Spy Fiction: Italian Ways/1 di F. Novel
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Cari lettori e lettrici, pubblichiamo oggi la prima parte di un articolo di Fabio Novel (scrittore – Scatole Siamesi, curatore di Legion, uno degli autori di Dizionoir e vero e proprio storico della spy-story made in Italy) che ricostruisce il percorso della narrativa italiana di spionaggio; un utilissimo sguardo complessivo sul genere. La prima parte va dalle origini fino alla metà degli anni ottanta. E ora un po’ di storia…
Fabio Novel
SPY FICTION: Italian way(s)
Esiste una spy story “made in Italy”?
Questa era la domanda che ponevo in apertura dell’articolo SPY STORY “MADE IN ITALY”: Una panoramica sulla narrativa di spionaggio italiana, pubblicato a suo tempo nel DizioNoir (DelosBooks, 2006), ideato e organizzato dall’amico Mauro Smocovich, scrittore, nonché curatore di ThrillerMagazine.
La risposta che davo al quesito iniziale era: Sì. Senza ombra di dubbio.
Cosa rispondo oggi? Sì. Senza ALCUNA ombra di dubbio.
Nei tre anni nel frattempo passati, la spy fiction nazionale ha infatti lanciato svariati romanzi e racconti inediti oltre che proporre importanti ristampe; ha presentato autori nuovi (in assoluto, o in questo genere), capaci di distinguersi e di lasciare il segno; e ha dato prova che la creatività e la competenza dei veterani non si estingue, attraverso brillanti conferme di serie già amate o la partenza di nuovi progetti. Inoltre, nel frattempo il web, la radio e talvolta la stampa hanno dato segni tangibili di accorgersi di un certo tipo di realtà.
È dunque con vera soddisfazione e piacere che ho in parte rivisto e poi opportunamente integrato il mio precedente intervento pubblicato sul DizioNoir, per condividerlo con tutti i web-fan della narrativa spionistica che seguono il Segretissimo Blog.
Prima di partire con questa carrellata tutta nazionale, ci tengo a premettere che in questo testo (come peraltro ho fatto già in altre occasioni) utilizzerò convenzionalmente il termine spy fiction come contenitore flessibile e dinamico di una narrativa che indubbiamente si va vieppiù ramificando in molteplici direzioni (per quanto afferenti ad una radice comune: lo spionaggio, di ogni tipo, e quel intreccio segreto le cui conseguenze toccano le comunità oltre che non solo i singoli), cioè in sottogeneri affini, spesso commisti se non addirittura coincidenti, quali la spy story ad impianto classico (avventurosa e/o cerebrale), l’action, taluni combat, il thriller d’intrigo (che non vede necessariamente per protagonisti le più classiche spie, ma comunque figure che si muovono nel pernicioso anonimato della politica ombra, delle mafie, degli interessi economici), sviluppato sia su scenari nazionali che internazionali, ecc… Sono trame che, proprio in ragione della loro intrinseca qualità mimetica, necessariamente si adeguano ai tempi, oltre che ai gusti dei lettori.
Ebbene, gli autori italiani hanno dimostrato nel tempo una particolare propensione ad affrontare questa narrativa nei modi più eclettici e personali, con un’invidiabile profusione di stili e contenuti, soprattutto se si considera le possibilità di un mercato editoriale di limitata ricettività. Tra risultati più rilevanti nel campo, vari sono riconducibili all’intrigo a sfondo politico – un’eredità d’impegno quasi storica, che la narrativa d’evasione ha saputo far propria – e numerosi all’action thriller, con romanzi capaci di combinare ritmo e avventura assieme a trame non superficiali, sempre attente agli scenari mondiali.
A dimostrazione della tesi che la spy fiction è un fenomeno anche italiano si potrebbe comunque redigere un libro intero. Non è lo scopo di tale intervento che, piuttosto che ad un’annosa analisi, mira invece a sintetizzare i principali protagonisti e i titoli più significativi di una storia relativamente breve, nondimeno intensa e tangibile. Mi limiterò, dunque, ad una panoramica, sostanzialmente acritica.
La narrativa di spionaggio italiana non ha radici molto profonde. Perlomeno, non come identità di genere. Non c’è, insomma, una vera e propria tradizione, soprattutto se andiamo a confrontarla con i paesi anglosassoni e con la Francia. A grandi linee, si può affermare che ha cessato di essere un genere solo d’importazione all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso. I titoli più o meno ascrivibili alla spy story pubblicati in precedenza restano episodi editoriali del tutto slegati, senza continuità.
Volendo a tutti i costi accreditare un esempio plausibile di antesignano, si potrebbe risalire alla fine del Seicento, quando il genovese Gian Paolo Marana scrisse L’esploratore turco. Si tratta però di un’operazione di ricerca delle origini ardita e di scarsa rilevanza. Dopotutto, a livello internazionale si considera come il prototipo della spy story un lavoro di Fenimore Cooper intitolato (appunto) The Spy. Ed è un romanzo del 1821!
Il primo testo italiano realmente in tema è La spia, di Arturo Olivieri Sangiacomo, un ufficiale piemontese dell’esercito sabaudo, che seppe conciliare la carriera militare con le sue passioni letterarie. Pubblicò sia saggi che romanzi, scritti nei quali emergeva la sua opinione circa l’esigenza di riformare l’esercito. La spia viene pubblicato nel 1902. Sono peraltro gli anni di Emilio Salgari, la cui narrativa avventurosa, va sottolineato, avrà la sua bella influenza anche su vari autori di spionaggio italiani.
Elementi spionistici li ritroviamo poi ne Il Sette Bello, di Alessandro Varaldo, e soprattutto in un classico di Augusto De Angelis: Il candeliere a sette fiamme (1936).
A metà del Novecento è un autore del calibro di Giorgio Scerbanenco ha dare il suo contributo allo spionaggio italiano, per quanto con lavori dove l’ordito spionistico è commisto al romanzo sentimentale. Se non addirittura, in certi casi, viceversa.
Anime senza cielo, del 1950, è una storia del dopoguerra.
Di profughi, di esiliati, coinvolti in reti spionistiche. Schierati su fronti differenti, quando non avversi. Grande importanza ai personaggi, alle relazioni tra loro. E’ ancora lo spionaggio a condizionare i personaggi di Appuntamento a Trieste (Rizzoli, 1953), in particolare la storia d’amore tra l’americano Kirk e la triestina Diana. Simile il tema di un racconto successivo, Le spie non devono amare (in Metropoli del delitto, 1975), dove l’io narrante è la moglie di un agente segreto.
Mentre negli anni ’60 nascono personaggi come 007, OSS117 e SAS, mentre negli anni ’70 emergono personalità letterarie come Le Carré, Deigthon, Forsyth, la produzione italiana di spionaggio rimane sostanzialmente letargica. E’ il lettore a non credere all’inventiva italiana? E’ l’editoria? O sono piuttosto gli stessi autori dell’epoca, che stentano a riconoscersi nel genere, a riconoscerne le potenzialità?
Saranno gli Anni di Piombo a far cambiare idea a tutti. Perché, ammettiamolo, non si può parlare di quel periodo e denunciare le follie sanguinose di alcuni senza tirare in ballo servizi segreti, interessi trasversali e teorie (teorie?!) complottiste.
Nel 1980, la Rizzoli pubblica Il vomerese, di Attilio Veraldi, ritengo il primo romanzo italiano impegnato a narrare il “nostro” terrorismo. Argomento allora decisamente coraggioso, stante la ferita recente e aperta.
Segue Massacro per un presidente (Mondadori, 1981), di Diego Zandel. Ancora il terrorismo. La vicenda è ambientata a Roma. Ne sono protagonisti un profugo di origine fiumana, anarchico, e un colonnello dei servizi segreti, molto ligio al suo dovere e alle istituzioni. La strana coppia si scontra contro una frangia deviata dei servizi segreti, guidata nell’ombra da un uomo politico detto il Grande Vecchio, che forse non è estraneo alla manipolazione del terrorismo eversivo, di sinistra e destra, a scopi personali.
Sempre nel 1981, Rizzoli pubblica Agave, di Andrea Santini e Massimo Felisatti, un romanzo che, nel narrare una vicenda di traffico d’armi e di segreti italiani, anticipa di un mese lo scandalo della P2.
Rizzoli è ancora portabandiera nel genere dando alle stampe la trilogia Guerra di Spie, firmata da Corrado Augias: Quel treno per Vienna (1981), Il fazzoletto azzurro (1983) e L’ultima primavera (1985). I romanzi sono ambientati rispettivamente nel 1911 (l’Italia è in procinto di entrare in guerra con la Turchia per il possesso della Libia), nel 1915 (inizio della Prima Guerra Mondiale) e nel 1921 (periodo postbellico, con il fascismo che va consolidandosi). Nella trilogia, la fedele ricostruzione storica, geopolitica e sociale si coniuga con trame che (in modo differente per ognuno) sono insieme poliziesche e spionistiche.
Il 1981 segna anche l’esordio di un autore assolutamente unico per stile: Alan D. Altieri, pseudonimo di Sergio Altieri. Irrompe nel panorama letterario italiano con Città oscura (Dall’Oglio), un thriller metropolitano ambientato in una Los Angeles cruda e spietata.
Altieri propone romanzi di ampio respiro, ma dal taglio secco, ritmati in modo filmico, pregni di sudore e sangue, di violenza, dai toni a tratti così pessimisti da venir definiti dalla critica “thriller apocalittici”. In svariati tra i libri pubblicati in 25 anni di carriera ritroviamo trame in parte o del tutto riconducibili alla spy story d’azione e al tecno-thriller: Alla fine della notte (1981), con un complesso intreccio spionistico che fa da matrice; L’occhio sotterraneo (1983), con i suoi scenari europei; Corridore nella pioggia; L’uomo esterno; e da non dimenticare il bellico e anticipatore Kondor (Corbaccio, 1997), un crudo spaccato sul Medio Oriente in fiamme che si aggiudica il Premio Scerbanenco.
Nei primi anni ’80 inizia anche l’avventura italiana in Segretissimo, la storica collana mondadoriana dedicata allo spionaggio, in edicola fin dal 1961. All’epoca, alla direzione della “Mondadori edicola” c’era una vera protagonista del giallo come Laura Grimaldi, coadiuvata da Marco Tropea in redazione. I primi passi italiani furono dei racconti apparsi negli speciali semestrali (Estate Spia e Inverno Spia).
L’onore del debutto di un romanzo italiano su Segretissimo (sbandierato a tricolore da una dicitura trasversale in un angolo di copertina: made in Italy con grinta) spetta al giornalista e scrittore Andrea Santini. Il numero 988 della collana s’intitola A volo di Falco (1984). Segna l’esordio di Falco Rubens, protagonista seriale che ritroveremo poi in Una fame da Falco (1984) e in Falco spia l’ecologia (1987).
Falco Rubens è una spia che possiamo definire “di sinistra”. Non sarà questa un’eccezione nella collana, anzi. E’ peraltro una particolarità che, con caratteristiche assai differenti da autore ad autore, accomuna una buona parte del variegato assortimento di “eroi” dello spionaggio italiano. Con alcune eccezioni. Attenzione, però: in ogni caso, i romanzi italiani presentati in Segretissimo hanno solitamente saputo mantenere degli approcci disincantati, non schierati in modo ideologico o manichei. Del resto, un libro di spionaggio, pur anche evasivo e avventuroso, che aspiri ad un minimo di verosimiglianza non può permettersi di uniformarsi allo schema “Buoni contro Cattivi”. Di sicuro non in termini assoluti. Da qualsiasi prospettiva si ponga. Non è così che va il mondo. Tanto meno quello “sporco” dello spionaggio.
Falco ha fatto il ’68. In Francia e in Italia. E’ un giornalista free lance per “Afrique-Asie” e “Le Point”. Si interessa di al mondo non solo per doveri professionali. Odia gli imperialismi, statunitensi e sovietici, e il modo in cui fanno campo di battaglia del terzo mondo. E, in tal senso, si dà molto da fare. E’ un personaggio che per usare le parole di Santini “pur mantenendo stile, ritmi, regole di Segretissimo, si” distaccava “dai soliti protagonisti: occidentali, conservatori, anticomunisti.”
A pochi numeri di distanza dall’esordio di Falco Rubens, arriva Walfrido Pardi di Vignolo, l’eroe di un altro giornalista: Remo Guerrini. Non è probabilmente un caso se più di un giornalista italiano ha scritto spionaggio. Il giornalista è più incline a un taglio secco, dinamico. Non teme di mettersi in gioco come autore “di genere” piuttosto che letterario. Inoltre, soprattutto quando non c’era la TV satellitare e internet, era quello che con più facilità reperiva notizie e aveva l’opportunità di conoscere più a fondo le realtà geopolitiche mondiali e le loro reciproche connessioni.
Anche in Remo Guerrini ritroviamo trame scorrevoli, ricche di colpi scena, spruzzate di sesso. Due i titoli: Singapore: ma come fanno i marinai (1984) e Mosca: il cielo in una stanza (1986).
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