Sei morto, detective (3083)

maggio 30th, 2013

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La gola tagliata e la parola “Malvagia” incisa sulla fronte. Macabra uscita di scena per un’avvenente insegnante finita nei guai dopo aver molestato un ragazzino. Se ne occuperà Harry Doyle, della polizia di Tampa, Florida. Harry è la persona giusta, perché possiede una facoltà molto speciale, e molto utile nelle indagini per omicidio: lui intuisce particolari sulle vittime, su come sono state uccise. Quasi come se udisse i loro sussurri… Una facoltà che si ritrova dopo un certo episodio della sua infanzia. Quando aveva dieci anni, Harry era stato ucciso insieme al fratello minore dalla madre, una fanatica religiosa. Benché ne fosse stato accertato il decesso, era stato miracolosamente riportato in vita, e poi cresciuto da un poliziotto. Il fratello invece non ce l’aveva fatta. Ora sono passati vent’anni e Harry fa l’investigatore. Ha dedicato la sua nuova esistenza a dare la caccia agli assassini. Dando voce alle loro vittime. Perché Harry, in un certo senso, parla coi morti.

 

EBOOK PROSSIMAMENTE DISPONIBILE

 

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Il Giallo Mondadori Sherlock 108: “Sherlock Holmes. Uno studio a sei zampe e altre storie”

luglio 30th, 2023

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AA.VV., “Sherlock Holmes. Uno studio a sei zampe e altre storie, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 108, agosto 2023

AA.VV., “Sherlock Holmes. Uno studio a sei zampe e altre storie”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 108, agosto 2023

AA.VV., “Sherlock Holmes. Uno studio a sei zampe e altre storie”, Il Giallo Mondadori Sherlock n. 108, agosto 2023

 

E se l’impossibile mastino di Baskerville avesse trovato il modo di tornare a spargere il terrore?

Tra ratti giganti, strani insetti a sei zampe e misteriosi cigni neri, sono gli animali il tema portante di questo speciale tutto italiano di apocrifi sherlockiani curato da Luigi Pachì.

A volte sotto forma di palese minaccia, altre volte come indizio nel corso dell’indagine.

Scopriremo così come mai il dottor Watson non abbia in simpatia le api di Holmes; troveremo il duo di Baker Street alle prese con la minaccia di un licantropo; e altre volte sarà quell’animale chiamato “uomo” a dimostrarsi veramente… bestiale.

Tra superstizioni popolari e vicoli malfamati, preparatevi a un viaggio nel mistero in compagnia di HolmesWatson che, mentre molti di noi si godono le vacanze, si trovano invece costretti a dover fare… gli straordinari!

 

E ora, lasciamo la parola ai cinque autori presenti nel volume e ai loro intriganti teaser:

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La detective lady secondo Fabio Lotti

aprile 29th, 2010

Buona lettura

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La detective lady nel romanzo poliziesco. Dalle vecchiette terribili alle giovani sfigate

All’inizio volevo scrivere una specie di polpettone con più di cento citazioni. Poi mi sono ricordato della famosa frase di Totò che ogni limite ha una sua pazienza ( per i lettori in questo caso) e allora il polpettone è diventato un semipolpettone. Sempre indigesto, magari, ma almeno più breve.

Mi butto sicuro sulla Introduzione del nostro beniamino Mauro Boncompagni scritta per Le signorine omicidi colpiscono ancora, Gli speciali del Giallo Mondadori 2009, per trovare conforto a qualche mia lettura. In principio erano zitelle. Ovvero “vecchiette terribili”, ovvero “eroine in pericolo”. Niente a che fare con quelle di oggi, ma non anticipiamo. Vediamone qualcuna.

Miss Silver di Patricia Wentworth è una “zitella sferruzzante” sempre china sui lavori a maglia per i vari nipoti. Ex insegnante ed istitutrice, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce.  Mentre Miss Marple sorride, lei tossisce ( non so se si è capito) ma all’occorrenza sa tirare fuori un bel sorriso accattivante. Educata, educatissima, vive con le sue vestaglie ornate di pizzo, con le sue pantofole vezzeggiate di perline, tra i suoi adorabili servizi di ceramica, sempre attenta e composta. Difficile, se non impossibile, che alzi la voce, al massimo scuote la testa. Talvolta il ticchettio dei ferri segue il ritmo della conversazione e mi pare di vederla impegnata a passare dall’adagio all’andante mosso. Si concede qualche citazione e qualche massima personale (si sente che ha studiato) Vista da un personaggio “Sembra uscita da una stampa del secolo scorso”.

Altra zitella Hildegarde Withers di Stuart Palmer, alta e rinseccolita, dalla faccia cavallina che ti aspetti un nitrito da un momento all’altro. Letterariamente parlando nasce qualche anno dopo Miss Marple (siamo negli anni trenta) ma non ne sono sicuro e non ho certo voglia di scartabellare tra i miei libri. Controllate voi. Dunque Hildegarde. Intanto è americana e non inglese. E questo è assodato. Insegnante di scuola elementare, tosta, dallo scilinguagnolo sciolto e affilato. Pettegola, insomma. Proprio non ce la fa a stare zitta e vuole mettere bocca dappertutto, dando lezione anche al capo della polizia di un’isola vicino a Manhattam. Ha un amico fidato, suo corteggiatore, (c’è speranza per tutti) nell’ispettore Oscar Piper della polizia di New York che la tiene in alta considerazione (considerazione non ricambiata almeno del tutto se lei pensa che non abbia una particolare intelligenza). Con il suo modo di fare aperto e sfrontato (sempre nei limiti) riesce a carpire i segreti altrui con la sua faccia da cavalla mattonata. Ama disegnare e camminare, vedere, osservare, esplorare. Certo non è una “signorina” sedentaria adatta all’uncinetto come Miss Silver. Per concludere una “vecchia gallina spennacchiata” che mette il naso dappertutto e che risolve i misteri criminosi del suo tempo.

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2 romanzi a confronto di Anthony Berkeley: The Wychford Poisoning Case vs Not to Be Taken

marzo 24th, 2014

Unknown

Non mi dilungherò a introdurre Anthony Berkeley perché è uno scrittore di cui ho già parlato in passato. Oggi parleremo in particolare di due romanzi, che a parere mio potrebbero essere speculari: The Wychford Poisoning Case (1926) e Not to Be Taken (1937).

Perché innanzitutto questi due? Perché se è vero che, nella produzione di Berkeley, parecchi sono i romanzi in cui si discute di avvelenamento, è anche vero che questi due romanzi trattano entrambi un classico avvelenamento da arsenico.

E’ da dire che nella produzione in genere britannica, vi sono vari scrittori che hanno affrontato il tema del veleno a partire dagli anni ’20. Se nel caso di Agatha Christie, la sua conoscenza di medicinali e veleni si formò durante il servizio, nel corso della Prima Guerra Mondiale, presso l’ospedale di Torquay, il fatto che molti altri scrittori in quegli anni abbiano scritto romanzi polizieschi le cui trame fossero basate su avvelenamenti ( Berkeley, Brand, Sayers, Rhode, Freeman, etc..) significa che era un argomento condiviso generalmente : esso potrebbe essere stato in relazione al bombardamento mediatico che nelle prime due decadi del secolo e anche prima ci fu a riguardo di famosi avvelenatori (Armstrong, Crippen, Maybrick, Seddon) che influirono pesantemente su scrittori che  necessariamente avrebbero dovuto andare incontro alle aspettative del pubblico; e sicuramente un bacino di utenza pesantemente influenzato da notizie di crimini basati su avvelenamenti, avrebbe meglio accolto romanzi di intrattenimento che avessero dibattuto delle stesse cause: un po’ come è oggi in cui i romanzi polizieschi in generale, in una società in cui i valori sono il sesso e i soldi, basano i loro crimini su sesso e soldi, e sulle loro implicazioni di carattere perverso.

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Scorribande giallistiche V

gennaio 22nd, 2014

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Con lievi spunti personali…
Stante il successo dell’ultimo pezzo (e chi può contestarlo?) continuo imperterrito in questo mio saltellare spensierato. Inizio sempre così (sono un pigrone del Toro).
Marco Malvaldi in piena forma. Dopo la combriccola dei vecchietti del BarLume e il Pellegrino Artusi di Odore di chiuso, ecco spiccare il volo con Argento vivo, pubblicato anch’esso dalla Sellerio. Componenti del successo l’umorismo, la presa in giro da toscanaccio, qualche punta di surreale, personaggi vivi che si incontrano per strada con il loro gergo popolare. E anche un po’ di bu’o di ‘ulo che non guasta, via! (un salutone a Marco).
E già che si parla di sorriso Kaminski favoloso con Giocarsi la pelle del nostro imperituro G.M. Racconto veloce. Rocambolesco. Situazioni comico-paradossali (il personaggio principale, Toby Peters, viene addirittura scambiato per uno scrittore ad un convegno di psicanalisti), morti ammazzati pure nell’armadio, ritmo serrato, scrittura ironica, gradevole e frizzante come un vinello che conosco e tengo da parte. In perfetta sintonia con lo spirito dell’autore poteva benissimo essere intitolato Giocarsi le palle.
Armadio che è stato un gran contenitore di cadaveri nella letteratura poliziesca. C’è addirittura un libro di Rufus King Il morto nell’armadio a ricordarcelo. Uno splendido lavoro che viene inserito da Howard Haycraft e Ellery Queen tra le pietre miliari del giallo.
Uno dei libri che più mi hanno divertito in questi ultimi tempi è Hanno ammazzato Montalbano di Mario Quattrucci, Robin edizioni 2013. Un libretto tascabile. Piccolo, piccolo, da mettere in tasca (appunto), portarselo dietro e tirarlo fuori al bisogno (il libretto). In qualsiasi luogo e qualsiasi momento. Leggerezza. Ecco, se dovessi esprimere la mia prima sensazione dopo lettura, direi leggerezza. Di stile e contenuto. Cinque racconti leggeri, gradevoli, spiritosi. Ironici e autoironici. Con il commissario Marè (Marelli) che si intrufola nelle storie come fosse a casa sua. Bellino!

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Scorribande giallistiche IV

ottobre 17th, 2013

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Mamma li turchi, anzi i cinesi!..

Continuo queste scorribande veloci  di palo in frasca che mi fanno sentire ancora giovincello scherzoso. Chi vuole qualcosa di più profondo e corposo passi oltre.

Mamma li turchi, anzi i cinesi! Dopo l’invasione del malloppone scandinavo ecco la banda degli occhi a mandorla che si abbatte sull’italico suolo con Xialong Qui, Hiao Bai e He Jagong. Dagli immacolati silenzi nordici ai casini di Shanghai e dintorni. Ma il risultato è sempre lo stesso: il morto ammazzato. Anzi, i morti ammazzati.

Il Berkeley de L’ultima tappa è forte, via. Congetture, ipotesi, supposizioni, certezze che svaniscono fino allo stupendo finale che scombina tutto. Da artista.

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Scorribande giallistiche III

maggio 10th, 2013

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Arieccomi!…

Visto il successo strepitoso degli altri pezzi (tutti i membri della mia famiglia li hanno letti) continuo con queste scorribande che sono in perfetta sintonia con la mia saltellante personalità

Ora siamo in tre. A scrivere. Dopo Jonathan è arrivata Jessica che succhia il latte come un’idrovora. E’ bella cicciotta, faccia tonda, occhi blu. Dice di non perdere tempo a fare sempre quel bischerone di nonno e incominciare subito (lo capisco dai ciondolamenti della testa). Anche Jonathan è d’accordo alzando il dito pollice e facendo l’occhiolino.

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Scorribande giallistiche II

novembre 14th, 2012

Un excursus leggeretto e un po’ pazzetto in qua e là. Come viene, viene…

Parto dalla nostra Agatha e dalla sua autobiografia dalla quale si evince che in fatto di mascalzoni andava per le spicce. Al malcapitato delinquente due opzioni: bere la cicuta od offrirsi volontario per le sperimentazioni al posto degli animali. Un po’ forte ma per certi disgraziati maledetti anche poco.

 La quale Agatha, tanto per rimarcare il suo ingegno, fu l’autrice del finale più interessante e “strano” (diciamo pure inverosimile in accezione positiva) di quel libro buttato giù a ventiquattro mani che è “L’ammiraglio alla deriva”. Insomma di quel parto miracoloso dei membri del “Detection club” (spiegazione inutile che già sapete tutto) il cui capitolo risolutivo era toccato ad Anthony Berkeley. Finale, il suo, nella norma, mentre la Regina del giallo ci infila un travestimento uomo-donna che è tutto una goduria. In più c’è la Marple che fa una testa così al povero ispettore Rude.

 

Dimezzando le mani esce “Veleno”, mica male anche questo se ad iniziarlo è una certa Dorothy L. Sayers e ho detto tutto, come diceva Peppino in un famoso film con Totò. Emma Farland, vedova, (e fin qui niente di strano), ricca (le cose si complicano) pensa che ci sia tra i suoi infidi eredi qualcuno che la stia avvelenando. E infatti perde peso ogni secondo ma nessuno le crede. Il solito, terribile finale, tocca allo scrittore David Hume le cui ultime parole dopo l’impresa furono “Che Dio mi scampi e liberi dal ripetere in avvenire una simile esperienza”.

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A proposito di Berkeley, citato in precedenza, è uscito “uora uora” per la benemerita Polillo “Uno sparo in biblioteca” del 1925, in cui fece la sua prima apparizione l’investigatore dilettante Roger Sheringham che abbiamo già visto alle prese con il celebre “Caso dei cioccolatini avvelenati”. Oltre che per i suoi libri Berkeley è ricordato anche per la frase perentoria “Quando troverò qualcosa che mi renderà di più delle detective stories, mi dedicherò a quello”. E fu di parola, perché ad un certo punto smise di scrivere gialli. Rimane il mistero di che cosa abbia trovato ma di sicuro non una cosa brutta.

Alla morte di Rex Stout tutti piansero anche per quella di Nero Wolfe. Ma se il primo rimase inchiodato nella tomba, il secondo risuscitò per opera di Robert Goldsborough che riuscì a ricostruire con ottima fedeltà i personaggi immortali. Anche se Archie Goodwin beve liquore al posto del latte (orrore!). Sempre sul grande Nerone si sa che in uno dei racconti bellici (quelli meno riusciti) si addestra con il cuoco Fritz Denner, fa pure la dieta e mi viene da scompisciarmi dal ridere in ogni caso.

René Raymond, meglio conosciuto come James Hadley Chase, famoso per le famose orchidee che non voleva dare a Miss Blandish, rimane ancor più famoso per la “sua” America che è come la Malesia di Salgari (già sentita mille volte). Mai vista, o poco vista, reale più di quella reale. Oltre che sul noir, Chase si buttò anche sulla spy-story, il cui eroe è Mark Girland, donne ai suoi piedi, alcol in bocca senza misura. E siccome Chase non era un bischero, verso gli anni ottanta, visto il vento che tirava (leggi Kaminski, Bloch, ecc…) si sposta sul leggero, ironico e sofisticato, (vedi “Delitto ad opera d’arte”) a dimostrazione che un talento naturale svaria anguillesco da tutte le parti. Solo con i pederasti come Kendrik ironizza mica tanto.

A proposito di Kamisnki citato, o meglio di Stuart Kaminski, oltre ad avere creato un bel personaggio come l’investigatore Toby Peters (modelli Sam Spade e Philip Marlowe, però lui è più scalcagnato) ci ha lasciato, con i suoi gialli, praticamente un ritratto del cinema americano degli anni Quaranta. Ora ci fa entrare nel set de “Il falcone maltese”, ora in quello de “Il mago di Oz” ecc.. dove troviamo una serie di attori del tempo indimenticabili. Tra cui anche Ronald Reagan dimenticabile, dimenticabilissimo. 

 

Ritorniamo sulla spy-story con sua Altezza Serenissima Malko Linge (un agente della CIA) del giornalista francese Gérard de Villiers. Questo gran figlio di buona donna dagli occhi d’oro ogni tanto accusa qualche malanno come un certo vecchietto con un piede e tre quarti nella tomba (vi ricorda qualcuno?): rene, occhi, prostata, colpo della strega e perfino le ignobili emorroidi lo rendono edotto che siamo uomini e non caporali. Va da tutte le parti, perfino in Yemen e in Perù (qui ha pure l’artrosi e una diarrea, ma si rifà con il Pisco sour e il sesso che non manca mai). Suoi nemici uomini ben piantati in carne ed ossa muniti di aggeggi sparatutto ma anche certe ragazze dalle mille sfumature (tanto per restare in tema di oggi). Miranda, Ines e Angelina. Miranda lo vuole fare nella in piscina, no, non sopra (troppo facile) ma sott’acqua; Ines, invece, che è una giornalista, sulla rotativa mentre si stampa il giornale (mi pare giusto); Angelina, la meno complicata delle tre, si accontenta di avere come guardone un puma nero (altrimenti si blocca).

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E, sempre parlando di spy-story, occhio alla riproposizione delle mitiche avventure di Chanche Renard su “Segretissimo” e non vi dico il nome dell’autore. Diciamo che è un vero professionista che passa anche da queste parti.

 

Se Miss Marple beveva liquorini, Slim Callaghan, creatura di Peter Cheney, affoga nel whisky e soda o giù di lì. Soprattutto al “Gatto verde”. E se Patrick, il barman, sbaglia e gli rifila una Coca-Cola si becca una pallottola. Certi errori sono imperdonabili (“Mai un momento di quiete”).

 

Ricordo Alan A. Milne, non tanto per quello che scrisse, cioè “Il dramma di Corte Rossa”, quanto per quello che ne dissero gli altri. In primis Raymond Chandler che gli dette del dilettante, poi Rex Stout che lo trovava, invece, incantevole (il libro), ed infine Alexander Woolicott per il quale era uno dei tre migliori mystery di tutti i tempi. Come a dire de gustibus con quel che segue.

 

Ne uccide più la gola della spada ma anche certi reperti antichi e le monete non scherzano (mi è venuta così). Trenate di morti ammazzati, per esempio, intorno ad un dollaro del 1805 o ad un penny del 1954 della Zecca inglese mai entrato in circolazione. E poi ci mettiamo tutti quegli oggetti o opere d’arte che portano sfiga secolare come quadri, gioielli di vario tipo, vasi etruschi e greci, un’icona della Grande Caterina di Russia e le porcellane di Sèvres che sono così carine a vedersi. Senza i collezionisti il giallo sarebbe ben più misero e povero. Di cadaveri, si capisce.

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Soprattutto i libri rari e antichi scatenano gli appetiti più impensabili (un famoso investigatore fissato con questi è Cliff Janeway di John Dunning). Stavo leggendo un articolo in proposito. Seimila furti nelle biblioteche italiche solo nei primi sei mesi dell’anno in corso (notate la “s” come scivola). Devastata la Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Proprio da chi doveva difenderla dai furti (Quis custodiet custodes?). Certo con quello che valgono certi testi la tentazione ci sta. Il breviario di due santi è arrivato a un milione di euro (e poi dicono che le preghiere non contano). Ultimo giallo letto in proposito “Il metodo Cardosa” di Carlo Parri, Mondadori 2012. Qui a creare sangue versato un libro antico del Cinquecento in cui è incollato un manoscritto, forse dell’anno Mille (lo vogliono in tanti, pure gli americani) copiato in latino criptato dal fratello minore di Giovan Battista della Porta, che svelerebbe i segreti del teletrasporto (se ho capito bene). Sul successo del libro e sul roseo futuro dell’autore mi ci gioco le palle (e non dite per quello che contano a questa età, via!). Proprio nel momento in cui scrivo è uscito “I cospiratori” di Bill Pronzini, Mondadori 2012, e qui di mezzo ci sono otto libri autografati (tra gialli e hard boiled) che valgono mezzo milione di dollari spariti dalla biblioteca di un collezionista. Biblioteca praticamente inaccessibile e dunque il classico mistero della camera chiusa. Senza il morto, per ora…

 

Se non sono incunaboli od oggetti rari a creare esseri irrigiditi ecco che ci si mettono pure famose scacchiere e pubblicazioni scacchistiche. Come in “Il maestro di scacchi” di Massimo Salvatorelli, Piemme 2012 in cui la “interpretazione” di certi documenti permetterebbe di arrivare al “tesoro di Garibaldi”. In parte storia vera, in parte inventata, uno squarcio di Risorgimento, passioni scacchistiche, personaggi storici famosi come il Generale e famosi scacchisti come Serafino Dubois, indagini, domande, riflessioni, dubbi e incertezze, atmosfere inquietanti fino all’epilogo.

E a proposito di scacchi non si trova pubblicazione più o meno tinta di giallo in cui non spuntino fuori. Anche nel post-noir “Strane cose, domani” di Raul Montanari, Baldini Castoldi Dalai 2012, dove il protagonista principale gioca a scacchi in internet con un ragazzino. Però si aiuta con un software, birbantello. In Il caso Maloney di Graham Hurley, time Crime 2012, “L’indagine era diventata una partita a scacchi, uno contro uno. Finora Oomes aveva giocato in modo eccellente, aveva ancora tutti i pezzi, ma stava iniziando a mostrare la prima piccola breccia nella sua difesa e l’SOS annullato era una crepa che Faraday non poteva permettersi di ignorare. Come tutti i bravi scacchisti, poteva arrivare a Oomes di soppiatto, da dove lui meno si aspettava” (283). In L’isola dei cacciatori di uccelli di Peter May, Einaudi 2012, per quanto riguarda la casa di Minto “Il salottino era spartano e pulito, privo di foto o ninnoli, fatta eccezione per una scacchiera su un tavolo vicino alla finestra, con gli scacchi disposti in varie posizioni sui quadrati avorio e neri” (259). Sono scacchi di Lewis i cui originali (alcuni pezzi) “sono in mostra al Museo nazionale scozzese di Edimburgo” (260). Tanto per portare tre esempi recenti su millanta.

Se c’è da leggere, bene. Se c’è da leggere ed investigare ancora meglio. Così dovettero pensare i lettori americani (anni Trenta) de “Il caso Claudia Cragge” di Patrick Quentin, un giallo con allegati una serie completa di indizi per risolvere il caso: rapporti di polizia, fotografie, scatole di sigarette, carta con macchie di sangue, perfino una bustina di cipria ecc.. Per i più bravi una bella soddisfazione, per i più testoni una busta con la soluzione e la confessione dell’assassino (va bene, la busta c’era in ogni caso).

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Ellery Queen mica era un fessacchiotto (nessuno l’ha mai detto ma mi piaceva questo inizio). Per attirare l’attenzione di una più ampia variegata schiera di lettori scrisse “Il re è morto” dove ci infilò la spy story, il giallo archeologico e il mistero della camera chiusa. Tiè!

 

Veniamo a noi. O meglio, veniamo ai nostri insuperabili G.M. Con il nuovo corso di Forte, coadiuvato dall’inimitabile (e di’o po’o) Boncompagni, si stanno riscoprendo eccellenti prodotti: di Carr, Biggers, Pronzini, Armstrong, Japrisot, Innes, Perry, Chesterton e via discorrendo. Il sottoscritto, che non ha paura di muovere la sua linguaccia se c’è da criticare, ora è in uno stato di sovrana  beatitudine e dispensa lodi per ogni dove (perfino nelle sue “Letture al gabinetto” qui http://theblogaroundthecorner.it/category/ospiti/letture-al-gabinetto/ ).

Vorrei anche attirare l’attenzione sugli scrittori relegati in fondo ai libri. Qualche lettore del blog si è lamentato che non si parli mai di loro, cioè di quello che scrivono nell’apposita rubricaI racconti del giallo”. Di seguito miei brevi commenti su alcune recenti letture, a dimostrazione che l’attenzione verso il nuovo c’è, esiste, ed il nuovo non è per niente male.

 

1)    “Come una palla di fuoco” di Andrea Franco. Un morto bruciato al centro di un cerchio, un gioco fantasy con mostri, guerrieri, ladri e maghi, una palla di fuoco, una moglie che tradisce. La classica vendetta di un marito cornuto? Oppure…oppure…Un racconto costruito con intelligente eleganza.

 

2)     “La pistola nello zaino” di Aldo Selleri. Storia di un colonnello cileno sterminatore di comunisti che sta per pagare il fio dei suoi misfatti. Storia di un amore finito. Semplice e bello.

 

3)    “Il veleno dell’iguana” di Alan Vendì. Storia di un professore e di una sua allieva. Sogni infranti di adolescente ed ora il prof. è lì legato davanti a lei. Un po’ scontata la prima parte, buono il finale con una punta di commozione.

4)    “Polvere” di Riccardo Carli Ballola, su un tema piuttosto sfruttato ma costruito e svolto con delicatezza: la pedofilia. Un uomo che ritorna al suo paese, i ragazzi della parrocchia che giocano. Un incontro a casa con il vecchio parroco che fa riemergere una ferita di dolore. Il tempo che gira a vuoto. La morte.

5)    “Datteri, seta e polvere nera” di Marco Philip Massai. Un’impresa assai rischiosa quella di Lagâri, volare “sul maestoso Falco di Ferro, sospinto dal potere del fuoco” fino alle nuvole davanti al sultano Murad IV. Impresa riuscita ma non si riesce a capire perché Lagâri è ancora vivo se un tale dichiara di averlo ucciso. Piacevole e ingegnoso racconto.

 

6)    “Sotto la pelle di Partenope” di Emilio Daniele. Napoli, sul finire dell’Ottocento. Un prete morto d’infarto su una puttana uccisa, una trascrizione dei segni sulle bugne della chiesa di Gesù che ha una bella importanza per un testamento segreto. Tra nobiltà decaduta, guappi e vicoli malfamati.

 

7)    “Come foglie al vento” di Antonella Mecenero. Roma, autunno 77 a.C. Irzia, una delle amanti del famigerato Gneo Cornelio Dolabella, viene uccisa con quattro coltellate. Su richiesta del fratello si mette alla ricerca dell’assassino addirittura Giulio Cesare in persona che deve sostenere una accusa in tribunale contro lo stesso Dolabella. Ricerca del colpevole ma, soprattutto, una “indagine” sul mondo degli uomini e delle donne del tempo dove entrambi i sessi sfoderano le loro armi per farsi largo nella società e primeggiare. Racconto semplice e delicato che fa riflettere.

 

Per chi ama approfondire il mystery c’è Sherlock magazine di Luigi Pachì, per altri generi come il fantasy, la fantascienza, la spy story c’è Writers magazine di Franco Forte. Quest’ultimo è anche un vero e proprio laboratorio di scrittura. Buttatecevi, buttaviteci, buttatevici… insomma abbonatevi!

 

Nuovi aggeggi per leggere al posto del cartaceo: l’ipadde, l’ipodde, l’ipudde. Da questa stronzata si capisce che sono tagliato fuori.

 

Dopo il gialletto rosa e le famose sfumature che hanno fatto uscir gridolini di piacere da tutte le parti ecco il gialletto grigio e riprendo un pezzo, volutamente sgangherato, che dà l’idea di dove si sta andando a finire “Classico il caso di uno mettiamo pure che sia un commissario che sta con la mogliera ma che non vuole più starci e non ha il coraggio di levarsi dalle palle da una vita di merda e mettiamo che si innamori di una più giovane (perché mai di una più vecchia?) la quale più giovane vuole un bene dell’anima al suddetto commissario così dolce e quieto sì però è pure attratta da uno altrettanto più giovane di lui più birbetto e mascalzoncello e allora sai i tremori i dubbi gli assilli i vaneggiamenti con la mogliera che anch’essa piccinina santa non sa a che santo votarsi appunto e cerca conforto con le amiche e pure il gatto si è fatto triste e malinconico con i baffi che gli cascano sotto il mento. Se poi nell’ambaradan sentimentalesco ci infili anche una divorziata che da pulzella aveva fregato il ragazzo dell’amica del cuore diventato suo marito che l’ha lasciata e ora freme per uno che però da sempre amico innamorato della stessa amica del cuore di prima (ci siamo?) e allora giù sospiri pianti e alti guai e non c’è nemmeno una bella ruzzolata sul letto o uno stringer famelico di chiappe ma appena accennato un bacetto piccolo così e va a finire che non si combina niente e quello va via da quella e da quell’altra e il commissario di prima si ritrova solo soletto con la mogliera che si è levata lei dalle palle e la morosa in preda a dubbi assillanti che ci vuole una pausa lunghina di riflessione e noi lettori a buttar giù dagli occhioni intristiti secchiate di lacrime e a gridare maledetto il mondo e maledetto il momento in cui si è letta questa storia. Li mortacci!”.

Per rimanere in tema di sfumature anche il sottoscritto, che non vuole rimanere fuori dal giro, ha già buttato giù un suo canovaccio, già pubblicato nel blog di Sartoris, alias Omar Di Monopoli, cercando di inserire la storia nel contesto giallo a me più congeniale. In breve (ma breve, breve) l’assassino è un giovanottone psicopatico superdotato con un pisello di cinque chili che trasporta in carrozzina. Questo tizio, fissato con il kamasutra, fa all’amore con le signore-signorine conquistate in giro per il bambino  esposto che è tanto caruccio tutto il suo babbo, seguendo con preciso ordine le posizioni del sacro testo, praticamente uccidendole mentre sono al culmine del piacere. Amore e morte allo stesso tempo. Al compimento dell’ultima posizione schianta anche lui e si va tutti a casa. Titolo “Il batacchio infernale”, casa editrice Sottoachitocca 2012. Piuttosto greve ma di sicuro effetto. Ora sto preparando “Il randello dell’avvocato” per le edizioni Checidòchecidòchecidò (specializzate in questo genere di narrativa) con uno stile più raffinato e dannunziano per signore e signorine di un certo rango. Senza farla tanto lunga posso anticiparvi che le vittime, dopo avere subito sevizie di ogni tipo, vengono uccise a “randellate” in testa.

“Tempus fugiolit”, come sentenziò uno dei miei allievi più preparati. Il tempo vola e ruba pezzi di vita. Volti, sorrisi, abbracci, speranze, emozioni. L’amico che stava seduto con te sui banchi di scuola, quello che ti passava le sigarette perché non avevi mai una lira in tasca, la ragazza di cui eri innamorato non ricambiato  E così fuggono via i miti che hanno spruzzato d’oro la tua giovinezza. Una stretta al cuore. Per fortuna c’è ancora qualcosa a cui restare aggrappati. La salvifica ironia toscana lasciatami in eredità dal mio babbo tra un calcio in culo e l’altro e Jonathan che cresce come un drago. E vai!!!!!!!!!!!!!!!!

Un caro saluto da…

Fabio e Jonathan Lotti

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Isole e treni maledetti

giugno 7th, 2012

Diffidate di questi luoghi e di questi mezzi di trasporto…

 

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Cari ragazzi (formula scontata ma pur sempre efficace per attirare una qualche simpatia tra lettori stagionati) questa non è una ricerca esaustiva e, a dir la verità, non è nemmeno una ricerca (ne ho già fatte fin troppe nella vita) ma un excursus, così un po’ a capriccio come è nel mio costume, riportando in vita pure cose già scritte su alcuni luoghi tipici della letteratura poliziesca, dove sono avvenuti un sacco di morti ammazzati. Anche per mettere in guardia eventuali viaggiatori…

Parto dall’isola. Più precisamente da L’isola della paura di Anthony Berkeley, Mondadori 2011. Piccola, “più o meno quindici ettari di terra quasi pianeggiante” sulle scogliere, tra Madeira e le Bahamas. Qui il sorprendente (come personaggio) Guy Pidgeon, un accademico arricchito, porta una schiera di invitati, tra cui l’altro sorprendente Roger Sheringham, scrittore e investigatore, con lo scopo di smascherare un assassino di un vecchio delitto. E’ chiaro che i personaggi si trovano costretti a rimanere sull’isola, distribuiti in una serie di tende all’aperto, per un qualche motivo che non sto a spiegarvi. Sapere che tra loro c’è un assassino senza conoscerne il nome (Guy lo ha dichiarato espressamente) genera tutta una serie di incredibili reazioni. La vicenda si complica con la storia di un fantasma che di notte sembra ululare a tutto spiano e con l’idea che ci sia qualcuno là fuori che girella furtivo…

Di solito con una fava si prendono due piccioni ma con L’isola dei delitti di Agatha Christie, Hake Talbot e Roy Vickers, Mondadori 2008, con introduzione saporosa del nostro Mauro Boncompagni (che il Signore lo abbia in gloria) se ne prendono addirittura tre: due romanzi ed un racconto. E a poco prezzo.

Inizio da Dieci piccoli indiani della divina Agatha. Un mito. Non sto a farla lunga. Otto persone che non si conoscono fra loro sono invitate a trascorrere l’estate in una villa di Nigger Island (ecco la nostra isola) non lontana dalle coste del Devon in Inghilterra. Qui trovano il maggiordomo e la cuoca ma non il padrone che manca per motivi poco chiari. Sopra il camino delle camere c’è la famosa filastrocca “Dieci poveri negretti…”. Infine una voce registrata su un disco accusa tutti di essere degli assassini impuniti. E da qui inizia l’altrettanto famosa sequela di morti.

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L’isola: “A nord ovest, verso la costa, le rocce piombavano a picco sul mare, con la superficie perfettamente liscia. Sul resto dell’isola, non c’erano alberi e c’era ben poco che potesse servire da riparo”. “Un mondo, forse, dal quale non si poteva tornare indietro” scrive la Christie. Se a questo si aggiunge lo scoppio di una tempesta…

Continuiamo con Terrore nell’isola di Hake Talbot. E anche in questo caso si fa presto perché è un classico ben conosciuto. E dunque c’è Nancy che si sveglia e non si ricorda di niente. O meglio si ricorda di essere nella casa di Frant, il padrone, ma che gli ospiti ed i domestici sono tutti scomparsi. E allora incomincia a cercarli insieme a Rogan Kincaid, una vecchia conoscenza apparsa improvvisamente. Inizio alla grande. Il problema è che Frant è morto dopo una maledizione del fratello Evan. Di schianto, come si dice dalle mie parti. Nascono i dubbi. Morto per la maledizione o avvelenato? E in che modo può essere stato avvelenato? E perché non pensare al suicidio? Ma il corpo del morto al quale è stata tolta la pelle dei polpastrelli è proprio quello di Frant? E perché è in evidente stato di putrefazione? E così di seguito fino allo spappolamento del cervello del lettore.

Sull’isola chiamata Kraken non c’è molto da dire. A parte il fatto che il nome si riferisce all’antica leggenda di un mostro enorme che poteva ingoiare navi per intero e trascinarle nella sua tana (e già questo non tranquillizza affatto). Ha un “profilo bizzarramente roccioso contro la linea bassa della costa, distante meno di mezzo chilometro”. Intanto fuori infuria il solito uragano…

E così si passa al lungo racconto di Roy Vickers L’unico superstite che ricalca un po’ il romanzo dell’Agatha con l’eccezione del naufragio. Sempre su un’isola, si capisce. Chi racconta la storia attraverso un “affidavit” è il prof. William Edward Clovering. Il naufragio è della Marigonda con carico e cinquanta passeggeri provenienti dal Capo di Buona Speranza e diretti a Londra. Si salvano sette uomini su una scialuppa e, come era già capitato al nostro Robinson Crusoe, possono ricavare da vivere per un bel po’ attraverso carico di viveri e attrezzi tratti dalla Marigonda non completamente affondata.

Si salvano per modo di dire che uno dopo l’altro ci lasciano le penne, colpiti in testa da un arnese che può benissimo essere un martello. Angoscia, paura, sospetto. Chi è l’assassino? Uno di loro o un estraneo che si aggira sull’isola?

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Dissertando di camere chiuse

gennaio 12th, 2012

Torna puntuale, l’appuntamento con “La camera chiusa” la nostra rubrica dedicata al mistery nella quale, questo mese, Piero De Palma ci parla di “The hollow man” dell’impareggiabile John Dickson Carr.

Buona lettura!

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Possibili origini della Locked-Room Lecture in “The Hollow Man”, di John Dickson Carr

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Assumendo come punto di riferimento la Locked-Room Lecture in “The Hollow Man” di Carr, dobbiamo rilevare come una prima dissertazione sulle Camere Chiuse risalga purtuttavia a quasi quarantaquattro anni prima.

Infatti Israel Zangwill nel capitolo IV del suo The Big Bow Mystery (1892), elenca tutta una serie di possibili eventualità atte a spiegare una Camera Chiusa:

“Tra i molti prodotti della fantasia, c’erano non poche soluzioni degne di rilevanza, che però fallirono miseramente, come razzi al posto di stelle cadenti. Una di queste era che, nell’oscurità della nebbia, l’assassino era salito alla finestra della camera da letto, dal marciapiede, per mezzo di una scala. Poi, con un diamante, aveva tagliato via uno dei vetri, riuscendo così ad entrare. Nell’andarsene, aveva rimesso a posto il vetro (o un altro che si era portato dietro), ragione per cui la serratura del­la porta non era stata scassinata. Quando fu ribat­tuto che i vetri erano troppo piccoli, un terzo letto­re rispose che il fatto era irrilevante, perché sareb­be bastato infilare una mano per aprire la finestra, per poi ripetere l’operazione prima di andarsene. Questo edificio di vetro fu fatto crollare da un ve­traio: scrisse che era impossibile fissare un vetro da una parte sola dell’intelaiatura, perché sarebbe ca­duto non appena fosse stato toccato e, in ogni caso, lo stucco umido non sarebbe sfuggito all’investiga­tore. Si avanzò anche l’ipotesi che fosse stato tolto e rimesso un pannello della porta e alla fine al nu­mero 11 di Glover Street era stato attribuito un nu­mero infinito di botole e porte scorrevoli, neanche si fosse trattato di un castello medievale. Un’altra di queste teorie ingegnose sosteneva che l’assassino era rimasto nella stanza per tutto il tempo in cui c’era stata la polizia… nascosto nel guardaroba. Oppure che si era messo dietro la porta quando Grodman l’aveva sfondata e che non era stato no­tato nella confusione generale e perciò era riuscito a fuggire, con l’arma del delitto, nel momento in cui l’ex investigatore e la signora Drabdump stava­no esaminando la chiusura della finestra.

A sostegno non mancavano spiegazioni scientifi­che che facevano capire come l’assassino avesse sprangato e chiuso a chiave la porta dietro di sé. Sarebbero state usate delle potenti calamite fuori della porta per girare la chiave e rimettere la spran­ga all’interno. La fantasia della gente fu popolata da assassini con potenti calamite. Unico difetto di tale ingegnosa ipotesi: l’impossibilità. Un fisiologo tirò in ballo i prestigiatori che inghiottono spade (a causa di una particolare anatomia della gola) e dis­se che forse il defunto aveva inghiottito l’arma do­po essersi tagliato la gola. Questo, però, era troppo da inghiottire persino per il pubblico.

Riguardo al­l’ipotesi che il suicidio fosse stato attuato con un ra­soio o soltanto con la sua lama, o anche con un pez­zo di ferro, che poi era affondato nella ferita, non potè essere accettata neanche per un momento…

Tuttavia, forse, il più brillante di questi lampi di genio fu la lettera scherzosa, ma probabilmente non del tutto, che apparve sul Pell Mell Press:

…Egregio signore, vi ricorderete che quando gli assassini del caso Whitechapel sconvolsero l’opinione pubblica, avevo suggerito che l’as­sassino era il coroner della zona. Fui ignora­to. Il coroner in questione è ancora in libertà. E così l’assassino di Whitechapel. Forse tale coincidenza porterà le autorità a prestarmi più attenzione, questa volta. Il problema sem­brerebbe il seguente. Arthur Constant non può essersi tagliato la gola e non può essersela fatta tagliare da qualcun altro. Ma poiché una di queste circostanze si è verificata, tutto ciò è assolutamente assurdo. E, trattandosi di as­surdità, sono giustificato a non crederci. Giacché tale ovvia assurdità è stata messa in circolazione soprattutto dalla signora Drab-dump e dal signor Grodman, mi sento auto­rizzato a non credergli.

Per farla breve, signo­re, cosa ci garantisce che tutta la storia non sia soltanto frutto di fantasia, inventata dalle due persone che per prime hanno trovato il cor­po? Quali prove abbiamo che non siano state proprio loro ad aver sfondato la porta e rotto le serrature e le spranghe e a richiudere tutte le finestre prima di chiamare la polizia? …L’ipotesi del nostro scrittore non è poi così originale come lui la ritiene. Non ha lui, in fondo, guardato con gli occhiali di coloro che continuarono ad insistere che l’assassino di Whitechapel non era altri che il poliziotto che aveva scoperto il corpo? Qualcuno trova sem­pre il corpo, se si trova.

Redattore capo P.M.P.

(Israel Zangwill, The Big Bow Mystery, “Il Grande Mistero di Bow”, traduz. Leda Armstrong, I Classici del Giallo Mondadori, N.606 del 1990, pagg.48-51).

Come si vede, si può parlare già di una dissertazione, anche se impropria, che comprende varie ipotesi, anche se non si può ancora parlare di conferenza: la conferenza ha infatti un che di cattedratico, e perciò tende a dare sistematicità e organicità alle proprie ragioni. Qui invece la materia è ancora affrontata in maniera ingenua e informale, senza alcun tentativo di classificarla. Tanto più che, se vi sia la volontà di enumerare una serie di possibilità, essa è propria di Zangwill, e la si capta attraverso la lettura delle pagine indicate; non esiste invece alcuna dichiarazione circa l’enumerazione delle possibilità di commettere l’omicidio in una Camera Chiusa, che possa corrispondere in effetti alla volontà di creare una conferenza, né tantomeno viene creata nell’opera una possibilità sostanziale che ciò avvenga, mediante un personaggio del romanzo che, come farà Carr con il Dottor Fell di quarantaquattro anni dopo, illustri una conferenza a ciò dedicata. Nonostante ciò, vengono già gettate delle basi che saranno utilizzate di lì a venire. Quello che poi voglio far notare è che proprio qui, per la prima volta,e non in Le mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux (1907), viene introdotta la possibilità che anche un poliziotto possa essere l’omicida.

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