Isole e treni maledetti

giugno 7th, 2012 by Moderatore

Diffidate di questi luoghi e di questi mezzi di trasporto…

 

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Cari ragazzi (formula scontata ma pur sempre efficace per attirare una qualche simpatia tra lettori stagionati) questa non è una ricerca esaustiva e, a dir la verità, non è nemmeno una ricerca (ne ho già fatte fin troppe nella vita) ma un excursus, così un po’ a capriccio come è nel mio costume, riportando in vita pure cose già scritte su alcuni luoghi tipici della letteratura poliziesca, dove sono avvenuti un sacco di morti ammazzati. Anche per mettere in guardia eventuali viaggiatori…

Parto dall’isola. Più precisamente da L’isola della paura di Anthony Berkeley, Mondadori 2011. Piccola, “più o meno quindici ettari di terra quasi pianeggiante” sulle scogliere, tra Madeira e le Bahamas. Qui il sorprendente (come personaggio) Guy Pidgeon, un accademico arricchito, porta una schiera di invitati, tra cui l’altro sorprendente Roger Sheringham, scrittore e investigatore, con lo scopo di smascherare un assassino di un vecchio delitto. E’ chiaro che i personaggi si trovano costretti a rimanere sull’isola, distribuiti in una serie di tende all’aperto, per un qualche motivo che non sto a spiegarvi. Sapere che tra loro c’è un assassino senza conoscerne il nome (Guy lo ha dichiarato espressamente) genera tutta una serie di incredibili reazioni. La vicenda si complica con la storia di un fantasma che di notte sembra ululare a tutto spiano e con l’idea che ci sia qualcuno là fuori che girella furtivo…

Di solito con una fava si prendono due piccioni ma con L’isola dei delitti di Agatha Christie, Hake Talbot e Roy Vickers, Mondadori 2008, con introduzione saporosa del nostro Mauro Boncompagni (che il Signore lo abbia in gloria) se ne prendono addirittura tre: due romanzi ed un racconto. E a poco prezzo.

Inizio da Dieci piccoli indiani della divina Agatha. Un mito. Non sto a farla lunga. Otto persone che non si conoscono fra loro sono invitate a trascorrere l’estate in una villa di Nigger Island (ecco la nostra isola) non lontana dalle coste del Devon in Inghilterra. Qui trovano il maggiordomo e la cuoca ma non il padrone che manca per motivi poco chiari. Sopra il camino delle camere c’è la famosa filastrocca “Dieci poveri negretti…”. Infine una voce registrata su un disco accusa tutti di essere degli assassini impuniti. E da qui inizia l’altrettanto famosa sequela di morti.

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L’isola: “A nord ovest, verso la costa, le rocce piombavano a picco sul mare, con la superficie perfettamente liscia. Sul resto dell’isola, non c’erano alberi e c’era ben poco che potesse servire da riparo”. “Un mondo, forse, dal quale non si poteva tornare indietro” scrive la Christie. Se a questo si aggiunge lo scoppio di una tempesta…

Continuiamo con Terrore nell’isola di Hake Talbot. E anche in questo caso si fa presto perché è un classico ben conosciuto. E dunque c’è Nancy che si sveglia e non si ricorda di niente. O meglio si ricorda di essere nella casa di Frant, il padrone, ma che gli ospiti ed i domestici sono tutti scomparsi. E allora incomincia a cercarli insieme a Rogan Kincaid, una vecchia conoscenza apparsa improvvisamente. Inizio alla grande. Il problema è che Frant è morto dopo una maledizione del fratello Evan. Di schianto, come si dice dalle mie parti. Nascono i dubbi. Morto per la maledizione o avvelenato? E in che modo può essere stato avvelenato? E perché non pensare al suicidio? Ma il corpo del morto al quale è stata tolta la pelle dei polpastrelli è proprio quello di Frant? E perché è in evidente stato di putrefazione? E così di seguito fino allo spappolamento del cervello del lettore.

Sull’isola chiamata Kraken non c’è molto da dire. A parte il fatto che il nome si riferisce all’antica leggenda di un mostro enorme che poteva ingoiare navi per intero e trascinarle nella sua tana (e già questo non tranquillizza affatto). Ha un “profilo bizzarramente roccioso contro la linea bassa della costa, distante meno di mezzo chilometro”. Intanto fuori infuria il solito uragano…

E così si passa al lungo racconto di Roy Vickers L’unico superstite che ricalca un po’ il romanzo dell’Agatha con l’eccezione del naufragio. Sempre su un’isola, si capisce. Chi racconta la storia attraverso un “affidavit” è il prof. William Edward Clovering. Il naufragio è della Marigonda con carico e cinquanta passeggeri provenienti dal Capo di Buona Speranza e diretti a Londra. Si salvano sette uomini su una scialuppa e, come era già capitato al nostro Robinson Crusoe, possono ricavare da vivere per un bel po’ attraverso carico di viveri e attrezzi tratti dalla Marigonda non completamente affondata.

Si salvano per modo di dire che uno dopo l’altro ci lasciano le penne, colpiti in testa da un arnese che può benissimo essere un martello. Angoscia, paura, sospetto. Chi è l’assassino? Uno di loro o un estraneo che si aggira sull’isola?

La quale isola è a forma di triangolo scaleno, piccola ma scorbutica, nel senso che ha i lati più o meno scoscesi sul mare, vasche di cemento in rovina, un massone alto tre metri detto il “Bernoccolo” e macigni e crateri a volontà. Insomma un’isola “orribile” a detta del nostro illustratore. Che può tranquillamente nascondere un selvaggio…

Un’isola tremenda, dove soffiano venti da tutte le parti con una nebbia nera da far paura (qui le stagioni si mischiano), piccolissima e lontana da tutti è quella di Carlo Lucarelli L’isola dell’angelo caduto. Inventata di sana pianta ad est delle Tremiti come metafora del mondo. Siamo nel 1925 durante la dittatura fascista. In fondo ad una rupe di questa isola, dove c’è una colonia penale di delinquenti comuni e uomini politici, viene trovato il cadavere di una camicia nera. Chi indaga è Valenza, giovane commissario un po’ triste e malinconico con una moglie che se non va via alla svelta da quel posto diabolico ci rimette di salute (mentale). “Questa roccia sperduta nel mare ha un tempo tutto suo, diverso da quello del resto del mondo. Neanche i giorni , qui, sono gli stessi che per le altre persone” sospira il maritino. Niente da fare. Altri due morti, altri sospetti, altre domande. Altre sofferenze. Una verità micidiale.

Con L’isola della paura di Dennis Lehane siamo nel settembre del 1954. Due agenti dell’FBI Teddy Daniel (che ha i suoi problemini) e Chuck vengono spediti sull’isola Shutter, al largo di Boston, più precisamente all’Ashecliffe Hospital che ospita, appunto, dei criminali psicopatici. Devono ritrovare Rachel Salando condannata per omicidio ma questa sembra essere sparita nel nulla. E poi…poi c’è il sospetto che si compiano degli esperimenti sulla mente dei pazienti usati come cavie umane.

E, quasi per farlo apposta si scatena… indovinate un po’? Bravi, il solito tremendo, terribile uragano.

Entra a far parte delle isole immaginarie, e falsamente sicure aggiungo io, Combe Island davanti alle coste della Cornovaglia. Sua creatrice P.D. James (86 anni!) che l’ha tirata su dal nulla in Brividi di morte per l’ispettore Dalgliesh.

Qui, invece della rilassatezza e della pace fisica e naturale, trova la pace eterna, impiccato nella torre dell’antico faro, il celebre scrittore Nathan Oliver (vecchiotto il giusto) che, insieme con uomini e donne di grande importanza nei vari campi della vita umana, è andato sull’isola a trascorrere un periodo di riposo (o a starci per sempre, la memoria fa cilecca). Incaricato di svolgere le indagini, e anche alla svelta, Adam Dalgliesh, ispettore capo di Scotland Yard. Compito mica facile in un giallo che si rispetti. Il nostro Natham si rivela, infatti, un tipetto poco raccomandabile che si è attirato addosso un bel po’ di sentimenti niente affatto lusinghieri. A lui si aggiunge, sempre nella pace eterna, un impiegato ucciso a colpi di pietra e lo stesso Dalgliesh ad un certo punto si trova in pericolo di vita. Un investigatore colto, sensibile, amante della poesia e poeta egli stesso. Grande onestà e coscienza morale, legge di tutto e di più, cita a mente passi della bibbia, in continua, attiva indagine nei segreti della vita. Ma la mia ammirazione più che al nostro ispettore va alla sua creatrice, questa P.D. James che, a ottantasei anni, sciorina libri come se fossero panni da stendere dopo il bucato.

Non nuova, devo dire, ad inserire vicende sanguinose su un pezzo di terra circondato dal mare. Come in Un indizio per Cordelia Day, storia ambientata in un castello su un’ìsoletta al largo del Dorset. L’isola, piccola e bella pure a vedersi (querce, faggi, allori, rose…) e ricca di interessanti riserve naturali, racchiude vecchi segreti (violenze, stupri dei signori padroni, vendette) compreso il castello con la cripta. Segnali luminosi, atmosfere inquietanti che si riflettono anche sulla protagonista, la nostra Cordelia, ora eccitata dal suo incarico di detective, ora presa da dubbi e tormenti fino all’epilogo mortifero che arriva quasi a metà del libro (in effetti la James, a volte, la fa un po’ troppo lunga).

Due classici e due isole da favola: Corpi al sole e Miss Marple ai Caraibi di Agatha Christie. E due segugi di lusso: Hercule Poirot e la già citata nel titolo. Il primo a riposarsi sull’isola del Contrabbando al largo delle coste inglesi, la seconda nell’isola St. Honorè dei Carabi. In comune la noia e il sole. “Il male si annida dovunque sotto il sole” osserva Poirot e sull’isola il male assume forme superbe. Questa volta vittima designata una donna ritrovata cadavere su una spiaggia. Più precisamente la bella e “chiacchierata” attrice Arlena Marshall (che un po’ le sta bene). Miss Marple è in parte fortunata (si fa per dire). Costretta ad ascoltare i racconti del maggiore Polgrave se lo ritrova morto ammazzato. Ma dov’è la fotografia che le voleva mostrare?…

E tanto basta per avervi dato un’idea che non voglio qui ripetere tutto quello che ho scritto in L’isola nel poliziesco, pubblicato in Sherlock Magazine cartaceo n°14 al quale vi rimando (potete richiederlo attraverso delosstore). Però almeno qualche dritta per evitare isole funeste ve la voglio dare. Vi faccio un breve elenco: isola della Corona, Linosa, Skylt (siamo dalle parti delle Frisone), Rosmarino, Guernsey (canale della Manica) Isleboro, Ischia (anche quelle carine vi fregano), Ogigia, Pantelleria e per ultima lascio Mortorio che è tutto un programma. A volte si danno solo delle indicazioni generiche, come “una splendida e remota isola del Mediterraneo” dove si può incontrare la Jessica Fletcher con l’ispettore Kyle a cercare di proteggere, inutilmente, un noto pittore.

Veniamo ai treni che mi hanno sempre attratto sin da piccolo (mio padre lavorava in ferrovia) per quella loro mostruosa presenza, soprattutto quando erano a vapore e facevano un rumore d’inferno. Per andare alle superiori a Siena dal mio paesello natio dovevo prendere quello delle sei e mezzo e, quando non mi addormentavo, vedevo certe facce grifagne!

In effetti il treno non è sempre un mezzo di trasporto sicuro. Basta sfogliare Delitti in treno di A.A.V.V., Polillo 2010.

Questa raccolta ne è una prova eclatante. Tredici racconti di autori sorprendenti che hanno in comune tale mezzo di viaggio e quello che può succedervi di inaspettato, come un furto o l’omicidio. O tutti e due insieme.

Se c’è il mistero della camera chiusa non può mancare quello del vagone chiuso (e ci si sta anche più stretti) dove c’è il morto ammazzato e nessuno è potuto entrare ed uscire. A volte capita di trovare una donna pugnalata sotto il sedile di uno scompartimento, oppure due cadaveri all’interno con una signora viva e disperata che vuole uscire e il caso si fa ancor più complicato per il povero detective di turno. Povero e nello stesso tempo geniale se riesce a risolvere strategie assassine più complicate di certe elucubrazioni filosofiche.

A volte, invece, succede che i passeggeri della metropolitana di Londra (siamo nel 1894) vengano uccisi con un colpo al cuore, mentre se ne stanno tranquilli a leggere nel loro scompartimento e nessuno riesce a capire il perché e il per come. Capita pure che un intero vagone pieno di quadri di valore scompaia all’improvviso e che addirittura un morto venga trasportato su un vagone per fare un lungo viaggio facendolo sembrare vivo. Occhio agli ometti ossuti che incominciano a parlare di omicidi (non si sa mai cosa può frullar loro per la testa), occhio ai treni che viaggiano in parallelo e…e insomma non la faccio lunga: tredici storie, tredici pezzi da novanta (Christie, Cole, Doyle, Crofts ecc…), tredici piccoli capolavori e più di tredici morti che ti mantengono in allegra compagnia.

Altro spunto sulla pericolosità dei treni arriva da Nel buio della galleria di Miles Burton, Polillo 2010.

Il personaggio che troviamo in questo romanzo è Desmond Merrion, collaboratore di Scotland Yard e, come tutti (o quasi) i romanzi del nostro, è costituito da una trama rompicapo dove i vari attori sono come “pezzi degli scacchi mossi da un abile stratega” (i miei amati scacchi sono dappertutto). Giovedì 14 novembre il treno delle cinque di Cannon Street sta imboccando il Blackdown Tunnel, una galleria di circa due miglia e mezzo. A metà i freni vengono azionati con forza e il capotreno William Turner, per controllare eventuali inconvenienti, risale i corridoi fino ad arrivare all’ultima carrozza di prima classe, occupata da un solo signore che sembra stia sonnecchiando. Alla stazione lo scuote gentilmente ma cade di lato. E’ morto. Morto ammazzato con il cuore trapassato da un proiettile. Si tratta di Sir Wilfred Saxonby di Helverden, noto magistrato (tutto in “ato”).

Vari sospettati, un continuo sviscerare, analizzare, interrogare, dubbi (il portafoglio è o non è della vittima? Perché manca il biglietto ? ecc…), uno scambio di opinioni serrato tra i due amici, il pensare e ripensare, il controllare e ricontrollare. Praticamente un viaggio nella elucubrazione di dati e teorie, poco spazio dato alla caratterizzazione dei personaggi appena sbozzati. Ciò che conta è l’indagine in sé e per sé, il mistero da risolvere.

Vediamo ora di mettere sull’avviso i miei lettori per evitare spiacevoli conseguenze su questo mezzo di trasporto. Non cito l’Orient Express che pure i bambini sanno quello che vi può succedere (vedi Agatha e pure Fleming). Anche se il treno è azzurro e ci trovate di nuovo l’ometto delle cellule grigie ve lo sconsiglio vivamente (l’evento, comunque, mi pare difficile essendo un treno per miliardari). Idem con patatine se, per esempio, non è azzurro ma si dirige a Jeumont (però ci potrete incontrare Maigret che indaga). Sconsigliato ancor più vivamente da Daly King, un vero esperto, il treno transcontinentale che collega l’Atlantico al Pacifico, attraverso il Continente americano. Da brivido il Marsiglia-Parigi (Japrisot). In uno scompartimento, tempo fa, una donna strangolata e cinque occupanti che via via vengono tolti di mezzo lasciando a bocca aperta l’ispettore Graziano. Se poi dalla Scozia vi capita di andare verso il villaggio di St. Mary Mead può succedere di assistere ad uno strangolamento sul treno parallelo che non è proprio il massimo della goduria (sempre Agatha e magistrale la Rutherford nella trasposizione cinematografica).

Comunque sia morti o non morti ammazzati, il mostro fischiante fa venire in testa strane idee. Prendiamo Sconosciuti in treno di Patricia Highsmith. Due tizi che non si conoscono, appunto, hanno dei problemetti. Uno vuole divorziare dalla moglie, l’altro deve liberarsi di suo padre. Come fare? Bene, basta scambiarsi i compiti e le vittime. L’aria del treno fa di questi scherzi.

Consiglio spassionato. Se dovete spostarvi usate la macchina.

 

                                                                                                Fabio e Jonathan Lotti

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14 Responses

  1. Massimo

    Tra tutti ‘sti treni, hai dimenticato quello il cui incidente dà inizio al plot di “Ho sposato un’ombra”. Gravissimo!

  2. Fabio Lotti

    Puercas vaccas, Massimo, mi sto facendo frustare dalla moglie!
    P.S.
    Le frustate valgono anche per altre dimenticanze di una memoria ormai alla frutta.

  3. Antonino Fazio

    Del grande Woolrich, ovviamente. Ma il nostro Fabio, in questo frizzante articolo, voleva solo fare un excursus.

  4. Piero

    Ancor più grave è aver dimenticato “Il treno del mistero”, di Kyotaro Nishimura.
    E ancor più “Il treno scomparso” di Niels Meyn. Gravissimo! Gravissimo! :-)

  5. Mauro Boncompagni

    La carrellata di Fabio mi pare, come al solito, molto stimolante. Sì, lo so, ci saranno altri due o tremila romanzi e racconti da ricordare in materia di treni o di isole del delitto, ma gli esempi che cita Fabio sono tutti di prima qualità. Io, di Woolrich, aggiungerei anche un superbo racconto, “Subway” (ambientato in metropolitana) che è ancora inedito in italiano. Questo mi fa venire in mente che forse sarebbe il caso di proporre un’altra antologia italiana di racconti inediti del grande maestro, come avevo fatto negli anni Novanta. Bisogna che ne parli con l’editor. Sempre che ai lettori il progetto interessi, ovviamente.

  6. Fabio Lotti

    Col cavolo che farò un altro veloce excursus!
    Maledetti!

  7. Fabio Lotti

    Caro Mauro
    il progetto interessa, eccome!
    Vai avanti che, sono sicuro, hai l’appoggio di tutti.

  8. Antonino Fazio

    Un’antologia di racconti inediti di Woolrich? Wow!

  9. Piero

    Non sarebbe il caso di proporre caro Mauro, giacchè tu lo puoi fare, anche i racconti con Don Diavolo, di Stuart Towne?
    Che peraltro non son stati mai tradotti che io sappia, e che attendono impazienti, mooolto impazienti, da taaanto tempo? 😉

  10. AgenteD

    …Interessa, interessa! Certo che interessa!!

  11. Martina S.

    Fabio, ora potresti passare ai delitti in nave/barca e qualsiasi altro mezzo su acqua. :-)

  12. Fabio Lotti

    Potrebbe essere un’idea, sempre però in ottica di leggerezza che le ricercone mi spallano.

  13. il professionista

    sei sempre u ngrande, Fabio

  14. Fabio Lotti

    Diciamo che per le cosettine leggerine ci sono pipato, via, come si dice dalle nostre parti… :-)

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