Intervista a Franco Forte e Stefano Di Marino

settembre 16th, 2011

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L’11/9 passa, Segretissimo resta

di Lucius Etruscus

Archiviate le commemorazioni per l’evento che ha cambiato il mondo (anche quello letterario), una storica collana da edicola ingrana la marcia per mantenere il suo primato nel panorama letterario italiano.

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L’11 settembre è una di quelle date che racchiudono in sé un’intera epoca. Commemorarla non vuol dire solo ricordare le vittime statunitensi dell’attentato alle Torri Gemelle: vuol dire ripensare al giorno in cui è cambiato il mondo. Molte cose sono finite, quel fatidico giorno, fra cui anche un modo di intendere e di scrivere storie di spionaggio. Ci sono nuovi personaggi in campo, mentre schemi già rodati si ritrovano ad aver bisogno di modifiche: in questi dieci anni è nato un modo diverso di scrivere la spy story, ma questo non vuol dire automaticamente che si debba bruciare il passato.
Se da una parte il lettore vuole più “realismo”, dall’altra non vuole rinunciare ad alcuni elementi fondamentali che hanno decretato il successo di questo genere letterario sin dalla sua nascita. L’avventura in terre esotiche non conosce età né bandiere, così come personaggi intriganti che sappiano affascinare il lettore ed anche l’inserimento di un po’ di erotismo: questi sono tutti elementi che appartengono da sempre alla celebre e longeva collana da edicola
Segretissimo, a cui la Mondadori sta dedicando una particolare attenzione anche dal punto di vista grafico, con un restyling che probabilmente vedrà la luce già da gennaio 2012.

Come affronta una collana storica il cambiamento del mondo senza però rinunciare ai capisaldi dello spionaggio che generazioni di lettori hanno tanto amato? Lo abbiamo chiesto a Stefano Di Marino (prolifico autore nella collana nonché suo lettore appassionato) e Franco Forte (autore e lettore anche lui ma, da qualche mese, anche editor), che hanno risposto ad un’intervista doppia.

A dieci anni esatti dal fatidico 11/9, quanto è cambiato il mondo dello spionaggio letterario?
SDM — Per chi scrive storie di questo filone i mutamenti sono stati diversi. Una prima fase legata alla guerra al terrore, all’occupazione dell’Afghanistan e la caccia a Osama hanno pesantemente influenzato temi e storie. Una sorta di Crociata con cui non sempre sono d’accordo.

In particolare i romanzi americani hanno troppo facilmente identificato gli islamici come “teste di stracci” con la barbona e l’AK-47, dimenticando le divisioni interne dell’Islam che sono fondamentali per capire la situazione. Con la guerra in Iraq si è aperto uno scenario completamente differente in cui al-Qaeda ha anche perso di importanza. Se ricordi lo stesso Professionista era piuttosto critico verso questa guerra (La vendetta del Marsigliese e Il nemico siamo noi). Fondamentalmente oggi abbiamo uno scenario in cui il settore privato (la Blackwater per esempio) sta sostituendosi con effetti letali ai servizi nazionali. La morte di Osama non ha per nulla risolto la questione e, secondo me, è in atto un repulisti in nord Africa di cui ancora non comprendiamo esattamente i meccanismi né chi in realtà tiri le fila. Di certo una situazione di tutti contro tutti che per chi scrive non può che suggerire una enorme quantità di situazioni senza cadere in moduli narrativi obsoleti.
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Il mondo è già cambiato altre volte, e “Segretissimo” ha sempre colto il cambiamento senza mai tradire le proprie linee base. Quale pensi sia il suo segreto?

FF — Il segreto tutto sommato è semplice, e segue una legge d’oro dell’editoria: diamo al pubblico ciò che vuole. Io sono fra quelli che credono che sia inutile (e difficile) guidare le masse, proporre loro cambiamenti o nuove direzioni da seguire. Penso che i lettori sappiano perfettamente ciò che vogliono, e quindi una collana letteraria dovrebbe cercare il più possibile di sfornare i piatti richiesti dal cliente. Come dire che non possiamo dire ai lettori: «ecco, questo è quello che c’è sul menu, prendi qualcosa da qui o vattene»; noi dobbiamo, al contrario, costruire un menu assecondando i gusti del pubblico, perché torni più spesso nel nostro ristorante, sapendo che troverà quello che più gli piace. Naturalmente non è un’impresa da poco, ma ci sono delle linee guida incontrovertibili, che occorre seguire, come per esempio i dati di vendita. Se fra gli autori più apprezzati dal pubblico di Segretissimo ci sono l’inossidabile Gérard De Villiers e Stephen Gunn, allora significa che è quello il genere di spy story e di action book che meglio si sintonizza con i suoi gusti. L’idea è di proseguire nella strada di costruire il menu di Segretissimo, anno dopo anno, insieme ai nostri lettori.

Al di là di tecnologie futuristiche e scenari di guerra aggiornati, i lettori di spionaggio in fondo vogliono solo una bella storia che li sappia intrigare. Che ne pensi?
SDM — Sono assolutamente d’accordo. Di certo un’analisi puntuale della situazione politica e un corretto uso della tecnologia bellica sono elementi importanti. Ma le storie devono avere quello che Columbus in
007 Solo per i tuoi occhi chiamava “Thrasos”, fegato. la storia deve coinvolgerti per i personaggi, i conflitti tra di loro. L’odio, la vendetta, l’amore (perché no?), la volontà di sopravvivere, l’inganno. Sono gli elementi base della narrativa popolare. Tutto sta, nel caso di Segretissimo, nel collocarli in uno scenario spionistico. Eviterei incursioni in altri generi, soprattutto nel fantastico. Come diceva Ian Fleming (che qualcosa di questo genere la sapeva…) «Storie improbabili ma non impossibili».

Le ristampe di SAS (alcune con vari decenni sulle spalle) dimostrano che la spy story classica è molto lontana dall’essere “fuori moda”: c’è un modo per mettere d’accordo gli amanti del classico con gli appassionati della modernità?
FF — Credo che il mondo moderno possa offrire molti scenari validissimi per una
spy story anche di costruzione classica. In fondo, se ai tempi della Guerra Fredda c’era solo l’URSS di cui parlare, oggi si può spaziare dalla Cina alla Corea, dalla Moldavia al Sudan, dalla Georgia al Brasile. Insomma, gli intrighi internazionali si susseguono a ritmo continuo, e un buon scrittore di spy story deve saperli inquadrare nel mirino delle sue storie e proporle al lettore. L’importante, secondo me, è che l’impianto di costruzione della storia, il meccanismo narrativo, sia quello che ha contraddistinto la migliore spy story classica, perché nonostante i lampi di modernità, è questo che il lettore di Segretissimo vuole.

Dagli anni Sessanta ad oggi ne sono cambiate di cose… ma neanche tante. Spie, intrighi e giochi di potere sono sempre lì; terroristi ed assassini non sono rimasti disoccupati così come donne fatali e belle avventuriere hanno sempre il loro lavoro. Cosa rispondi a chi dice che certe storie sono troppo “vecchie”?
SDM — L’intreccio, la passione, il tradimento, il buono, la bella e il cattivo funzionano sempre. Si chiama narrativa di evasione per questo. Io credo che la
spy story sia figlia dell’hard boiled alla Mike Hammer. Solo che ci si aggiunge un pizzico di esotismo e politica in più. Tenendo conto di come è cambiato il mondo credo che valga la pena di considerare anche delle storie con un po’ di glamour, che portino il lettore in luoghi lontani, con personaggi larger than life. Se il ritmo e l’intreccio funzionano, perché no? E per Azione non intendo solo botti e spari. Guardate SAS, raramente spara ma fa delle cose, vede persone, seduce, carpisce informazioni, ordisce piani. Questo è lo spionaggio. E anche il mio modello che, ovviamente cucino a modo mio.

 Con il nuovo millennio si era creato un gruppo affiatato di scrittori italiani: il SFL (Segretissimo Foreign Legion). Ai lettori mancano molto: torneranno alla ribalta?

FF — Be’, sono anch’io un autore della Legione, quindi è naturale che consideri questo progetto, nato da una felice intuizione di Sergio Altieri, che della Foreign Legion è a tutti gli effetti il coach e l’ufficiale di collegamento, una magnifica opportunità per gli autori italiani di inserirsi non solo nella collana Segretissimo, ma nel panorama della spy story nazionale. Ora bisogna vedere come recuperare le migliori sinergie di questo progetto, e le migliori firme, pur continuando a ipotizzare qualcosa di collettivo come era accaduto con il volume Legion (SuperSegretissimo n. 36, luglio 2008), per quanto il pubblico ci abbia confermato già da tempo di non apprezzare molto le antologie e preferire i romanzi. Ma diamo tempo al tempo: la Foreign Legion tornerà a farsi sentire.

Ipotizziamo che Segretissimo proponga ad autori moderni di scrivere un’avventura di un eroe classico (Nick Carter, Matt Helm, Il Tigre, ecc.): tu accetteresti? Se sì, pensi che la scriveresti con uno stile vicino a quello dell’epoca o più aggiornato? Nel secondo caso, pensi che il personaggio ne soffrirebbe?
SDM — Mi fai impazzire con questa domanda. Io vorrei scrivere una storia con Sam Durell il Caimano che era il più avventuroso. Conosco molto bene l’opera di
Edward S. Aarons e mi piacerebbe scriverla ambientata negli anni ’60 con il suo mondo che era animato da forti personalità femminili, un eroe umanissimo e duro e cattivi come il reverendo Moquerranna Sinn che mi sono rimasti nella pelle.

Per finire una domanda a tutti e due. Stiamo andando verso l’autunno: con Segretissimo sarà un autunno da piombo caldo o da lama fredda?

FF — Direi entrambe le cose, visto che un buon agente deve saper sparare e combattere all’arma bianca o con le sole mani (e piedi) senza che ci siano problemi di sorta. Titoli interessanti ce ne saranno molti, e altri ancora li stiamo valutando e acquisendo, con la promessa che Segretissimo tornerà a proporre esclusivamente ottima spy story d’annata, rinunciando a certe contaminazioni del genere che avevano sollevato qualche malumore da parte dei lettori. Come dicevo, il menu non lo facciamo noi, bensì il nostro pubblico di riferimento. Ogni tanto è giusto proporre qualche portata nuova, ma se non ottiene gradimento, meglio tornare su quello che sappiamo può piacere agli appassionati.

SDM — L’autunno sarà caldissimo. Nome in Codice Loki vede il Professionista braccato da tutti i servizi segreti del mondo. Dall’Austria, alla Turchia, poi a Osaka, Madrid e la Siberia affiancato da nemici implacabili (mica penserete che Raven sia morto?) vecchi e nuovi. E poi un grande ritorno tra le donne del Prof., e poi in appendice ci sarà Sanguenero in cui Chance chiude definitivamente i conti con il clan corso de la Brise de Mer… e per l’anno prossimo… vedrete…

intervista a cura di lucius etruscus – per gentile concessione di www.thrillermagazine.it

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Intervista a Greig Beck

aprile 16th, 2011

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AL – “Ghiaccio Nero” è il tuo primo libro pubblicato in Italia, per cui cominciamo con una domanda classica: chi è Greig Beck?

 

GB – Ho avuto la grande fortuna crescere di fronte a Bondi Beach, a Sydney. Prima e dopo la scuola, nei weekend e in ogni altro momento disponibile mi si poteva vedere insieme a mio fratello in cammino verso la spiaggia, tavole da surf imbracciate. Acqua splendida, odore di salmastro, un sacco di scottature: bei tempi. Tra un’onda e l’altra c’era tempo per leggere: fantascienza, horror e thriller d’azione erano ciò di cui mi cibavo. L’amore per quel tipo di storie ha certamente plasmato quello che scrivo e il modo in cui lo faccio oggi.

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Per quanto riguarda il lavoro, ho scelto il settore dell’Information technology, in cui opero da quasi vent’anni. Ho cominciato come analista e programmatore, poi rapidamente mi sono evoluto in consulente e dirigente. Sono tutt’oggi nel settore, ma ho rallentato un po’ con quelle responsabilità per concentrarmi sulla scrittura… e sul surf!

 

Oggi sono sposato, ho un figlio piccolo e un pastore tedesco gigantesco. Viviamo nei sobborghi vicino alla costa (e a Bondi). Ogni giorno faccio jogging alle 4.30 del mattino; corro attraverso le strade buie per poter essere alla mia scrivania a scrivere per le 6.30. Meglio di certo dei consigli di amministrazione e dei conflitti aziendali.

 

AL – Come definiresti il tuo romanzo? Ho trovato “Ghiaccio Nero” una bella fusione di thriller, avventura, horror e combat.

 

BG – Giusta osservazione. Descrivo il mio genere come “Terror Thriller”. Mi piace il tipo di libro in cui si scopre qualcosa di sbalorditivo, o un tesoro antico o una minaccia. E non posso fare a meno di leggere libri di Dean Koontz, Graham Masterton o il primo Stephen King; niente di meglio di un libro di mostri e cose che strisciano nell’oscurità o che sorgono dalle profondità degli abissi.

 

Quindi ho messo insieme le due cose: il thriller d’azione con un soldato d’elite come protagonista e la storia di un qualcosa che è comunque sempre mostruoso e terrificante.

 

AL – Come preferisci bilanciare realismo e immaginazione? Mi riferisco agli armamenti, tutte le tecniche di speleologia…

 

GB – Le mie storie sono fiction, ma devono risultare credibili. Significa che bisogna avere armi, situazioni e conseguenze plausibili. Non puoi gettare l’eroe in una voragine profonda che sembra senza via d’uscita e poi fargli venire in mente nel capitolo successivo che indossa degli stivali-razzo, e se ne vola via. È una presa in giro! In preparazione e durante una storia svolgo un gran numero di ricerche. Quindi molte delle armi che uso, i personaggi e i luoghi sono reali. Certo, alcune cose sono fittizie, ma voglio che il mio lettore si domandi che cosa ho creato io e cosa esiste davvero… e ehi, vi meraviglierebbe sapere che cosa esiste e pienamente documentata su internet!

 

AL – Mi sembra che in “Ghiaccio Nero” ci sia molta ricerca e su argomenti molto diversi, ma mi ha appassionato specialmente il background storico/misterioso. “Roanoke” (e non solo) è un po’ la parola chiave a riguardo…

 

GB – Adoro i miti e le leggende: persiani, greci, asiatici, europei, americani, degli aborigeni australiani: storie antiche di migliaia di anni. Più faccio ricerche, più cerco di scoprire il nocciolo di verità da cui la storia ha avuto origine. Nelle mie narrazioni uso miti e leggende come punto di partenza, poi lo sviluppo nel mondo di oggi. Come faremmo noi, nel mondo moderno di oggi, ad affrontare ciò che terrorizzava i nostri antenati? Scoprirlo è divertente.

 

AL – Cosa puoi dirci del protagonista, Alex Hunter: ha un lato molto umano ma è anche… alcune qualità “superiori” se così si può dire. Quali sono le fonti di ispirazione? E come hai deciso che volevi qualcosa di più del solito duro eroe d’azione?

 

GB – La mia principale fonte di ispirazione è stato John Carter del Ciclo di Marte di Edgar Rice Burroughs, un eroe straordinario per avventure straordinarie. Tutte i punti di forza dell’Arcade, la visione potenziata, il sesto senso, la forza ecc sono tutte documentate come presenti negli esseri umani di quando in quando. Abbiamo sentito tutti le storie di gente che solleva le automobili in situazioni di pericolo, o di un bambino che cade dalla bicicletta, batte la testa e quando riprende conoscenza parla in altre lingue. O di una donna in Russia capace di vedere nel buio più totale. Ho condensato tutte queste abilità in una sola persona. Scienza che supporta la narrazione.

 

Nel caso di Hunter, quelli che alcuni vedrebbero come vantaggi o persino doni, hanno un prezzo: scoppi di rabbia incontrollabili, dolore, la perdita della donna che ama, e il fatto di dover stare costantemente fuori dalla presa della Divisione Medica Militare, che vuole scoprire che cosa lo innesca. Volevo che il mio protagonista, Alex Hunter, l’Arcade, fosse straordinario, ma anche imprevedibile.

 

AL – A un certo punto nel libro c’è una certa parola magica: “Lovecraft”. È tra le tue ispirazioni come scrittore? Quali altri autori consideri dei modelli?

 

GB – Come potrebbe chiunque scrivere di horror o thriller e non essere influenzato da uno dei maestri? Nel mio lavoro ci sono tanti richiami al suo stile. Finora, un certo numero di lettori hanno individuato le raffigurazioni e anche alcune delle parole che uso… e voi? Altri autori che mi hanno influenzato sono quelli già menzionati in precedenza: una menzione speciale per Koontz, Masterton, King, Burroughs, Boulle, Jose Farmer.

 

AL – In questo romanzo abbiamo il ghiaccio dell’Antartide, il successivo “Dark Rising” nel deserto, il più recente “This Green Hell” nella giungla. Puoi anticiparci qualcosa sugli altri romanzi, sperando di vederli su Segretissimo prossimamente?

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GB – Certo. Lo stile di Segretissimo, è avventuroso, sensuale e aggressivo. Perfetto per il mio tipo di storie. I miei personaggi si svilupperanno e le situazioni saranno sempre sanguinose, brutali e spaventose. Spero che i lettori di Segretissimo seguano me e Alex Hunter in ognuna di queste!

 

AL – Mi sembra che il tuo libro potrebbe diventare un bel film. Che ne pensi? Ci sono possibilità che ciò accada? Non voglio chiederti del cast di attori che vorresti…

 

GB – Il mio stile è stato definito “cinematografico”. Forse perché i film sono una mia grande ispirazione (adoro Alien, La cosa, Predator, Aliens). Ho la tendenza a visualizzare nella mente le scene d’azione prima che sulla pagina. A volte sono a letto, e mi viene in mente una certa scena: devo saltar su e fiondarmi in ufficio, per mettere su carta i dettagli.

 

Ho un agente a New York, incaricato di presentare il mio libro alle società di produzione. L’arcade sul grande schermo… chissà.

 

AL – Quali sono i tuoi progetti per il futuro, dopo “This Green Hell” uscito proprio in questi giorni?

 

GB – “This Green Hell” è uscito prima in Australia, poi in Nuova Zelanda e tra poco arriverà in altre nazioni. Come sapete, scrivere è un processo lungo (pianificare, fare ricerche, scrivere, editare, la grafica, la pubblicità) quindi mentre facciamo questa intervista sto già dando gli ultimi ritocchi al mio quarto romanzo (The Black Mountains) e ho progetto per molti altri a seguire.

 

AL – C’è altro che vorresti dire ai lettori italiani?

 

GB – Ho un rapporto speciale con l’Italia. Quando ero in trasferta per lavoro in Svizzera, parecchi anni fa, una ragazza che frequentavo mi mandò una fotografia di un albergo speciale a Cernobbio, dove aveva sempre desiderato andare. Si chiamava Villa D’Este, sul Lago di Como. Be’, quando prese l’aereo per venire da me, io l’avevo localizzato e avevo prenotato alcuni giorni per noi. Fu terribilmente dispendioso, ma era un luogo magico e un momento speciale. E ne è valsa la pena: quella ragazza mi ha sposato (quindi ha funzionato)!

 

Mi piacerebbe tornarci un giorno. A presto spero!

 

 

 

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Intervista a Filippo Pavan Bernacchi

giugno 15th, 2010

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Spie nel Mirino/ThrillerMagazine & SEGRETISSIMO Mondadori Blog

Filippo Pavan Bernacchi: un ufficiale degli Alpini per Segretissimo

Intervista a cura di Fabio Novel e Alessio Lazzati

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E’ di Filippo Pavan Bernacchi il Segretissimo in edicola a giugno: Non uccidete Bin Laden.

L’autore, vicentino, è un ex-capitano degli Alpini, paracadutista e subacqueo. Prima di lasciare l’Esercito qualche anno fa, ha partecipato a svariate missioni. Ma i suoi anni fra gli Alpini gli sono evidentemente rimasti nel sangue…

Riproponendo un esempio di collaborazione già avviato in passato, l’abbiamo intervistato per il Segretissimo Blog e la rubrica Spie nel Mirino, su www.thrillermagazine.it .

Filippo, benvenuto nelle pagine web del blog ufficiale della collana Segretissimo e di ThrillerMagazine…

Grazie, per me è un onore e un piacere. Spero che chi avrà la pazienza di leggere l’intervista ricavi spunti interessanti e qualche emozione vera.

Partiamo dalla più classica delle domande d’apertura: chi è Filippo Pavan Bernacchi?

Vorrei rispondere un “ragazzo”, ma essendo nato nel ’66 meglio dire, un uomo, curioso della vita e dai mille interessi. Ho praticato quasi tutti gli sport, alcuni a livello agonistico, e ho sempre cercato di impossessarmi degli strumenti per fare bella figura. Non mi è mai interessato particolarmente “vincere”, prediligendo il divertimento al risultato. E mi sono divertito molto in tutto quello che ho fatto: nel lavoro, nell’Esercito e nella vita privata. In sintesi: ottimismo, impegno, sacrificio, ma con ironia e sempre con il sorriso sulle labbra. Anche nei momenti più duri.

Quando ti sei scoperto scrittore?

I miei primi temi strampalati e fantasiosi li ho prodotti già alle elementari. Ma l’idea di scrivere mi è venuta dopo essere uscito dal corpo degli Alpini. Ho pensato… perché non scrivo un romanzo autobiografico? Dopo un anno di lavoro, e aver prodotto le prime 100 faticose pagine, un virus informatico mi ha fatto perdere tutto. Proprio tutto. Allora non era ancora figo il termine backup. Ho passato una settimana a pensare: “Lascio perdere o ricomincio da zero?”. La risposta sono 3 romanzi, due antologie e un’altra spy-story in arrivo entro la prossima primavera.

Quando e come nasce “Non uccidete Bin Laden”?

Ricordo che mi sono svegliato di soprassalto alle 3 di mattina e ho scritto di getto tutta la trama. La mattina dopo avevo gli occhi gonfi e arrossati ma ero felice. Questo romanzo ha la stessa matrice dei miei due romanzi precedenti (La Penna dell’Aquila e Operazione Erode). In sintesi, mi ero accorto che esisteva una folta bibliografia militare fino alla seconda guerra mondiale, mi riferisco sia alla saggistica sia ai romanzi, mentre, dal dopoguerra ad oggi si è parlato poco e, mi sia consentito, spesso male, dell’Esercito Italiano, della sua intelligence e dell’operatività. Io ho provato a colmare questa lacuna con l’occhio di un “addetto ai lavori”, avendo ricoperto vari ruoli di comando operativo, conseguito vari brevetti tra cui quello di paracadutismo, di subacqueo e di tiratore combat con la pistola (quest’ultimo negli USA), e avendo alle spalle un conflitto a fuoco in Aspromonte. Il mio è stato l’addestramento tipico del fuciliere che tutti gli eserciti del mondo considerano “carne da cannone”. Eppure anche i conflitti attuali, a bassa intensità ma a lunga durata, hanno dimostrato che nel teatro operativo ci vuole la fanteria, ci vogliono i fucilieri. Proprio non se ne può fare a meno per bonificare e controllare intere regioni e centri abitati. Gente che ha gli attributi quadrati per affrontare i rischi del campo di battaglia, delle imboscate, delle mine, degli sniper, degli ordigni artigianali e guardare il “nemico”, magari denominato con il termine deontologicamente corretto “insorto”, dritto nelle palle degli occhi. Niente a che vedere, senza voler mancare di rispetto a nessuno, con chi pilota un aereo o un drone in un ambiente climatizzato, a volte a migliaia di chilometri dai combattimenti (è il caso degli aerei senza pilota degli States). I miei personaggi sono soldati duri, determinati, ligi al dovere, ma dotati di tanta umanità e a volta scaltrezza. Uomini e donne che dormono all’addiaccio sotto zero, o si muovono in pieno giorno a oltre 40 gradi all’ombra in un ambiente talmente ostile che sopravvivono solo gli insetti, e a volte neanche quelli. Io ho voluto nel mio piccolo ridare dignità alle nostre Forze Armate che a mio avviso sono la spina dorsale della nostra democrazia. E quando ho iniziato a scrivere il mio primo lavoro, nel 1995, non è che questi concetti andassero molto di moda o fossero popolari.

Hai nominato i tuoi primi lavori… Vuoi brevemente raccontarci qualcosa in più sui due romanzi sulle antologie a cui hai contribuito, una come autore l’altra come curatore?

La Penna dell’Aquila è un “diario romanzato” e racconta il mio corso allievi ufficiali ad Aosta. Operazione Erode ruota attorno a una nuova arma nucleare che potrebbe riscrivere la storia del mondo che conosciamo. “In Punta di Vibram” è un’antologia di racconti di svariati autori, tra cui Mario Rigoni Stern, tutti ambientati nel mondo degli Alpini. In essa hanno trovato spazio dei frammenti dei miei lavori precedenti. Per “DNA Alpino”, invece, altra antologia, ho fatto il curatore. Cioè ho corretto tutti i testi, li ho rimaneggiati, ho fuso testo e immagini. Al mio fianco avevo tre amici con mansioni diverse: Maero, Di Pietro e Disertori. Il testo contiene sempre racconti di svariati autori, foto, disegni, dall’alpino al generale, che raccontano il nostro esercito dal dopoguerra ad oggi. Anche qui firme illustri: Rigoni Stern, Nelson Cenci, Giorgio Battisti, Carlo Vicentini. Per quest’antologia ho prodotto dei racconti inediti. I proventi dei miei lavori sono andati: alla ricerca sul cancro, alla fondazione Don Gnocchi per i disabili e all’Associazione Nazionale Alpini per recuperare un rifugio in alta montagna.

Torniamo a “Non uccidete Bin Laden”. Ce ne sintetizzi la trama?

Racconto la caccia e la cattura di Bin Laden. Ricatti, inseguimenti, lobby segrete, tattiche terroristiche e antiterroristiche, armi e metodologie moderne. Ma lo faccio passando attraverso il nostro esercito impegnato in Afghanistan. Il tutto con tanta, tanta, azione e un finale… da scoprire. Posso assicurarvi: non banale. E magari tra qualche hanno verrà fuori che era tutto vero!?

I protagonisti?

Un ex ufficiale dell’esercito italiano, costretto dagli eventi ad operare con una nuova identità. E un ex agente dell’FBI. I due, raccolta l’eredità di un vecchio agente segreto USA, pari a svariati milioni di dollari, invece di darsi alla pazza gioia hanno creato un piccolo ma efficiente servizio segreto privato: Grifone. Servizio che ha lo scopo di combattere il Consiglio degli Undici. Una sorta di governo ombra che governa il mondo. Avete presente la Massoneria?

Quali sono i punti di forza principali di questo romanzo?

Il ritmo, la trama complessa ma mai indecifrabile, le diverse storie che si intrecciano per poi fondersi. I personaggi verosimili perché tutti veri. E un’idea originale, inedita, cui gira attorno tutto l’intero romanzo. Per spiegarlo in una domanda: “Perché l’uomo più ricercato del pianeta, Osama bin Laden, non è stato ancora catturato o eliminato?” Ma la forza vera del mio scritto è stato il raccontare, in modo avvincente, cosa fanno i nostri ragazzi nelle missioni di Pace, cui sarebbe meglio cambiare nome perché fuorviante. Sono invece, a mio modo di vedere, missioni di polizia internazionale volte a stabilizzare alcune aree critiche per riconsegnarle, poi, alla pace e alla democrazia. Ammesso che la democrazia sia un concetto esportabile in ogni angolo del globo. Ma questo, come si suol dire, è un altro film. Il mio lavoro vorrebbe penetrare i segreti dell’Islam, il passaggio dalla leva al professionismo, l’inserimento nei nostri reggimenti delle donne, i meandri inconfessabili del terrorismo internazionale, il flagello delle mine, disseminate in milioni di esemplari, le regole d’ingaggio talvolta assurde. Ma il tutto divertendo e appassionando il lettore. Mantenendo fede, in una parola, al genere “romanzo”. Queste cose le posso scrivere perché nella mia carriera di scrittore ho ricevuto oramai centinaia di lettere e mail, e nella maggior parte si esprimevano questi concetti. A onor del vero ne ho ricevute anche alcune di insulti ma fa parte del gioco.

Presumo che, alla base delle tue scelte di genere come autore ci sia, oltre all’esperienza diretta maturata durante gli anni quale ufficiale degli Alpini, anche una passione di lettore. Qual è dunque il tuo rapporto con la spy fiction?

Io fin da ragazzo ho sempre letto molto. Saggi, romanzi, ho divorato di tutto. E ho sempre tenuto una media di tre libri al mese. Sono stato e sono un lettore accanito, appassionato. Leggo però un libro per volta, non mi piace fare zapping. Di solito mi sforzo di terminare anche i libri che non mi convincono e quelli che ho abbandonato prima dell’ultima pagina li posso contare sulle dita di una mano di capitano Uncino. I miei preferiti? Romanzi, romanzi, romanzi. Wilburn Smith, Ken Follet, Frederick Forsyth, Alan D. Altieri, ma anche Jeffery Deaver, Lincoln Child, Douglas Preston e tanti, tanti altri ancora. I romanzi mi hanno fatto vivere tante vite parallele e mi hanno arricchito come persona.

Segretissimo è una collana con cinquant’anni alle spalle. Sei un suo lettore? Come hai accolto l’opportunità di questa riedizione per il pubblico dell’edicola?

Tutta la collana Segretissimo l’ho letta da “portoghese”, ossia chiedendo di volta in volta a un mio amico che era abbonato di prestarmi il romanzo del momento. A volte sfilandoglieli senza che se ne accorgesse per poi rimetterli al proprio posto. Opss. Forse questa cosa era meglio non la dicessi. Comunque li ho divorati quasi tutti senza però conoscere le dinamiche della collana. Con leggerezza, come tante volte accade quando si fanno le cose per divertimento e non per lavoro. Essere pubblicato in questa collana per me è un sogno che si realizza. E’ il premio per le migliaia di ore chino a digitare su una tastiera mentre la mente spaziava libera. Per averci sempre creduto. Per non essermi mai arreso. Per aver subito attacchi da chi non sopporta i militari e i valori nei quali credono. Pensi che un assessore alla cultura di un paese dove avrei dovuto presentare le mie opere mi ha detto nel suo ufficio: “Ma scherziamo, lei qui i suo libri non li presenterà mai. M A I. Io sono un pacifista”. Stessa cosa in un museo che al suo interno ospita questo tipo di eventi. Il suo direttore mi ha fatto sapere che essendo contrario all’uso della forza non si poteva fare. E il museo, pensate, ha un’ala dedicata ad armature, spade, picche, mazze ferrate. Ma forse nell’antichità con quegli attrezzi ci piantavano i gerani. Lascio ai lettori ogni commento in merito. Ma, d’altronde, può una persona che è stata formata a non mollare mai, arrendersi davanti al muro dell’editoria, del pregiudizio o dell’indifferenza? La risposta sta nell’essere approdato, anche con un pizzico di fortuna, a Mondadori. D’altronde anche sul campo di battaglia se si è nel posto sbagliato al momento sbagliato si può venire disintegrati da un colpo di mortaio. Il fattore c, che sta per “culo”, non è determinante ma aiuta.

Ho apprezzato nel tuo romanzo una posizione decisamente netta contro l’uso delle mine, giudicate non uno strumento di guerra al nemico, bensì di strage di civili…

E’ così. Le mine sono armi sleali e malvagie che colpiscono soprattutto i civili. Sono studiate, le anti-uomo, non per uccidere ma per mutilare. Perché prendersi carico di un invalido costa molto di più a un Paese in guerra, che un funerale, inoltre perdere le mani o una gamba per molti è peggio della morte. E quindi: effetto psicologico indotto. Le mine colpiscono indiscriminatamente donne e i bambini, anche decine d’anni dopo che la guerra si è conclusa. E sminare un territorio ha costi proibitivi e ci vogliono tempi biblici. Sono bandite dalle convenzioni internazionali eppure ci sono paesi che ne sono infestati. E c’è ancora chi le piazza o le semina da aerei o elicotteri. E chi le produce, naturalmente. Alcune sono costruite a forma di giocattolo o di penna proprio per attirare i bambini… Capite che qualunque persona di buon senso è contraria a questi strumenti barbari, stupidi e iniqui. La guerra, la guerriglia e il terrorismo non dovrebbero toccare i civili: mai.

Anche se ci sono, secondo copione di una linea di format, i “buoni” e i “cattivi”, i tuoi protagonisti stanno attenti ad identificare il nemico per le sue azioni o accertate intenzioni, non per cultura o religione, in modo perniciosamente generalista…

E’ vero. Ci sono i “buoni” e i “cattivi” ma a volte i lupi sono travestiti da agnelli e viceversa. I miei “buoni” stanno attenti a non produrre “effetti collaterali” come la morte di innocenti perché hanno senso dell’onore e della giustizia. I “cattivi” invece sono pronti a qualunque genere di violenza verso l’intero genere umano. Per questi ultimi il “fine giustifica i mezzi”, sempre e comunque.

Per un bravo autore di spy thriller la conoscenza della geopolitica è assolutamente fondamentale. Una preparazione che impone serietà e impegno, e che non si improvvisa. Sei d’accordo?

E’ fondamentale. Io sono appassionato di geopolitica e mi tengo sempre aggiornato. Se si vuole produrre delle belle storie bisogna studiare molto ma, nel contempo, non ammorbare il lettore con nozioni enciclopediche. Bisogna saper dosare le conoscenze acquisite. Altrimenti è meglio abbandonare i romanzi e passare ai seriosi saggi.

Parliamo degli aspetti tecnico-bellici, in particolare per quanto riguarda la precisione su armamenti, denominazioni e altro. Tra aficionados ed estimatori, su un estremo del range di lettori di spy fiction troviamo fruitori molto attenti ed esigenti su questi punti. Dall’altro lato, lettori che, guardando prettamente al patto evasivo, possono trovare noioso un eccesso di dovizia nei dettagli tecnici. Nel mezzo, con vari approcci, tutti gli altri. Come scrittore con una competenza da ex-militare, ti trovi mai in difficoltà a dosare gli ingredienti in modo che risultino equilibrati?

La difficoltà c’è ma io sono un pragmatico e quindi credo di aver trovato la giusta misura. Mi ci sono applicato molto perché bisogna avere il coraggio di autocensurarsi. Stephen King parla di “uccidere i propri bambini” rispetto a un autore che interviene sul proprio lavoro cercando di asciugarlo e renderlo più snello. Il segreto è scrivere in ottica lettore. Non tutti ce la fanno: lo dico da lettore.

Abbiamo canonicamente aperto l’intervista con la tua biografia, chiudiamo in modo altrettanto classico chiedendoti notizie dei tuoi lavori in progress e dei progetti per il futuro…

Sto lavorando a un nuovo romanzo militare. Una spy-story che inizia con un duello all’ultimo sangue tra contractors, i nuovo mercenari, in una landa desolata afghana. Poi iniziano le indagini per uno strano delitto in una base militare italiana all’estero e, seguendo gli indizi si scopre che… Posso solo assicurare una cosa: è una storia originale e non scontata.

Filippo, grazie. A te l’ultimo caricatore: usalo per salutare i lettori del Segretissimo Blog e di ThillerMagazine…

Se leggete questo saluto vuol dire che avete avuto la pazienza di arrivare alla fine. Solo per questo, quando e se ci incontreremo, offro da bere a tutti. Buona lettura e, se vi va, fatemi avere i vostri commenti scrivendo a filippo@pavanbernacchi.it

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Intervista a Chris Grabenstein

marzo 16th, 2010

Ho avuto il piacere di scambiare quattro parole via email con Chris Grabenstein, l’autore di “Weekend all’inferno”, Segretissimo di Febbraio e in passato di due Gialli Mondadori (Giro della morte, N°2946 e Giro di Killer, N°2970) in occasione del suo esordio sulla collana. Grazie a Chris, persona davvero simpatica e disponibile, per la chiacchierata.

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AL – Buongiorno Chris e benvenuto sul blog di Segretissimo Mondadori.

CG – Grazie per avermi invitato!

AL – Due tuoi romanzi sono già usciti in passato per il Giallo Mondadori. Cosa puoi dirci di «Weekend all’inferno»?

CG – “Weekend all’inferno» è stato ispirato da una domanda: cosa succederebbe se la più grande minaccia alla sicurezza americana venisse non da un gruppo di terroristi stranieri, ma da una cellula cresciuta all’interno degli USA e che impiega le stesse tattiche di Al Qaeda? È interessante e triste al tempo stesso notare che con la vittoria di Barak Obama, primo presidente nero della storia americana, questi gruppi, specie quelli per la supremazia della razza bianca che descrivo in «Weekend all’inferno», stanno guadagnando forza. Ho fatto in modo che il mio eroe, Christopher Miller, si sia trovato a fronteggiare i medesimi ostacoli incontrati dagli agenti dell’FBI che, prima dell’11 Settembre, dovettero interrogare musulmani sospetti che stavano prendendo lezioni di volo.

AL – La serie dei romanzi con protagonista Miller è più orientata all’azione?

CG – Cerco di scrivere i thriller con Miller dandogli lo stesso ritmo della serie TV «24». Colpi di scena senza sosta, un continuo gioco tra gatto e topo con sorprese e capovolgimenti di fronte inaspettati. Parecchi lettori non sono riusciti a mettere giù il libro finché non l’hanno terminato!

AL – Il fulcro del romanzo è la minaccia della supremazia bianca. Posso permettermi di chiederti quanto è concreta questa minaccia e a cosa ti sei ispirato?

CG -Come dicevo, è una minaccia in crescendo e molto concreta. In America abbiamo Glenn Beck, un personaggio della TV, che cerca di instillare nella gente una sorta di fervore rivoluzionario, proprio come il predicatore misterioso del mio libro. Solo che Beck lo fa alla TV nazionale! Ho preso ispirazione dalla mia infanzia nel sud degli Stati uniti, dove atteggiamenti razzisti sono ancora fin troppo diffusi. Scrissi il romanzo anni prima dell’elezione di Obama. Oggi temo che potrei aver predetto il futuro.

AL – Ho letto sul tuo sito che hai iniziato come autore per la pubblicità. Come sei diventato un narratore?

CG – Sì, ho scritto testi di pubblicità per diciassette anni. A dire la verità, il mio primo capo nel settore fu un signore di nome James Patterson, uno degli autori più venduti in America e nel mondo. Molti autori di thriller hanno cominciato nel mio stesso settore: Clive Cussler, Ted Bell, Stuart Wood, e l’elenco potrebbe continuare. Nel campo della pubblicità si acquisisce la disciplina necessaria per scrivere otto ore al giorno, davvero preziosa quando si tratta di completare un romanzo. Si impara anche a non sprecare il tempo del proprio pubblico. Nel settore della pubblicità televisiva, se lo annoi, lo spettatore cambierà canale. Così i mie libri, credo che ve ne accorgerete, non sono mai noiosi!

AL – Su cosa sei al lavoro in questo momento? Quale sarà il tuo prossimo lavoro e quando uscirà?

CG – Quest’anno sto scrivendo tantissimo. Il 5 Maggio l’editore Pegasus pubblicherà qui negli States «Rolling thunder» il sesto volume delle avventure di John Ceepak. Il primo racconto breve con Ceepak protagonista uscirà sull’Alfred Hitchcock Mistery magazine di Giugno. In Agosto il mio racconto «Demon in the Dunes» sarà nell’antologia dedicata al soprannaturale curata da Charlaine Harris, l’autrice dei libri da cui è tratta la serie TV True Blood. Sempre in Agosto poi uscirà il mio nuovo libro per adolescenti, The Smoky Corridor, per la Random House.

AL – Hai qualche consiglio per gli aspiranti scrittori?

CG – Leggere, leggere, leggere. Poi scrivere, scrivere, scrivere. Una buona idea è prendere un libro che avete adorato e leggerlo tre o quattro volte. Durante la terza e quarta lettura, cominciate a smontarlo come farete col motore di un’auto, per vedere come funziona. È così che ho imparato le regole del thriller e del Mystery. Trovate la struttura, la spina dorsale della narrazione e poi filtratela con la vostra voce!

AL – C’è qualche episodio divertente o curioso capitato durante la tua carriera che ti va di raccontarci?

CG – Le cose più divertenti probabilmente sono quelle che capitano quando svolgo le mie ricerche. Nel romanzo «Hell Hole» il quarto della serie di Ceepak per esempio, dovevo far succedere un omicidio all’interno di un gabinetto pubblico chiuso, lungo un’autostrada. Per riportare ogni dettaglio in maniera corretta, ho dovuto svolgere un sopralluogo in una struttura parecchio puzzolente e fare delle fotografie. Quando ho tirato fuori la macchina fotografica vicino agli orinatoi mi sono beccato davvero delle brutte occhiate.

AL – Qualcos’altro da aggiungere per i lettori di Segretissimo? Ti lascio la scena.

CG – È entusiasmante vedere le proprie storie tradotte in un’altra lingua. Non tutti gli americani sono fuori di testa come i cattivi di «Weekend all’Inferno», ma purtroppo, alcuni di noi sì!

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Intervista a Dario Tonani

gennaio 19th, 2010

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Questo mese doppia intervista. Dopo Alberto Custerlina, è la volta di Dario Tonani “rubato” a gli amici di Urania e presente questo mese su Segretissimo con un suo racconto: “Il fuoco non perde mai”.

Salve Dario, benvenuto su Segretissimo! La prima domanda è quasi obbligatoria: da Urania a Segretissimo, dalla fantascienza all’action/adventure/Spy. Com’è avvenuto il passaggio?

Grazie del benvenuto, confesso che questo sconfinamento di genere e di testata mi fa molto piacere. In realtà era un po’ che ci giravo intorno. Anche nell’ambito della fantascienza cominciavo da tempo a muovermi in territorio borderline: poliziotti, killer, fuggiaschi… C’era sempre però la passione di fondo che mi spingeva a muovermi attorno ai binari dell’“idea futuribile”, della speculazione sul nostro domani, se non addirittura del fantastico. A un certo punto è stato come per un mancino cominciare a scrivere con la destra, ti butti, decidi di punto in bianco di provare a non usare più l’altra mano, di smettere di attingere a quello che fino a quel momento era stato il tuo repertorio abituale. Non è stato affatto traumatico, anzi mi ci sono divertito un mondo. E l’ho rifatto! Il passaggio è stato molto più naturale di quanto pensassi, e devo dire che hanno influito anche gli stimoli di tanti amici autori provenienti proprio dal campo di fuoco dell’“Italian Legion”; e naturalmente di Sergio Altieri in primis. Un grazie anche a loro.

Già Infect@ comunque, pur essendo un romanzo di fantascienza, presentava elementi «da Segretissimo»: la mala, l’oggetto che tutti vogliono caduto nelle mani sbagliate (o giuste, a seconda). Cosa ci prepari per il futuro? Ulteriori fusioni di generi o nuovi cambi di direzione?

“Infect@” era effettivamente il segnale di una losca deriva. Il successivo “L’algoritmo bianco” per molti versi è stato un sintomo ancora più grave. Nel primo Urania avevo sperimentato il punto di vista di un’indagine poliziesca, nel secondo quello di un killer professionista. Quando si mettono l’una contro l’altra queste due “facce” ci si accorge di avere per le mani una moneta nuova. E al momento voglio continuare a muovermi a cavallo di questi due generi, diversi ma attigui. Cos’ho in cantiere? Sto ultimando l’editing di “Infect@ 2” che consegnerò in Mondadori entro fine mese. E poi ho molte altre idee, dibattuto dalla voglia di contaminare come ho fatto finora, ma anche di provare vie meno spurie completamente diverse. Chissà…

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Senza anticipare nulla, questo racconto ha, accanto ai protagonisti umani, un aereo a tenere la scena. È una tua passione?

Sì, gli aerei mi piacciono molto. E poi abito a un paio di chilometri in linea d’aria dall’aeroporto di Linate e sono cresciuto con i velivoli sulla testa. In più, nel tragitto casa-lavoro passo a pochi metri dalle piste di atterraggio, in un punto in cui gli aerei sono così bassi che ti viene istintivo insaccare il capo… Mettiamoci anche che percorro ogni giorno 60 chilometri di tangenziali e che gli aerei sopra a Linate, in decollo o in atterraggio, li vedo praticamente da ogni angolazione. Batti che ti ribatti, mi è venuta l’idea di scrivere la storia di un executive che per un’emergenza atterra proprio su una strada trafficata. Quando si passano ore in coda si finisce per avere le fantasie più astruse: tutto sommato quella di trovarsi un aereo che ti sbarra la via è forse la meno inconfessabile. Ho pensato: poi, però, bisogna toglierlo di lì, ed è venuto fuori “Il fuoco non perde mai”, una storia in salsa hardboiled con un diluvio d’acqua e di pallottole.

Quali sono le tue più grandi influenze come autore, hai dei modelli a cui ti ispiri? Trai ispirazione anche da cinema, musica e altri media?

Modelli tanti, come ogni scrittore che sia anche un lettore vorace e onnivoro. Riconosco debiti nei confronti Richard K. Morgan, Chuck Palanhiuk, Michael Marshall Smith, Jeff Noon, Maurice G. Dantec, passando ovviamente per un certo Philip K. Dick, tutti autori che hanno sparigliato le carte e saltato gli steccati fra i generi. Ma confesso che a cambiare di più la mia scrittura sono stati proprio il cinema e la musica. Alle volte, quando scrivo, mi scopro a mimare i gesti che devo far compiere ai miei personaggi e questo mi aiuta a trovare la parole giuste per descriverli. Anche i dialoghi devono suonarmi bene “a orecchio”, per cui spesso li recito a voce alta. Quanto alla musica non esco mai di casa senza il mio iPod, anche se quando scrivo voglio silenzio assoluto. Alla prossima allora!

– Illustrazione di Franco Brambilla

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Intervista ad Alberto Custerlina

gennaio 11th, 2010

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Ciao Alberto, benvenuto sul blog di Segretissimo. Che effetto fa vedere Balkan Bang! Pubblicato nella collana?

Un effetto strepitoso, soprattutto per uno che ha seguito i cerchi rossi di Mondadori per tutta la vita. Grande emozione, quindi.

Partiamo dal titolo: come l’hai scelto, è generato da un tuo amore per i fumetti?

Il titolo mi è venuto spontaneo, mentre scrivevo una scena d’azione. Naturalmente il fumetto c’entra, ce n’è molto nel romanzo, dal tratteggio dei personaggi fino a certe situazioni un po’ sopra le righe.

L’ambientazione balcanica: hai scelto un set che conoscevi già, oppure prima hai deciso e successivamente approfondito la conoscenza dei luoghi? Leggendo il romanzo è evidente che hai studiato la struttura sociale e soprattutto il complesso mosaico etnico della zona. Quanto ha influito sul testo il fatto di essere di Trieste, da sempre «terra di confine»?

I Balcani li conosco abbastanza bene proprio perché sono nato e abito a Trieste. Naturalmente, per affrontare la scrittura di un romanzo come Balkan bang!, ho dovuto documentarmi su temi specifici e ho pure soggiornato a Sarajevo, per poter entrare al massimo nel climax della città.balkan.jpg

Parlaci dei personaggi, a chi ti sei ispirato, a quali sei più affezionato?

Le ispirazioni sono cinematografiche e fumettistiche. Volevo personaggi che fossero veri, ma allo stesso tempo con dei tratti distintivi molto marcati. Ho dato il massimo nella loro caratterizzazione, cercando di attribuire a ognuno dei modi di dire e di fare che li rendesse riconoscibili anche senza citare il loro nome. E proprio perché ho lavorato molto su ognuno di loro, non ho un personaggio preferito. Sono tutti figli miei!

Dalle presentazioni, è emerso che il pubblico maschile è rimasto particolarmente affascinato dalla figura di Zorka, vuoi dirci qualcosa in più su di lei?

Be’ certo, Zorka Stoltz è stata concepita come un siluro che si doveva infilare di prepotenza nell’immaginario medio maschile: bella, procace, cattiva e sessualmente esagerata. Qualcosa di più su di lei? Sarà le protagonista femminile del sequel che sto scrivendo e che dovrebbe uscire a fine anno o un po’ più in là.

Quali autori influenzano il tuo modo di raccontare? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

I miei autori di riferimento sono Elmore Leonard, J.P.Manchette e qualcosa di Lansdale. Tra gli italiani direi i soliti noti: Scerbanenco , Altieri e Di Marino. Naturalmente questi sono solo i nomi che ispirano direttamente la mia scrittura, ma di autori preferiti in generale ce ne sono molti altri. La mia fonte d’ispirazione è il mondo. Posso leggere di una notizia proveniente dall’Africa nera e farmi influenzare talmente tanto, da trasportarla poi nei Balcani. Come avrai notato, in Balkan bang! c’è di tutto: cronaca di tutti i tipi, cinema, fumetti, letteratura, vita vissuta. Tanto per farti un esempio, la storia dello sbiancamento del buco del culo, è totalmente vera, tratta da una rivista femminile che ho sfogliato dal dentista e da qualche approfondimento trovato poi sul web. Cercate “anal whitening” se non ci credete!

Ho l’impressione che in Balkan Bang! Ci sia anche molto «cinema». Concordi con questa affermazione? Se sì, quali sono i tuoi riferimenti in quel campo?

Verissimo, direi che c’è più cinema che fumetto. Da questo punto di vista, m’ispiro a Tarantino, Ritchie, Woo e Peckinpah. E ai polizieschi e ai western all’italiana per il cinema. Naturalmente, le influenze che subisco sono in realtà infinite (serial televisivi, per esempio) e molte volte inconsce. Quelle che ho citato sono quelle consce e più evidenti.

Questo è il tuo primo romanzo, e il responso del pubblico è stato molto favorevole. Vuoi dirci come hai cominciato a scrivere? Quando hai capito che «il gioco si stava facendo serio»?

Ho cominciato per via di una grave frattura alla gamba che mi aveva costretto a letto per tre mesi. Comunque, ci tengo a dire che per me il gioco è sempre stato serio. Come dice l’amico Stefano Di Marino, scrivere vuol dire seguire una Via, come per un’arte marziale. Quindi bisogna mettere in campo la massima serietà fin dall’inizio, e poi convinzione, pianificazione, disciplina e pazienza. Bisogna anche riconoscere, però, che ora il gioco si è fatto ancora più serio, nel senso che mi sta mettendo di fronte ad alcune sfide molto importanti e molto difficili da affrontare. Io, però, mi nutro di sfide, quindi no problem.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Userai la stessa location balcanica oppure introdurrai elementi nuovi? Ritroveremo alcuni dei personaggi di Balkan Bang!?

A fine maggio uscirà in libreria il mio nuovo romanzo, Mano Nera, edito da Baldini Castoldi Dalai, ambientato a Sarajevo e dintorni. Successivamente, ci sarà il seguito di Balkan bang!, che però sarà una storia indipendente dalla prima (a parte qualche riferimento e alcuni personaggi che ritroveremo) che partirà dalla Bosnia per approdare a Trieste.

Inoltre, ho in cantiere un progetto non balcanico di cui non posso dire ancora nulla, ma che sono certo spiazzerà un po’ tutti (sempre che vada in porto).

Aiuta i lettori del blog a conoscere l’Alberto Custerlina quotidiano, quali sono le tue passioni al di fuori della scrittura?

Il Custerlina quotidiano ama leggere, fotografare, ascoltare musica e sa cucinare abbastanza bene. Quando c’è la neve va in snowboard, altrimenti in mountain bike. Adora le condizioni difficili e in special modo il brutto tempo, che per lui è bello. Ha suonato il basso in un gruppo metal che si chiamava Ars Moriendi (ma ha suonato anche molto jazz). Fuma, apprezza il whisky e le donne, anche se già da un po’ le ha messe tutte da parte a favore di una sola.

Bene Alberto, qui si conclude il faccia a faccia. Ti lascio il palcoscenico, c’è qualcosa che vuoi dire ai lettori di Segretissimo?

Sì, mi piacerebbe ricevere dei feedback sul romanzo, perché ritengo che i lettori di Segretissimo siano una categoria da tenere in grande considerazione. L’indirizzo e-mail lo potete trovare sul mio sito personale http://custerlina.com.

 

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Intervista a Brent Ghelfi

ottobre 12th, 2009

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volks-shadow-175.jpgAlessio Lazzati – Salve Brent, bentornato sul blog di Segretissimo Mondadori. Il primo Volk è stato un gran successo e la serie sta diventando una delle più attese dai lettori. Che sensazione provi?

Brent Ghelfi – È fantastico! Sono entusiasta di avere così tanti lettori italiani. In molti mandano messaggi e-mail tramite il mio sito, www.brentghelfi.com e mi fa sempre un gran piacere poter parlare dei libri di Volk.

AL – Cosa dobbiamo aspettarci da questa seconda avventura di Volk? (L’Ombra del Lupo). Sarà ancora la «Nuova Russia» lo scenario principale?

BG – Sì, l’attenzione è ancora sulla Nuova Russia ma in special modo sulla «zona calda meridionale», Cecenia, Inguscezia e tutte gli altri punti critici della regione caucasica. È lì che si combatte la guerra per gli oleodotti. In questo romanzo vedremo Volk impegnato contro i terroristi ceceni e costretto a confrontarsi con gli orrori della guerra in Cecenia.

AL – Di certo durante l’ultimo anno hai continuato ad analizzare la situazione russa. Hai notato dei cambiamenti? In positivo o in negativo?

In negativo. Il cambiamento più grande che ho notato è stato che il crollo del prezzo del petrolio ha aggravato la situazione dei poveri in Russia, quindi di un grossa fetta della popolazione. Inoltre la stampa è sotto costante pressione da parte del Cremlino e i giornalisti e gli attivisti dei diritti umani vengono continuamente ostacolati. E nel peggiore dei casi, uccisi. Il nuovo presidente, Medvedev, è un «presidente Potemkin», senza veri poteri. Il potere è ancora tutto nelle mani di Putin.

AL – Possiamo definire le storie di Volk come romanzi sul mondo del crimine?

BG – Certo, ma l’attenzione è sul crimine finanziato dallo Stato e gestito dai grandi consorzi criminali. La Russia si è trasformata, dalla caduta del muro, in un territorio privo di legge. Lo Stato si è inserito in quel vuoto. Molti se non la maggior parte dei giudici e dei pubblici ministeri non sono in realtà corrotti, ma costretti a navigare in un mare di corruzione.

AL – Leggendo la prima storia di Volk ho notato una cosa: di certo non sei preoccupato di colpire duro il tuo lettore. Durante la lettura ho sempre percepito un senso di pericolo attorno ai protagonisti, e ora so che si trattava di un pericolo concreto. Non risparmi ferite, mutilazioni ecc. È una scelta per porre, per così dire, le loro vite sullo stesso piano di quelle degli antagonisti? Come se in effetti vivessero nello stesso mondo, con le stesse regole e gli stessi pericoli?

BG – Volk è una metafora della Russia, con tutta la sua bellezza e i suoi difetti. La violenza è organica nei libri di Volk. Emerge dall’ordine naturale delle cose. È stata una scelta ben precisa, che spero contribuisca a rendere Volk un personaggio unico e affascinante.

AL – Possiamo far rientrare Volk nella tipologia dell’antieroe, un cattivo tra i cattivi che risulta meno malvagio perché ha posto un limite alle sue azioni? Sarà ancora così nei prossimi capitoli di Volk?

BG – Volk è moralmente lacerato. La frase di Solženicyn in apertura de «L’artiglio del lupo» lo spiega perfettamente: «La linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno». A volte in Volk prevale la parte malvagia. Questo tema si ripresenterà nell’arco di tutta la serie. Mi piace il fatto che Volk sia un personaggio complesso, imprevedibile, sempre in bilico sulla linea che lo separa dalla brutalità.

AL – Come si svilupperanno i personaggi? Ritroveremo alcuni degli antagonisti principali?

BG – L’antagonista principale cambia, ma molti personaggi ritornano. Valya ricompare ed è sempre a modo suo un personaggio affascinante e complesso. Ritroviamo anche il Generale, Maxim e Vadim. Un personaggio che aveva un ruolo secondario ne «L’artiglio del lupo» torna con un ruolo più importante: l’agente dell’NSA Brock Matthews.

AL – Il terzo capitolo della serie «Venona’s Cable» uscirà in futuro su Segretissimo. Nel frattempo su cosa stai lavorando? Continuerai ad ambientare le tue avventure in Russia e nell’Europa dell’Est?

BG – Sono molto felice per l’uscita in Segretissimo di «Venona’s Cable». Quella del progetto Venona (grazie al quale gli Stati Uniti e l’Inghilterra decodificarono i cablogrammi inviati dalle spie sovietiche) è una delle grandi storie della Seconda Guerra Mondiale. Il mio romanzo parte dalla Seconda Guerra Mondiale e passa per gli intrighi della guerra fredda, aggiungendo al gioco delle spie un tocco di modernità.

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AL – Passiamo a qualche domanda più personale. Ho visto che hai un nuovo sito web e anche un blog. Come ti trovi a «bloggare», lo trovi utile? E che argomenti pensi di affrontare?

BG – Sono orgoglioso del nuovo sito e spero che andiate a visitarlo tutti quanti. Finora ho affrontato il tema dello scrivere in Russia e del «fare affari», che poi è ciò che facevo a fine anni 90. In futuro scriverò del progetto Venona e della situazione del giornalismo in Russia. Trovo molto utile pubblicare idee e pensieri su un blog, mi aiuta a sviluppare meglio le storie.

AL – Quanto sono utili la rete e i social network per la tua professione?

BG – Il web e i social network rimpiccioliscono il mondo. È molto più semplice per me comunicare con le mie «fonti» in Russia e restare in contatto coi fans di Volk e con i colleghi scrittori. Per non parlare dell’opportunità di interagire con blog come questo!

AL – Hai letto qualcosa di interessante di recente, magari da consigliare ai lettori italiani?

BG – Sul mio comodino ci sono romanzi di Robert Wilson, James Lee Burke, James Sallis e James Ellroy e li consiglio caldamente. Di recente ho letto «Il pittore di battaglie» di Arturo Pérez-Reverte

e l’ho davvero apprezzato. Tra gli autori più «vecchi» uno dei mie preferiti è Alistair MacLean.

AL – Bene, siamo arrivati alla fine, speriamo di poterti incontrare presto in Italia per firmare qualche copia dei tuoi libri: intanto come sempre ti lascio lo spazio per dire quello che vuoi ai nostri lettori.

BG – Sono davvero grato di avere un editore così valido in Italia e un traduttore di così alto livello come Stefano Di Marino.

Grazie a tutti i lettori per il supporto, spero che l’ultima avventura di Volk vi entusiasmi.

 

 

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Intervista a Franco Forte

giugno 4th, 2009

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BIOGRAFIA

Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Giornalista professionista, traduttore, sceneggiatore e consulente editoriale, ha pubblicato nel 2009 il romanzo storico La Compagnia della Morte (Mondadori), nel 2005 il thriller La stretta del Pitone (Mursia), e nel 2000 i romanzi storici Il figlio del cielo e L’orda d’oro (Mondadori), da cui ha tratto uno sceneggiato TV su Gengis Khan prodotto da Mediaset (trasmesso nel 2002 su Rete 4) e China killer (Marco Tropea/Il Saggiatore), un thriller metropolitano dai toni forti. Sempre per Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato a serie televisive quali “RIS – Delitti imperfetti”, “Distretto di polizia” e “Intelligence”. Per la RAI ha scritto alcune puntate della fiction tv “Alpha Cyber”. Il suo esordio come narratore risale al 1990, con il romanzo Gli eretici di Zlatos (Editrice Nord). Vicedirettore del mensile PC World Italia (www.pcworld.it), ha fondato la rivista Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it) e ha pubblicato Il Prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per gli autori esordienti. Ha curato antologie per Mondadori, Stampa Alternativa, Editoriale Avvenimenti e ha tradotto i romanzi “Aristoi”  e “Metropolitan” di Walter Jon Williams (Mondadori), “Meglio non chiedere” di Donald E. Westlake (Marco Tropea Editore) e, dal tedesco, “Q come Caos” di Falko Blask (Il Saggiatore). Il suo sito: www.franco-forte.it.

 

Intervista a Franco Forte

 

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A.L. – Ciao Franco, e benvenuto sul blog di Segretissimo. Dopo la prima avventura di Stal su «Legion» lo scorso anno, è finalmente il momento per lui di un’avventura lunga. Quali sono le tue sensazioni riguardo a questa sorta di «secondo esordio» su Segretissimo?

F.F. – Sono abbastanza emozionato, pur non essendo io uno “scrittore di primo pelo”. Ho già visto uscire parecchie mie creature, in libreria ed edicola, ma questo è comunque un esordio, per di più in una collana che ritengo un fulgido esempio di come in Italia si possa scrivere bene anche quando si affronta il tanto temuto romanzo d’azione. I colleghi che popolano Segretissimo sono professionisti di indubbio valore, ai quali mi fa davvero piacere potermi unire, pur con l’umiltà dell’esordiente, almeno nel campo della spy story. Confesso che fino a qualche anno fa non avrei mai accettato di scrivere un romanzo per questa collana, dal mio punto di vista molto difficile, almeno a livello tecnico e interpretativo. Ma poi ho avuto la spintarella morale giusta (anzi, lo spintone, conoscendo il personaggio) di quell’eccellente editor che è Sergio Altieri, e ho deciso di provare a cimentarmi anche con questo genere, che ho sempre avuto nelle corde come lettore, ma mai come scrittore. Ovviamente, lascio al pubblico rispondere se il mio tentativo è riuscito o meno…

A.L. – Starnelov, detto Stal, Acciaio, si preannuncia piuttosto misterioso, come era già evidente da «Legion». Di lui si sa poco o nulla a parte una sua sorta di simbiosi con le armi bianche. Cosa puoi dirci in generale del personaggio?

F.F. – Non ho mai scritto romanzi alla Segretissimo, come ho detto prima, ma qualche racconto impostato sui canoni dell’action thriller sì, e uno di questi, che si intitolava “Acciaio”, aveva come protagonista un personaggio che derivava da alcune mie letture dell’epoca, soprattutto hard boiled americano di quello duro e senza cedimenti. Sono partito da lì e ho inserito nel profilo del mio personaggio alcuni elementi tipici della spy story, pur senza farlo del tutto consapevolmente. Quando si è presentata l’occasione di dare vita a un nuovo protagonista di una serie di storie per Segretissimo, quel vecchio personaggio è tornato alla luce in maniera autonoma, e si è concretizzato nel racconto uscito su “Legion”. Nel frattempo, però, era cresciuto ancora, si era evoluto e aveva acquisito quelle caratteristiche di “veridicità” che reputo indispensabili per poter dare vita a un personaggio a tutto tondo da sfruttare per i miei romanzi. Così, in “Operazione Copernico” i lettori ritroveranno lo Stal di “Acciaio”, ma si renderanno conto che si tratta di una persona molto più complessa, profonda e (spero) interessate di quanto sia potuto emergere da quel racconto.

A.L. – Questa competenza riguardo alle armi bianche è derivata da un tuo reale interesse per l’argomento?

F.F. – Assolutamente sì. E se tra un action thriller o un giallo e l’altro, scrivo soprattutto romanzi storici, è proprio per questo. Mi ritengo un piccolo esperto di armi medievali, soprattutto in uso a Milano e in Lombardia dal 1200 al 1600, ma la passione mi ha portato a documentarmi per piacere e per lavoro anche sull’evoluzione delle armi bianche nel corso dei secoli, fino ad arrivare ai giorni nostri. Conosco senz’altro molto di più le armi bianche di quelle da sparo, e apprezzo intimamente il rapporto di simbiosi che nasce fra uomo e arma, quando le si usa con cognizione. Dovendo creare un personaggio per Segretissimo, e avendo già delineato Stal parecchi anni prima come un esperto di armi bianche, tutto è scivolato via in maniera del tutto naturale. Però attenzione: Stal sarà anche un esperto di armi bianche, ma ti assicuro che se la cava molto bene anche con pistole, fucili e, soprattutto, con le mani nude.

A.L. – Stal ha un background militare come Spetsnatz: che cosa ti ha affascinato di queste forze speciali, spesso raggruppate sotto questo termine piuttosto generico, ma a vari livelli sempre caratterizzate da una certa «mistica» che ha sempre colpito gli scrittori action?

F.F. – In realtà non si sa granché di questi misteriosi reparti delle forze speciali russe, e tutto quello che è sconosciuto esercita un grande fascino sul sottoscritto. Io poi ho lavorato a ritroso: ho prima creato Stal come un personaggio di provenienza moldava e poi, per dargli un background professionale che lo rendesse plausibile come mercenario d’acciaio, l’ho collocato all’interno di un’esperienza fra gli spetsnatz, che certo ritengo debba essere in grado di forgiare più che bene uomini come il mio Redka Starnelov. Infatti credo che i risultati si vedano…

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A.L. – Parlaci un po’ anche de «La Compagnia della Morte» la tua ultima fatica per il mercato della libreria. Dicci qualcosa che possa invogliare il pubblico di Segretissimo a sperimentare un genere differente.

F.F. – Azione, scene di battaglia ricostruite con cura meticolosa, ardimento e senso del dovere, che nello scenario del 1170 si sono espressi con uno degli scontri più duri e al contempo più importanti per l’Italia che il nostro Paese ricordi, anche se se ne è sempre scritto molto poco. Una pagina di storia da conoscere, e un mondo medievale da esplorare nei suoi anfratti, non solo nelle tecniche di battaglia e nelle armi usate a quel tempo, che naturalmente non manco di raccontare nei minimi dettagli. I moderni eroi dell’action story nascono da quei modelli di soldati e combattenti, che bisognerebbe conoscere e studiare più a fondo.

A.L. – Come sta andando il libro, sei soddisfatto, qual è stato il feedback del pubblico dopo un po’ di presentazioni?

F.F. – Il libro sta andando molto bene, e soprattutto il rapporto con i lettori è stato incredibile, durante questi mesi dalla sua uscita in libreria. Non dimenticherò mai le presentazioni che ho fatto a Legnano e in altre località d’Italia, piene all’inverosimile di pubblico, un pubblico competente e pronto a innescare un dibattito con il sottoscritto, per sviscerare ancora più a fondo delle tematiche che, evidentemente, un solo romanzo di 450 pagine non poteva approfondire in maniera esaustiva.

A.L. – Torniamo a Stal, dal punto di vista dell’ambientazione hai scelto la Transnistria, una terra ricca di mistero e di «angoli bui» che si sta affermando come scenario privilegiato per storie di spionaggio moderne. Quali sono le motivazioni della tua scelta?

F.F. – Per la piccola casa editrice di cui sono direttore editoriale, Delos Books, ho tradotto un breve ma intenso romanzo di Walter Jon Williams, autore a me molto caro (ho tradotto io, per Mondadori, i suoi romanzi “Aristoi” e “Metropolitan”, dei piccoli capolavori per gli amanti della fantascienza), che si intitolava “L’era del flagello”, e che si ambientava in questa oscura autoproclamatasi repubblica della Transinistria. Sono rimasto affascinato da quel paese e dai suoi problemi, dalla povertà diffusa, dalla criminalità che agisce come uno stato sovrano, e con il tempo ho approfondito l’argomento, rifacendomi anche a un amico che, per combinazione, è andato a vivere da quelle parti, in Moldavia. Quando è arrivato il momento di “raccogliere le carte” per scrivere “Operazione Copernico”, mi è venuto naturale ambientare parte della storia in Transinistria. E credo che ci tornerò ancora…

A.L. – So che sei sempre impegnato su innumerevoli fronti, sceneggiature, editoria, accanto alla scrittura: perché non ci aggiorni un po’ su questi progetti presenti e futuri e facciamo un po’ il punto della situazione?

F.F. – A fine giugno consegnerò alla redazione Omnibus di Mondadori la mia ultima fatica, il romanzo “Carthago”, secondo volume di una storia in 8 libri di Roma antica che appartiene a un progetto internazionale di Mondadori, ambientato durante la seconda guerra punica, con lo scontro fra Annibale e Scipione l’Africano. Ma con Mondadori ho già siglato altri contratti, uno per il romanzo “I bastioni del coraggio”, che si svolge a Milano nel 1500, all’epoca di Carlo Borromeo, e che dovrà uscire nel 2010, e poi per un altro progetto storico di rilievo, ma per cui forse è un po’ prematuro parlarne adesso. Oltre a questo, faccio probabilmente troppe cose per poterle segnalare tutte: il giornalista, lo sceneggiatore televisivo, il traduttore, l’editore e via dicendo. Troppo noioso approfondire.

A.L. – Vista la tua attività e le tue precedenti pubblicazioni, sono quasi obbligato a chiederti un consiglio per gli aspiranti scrittori.

F.F. – Ne ho dati troppi, in tanti anni di attività, quasi tutti inascoltati (gli aspiranti autori fanno come pare a loro, e forse hanno ragione). Uno però resta sempre valido, e non mancherò mai di ripeterlo all’infinito: leggete. Non solo romanzi tradotti, ma anche italiani. Perché è questo il modo migliore per imparare a scrivere.

A.L. – Per concludere, ci possiamo aspettare una seconda avventura di Stal?

F.F. – Inizierò a scriverla dopo aver consegnato “Carthago”. Ho già firmato il contratto. E prometto emozioni ancora più forti…

Ringrazio Franco e concludo segnalandovi un’intervista all’autore sul sito ThrillerMagazine. Franco Forte vs. Fabio Novel, Foreign Legion al meglio!

 

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Victor Togliani Studio Report

marzo 22nd, 2009

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Report dallo Studio di Victor Togliani

di Alessio Lazzati e Stefano Di Marino

 

A volte si parte con l’idea di realizzare una classica intervista. Poi però ci si rende conto che in certi contesti, la formula è rigida e limitativa. Ecco perché quando io e Stefano Di Marino abbiamo amichevolmente invaso lo studio di Victor Togliani per fargli alcune domande, abbiamo cambiato in corsa il progetto originale. victor-togliani-parla-del-suo-lavoroscaled.jpgNe è scaturita una chiacchierata a ruota libera, a 360 gradi, sul lavoro di un artista poliedrico. Il tutto accompagnato dalla visione ravvicinata di alcune delle sue creazioni più sbalorditive. Questo articolo quindi danzerà sula linea sottile tra il reportage e l’intervista. Mano a mano che l’occhio veniva catturato da qualcosa, ecco che partivano le domande e le curiosità. Impossibile non notare appena entrati nell’ambiente di lavoro, le splendide sculture, i modellini e le action figures customizzate. Chiedo a Victor di spiegarmi la tecnica che utilizza per la modellazione. «Per le sculture più piccole utilizzo una sostanza chiamata Apoxie: si modella a mano, con un margine di qualche ora prima di solidificarsi: poi aumentando le dimensioni, cambia il materiale. Per le sculture più grandi, che diventeranno di bronzo o di resina, utilizzo la plastilina.»Victor rivela la «doppia natura» delle sue sculture: oltre all’opera d’arte in se, ogni scultura o parte di essa è un modello. Victor è solito fotografare parti delle sue creazioni per utilizzarle ad esempio nelle elaborazioni fotografiche delle copertine Mondadori.

 s-x-patto-col-diavoloscala.jpg

 

Un altra nota sui materiali utilizzati è che spesso nelle strutture complesse, e a questo punto Victor ci mostra due sedili «provenienti» da un’astronave realizzati per uno spot pubblicitario, si trovano materiali riciclati. In questo caso, due carene di scooter riadattate possono diventare (e il risultato è sorprendente) le postazioni di comando di due astronauti, oppure la plastica di televisori è utilizzata per creare un modello di astronave partendo completamente da zero!

«Sono in un certo senso un riciclatore, mi piace riadattare gli oggetti e modificarne le forme. Quando lavoravo alla realizzazione di ‘Nirvana’ di Salvatores, giravamo negli ex stabilimenti dell’Alfa di Piazzale Accursio. Non era insolito vedermi girare di notte per i capannoni alla ricerca di qualche pezzo da riadattare in qualche oggetto di scena.»

Viene il momento di affrontare il discorso copertine: vogliamo cercare di capire (almeno in parte, senza svelare «trucchi del mestiere») come si ottiene l’effetto caratteristico a metà strada tra la foto e il disegno. Tutto nasce dalla fotografia, o meglio, dalle foto. Ogni soggetto di una copertina, sia «Segretissimo», «Urania», «Giallo» o «Passion», è composto da più parti di altri soggetti fotografati. Ecco perché ad esempio non c’è una modella per le donne, ma ognuna è composta da elementi di altre, fusi insieme fino formare la creatura di fantasia desiderata da Victor. La foto è la base, lo scheletro da cui partire. Il risultato finale ( nel frattempo osserviamo Victor scomporre in livelli una copertina per mostrarci le varie aggiunte) è qualcosa che conserva gli elementi delle foto, ma al tempo stesso enormemente distante. Su tutto poi interviene l’esperienza di Victor come disegnatore e pittore. «Uso lo strumento aerografo di Photoshop, esattamente come uso l’aerografo tradizionale. Poi applico al foto ritocco lo studio delle luci praticato nella mia attività di pittore e disegnatore. Se osservate una copertina con attenzione, potete notare che ci sono degli aloni di luce intorno a certi bordi: sono aggiunti a mano, ma non sono dei punti luci inseriti nell’immagine: sono colore. Mi servono per far emergere un soggetto da uno sfondo, quando i colori sono simili.»

La nostra attenzione si sofferma anche sulla bellezza degli sfondi: mentre scorriamo il database delle copertine, una villa gotica spicca tra le altre. Victor fa un pausa. «Questa ve la voglio raccontare. Si tratta della casa che un mio amico ha venduto ad una notissima scrittrice inglese. Un anno, eravamo ospiti a casa sua per Pasqua e abbiamo deciso di andare a fare gli auguri all’autrice. Putroppo non era in casa, ma non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di fotografare la sua splendida abitazione. Modificata e ritoccata, è diventata uno sfondo per ‘Segretissimo’!»

s-x-visita-di-scortesiascala.jpgAbbiamo il piacere di osservare la nascita di una cover di «Passion» a partire dai corpi e dai volti: vediamo la base di partenza, Evangeline Lily (una delle protagoniste di LOST) cambiare per diventare una donna travolta dalla passione, simile ma tremendamente diversa dalla bella attrice che funge solo da ispirazione. Victor poi riprende a scomporre davanti ai nostri occhi la cover di «Pace Armata – Il Veleno di Belfast» di «Segretissimo». Ancora una volta è entusiasmante vedere il modello in carne e ossa trasformarsi, fornire la struttura ma cambiare nei tratti somatici. Lo sfondo è composto da un collage di due diverse vedute di Londra. Le armi, fotografate dalla enorme collezione di sof-air in possesso di Victor, weap.jpgvengono modificate, così come l’abbigliamento, a cui vengono aggiunti sia dettagli presi da altre foto, sia particolari fatti a mano. Il database a cui attinge è impressionate per dimensioni e qualità: un esempio su tutti quello dei cieli. Foto di cieli a centinaia, fotografati in massima parte durante le vacanze, vengono ritoccate acquistando i colori con cui siamo ormai familiari e modificate nella colorazione così da diventare parte del panorama di Kabul, Mosca o Sarajevo. Cogliamo l’occasione per farci passare alcune illustrazioni e cover di Segretissimo, così da potervi mostrare l’immagine intera, senza il tradizionale tondo, ormai trademark delle collane da edicola. L’ultima domanda è d’obbligo: chiediamo a Victor si che cosa è al lavoro attualmente (oltre alle copertine): «Ho scritto un soggetto per il cinema, dal titolo ‘Time of Gods’, sull’epopea di Gilgamesh, il mitico re dei sumeri che regnò sulla città di Uruk». Concludiamo la visita ringraziando Victor per la gentilezza e la disponibilità: il tempo di scattare qualche foto e gettare un ultimo sguardo ai dipinti che diventarono le cover dei libri di Jean M. Auel, e ci salutiamo.

 s-x-vespaio-in-angolascale.jpg

 

Foto 1 – Stefano Di Marino

Immagini 2,3,5 – Per gentile concessione di Victor Togliani

Foto 4 – Alessio Lazzati

 

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Intervista a Bob Mayer (Robert Doherty)

marzo 2nd, 2009

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Cari lettori e lettrici, ho avuto il piacere e la grandissima soddisfazione di rivolgere alcune domande a Bob Mayer, l’autore (con lo pseudonimo di Robert Doherty) del numero di Marzo di Segretissimo, «Bersagli Perduti».

Prima di tutto permettetemi di presentarvi l’autore tramite la biografia che mi ha fornito.

Autore di bestseller secondo la classifica New York Times, Bob Mayer ha pubblicato 38 libri. Al momento ha circa tre milioni di volumi in commercio, ha venduto oltre sei milioni di copie ed è richiesto come consulente e formatore in materie di leadership, lavoro di squadra e motivazione, grazie ai concetti sviluppati nel suo libro «Who Dares Wins: The Green Beret Way».

who-dares-cover.jpgNato nel Bronx, ha frequentato l’accademia militare di West Point dove si è specializzato in psicologia, prestando poi servizio come comandante di un plotone di fanteria, di un battaglione di scout di una brigata ricognitori della 1st Cavalry Division. In seguito è entrato nelle Forze Speciali, arrivando a comandare un A-Team dei Berretti Verdi. Ha anche prestato servizio come ufficiale del Secondo Battaglione, 10° Gruppo, delle Forze Speciali e con il Comando Occidentale per le Operazioni Speciali nelle Hawaii. Successivamente ha insegnato al Corso di Abilitazione per le Forze Speciali presso il John F. Kennedy Special Warfare Center e a Fort Bragg, al corso di addestramento per i Berretti Verdi. Nel corso della sua vita ha vissuto in Corea, dove ha praticato arti marziali giungendo ai più alti livelli e nel Tennesse dove si è laureato in Scienze dell’Educazione.

Bob utilizza tutte queste esperienze per scrivere romanzi e manuali, tra cui «Who Dares Wins: The Green Beret Way to Conquer Fear & Change» e «The Novel Writer’s Toolkit: A guide to Writing Great Fiction And Getting It Published». Su questo argomenti, tiene regolarmente corsi e lezioni. Attualmente è nelle librerie con «Lost Girls» («Bersagli Perduti», Segretissimo Mondadori di Marzo 2009) e con «Agnes and The Hitman» (St.Martin Press) scritto in collaborazione con Jennifer Crusie.

Maggiori informazioni su Bob Mayer si trovano nel suo sito ufficiale: www.bobmayer.org

Grazie per aver acconsentito a quest’intervista Bob, parliamo un po’ di «Bersagli Perduti»: cosa ci puoi dire? Cosa dovranno attendersi i lettori? Hai inserito nel libro il tuo bagaglio di esperienze militari?

Il punto di partenza di «Bersagli Perduti» è il rapimento di una giovane donna. Il protagonista è in lotta contro il tempo per salvarla, anche se lei nel frattempo fa un ottimo lavoro per cercare di tirarsi fuori dai guai. I cattivi sono spinti dalla vendetta. Traditi, vogliono farla pagare ai traditori. Il tema principale che attraversa il romanzo è: chi controlla e governa il mondo delle «operazioni segrete»?

Quanto della tua vita è stato riportato, in maniera autobiografica e realistica, nel romanzo?

Le parti che riguardano le operazioni speciali e segrete sono tutte basate sulle mie esperienze nelle Forze Speciali. Sapete, qualche anno fa ho anche compiuto un’operazione con le Forze Speciali italiane. Fu un’ esperienza piuttosto interessante. Erano molto più calmi e rilassati di quanto non lo fossimo noi. Ho operato con un bel po’ di Corpi Speciali in giro per il mondo. Mi sono anche diplomato alla Danish Combat Swim School (dove vengono addestrati gli uomini-rana dell’esercito danese).

Hai scritto un gran numero di libri. La mole della tua produzione è impressionante. Dove trovi ispirazioni sempre nuove? Quali sono le tue fonti (se ce le puoi rivelare… )?

Scrivo in continuazione. Mi interessa non solo il mondo delle Forze Speciali ma anche la Storia, da cui scaturiscono le idee per alcuni dei miei romanzi. Al momento sto pensando di scrivere un libro sull’impero romano e una famosa battaglia dell’epoca, che non è mai stata raccontata dettagliatamente.

Spesso nei tuoi libri si mescolano diversi generi, lo spionaggio, il genere militare e la fantascienza ad esempio: come ti definiresti sotto questo aspetto?

Non mi considero uno scrittore di fantascienza. Con la serie «Area 51» (Urania, «Area 51», N°1334, e «Area 51 Minaccia dal cosmo», N° 1364 come Robert Doherty) e la serie «Atlantis» (Segretissimo N° 1442, come Greg Donegan) ho cercato di scrivere un genere definibile come «techno-myth»: mitologia e tecnologia che si fondono. Nel caso di «Atlantis» lo spunto era «cosa succederebbe se la forza che distrusse Atlantide tornasse a minacciare il nostro mondo?»

dohertyfront.jpgIn Italia c’è molta curiosità e un lungo dibattito in corso sull’uso degli pseudonimi. C’è qualche ragione particolare dietro l’uso dei tuoi? (Joe Dalton, Robert Doherty, Greg Donegan, Bob McGuire)? E come li hai scelti?

Doherty era il cognome di mia madre. Gli altri sono stati scelti in maniera casuale. Si tratta di una scelta prettamente commerciale. Scrivo tre o quattro libri all’anno, troppi per la maggior parte degli editori. Quindi, con lo pseudonimo, posso diventare ogni volta un autore diverso.

Ho letto della tua collaborazione con Jennifer Crusie: l’idea di scrivere a quattro mani per mostrare i diversi punti di vista (maschile e femminile) mi sembra interessante. Puoi dirci qualcosa su questo esperimento, come è nato e si è sviluppato, le difficoltà, i vantaggi e gli svantaggi di questa tecnica?

Io e Jennifer abbiamo viaggiato insieme su un volo verso Maui per insegnare allo stesso seminario per scrittori. Le nostre classi erano vicine e ci siamo resi conto di avere una visione comune. Volevamo provare qualcosa di differente. Ora abbiamo concluso il nostro terzo libro, «Wild Ride». Tratta di un parco dei divertimenti che è in realtà una prigione per demoni. Cominciamo sempre con due personaggi e da questa premessa sviluppiamo la trama. I romanzi hanno la particolarità che Jennifer scrive le parti che narrano la vicenda dal punto di vista della protagonista mentre io naturalmente manovro il protagonista maschile. Ne risulta un ritratto realistico delle differenze uomo/donna. Nel primo romanzo, la sua eroina ad un certo punto si infuria con il mio personaggio: a tutt’oggi non ho ancora idea del perché. Gli uomini, le donne, e i loro diversi punti di vista sono i fondamenti dei nostri romanzi. Romanzi veloci, divertenti, che parlano di noi, dei nostri rapporti sociali.

Una sera, a Maui, Jenny Crusie stava ammirando il tramonto sul pacifico. Bob Mayer le si sedette vicino e le chiese: «Tu che cosa scrivi?» Jenny rispose: «Bè, fondamentalmente, nei miei libri le persone fanno sesso e si sposano.» Bob disse: «Nei mie libri, fanno sesso e muoiono».

Tradotto dal sito degli autori: http://www.crusiemayer.com/

Ogni scrittore è anche un lettore. Cosa ti piace leggere? Continui a trovare piacevole la lettura dopo così tanto tempo passato a scrivere?

Certo. Leggo soprattutto saggistica, cercando di imparare cose nuove, e un sacco di libri di storia. A proposito, ho appena concluso un lavoro che sto faticando non poco a vendere qui negli stati uniti, basato su fatti storici. Si intitola «The Jefferson Allegiance». Sono partito dalla sorprendente coincidenza che Thomas Jefferson e John Adams sono entrambi morti il 4 Luglio del 1826, a cinquant’anni dalla dichiarazione di indipendenza. Poi la storia si sposta nel futuro prossimo, coi militari alle prese col tentativo di rovesciare un presidente imperialista. Parecchi editori mi hanno detto è troppo cupo, ma a mio parere è invece piuttosto realistico. Continuerò a cercare di venderlo.

Hai anche scritto libri di carattere tecnico, sull’arte della scrittura. Che consigli ti senti di dare ai nostri lettori? Cosa dovrebbe fare, a tuo parere, un aspirante scrittore? Quali sono le abilità fondamentali da acquisire?

Ho scritto il manuale «The Novel Writers Toolkit» per aiutare gli altri scrittori. A Giugno uscirà un altro libro, «Who Dares Wins: The Green Beret Way to Conquer Fear & Change» in cui prendo ciò che ho appreso nel mondo delle Forze Speciali e lo applico alla vita di tutti i giorni. L’ho già presentato negli Stati Uniti e in Europa ed è andato davvero bene. Per un aspirante scrittore, la chiave è focalizzarsi sul lettore. Non sullo scrittore. Molti aspiranti scrittori sono troppo concentrati su se stessi. In quanto autori, siamo intrattenitori. Possiamo anche informare, certo, ma prima di tutto dobbiamo divertire i nostri lettori.

Grazie Bob! Questa era l’ultima domanda. Vuoi dire qualcos’altro ai nostri lettori?

bodyguardofliescomp.jpg«Bersagli Perduti» insieme a «Bodyguard of Lies» è uno dei miei libri preferiti. I due romanzi hanno alcuni personaggi in comune. Penso che i personaggi femminili in entrambi i libri siano davvero tosti e abili. Dieci anni fa, quando misi giù la prima stesura di questi romanzi, non era una cosa tanto comune, ma sembra esserlo molto di più oggi. Mi piace il modo in cui la giovane vittima del rapimento tenta di liberarsi!

Grazie per l’attenzione, spero che vi godrete il libro!

Grazie a te Bob! A presto

Intervista di Alessio Lazzati

 

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