontro. Ad esempio: se io scrivessi un giallo contaminato con la fantascienza, o con l’horror, forse i lettori del GM storcerebbero il naso. Tuttavia, credo che il GM debba tentare di proporre novità, non solo di autore ma di contenuto, sia pure senza perdere di vista i desiderata dei lettori forti: dopotutto, il catalogo del GM è sempre stato ampio. Negli anni ’50 e ’60, autori d’avanguardia, ben fuori dagli schemi soliti, venivano proposti con frequenza: è lì che sono stati pubblicati Jim Thompson o Richard Stark. Il GM non è mai stato solo “giallo classico”.

DG: A quale dei tre capitoli sei maggiormente legato?

MP: Direi che l’ultimo è il migliore dei tre. Tra l’altro, questo mi permette di credere che sto migliorando, no?

DG: Domanda di routine: Se dovessi scegliere un regista al quale affidare la trasposizione della trilogia, chi sceglieresti?

MP: A Luigi Magni, ovviamente! Oppure, visto il cinismo di alcuni personaggi – i primis il famigerato Quadraccia – a Monicelli. Tanto è un gioco, no?

DG: In questi ultimi giorni è uscito un tuo nuovo lavoro dal titolo: “L’aquila di sabbia e di ghiaccio”. Ce ne vuoi parlare?

MP:Ah, questa è tutta un’altra storia! Non siamo nel giallo, ma in un corposo romanzo storico ambientato nell’impero di Marco Aurelio. Nonostante ciò, gli elementi di intrigo abbondano: il protagonista è uno speculator, ovvero una spia, il quale attraverso una serie di indizi, tra cui il trafugamento di un cadavere da un ipogeo segreto del tempio di Iside e Serapide, scopre una macchinazione che rischia di far naufragare la campagna danubiana dell’imperatore. L’indagine lo porta da Roma fino al Danubio, e poi ad Alessandria d’Egitto, e di nuovo tra i ghiacci del settentrione. E come tutti i personaggi che si rispettano, il mio speculator ha anche un passato segreto, che si svelerà poco a poco, e un peso sulla coscienza. E poi c’è Marco Aurelio, imperatore poco frequentato dai romanzieri. Di lui l’uomo medio sa che andava a cavallo, perché c’è la sua statua in Campidoglio, e che era un filosofo. Quelli che hanno visto “Il gladiatore” ricorderanno forse che fu ucciso dal figlio Commodo: il che non è vero. Ma fece anche dieci anni di guerra lontano da Roma, sopportò il tradimento di intimi amici, abusò di oppio che gli era stato prescritto per dolori allo stomaco… insomma, un personaggio molto complesso e contraddittorio, che spero di aver reso su carta.

DG: Grazie Massimo. A prestissimo!

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Storia di Mary, di Stanislas, di John, di Edward.. e di Isaac

ottobre 15th, 2010

Ecco un nuovo, interessante, articolo di Pietro De Palma.

Buona lettura. 

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Tra i tanti romanzi polizieschi degli anni Trenta del Novecento, se ne ricorda qualcuno che tratta di automi. Il primo è L’Ennemi sans Visage (noto anche come anche M. Wens et l’automate) di Stanislas André Steeman. Il motivo di questa tendenza, e da cosa tali romanzi abbiano preso le mosse, è presto detto. Non si può parlare di automi nei romanzi polizieschi senza citare il libro che  ha dato origine a tutto quanto: Frankenstein, pubblicato nel 1818 da Mary Shelley. Frankenstein fu un grande romanzo gotico, un gotico per certi versi molto più moderno di opere simili, come Vathek di Beckford o The Monk di Lewis.

Mary Wollstonecraft Godwin, figlia del politico e filosofo William Godwin, era nata nel 1797. Il padre le aveva conferito un’educazione sorprendentemente ricca di spunti culturali, e per molti anni il salotto di Godwin ospitò alcuni degli ingegni più grandi dell’epoca: tra questi il grande poeta Percy Bysshe Shelley. A diciassette anni Mary, educata alle idee molto avanzate del padre (che professava tra l’altro l’adesione all’amore libero) fuggì in Francia assieme a Shelley (a quei tempi sposato e di cui era innamorata) e alla sorellastra Claire Clermont; in seguito, dopo il suicidio della moglie di lui, Harriet, si sposò con Percy, nel 1816. L’anno successivo la coppia fu invitata a Ginevra da Claire, che era diventata l’amante di George Byron, e fu proprio qui che Mary ebbe l’ispirazione per Frankenstein: in quelle giornate piovose si parlava di Darwin, dell’energia elettrica e della possibilità di esplorare la vita dopo la morte. Indubbiamente l’ispirazione trasse materia proprio dai colloqui tra John Polidori (l’autore di The Vampire), Percy B. Shelley e George Byron – cui lei stessa aveva assistito – ma anche molto probabilmente dalla leggenda del Golem, creatura senza anima e coscienza, al servizio degli uomini: infatti, ancor prima che uscisse Frankenstein, uno dei fratelli Grimm, Jacob, in un articolo scritto nel 1808 e pubblicato sullo Zeitung für Einsiedler del poeta e scrittore romantico Achim von Arnim, aveva reso popolare, diffondendolo, il suo mito. La leggenda narrava di un rabbino polacco, Elija Ba’al Schem di Chelm, che nella Polonia medievale aveva creato un Golem servendosene come di un angelo protettore del ghetto ebraico, infondendogli vita grazie alla parola «Dio» che recava scritta sulla fronte e alla quale era stata aggiunta la parola «Verità». Così, con la frase «Dio è Verità» sulla fronte, il Golem prendeva vita; quando invece lo si voleva distruggere, bastava togliere una lettera dalla parola «verità,» l’Aleph, per trasformarla in un’altra che significava «morte»: «Dio è morte». In seguito questa leggenda era stata riportata a Praga, laddove si dice che un altro rabbino, Jehuda Löw ben Bezalel di Praga, avesse plasmato un Golem di cui però aveva perso il controllo; dopo le distruzioni da questi apportate, il Rabbino – tornato a dominare il Golem – lo avrebbe nascosto nella soffitta della sinagoga Staronova, ancor oggi esistente a Praga. Il mito del Golem, in realtà, risale a molto tempo addietro, per certi versi addirittura alla nascita dell’uomo: infatti, in ebraico, Golem significa «materia grezza» o anche «embrione,» e tale sarebbe stato Adamo prima che Dio infondesse in lui il soffio della vita: una forma di fango.

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Posizione di tiro – Settembre 2010 – Simone Tordi

settembre 27th, 2010

  • Allora Simone, direi di partire con una piccola presentazione per i lettori del Giallo Mondadori. Innanzitutto, come sei approdato sulle pagine di questa storica colllana?

In passato ho scritto diverse cose: racconti per altre collane edicola Mondadori (Epix, Il Giallo Mondadori Presenta), articoli per riviste (come la storica NoirMagazine della DeAgostini), graphic novel (La banda della Magliana per BeccoGiallo). Ho anche scritto qualcosa per la Tv. Insomma, il piacere per la scrittura, che nasce insieme a quello per la lettura, mi ha sempre accompagnato. Come sono approdato alla storica collana del Giallo Mondadori? Semplice, grazie all’incoraggiamento dell’editor, Sergio Altieri. Conoscendolo, conoscendo la sua modestia, farà rimuovere questa frase…

  • Passiamo a Luna in Scorpione. Come mai l’idea di cimentarsi con la formula dei due romanzi brevi? E’ la soluzione narrativa che prediligi o è una casualità che siano stati accorpati?

In generale mi trovo meglio con la formula del racconto e del romanzo breve. Sono due romanzi scritti in tempi diversi, con stili diversi. Nero Luna è più realistico, veloce, tradizionale se vogliamo. Scorpioni nel cervello ha dei personaggi più spinti, estremi, e anche le atmosfere sono molto più dark. L’idea di fare una doppietta, di accorpare i due romanzi è nata, come sempre, dalla mente contorta e geniale di Altieri.

  • Nel tuo lavoro è forte l’impronta cinematografica. I tuoi personaggi sembrano quasi usciti da un serial televisivo. Creandoli, hai volutamente “rimarcato” questo aspetto o sono cresciuti autonomamente man mano che la storia prendeva forma?

Quando scrivo ragiono molto in termini di scene, sequenze, azioni e quindi mi viene naturale usare uno stile cinematografico. Spesso divido i romanzi in brevi capitoli quasi fossero delle sequenze di un film. Se a questo aggiungiamo che, come produttore e story editor, lavoro quotidianamente a contatto con sceneggiatori e registi di ficiton televisive, le influenze risultano evidenti.

  • Quali sono i tuoi gusti da lettore? Sei un lettore del Giallo Mondadori o i tuoi gusti ti portano altrove?

Sono un lettore piuttosto onnivoro. Per quanto riguarda il noir, vado dai numi tutelari, come Hammett, a Scerbanenco. Sono attratto anche dalla commistione dei generi e dalla forza diromoente della narrativa popolare. Per capirci, oscillo tra la forza sferzante di un Willeford e quella pulp dirompente di Latimer, un autore poco conosciuto che voi del Giallo avete riproposto di recente.  Per restare nel genere: Peace, Burke, Thompson, Ellroy della quadrilogia di LA.

  • Se dovessi scegliere uno dei due racconti da trasporre al cinema, quale sceglieresti? A chi lo faresti dirigere?

Domanda difficile. Sarebbe molto più facile trasporre Nero Luna. Ha già un taglio cinematografico (o televisivo) e, secondo me, diventerebbe un bel poliziesco teso e duro. Per Scorpioni nel cervello, più eccessivo e a tinte forti, servirebbe un regista visionario, cupo. Nonostante la veneranda età per Nero Luna vedrei bene William Friedkin, per Scorpioni nel cervello invece oserei Nicolas Winding Refn, quello della trilogia di Pusher. Tanto per vedere che diavoleria ci tira fuori…Certo, per restare nei confini nazionali, se qualche giovane regista italiano si mostrasse interessato ne sarei felicissimo.

  •  Grazie per il tempo che ci hai concesso e alla prossima!

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La semplicissima arte del delitto III

agosto 5th, 2010

Tra corna, canini in fuori, bambini violentati, mallopponi scandinavi, il caldo boia, il freddo bestia, la pioggia pallosa…

 

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Come dice il proverbio non c’è due senza tre. Un po’ come quei film di successo che al primo ne seguono almeno un paio. Di solito più brutti del precedente. Qui non siamo partiti neppure dal successo e dunque sapete cosa vi aspetta.

Non so se riuscirò ad essere pungente come nel passato. Devo dire la verità. Jonathan, nipotino di poco più di un anno, mi ha chiaramente rimbecillito e dunque ammorbidito. Lo dovreste vedere quando lo porto per i prati a prendere i fiori con le sue manine grassocce, o quando osserva attento e curioso le lunghe litanie di formiche che se ne vanno in qua e là. Ha cominciato da poco a camminare barcollando che sembra cada da un momento all’altro come la torre di Pisa, ma lui continua imperterrito. Se cade davvero una lieve smorfia, un accenno di pianto e poi via a caracollare di nuovo sulle gambe robuste, a battere le mani, a sputacchiare e sbrodolare una lingua tutta sua ancora incomprensibile…

Per essere corretto dico subito che riprendo  e rinforzo anche qualche pezzo scritto per “Corpi freddi” (http://corpifreddi.blogspot.com/)  e “Sugarpulp” (http://www.sugarpulp.it/)  con un caldo invito a frequentarli. Vi ci troverete bene. Un saluto a Enzone e Giacomo, i responsabili dei blog.

Incominciamo. La marea gialla continua. Perfino nei titoli dei quotidiani: “Il mondo è un giallo”, “Il realismo si è tinto di noir”. Per qualcuno, vedi Nicola Villa, solo quella straniera che l’italiana non esiste proprio. Suo  l’articolo, appunto, “Il giallo italiano non esiste” pescato nell’”Angolo nero” della nostra brava Alessandra Buccheri (andate a darci un’occhiata). Villa non la fa tanto lunga, riprendendo un concetto di una certa “giò” che su aNobii aveva lamentato l’inconsistenza e dunque l’inesistenza del giallo italiano sempre ripetitivo e sempre uguale a se stesso. Con i soliti personaggi e le solite trame.

Nel senso, come ho già scritto proprio su questo blog, che non c’è città o sperduto paesino di campagna che non abbia il suo bel commissario o la sua bella commissaria tanto che, prima o poi, mi prefiguravo anche quello di quartiere che venisse ad arrestarmi “per avere ucciso con un colpo ben assestato di ciabatta il ragnetto che pendeva schifosetto nel mio piccolo studio”. Tutti scrivono romanzi polizieschi. Dai più infimi ai più noti e dunque il giallo italiano è ben vivo e vegeto e non c’è bisogno di scomodare Augusto De Angelis quando, negli anni Trenta, si mise in testa di realizzarlo “Io ho voluto e voglio fare un romanzo poliziesco italiano”. Ci riuscì, eccome. Ed ecco le conseguenze…

Aumenta tutto. Aumentano i blog e i siti dedicati alla letteratura poliziesca (positivo); aumentano i concorsi (trovato pure un GialloBirra, niente male in estate) e i premi che te li offrono al bar (appunto) e te li tirano dietro anche ai semafori (occhio a non prenderli in testa se vi sporgete dal finestrino); aumentano le sigle con l’ultima nata post noir o post-noir o postnoir (mettetevi d’accordo!) dal connubio Montanari-Varesani (se non ricordo male) a volte se ne sentisse la mancanza; aumentando gli scrittori e gli pseudoscrittori  (soprattutto questi) aumentano, di conseguenza, le antologie piene zeppe di nomi conosciuti e sconosciuti dove è più facile rispondere alla domanda che si fa sempre più consistente rispetto all’offerta. Dieci? Quindici? Macché, facciamo pure una trentina e il gioco è fatto. Non ce l’ho con le antologie, via, si fa per dire, e pure il sottoscritto ne ha curata una con questi numeri. E farà parte, come autore, di Riso nero, una raccolta di racconti brevi giallo-comici della Delos Books. Dunque figuriamoci se voglio fare lo spiritosetto. E’ che trovare lavoro a tutti non è mica facile. Anche se la sopra citata casa editrice si è data da fare, invitando 365 (trecentosessantacinque!) facitor di parole a scrivere un breve racconto relativo all’erotismo, al sesso e all’eros in tutte le sue sfaccettature. Titolo dell’antologia Racconti erotici per un anno. Tiè! Se un racconto al giorno leva il medico di torno, come sentenzia il nuovo proverbio, l’antologia andrà a ruba.

Però qualche merito a questo boom del giallo va dato, oltre alla sua bellezza intrinseca. Pensiamo un po’ alla geografia, tra l’altro vero tallone di Achille durante il mio excursus scolastico tutto preso come ero dalla storia. Quanti luoghi particolari del nostro paese abbiamo ultimamente conosciuto attraverso il romanzo poliziesco! E a quante altre civiltà ben lontane da noi ci siamo accostati senza l’assillo dello studio! Ricordo le più recenti avventure di Vish Puri nell’India, di Darko Dawson nel Ghana, di Peter Decker nel quartiere ebraico di Los Angeles…Un incontro etnico- culturale- geografico di tutto rispetto. Non parlo, poi, della storia che non finirei più. Solo su Siena sono sbocciati all’improvviso diversi lavori ambientati soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento (non tutti impeccabili, ma insomma…). Può costituire addirittura un efficace antidepressivo secondo una mia modesta, ma non certo velleitaria, interpretazione psicologica (http://www.milanonera.com/?p=2251 ).

Aumentano le recensioni iperboliche. Un po’ me le cerco come succedeva da ragazzo quando ritornavo a casa con qualche livido addosso e subito me ne compariva qualcun altro di stampo familiare. In fin dei conti che cosa me ne importa. Eppure sono fatto così. Vedo qualcosa che non mi torna. Dico la mia, magari in maniera troppo forte, mi becco una reprimenda, mi dispiace, giuro di non incasinarmi più, passa un po’ di tempo e siamo punto e a capo. Nei cromosomi, come si suole dire. Per interesse naturale e interesse pratico giro quasi tutti i giorni fra molti blog (tengo una rubrica a proposito su Thriller Magazine) e leggo una marea di recensioni. Un tripudio di bravi, bene, bis, una sfilza di ottimo ed eccellente da far venire il capogiro, frutto magari istintivo ( speriamo) di simpatie ed amicizie. Elogi sperticati di lavori che, a mio parere, possono ritenersi accettabili e niente di più, talvolta pure buoni, raramente eccezionali. C’è quasi una sorta di innata difesa dell’autore nostrano (e non solo nostrano), come se fosse bisognoso di cura e protezione continua. Posizione legittima, si capisce, e in parte da comprendere anche perché per molto tempo nel nostro paese ha tirato un’aria fortemente esterofila. Ma ora credo che il giallo italiano sia cresciuto e sia forte abbastanza per camminare da solo. Poi, magari, la colpa è del mio metro di giudizio troppo stitico e allora tutto quello che ho detto va a puttana. Pardon a escort (effetto Jonathan).

Si arriva perfino al grottesco, con il lettore (l’autore stesso mascherato?) a sostenere ragionamenti assurdi. Il linguaggio è carente ma rende meglio il contenuto, cioè ”che paradossalmente questo stile decisamente dilettantistico conferisce ancora più realismo ai personaggi investigatori altrettanto dilettanti e improvvisati”. Come a dire che la brutta scrittura si adegua ai brutti personaggi. Quando si dice una ferrea logica…

A volte qualcuno mette pure in dubbio che i libri vengano letti come il nostro Stefano Di Marino il quale, intervistato su Liberidiscrivere, sottolinea a proposito delle recensioni dei suoi lavori, ”Ricordo con piacere quelle in cui ho capito che il recensore aveva letto il romanzo… Sic transit gloria mundi…preferisco le lettere dei lettori”. Non c’è più religione.

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Vive le roman policier! – Metacritica di “The Third Bullet” di John Dickson Carr

luglio 23rd, 2010

Oggi Vi proponiamo un nuovo interessante saggio di Pietro De Palma. Buona lettura!

949-1.jpgAnni fa, Roland Lecourbe, noto critico di letteratura poliziesca, pensò di creare una guida ideale alla Letteratura delle Camere Chiuse, invitando una serie di conoscitori del genere, quelli che a lui risultavano essere al momento i massimi: tra essi, innanzitutto Robert Adey, estensore di una celeberrima bibliografia sul genere, “Locked Room Murders and Other Impossible Crimes: A Comprehensive Bibliography” e insieme a Jack Adrian co-autore di una antologia di straordinarie camere chiuse (racconti) pubblicata in Italia da Garden Editoriale, “The Art of the impossibile”. Assieme a Robert Adey, furono invitati : 3 esperti belgi (M.Soupart, Philippe Fooz, V. Bourgeois), uno studente che aveva scritto una tesi sulla Letteratura delle Camere Chiuse (Roman Brian), 2 traduttori dei romanzi di Paul Halter (J.Pugmire e I. Longo), il coeditore del Mystery Scene Magazine (Brian Skupin). Tutti quanti, assieme allo stesso Lecourbe, avrebbero dovuto stilare una lista di Camere Chiuse, che fossero il meglio del genere, un po’ una sorta di revival ampliato di quell’altro incontro, patrocinato da Edward D. Hoch[i] nel lontano 1981, e cui avevano partecipato grandi nomi della letteratura e della critica poliziesca (diciassette per l’esattezza[ii]), a corollario dell’introduzione dell’antologia da lui curata “All But Impossibile”: se dall’incontro promosso da Edward D. Hoch era stata prodotta una lista comprendente 14 romanzi, dall’incontro patrocinato e organizzato da Lecourbe, ben 99 Camere Chiuse furono elencate, come i migliori esempi del genere. Questa lista ampliava quella essenziale, stilata sedici anni prima, includendo opere anche di autori di lingua francofona, prima d’allora non esaminati. I risultati furono acclusi in appendice all’antologia, pubblicata nell’aprile 2007, dal titolo “Mystères à Huis Clos”. Notiamo che tra gli esperti dell’incontro francese figurava il consulente editoriale del Giallo Mondadori, Igor Longo, traduttore di molti degli Halter, dei tre Steeman più recenti, e degli Abbot pubblicati in Italia da Mondadori, anni fa.Tra i molti autori che prima non erano stati inclusi, troviamo ovviamente i francesi (Noel Vindry, Marcel Lanteaume, Stanislas Andrè Steeman, Gaston Boca, Pierre Boileau anche in associazione con Thomas Narcejac, Pierre Siniac, Paul Halter, Jean Alessandrini, Herbert & Wyl, etc..), ma anche parecchi autori di lingua inglese (A. Abbot, A.Boucher, C.Brand, I.Asimov, Leo Bruce, F.Brown, E.Crispin, Freeman Wills Crofts, etc..).La cosa che ci interessa sottolineare è che non vennero prese in esame, perché novelle, 2 opere famose: “The Big Bow Mystery” di Israel Zangwill e “The Third Bullet” di J.D.Carr.Opera famosa “The Third Bullet” ? Da noi, possiamo dire che sia quasi sconosciuta, o almeno non conosciuta come le grandi Camere degli anni ’30: The White Priors Murders, The Judas Window, The Three Coffins, ma, nel novero delle opere di Carr, è una delle più interessanti, e vedremo perché.Innanzitutto è da dire che di questo racconto esistono due versioni: la prima, pubblicata a nome Carter Dickson, nel 1937,  piuttosto lunga (l’edizione è di circa 128 pagine); ed una più corta, pubblicata prima nell’EQMM del gennaio 1948 e poi nell’antologia, “The Third Bullet and Other Stories”, nel 1954, a firma John Dickson Carr, assieme ai racconti”The Clue of the Red Wig”, “The House in Goblin Wood” (Sir Henry Merrivale), “The Wrong Problem” (Dr. Fell), “The Proverbial Murder” (Dr. Fell), “The Locked Room” (Dr. Fell), and “The Gentleman from Paris.” Il racconto nella versione originale è stato  ripubblicato nella raccolta del 1991, “Fell and Foul Play”. In Italia la versione del 1937, secondo alcune fonti (Il Dizionario Bibliografico del Giallo, il Pirani per intenderci ) pare esser stata pubblicata da Mondadori quasi quarant’anni fa (“Ellery Queen presenta”: Inverno Giallo 1972, The Third Bullet, Il terzo proiettile, traduz. Hilia Brinis) e tre anni fa da Polillo, nella collana I Bassotti, all’interno della raccolta “I Delitti della Camera Chiusa”, con la traduz. di Giovanni Viganò: noi faremo riferimento a quest’ultima, perché la prima non è molto facile a reperirsi. In realtà alcune ipotesi ci porterebbero a ritenere che non si sia tradotta la versione originale, ma quella accorciata, prima fra tutte il fatto che sia la traduzione di Hilia Brinis che quella di Giovanni Viganò fanno riferimento come autore, non a Carter Dickson, bensì a John Dickson Carr[iii]La versione accorciata si spiega col fatto che, per essere compresa nella pubblicazione “Ellery Queen Mystery Magazine”, il racconto  non poteva mantenere intatta la sua lunghezza ( era un romanzo breve) e a questo provvide Frederick Dannay (uno dei due cugini autori di Ellery Queen) col consenso di Carr stesso, come è spiegato nella bibliografia su Carr a firma di Douglas G. Greene[iv].The Third Bullet è una grande Camera Chiusa, costruita seguendo puntigliosamente le 20 regole per la costruzione del poliziesco, di S.S. Van Dine: un giudice viene ucciso in un padiglione. Fin qui nulla di strano: le cose cominciano a complicarsi allorché si riscontra che il probabile assassino non ha ucciso il giudice e oltre alla sua nella stessa camera, nell’attimo in cui lui ha sparato, altre due armi hanno fatto fuoco, di cui una ad aria compressa; solo che di una che viene trovata, non viene trovato il proiettile mentre dell’altra, vien trovato il proiettile ma non l’arma. In altre parole una doppia volatilizzazione, oltre quella ancor più sconcertante degli sparatori, in quanto nel momento in cui l’indiziato, poi arrestato ha fatto fuoco, mancando il giudice, nessuno ha visto altre persone: infatti casualmente sul luogo della sparatoria c’erano dei poliziotti: uno ha avuto sotto controllo l’uscita del padiglione interna (nel corridoio) e da lì nessuno è scappato, la finestra centrale è stata attraversata da un altro, e quelle del lato ovest sono così arrugginite e incrostate che neanche Ercole sarebbe capace di aprirle. Eppure lì vengono trovate delle impronte come se qualcuno fosse uscito da lì,  mentre il proiettile, che prima non si trovava, si trova infisso nel tronco di un albero non essendo però in linea retta rispetto al punto dove si suppone sia stato fatto fuoco, ma alla fine di una traiettoria curvilinea: vi ricordate la teoria del proiettile vagante fatta per spiegare che ad uccidere Kennedy fosse bastato solo Lee Oswald? Ecco..così. Insomma un fuoco pirotecnico di enigmi e di situazioni impossibili.Il lungo racconto tuttavia è interessante secondo me anche per altri motivi, che a prima vista sembrerebbero essere di assai relativa importanza. Leggi tutto »

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La sequenza mirabile

luglio 8th, 2010

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Cari lettori del Giallo Mondadori, è con grande piacere che Vi segnalo l’uscita del nuovo romanzo di Giulio Leoni.

“La sequenza mirabile” è già disponibile presso tutte le librerie nella collana “Mondadori Bestsellers”.

A Giulio Leoni, grande amico e appasionato del “Giallo” auguriamo il consueto successo.

La trama tratta dal sito ufficiale dell’autore (www.giulioleoni.it)

Sono una strana coppia di personaggi, Ermete Cimbro, a metà strada tra il Genio e il puro pazzo sconclusionato, e sua figlia Amaranta, dal fascino enigmatico, sensuale ed eterea insieme.
Si presentano un giorno alla porta di uno scrittore di gialli con il loro curioso segreto: negli anni Venti un diabolico quanto misconosciuto genio matematico, Gerolamo Martini, avrebbe messo a punto nientemeno che un sistema per debellare la roulette e vincere così somme favolose giocando nei casinò: la Sequenza Mirabile.
Sfacciatamente decisi a trarne cospicui guadagni, i due chiedono il suo aiuto per rintracciare la formula perduta. Nonostante lo scetticismo iniziale, l’uomo si lascia intrigare dall’intera faccenda, finendo così invischiato in una frenetica caccia al tesoro attraverso i decenni che, tra finti nani acrobati e misteriosi frati, cospiratori, alchimisti e assassini, arriva fino a D’Annunzio e all’impresa di Fiume.
Non immaginano, gli incauti, che non è il numero, ma il Male a governare il ritmo della Sequenza Mirabile…

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Qualche nota sull’autore:

Giulio Leoni è nato a Roma, dove risiede. Laureato in Lettere, è un appassionato di storia della magia e dell’illusionismo, ed è membro dell’American Society of Magicians e dell’International Brotherhood of Magicians, oltre che del Club Magico Italiano. Nel 2000 ha esordito nella narrativa vincendo il Premio Tedeschi con il romanzo Dante Alighieri e i delitti della medusa. Ha pubblicato per Mondadori I delitti del mosaico (2004), I delitti della luce (2005) e per i ragazzi La compagnia dei serpenti. Il deserto degli spettri (2006), vincitore della targa della Presidenza del Senato della Repubblica al premio Lunigiana – Cinque Terre “Narrativa per Ragazzi”.

Infine, Vi segnalo il blog personale dell’autore:

www.giulioleoni.blogspot.com

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