La semplicissima arte del delitto III

agosto 5th, 2010

Tra corna, canini in fuori, bambini violentati, mallopponi scandinavi, il caldo boia, il freddo bestia, la pioggia pallosa…

 

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Come dice il proverbio non c’è due senza tre. Un po’ come quei film di successo che al primo ne seguono almeno un paio. Di solito più brutti del precedente. Qui non siamo partiti neppure dal successo e dunque sapete cosa vi aspetta.

Non so se riuscirò ad essere pungente come nel passato. Devo dire la verità. Jonathan, nipotino di poco più di un anno, mi ha chiaramente rimbecillito e dunque ammorbidito. Lo dovreste vedere quando lo porto per i prati a prendere i fiori con le sue manine grassocce, o quando osserva attento e curioso le lunghe litanie di formiche che se ne vanno in qua e là. Ha cominciato da poco a camminare barcollando che sembra cada da un momento all’altro come la torre di Pisa, ma lui continua imperterrito. Se cade davvero una lieve smorfia, un accenno di pianto e poi via a caracollare di nuovo sulle gambe robuste, a battere le mani, a sputacchiare e sbrodolare una lingua tutta sua ancora incomprensibile…

Per essere corretto dico subito che riprendo  e rinforzo anche qualche pezzo scritto per “Corpi freddi” (http://corpifreddi.blogspot.com/)  e “Sugarpulp” (http://www.sugarpulp.it/)  con un caldo invito a frequentarli. Vi ci troverete bene. Un saluto a Enzone e Giacomo, i responsabili dei blog.

Incominciamo. La marea gialla continua. Perfino nei titoli dei quotidiani: “Il mondo è un giallo”, “Il realismo si è tinto di noir”. Per qualcuno, vedi Nicola Villa, solo quella straniera che l’italiana non esiste proprio. Suo  l’articolo, appunto, “Il giallo italiano non esiste” pescato nell’”Angolo nero” della nostra brava Alessandra Buccheri (andate a darci un’occhiata). Villa non la fa tanto lunga, riprendendo un concetto di una certa “giò” che su aNobii aveva lamentato l’inconsistenza e dunque l’inesistenza del giallo italiano sempre ripetitivo e sempre uguale a se stesso. Con i soliti personaggi e le solite trame.

Nel senso, come ho già scritto proprio su questo blog, che non c’è città o sperduto paesino di campagna che non abbia il suo bel commissario o la sua bella commissaria tanto che, prima o poi, mi prefiguravo anche quello di quartiere che venisse ad arrestarmi “per avere ucciso con un colpo ben assestato di ciabatta il ragnetto che pendeva schifosetto nel mio piccolo studio”. Tutti scrivono romanzi polizieschi. Dai più infimi ai più noti e dunque il giallo italiano è ben vivo e vegeto e non c’è bisogno di scomodare Augusto De Angelis quando, negli anni Trenta, si mise in testa di realizzarlo “Io ho voluto e voglio fare un romanzo poliziesco italiano”. Ci riuscì, eccome. Ed ecco le conseguenze…

Aumenta tutto. Aumentano i blog e i siti dedicati alla letteratura poliziesca (positivo); aumentano i concorsi (trovato pure un GialloBirra, niente male in estate) e i premi che te li offrono al bar (appunto) e te li tirano dietro anche ai semafori (occhio a non prenderli in testa se vi sporgete dal finestrino); aumentano le sigle con l’ultima nata post noir o post-noir o postnoir (mettetevi d’accordo!) dal connubio Montanari-Varesani (se non ricordo male) a volte se ne sentisse la mancanza; aumentando gli scrittori e gli pseudoscrittori  (soprattutto questi) aumentano, di conseguenza, le antologie piene zeppe di nomi conosciuti e sconosciuti dove è più facile rispondere alla domanda che si fa sempre più consistente rispetto all’offerta. Dieci? Quindici? Macché, facciamo pure una trentina e il gioco è fatto. Non ce l’ho con le antologie, via, si fa per dire, e pure il sottoscritto ne ha curata una con questi numeri. E farà parte, come autore, di Riso nero, una raccolta di racconti brevi giallo-comici della Delos Books. Dunque figuriamoci se voglio fare lo spiritosetto. E’ che trovare lavoro a tutti non è mica facile. Anche se la sopra citata casa editrice si è data da fare, invitando 365 (trecentosessantacinque!) facitor di parole a scrivere un breve racconto relativo all’erotismo, al sesso e all’eros in tutte le sue sfaccettature. Titolo dell’antologia Racconti erotici per un anno. Tiè! Se un racconto al giorno leva il medico di torno, come sentenzia il nuovo proverbio, l’antologia andrà a ruba.

Però qualche merito a questo boom del giallo va dato, oltre alla sua bellezza intrinseca. Pensiamo un po’ alla geografia, tra l’altro vero tallone di Achille durante il mio excursus scolastico tutto preso come ero dalla storia. Quanti luoghi particolari del nostro paese abbiamo ultimamente conosciuto attraverso il romanzo poliziesco! E a quante altre civiltà ben lontane da noi ci siamo accostati senza l’assillo dello studio! Ricordo le più recenti avventure di Vish Puri nell’India, di Darko Dawson nel Ghana, di Peter Decker nel quartiere ebraico di Los Angeles…Un incontro etnico- culturale- geografico di tutto rispetto. Non parlo, poi, della storia che non finirei più. Solo su Siena sono sbocciati all’improvviso diversi lavori ambientati soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento (non tutti impeccabili, ma insomma…). Può costituire addirittura un efficace antidepressivo secondo una mia modesta, ma non certo velleitaria, interpretazione psicologica (http://www.milanonera.com/?p=2251 ).

Aumentano le recensioni iperboliche. Un po’ me le cerco come succedeva da ragazzo quando ritornavo a casa con qualche livido addosso e subito me ne compariva qualcun altro di stampo familiare. In fin dei conti che cosa me ne importa. Eppure sono fatto così. Vedo qualcosa che non mi torna. Dico la mia, magari in maniera troppo forte, mi becco una reprimenda, mi dispiace, giuro di non incasinarmi più, passa un po’ di tempo e siamo punto e a capo. Nei cromosomi, come si suole dire. Per interesse naturale e interesse pratico giro quasi tutti i giorni fra molti blog (tengo una rubrica a proposito su Thriller Magazine) e leggo una marea di recensioni. Un tripudio di bravi, bene, bis, una sfilza di ottimo ed eccellente da far venire il capogiro, frutto magari istintivo ( speriamo) di simpatie ed amicizie. Elogi sperticati di lavori che, a mio parere, possono ritenersi accettabili e niente di più, talvolta pure buoni, raramente eccezionali. C’è quasi una sorta di innata difesa dell’autore nostrano (e non solo nostrano), come se fosse bisognoso di cura e protezione continua. Posizione legittima, si capisce, e in parte da comprendere anche perché per molto tempo nel nostro paese ha tirato un’aria fortemente esterofila. Ma ora credo che il giallo italiano sia cresciuto e sia forte abbastanza per camminare da solo. Poi, magari, la colpa è del mio metro di giudizio troppo stitico e allora tutto quello che ho detto va a puttana. Pardon a escort (effetto Jonathan).

Si arriva perfino al grottesco, con il lettore (l’autore stesso mascherato?) a sostenere ragionamenti assurdi. Il linguaggio è carente ma rende meglio il contenuto, cioè ”che paradossalmente questo stile decisamente dilettantistico conferisce ancora più realismo ai personaggi investigatori altrettanto dilettanti e improvvisati”. Come a dire che la brutta scrittura si adegua ai brutti personaggi. Quando si dice una ferrea logica…

A volte qualcuno mette pure in dubbio che i libri vengano letti come il nostro Stefano Di Marino il quale, intervistato su Liberidiscrivere, sottolinea a proposito delle recensioni dei suoi lavori, ”Ricordo con piacere quelle in cui ho capito che il recensore aveva letto il romanzo… Sic transit gloria mundi…preferisco le lettere dei lettori”. Non c’è più religione.

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Vive le roman policier! – Metacritica di “The Third Bullet” di John Dickson Carr

luglio 23rd, 2010

Oggi Vi proponiamo un nuovo interessante saggio di Pietro De Palma. Buona lettura!

949-1.jpgAnni fa, Roland Lecourbe, noto critico di letteratura poliziesca, pensò di creare una guida ideale alla Letteratura delle Camere Chiuse, invitando una serie di conoscitori del genere, quelli che a lui risultavano essere al momento i massimi: tra essi, innanzitutto Robert Adey, estensore di una celeberrima bibliografia sul genere, “Locked Room Murders and Other Impossible Crimes: A Comprehensive Bibliography” e insieme a Jack Adrian co-autore di una antologia di straordinarie camere chiuse (racconti) pubblicata in Italia da Garden Editoriale, “The Art of the impossibile”. Assieme a Robert Adey, furono invitati : 3 esperti belgi (M.Soupart, Philippe Fooz, V. Bourgeois), uno studente che aveva scritto una tesi sulla Letteratura delle Camere Chiuse (Roman Brian), 2 traduttori dei romanzi di Paul Halter (J.Pugmire e I. Longo), il coeditore del Mystery Scene Magazine (Brian Skupin). Tutti quanti, assieme allo stesso Lecourbe, avrebbero dovuto stilare una lista di Camere Chiuse, che fossero il meglio del genere, un po’ una sorta di revival ampliato di quell’altro incontro, patrocinato da Edward D. Hoch[i] nel lontano 1981, e cui avevano partecipato grandi nomi della letteratura e della critica poliziesca (diciassette per l’esattezza[ii]), a corollario dell’introduzione dell’antologia da lui curata “All But Impossibile”: se dall’incontro promosso da Edward D. Hoch era stata prodotta una lista comprendente 14 romanzi, dall’incontro patrocinato e organizzato da Lecourbe, ben 99 Camere Chiuse furono elencate, come i migliori esempi del genere. Questa lista ampliava quella essenziale, stilata sedici anni prima, includendo opere anche di autori di lingua francofona, prima d’allora non esaminati. I risultati furono acclusi in appendice all’antologia, pubblicata nell’aprile 2007, dal titolo “Mystères à Huis Clos”. Notiamo che tra gli esperti dell’incontro francese figurava il consulente editoriale del Giallo Mondadori, Igor Longo, traduttore di molti degli Halter, dei tre Steeman più recenti, e degli Abbot pubblicati in Italia da Mondadori, anni fa.Tra i molti autori che prima non erano stati inclusi, troviamo ovviamente i francesi (Noel Vindry, Marcel Lanteaume, Stanislas Andrè Steeman, Gaston Boca, Pierre Boileau anche in associazione con Thomas Narcejac, Pierre Siniac, Paul Halter, Jean Alessandrini, Herbert & Wyl, etc..), ma anche parecchi autori di lingua inglese (A. Abbot, A.Boucher, C.Brand, I.Asimov, Leo Bruce, F.Brown, E.Crispin, Freeman Wills Crofts, etc..).La cosa che ci interessa sottolineare è che non vennero prese in esame, perché novelle, 2 opere famose: “The Big Bow Mystery” di Israel Zangwill e “The Third Bullet” di J.D.Carr.Opera famosa “The Third Bullet” ? Da noi, possiamo dire che sia quasi sconosciuta, o almeno non conosciuta come le grandi Camere degli anni ’30: The White Priors Murders, The Judas Window, The Three Coffins, ma, nel novero delle opere di Carr, è una delle più interessanti, e vedremo perché.Innanzitutto è da dire che di questo racconto esistono due versioni: la prima, pubblicata a nome Carter Dickson, nel 1937,  piuttosto lunga (l’edizione è di circa 128 pagine); ed una più corta, pubblicata prima nell’EQMM del gennaio 1948 e poi nell’antologia, “The Third Bullet and Other Stories”, nel 1954, a firma John Dickson Carr, assieme ai racconti”The Clue of the Red Wig”, “The House in Goblin Wood” (Sir Henry Merrivale), “The Wrong Problem” (Dr. Fell), “The Proverbial Murder” (Dr. Fell), “The Locked Room” (Dr. Fell), and “The Gentleman from Paris.” Il racconto nella versione originale è stato  ripubblicato nella raccolta del 1991, “Fell and Foul Play”. In Italia la versione del 1937, secondo alcune fonti (Il Dizionario Bibliografico del Giallo, il Pirani per intenderci ) pare esser stata pubblicata da Mondadori quasi quarant’anni fa (“Ellery Queen presenta”: Inverno Giallo 1972, The Third Bullet, Il terzo proiettile, traduz. Hilia Brinis) e tre anni fa da Polillo, nella collana I Bassotti, all’interno della raccolta “I Delitti della Camera Chiusa”, con la traduz. di Giovanni Viganò: noi faremo riferimento a quest’ultima, perché la prima non è molto facile a reperirsi. In realtà alcune ipotesi ci porterebbero a ritenere che non si sia tradotta la versione originale, ma quella accorciata, prima fra tutte il fatto che sia la traduzione di Hilia Brinis che quella di Giovanni Viganò fanno riferimento come autore, non a Carter Dickson, bensì a John Dickson Carr[iii]La versione accorciata si spiega col fatto che, per essere compresa nella pubblicazione “Ellery Queen Mystery Magazine”, il racconto  non poteva mantenere intatta la sua lunghezza ( era un romanzo breve) e a questo provvide Frederick Dannay (uno dei due cugini autori di Ellery Queen) col consenso di Carr stesso, come è spiegato nella bibliografia su Carr a firma di Douglas G. Greene[iv].The Third Bullet è una grande Camera Chiusa, costruita seguendo puntigliosamente le 20 regole per la costruzione del poliziesco, di S.S. Van Dine: un giudice viene ucciso in un padiglione. Fin qui nulla di strano: le cose cominciano a complicarsi allorché si riscontra che il probabile assassino non ha ucciso il giudice e oltre alla sua nella stessa camera, nell’attimo in cui lui ha sparato, altre due armi hanno fatto fuoco, di cui una ad aria compressa; solo che di una che viene trovata, non viene trovato il proiettile mentre dell’altra, vien trovato il proiettile ma non l’arma. In altre parole una doppia volatilizzazione, oltre quella ancor più sconcertante degli sparatori, in quanto nel momento in cui l’indiziato, poi arrestato ha fatto fuoco, mancando il giudice, nessuno ha visto altre persone: infatti casualmente sul luogo della sparatoria c’erano dei poliziotti: uno ha avuto sotto controllo l’uscita del padiglione interna (nel corridoio) e da lì nessuno è scappato, la finestra centrale è stata attraversata da un altro, e quelle del lato ovest sono così arrugginite e incrostate che neanche Ercole sarebbe capace di aprirle. Eppure lì vengono trovate delle impronte come se qualcuno fosse uscito da lì,  mentre il proiettile, che prima non si trovava, si trova infisso nel tronco di un albero non essendo però in linea retta rispetto al punto dove si suppone sia stato fatto fuoco, ma alla fine di una traiettoria curvilinea: vi ricordate la teoria del proiettile vagante fatta per spiegare che ad uccidere Kennedy fosse bastato solo Lee Oswald? Ecco..così. Insomma un fuoco pirotecnico di enigmi e di situazioni impossibili.Il lungo racconto tuttavia è interessante secondo me anche per altri motivi, che a prima vista sembrerebbero essere di assai relativa importanza. Leggi tutto »

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La sequenza mirabile

luglio 8th, 2010

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Cari lettori del Giallo Mondadori, è con grande piacere che Vi segnalo l’uscita del nuovo romanzo di Giulio Leoni.

“La sequenza mirabile” è già disponibile presso tutte le librerie nella collana “Mondadori Bestsellers”.

A Giulio Leoni, grande amico e appasionato del “Giallo” auguriamo il consueto successo.

La trama tratta dal sito ufficiale dell’autore (www.giulioleoni.it)

Sono una strana coppia di personaggi, Ermete Cimbro, a metà strada tra il Genio e il puro pazzo sconclusionato, e sua figlia Amaranta, dal fascino enigmatico, sensuale ed eterea insieme.
Si presentano un giorno alla porta di uno scrittore di gialli con il loro curioso segreto: negli anni Venti un diabolico quanto misconosciuto genio matematico, Gerolamo Martini, avrebbe messo a punto nientemeno che un sistema per debellare la roulette e vincere così somme favolose giocando nei casinò: la Sequenza Mirabile.
Sfacciatamente decisi a trarne cospicui guadagni, i due chiedono il suo aiuto per rintracciare la formula perduta. Nonostante lo scetticismo iniziale, l’uomo si lascia intrigare dall’intera faccenda, finendo così invischiato in una frenetica caccia al tesoro attraverso i decenni che, tra finti nani acrobati e misteriosi frati, cospiratori, alchimisti e assassini, arriva fino a D’Annunzio e all’impresa di Fiume.
Non immaginano, gli incauti, che non è il numero, ma il Male a governare il ritmo della Sequenza Mirabile…

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Qualche nota sull’autore:

Giulio Leoni è nato a Roma, dove risiede. Laureato in Lettere, è un appassionato di storia della magia e dell’illusionismo, ed è membro dell’American Society of Magicians e dell’International Brotherhood of Magicians, oltre che del Club Magico Italiano. Nel 2000 ha esordito nella narrativa vincendo il Premio Tedeschi con il romanzo Dante Alighieri e i delitti della medusa. Ha pubblicato per Mondadori I delitti del mosaico (2004), I delitti della luce (2005) e per i ragazzi La compagnia dei serpenti. Il deserto degli spettri (2006), vincitore della targa della Presidenza del Senato della Repubblica al premio Lunigiana – Cinque Terre “Narrativa per Ragazzi”.

Infine, Vi segnalo il blog personale dell’autore:

www.giulioleoni.blogspot.com

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Posizione di tiro – Giugno 2010 – Gianfranco De Turris

giugno 16th, 2010

Cari lettori del Giallo, anche questo mese torna “Posizione di tiro”, il nostro consueto appuntamento con i protagonisti della letteratura poliziesca. Questo mese abbiamo il piacere di avere con noi Gianfranco De Turris ,curatore dell’antologia attualmente in edicola “Sul filo del rasoio”.

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Nessuno meglio di Lui può raccontarci l’itinerario, il dietro le quinte e qualche curiosità su questa, incredibile antologia, che segna un ulteriore “punto di svolta” nell’ambito della new wave del thriller italiano.

Here we go:

DG: Come e quando nasce l’idea di costruire questa antologia e con che criterio ha individuato gli autori?

GDT: L’idea ha due fonti: la prima è che sono sempre stato un appassionato del giallo classico (alla Sherlock Holmes e alla Giudice Dee, per intenderci) e negli anni Settanta pubblicai nella collana “Futuro” dell’editore Renato Fanucci il libro di Algernon Blackwood, John Silence, investigatore dell’occulto in cui lo scrittore inglese, che ne sapeva parecchio di magia ed esoterismo, aveva applicato appunto i sistemi investigativi di Sherlock Holmes al suo John Silence ma sul piano – appunto – dell’occulto. Quindi la passione per la mescolanza di poliziesco e di fantastico ha una lontana origine, che ho personalmente concretizzato in seguito, prima con un numero speciale del fanzine Diesel nel 1994, poi con l’antologia Investigatori dell’ignoto, edita da Alacràn nel 2002 e poi ampliata nel 2008, in cui misi alla prova, credo con eccellenti risultati, scrittori italiani su questa specifica commistione in un ambiente italiano.

Seconda fonte: tempo fa ho avuto l’occasione di assistere alla presentazione di alcuni libri durante la quale un amico scrittore e curatore specialista in storie poliziesche e d’avventura polemizzò in modo graffiante con gli stereotipi imperanti nel giallo provinciale italiano e che riassunse nella definizione di “Commissario Cliché”. La cosa mi divertì e mi intrigò. Mi chiesi allora perché, dopo aver sollecitato vari amici ad affrontare il giallo fantastico, non potevo fare altrettanto con il giallo fantascientifico. Per far questo non era ovviamente necessaria una iper-specializzazione nel giallo tout court appunto perché non di esso si tratta, ma di un mix che si deve giudicare nel suo complesso. L’idea è stata accettata anche con entusiasmo dagli autori e Sul filo del rasoio era pronto già all’inizio del 2009. Sergio Altieri, che mi aveva incoraggiato a portare avanti l’idea, ha deciso poi di pubblicarla come supplemento dei Gialli e non di Urania. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo: se non ci fosse stato lui questo libro non sarebbe mai uscito.

DG: Si trova d’accordo nel definire questo genere “Cyber-noir?”. Pensa che sia improprio accostarlo all’ambito del connettivismo?

GDT: La definizione non mi piace troppo. Nella introduzione all’antologia ho detto esplicitamente, infatti, che non uso di proposito il termine noir che è nato in Francia con una specifica intenzione e che adesso si applica ai testi più disparati, al punto da non significare granché. Da parte sua cyber mi ricorda troppo cyperpunk, definizione coniata da un critico all’inizio degli anni Ottanta per le opere di Sterling, Gibson & C. Se ne è voluto fare, soprattutto in Italia, un movimento non solo letterario ma anche politico-ideologico e i suoi stessi scrittori simbolo ora non lo riconoscono più. Quindi cybernoir non mi piace. Quanto alla corrente italiana del “connettivismo” non mi pare che i racconti di questa antologia vi abbiano a che fare, dato che anche qui gli autori che si dicono “connettivisti”, indipendentemente dai loro risultati, mirano ad un movimento non solo letterario ma quasi filosofico. Certo nel giallo fantascientifico c’è la fusione di due generi che potrebbe ricordare il nexialism vanvogtiano da cui emerge una loro fusione, ma siamo sempre e solo a livello letterario e non “ideologico”.

Se proprio si vuole porre un’etichetta a questo tipo di storie allora perché non il più semplice fantathriller? Esiste già il tecnothrller con cui sono stati definiti, se non sbaglio, certi romanzi del nostro Altieri. Le etichette però valgono per quel che valgono, spesso sono artificiali e artificiose, al massimo servono per comodità.

DG:Pensa che questo genere possa ritagliarsi una finestra importante    nel panorama del thriller italiano (seguendo il trend del mercato americano) o è destinato a rimanere una corrente “crepuscolare”?

GDT: Mah, tutto dipende dal cosiddetto “mercato” che è circolare: se in Italia l’argomento va perché piace ai lettori, anche sull’onda delle traduzioni americane, i curatori e i direttori di collane ne chiederanno anche agli scrittori italiani. I quali, se scriveranno testi interessanti per linguaggio e idee si faranno comprare e leggere. E così via. Ovvero: se curatori e direttori editoriali crederanno a questo sottogenere chiederanno ai loro autori che vi si impegnino, e se le opere saranno interessanti saranno lette e richieste. E’ già successo che certi generi siano stati “imposti” dall’alto per preveggenze editoriali, ed altri uccisi nella culla per incomprensioni editoriali. Se uno dei passaggi fa cilecca l’impalcatura crolla. Ma, come al solito – è già avvenuto in passato – la sovrabbondanza di romanzi pubblicati solo per seguire una “moda” senza molto guardare la qualità producono l’effetto contrario: la disaffezione del pubblico. Che è molto esigente e oggi, per la nota crisi, compra di meno scegliendo tra le molte offerte.
Che questa antologia possa costituire l’indicazione per una nuova direzione del thriller italiano sarebbe per me “fantascientista” una sorpresa e mi farebbe piacere, ma preferisco che resti in una zona “crepuscolare” ma con testi buoni, che non diventi alla “moda” con testi mediocri, scritti solo perché c’è una “moda”.

DG: Giallo e Fantascienza sono spesso stati “compagni di viaggio” nel corso della storia della letteratura; quali attinenze secondo Lei legano questi due generi all’apparenza così dissimili?

GDT: Una volta non ricordo chi scrisse che la fantascienza assommava in sé tutti gli altri generi e tipologie letterari: le storie d’avventura, d’amore, il dramma sociale, la speculazione filosofica, l’introspezione psicologica, l’orrore, la fantasia più bizzarra, le estrapolazioni della scienza, le visioni sociologiche, politiche, utopiche. Quindi perché non anche il giallo, cioè l’indagine poliziesca in un futuro più o meno vicino? Charles Eric Maine, Eric Frank Russell, Philip Dick e soprattutto Isaac Asimov ci hanno provato con ottimi risultati. La conclusione è quindi che la fantascienza può anche comprendere il giallo senza problemi. Che due generi “popolari”, “di massa”, come si diceva una volta, si fondano, come ho anche detto prima, non deve sembrare una novità, però alla fine sono i risultati quelli che contano.

DG: Senza voler fare delle classifiche, dei racconti presenti all’interno dell’antologia, quali sono a Suo parere, rispettivamente: Il manifesto della raccolta, la sorpresa, il racconto più cinematografico e la storia dove i due generi meglio si assortiscono?

GDT: Domanda oltremodo imbarazzante! Non tanto perché rischio di farmi dei nemici, ci mancherebbe!, ma perché ritengo tutti i racconti di una buona a in alcuni casi eccellente qualità, non fosse altro perché li ho scelti io, magari dopodiverse riscritture…. Però la domanda individua delle specificità, e potrei forse dire che la sorpresa è Il ritorno di Iside di Pietrangelo Buttafuoco,giornalista e scrittore mainstream  di successo che si è cimentato per la prima voltain questa mescolanza di “generi” con un risultato eccellente dal punto di vista linguistico e straniante dal punto di vista contenutistico, dato che oltre alla fantascienza e al giallo c’è anche una preponderante componente mitica. Per il racconto più cinematografico ne segnalo due: Il Grande Sceneggiatore di Andrea Carlo Cappi, autore versatile ma non tanto in fantascienza che ha scritto una storia, come gli ho detto, che merita di essere trasformata in romanzo e che ha tutti gli ingredienti per un film spettacolare. Ma anche, intendendo questo aggettivo come struttura della narrazione, Maschere di Antonio Tentori, che, proprio perché l’autore è uno sceneggiatore di film polizieschi e horror, è pensata quasi come fosse un soggetto cinematografico. Il racconto in cui meglio si mescolano i due generi? Forse Il metodo Bulard di Lombardi e Necropolis di Passaro che, pur brevi, immaginano allo stesso tempo nuovi crimini e nuove pene, senza far torto a parecchi altri che pure meriterebbero di essere citati. Infine, non è il caso di indicare un racconto manifesto, troppo difficile: diciamo allora che Sul filo del rasoio è una antologia manifesto. Ma di che? Sinceramente non avevo intenzione di proporre un sottogenere perché esso, in quanto tale, non è una completa novità; piuttosto di lanciare una provocazione in positivo: il poliziesco italiano può percorrere proficuamente anche la strada del futuribile che, a sua volta, come si può leggere, ha innumerevoli varianti, anche la storia alternativa.

Grazie per la Sua disponibilità, alla prossima e..continui a seguirci.

Note biografiche: 

Gianfranco de Turris (Roma, 1944), giornalista e scrittore, ha esordito nel 1961 con articoli e poi racconti di fantascienza, spesso insieme a Sebastiano Fusco, sulla rivista romana Oltre il Cielo. Con lui ha curato per dieci anni (1972-1981) le collane dell’editore Renato Fanucci che hanno lasciato una traccia critica nella editoria italiana di science fiction. Ha scritto su giornali, riviste, enciclopedie, cataloghi. E’ stato per 26 anni a RadioRai occupandosi soprattutto di cultura e realizzando il programma settimanale L’Argonauta per cui ha ottenuto il Premio Saint-Vincent 2004. Ha curato l’edizione italiana di tre o quattrocento volumi (almeno crede, perché non li ha mai contati tutti). Ha ideato sin dal 1981 innumerevoli antologie di fantasia e fantascienza italiana a tema: tra le ultime Se l’Italia (Vallecchi, 2006), Il mondo di Lovecraft (Alacràn, 2007), Investigatori dell’occulto (Alacràn, 2008), Nel nome di Lovecraft (Bottero, 2008), Da Arkham alle stelle (Bottero, 2008), Sul filo del rasoio (Mondadori, 2010). E’ stato fra coloro che hanno fatto conoscere o riscoprire in Italia Tolkien e Lovecraft, la protofantascienza italiana e la storia alternativa o ucronia. Ha pubblicato, anche con pseudonimo, sedici volumi e volumetti tra narrativa e saggistica, sia di politica culturale sia di letteratura dell’ Immaginario: tra gli ultimi: Il drago in bottiglia (Ibiskos, 2007) e Cronache del fantastico (Coniglio, 2009). Insieme a Sebastiano Fusco cura a partire dal giugno 2010 la collana “Ai confini dell’Immaginario” dell’Editore Coniglio dedicata ai classici di science fiction, fantasy, horror che si inaugura col ciclo di Solomon Kane di Howard (il film esce in Italia a luglio) e Schiavi degli invisibili di Russell.     

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Un “born writer”: Rufus King. Invenzioni, stile e rapporti con la letteratura di genere coeva

maggio 26th, 2010

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di Pietro De Palma

Rufus King (1893-1966) fu un romanziere molto attivo dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’50 inizio ’60, pur facendo tutto sommato vita ritirata: in vita, nulla di lui si sapeva molto, all’infuori del fatto che vivesse “nella parte rurale dello Stato di New York, che fosse single, e che ogni anno avesse problemi a causa della neve”[1], tant’è vero che si “fece una villa” a Miami; del resto proprio a Miami ambientò alcune delle sue storie.

Altra cosa che si sa è che avesse studiato a Yale[2], che nel 1916 si laureò e che si arruolò proprio in quell’anno per la Grande  Guerra e che dopo di essa lavorò per del tempo come operatore radio sulle navi

Oggi è molto poco conosciuto e i suoi romanzi vengono di rado pubblicati, ma al tempo fu molto noto: era un fine esponente di quella scuola di scrittori americani (anche J.D.Carr, Mignon Eberhart) che non volevano rinunciare alla scuola di giallo all’inglese, in favore invece della “scuola dei duri”, nata in ambiente americano.

In Italia è stato un autore, pubblicato parecchio negli anni ’30 – ’40 e ’50, e meno dopo: infatti, parecchi dei romanzi pubblicati soprattutto da Mondadori, risalgono a questi anni. Solo in pochissimi casi, altre case editrici si son cimentate in romanzi di Rufus King : tra queste, la Casa Editrice Martello con I Gialli del Veliero : “Il colombo della morte” (The Deadly Dove, 1945); la Italedit di Cremona che pubblicò “Intervallo Tragico”: questa pubblicazione, ricavabile tramite ricerca OPAC, è disponibile solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, ma non si ricava da alcun indizio, il suo titolo d’origine[3]; e i Gialli del Secolo di Gherardo Casini Editore.

I rapporti tra il mondo dell’editoria italiana e Rufus King, possono essere inquadrati dal carteggio assai interessante  tra un famoso traduttore degli anni trenta, Mario Benzing, e la casa Editrice Bemporad[4] .

Mario Benzing, fine traduttore, di origine tedesca, di moltissime opere di narrativa straniera in Italia, che aveva già intrattenuto rapporti con la Bemporad per altri romanzi, il 9 maggio 1933, scriveva:

“..Mi permetto d’informarvi che ho ottenuto l’esclusività per la traduzione delle opere  di Rufus King, giovane scrittore americano veramente eccezionale […]. Non soltanto incuriosisce, come Wallace e Van Dine, ma anche interessa: i suoi personaggi sono vivi, studiati, e i suoi casi anche psicologici, profondamente umani. Tutti casi circoscritti, a campo chiuso: uno yacht, una famiglia, una casa; e sono i casi più efficaci del genere e insieme anche i più difficili a congegnare con rispetto al buon senso, e a sostenere senza borra per trecento pagine. Si svolgono negli ambienti dell’aristocrazia americana, che il King conosce a fondo; e li risolve il detective Valcour, della polizia di Nuova York, uno specialista di quegli ambienti, che sa cercare indizi anche nei meandri delle anime. Per la cessione dei diritti di traduzione, Rufus King chiede soltanto L. 800  per  romanzo. La serie Valcour si compone di dieci romanzi, naturalmente indipendenti”.

Faccio notare due cose: la prima è che la serie completa con personaggio principale Valcour è di undici romanzi; la seconda, ancor più interessante, riguarda la data  riportata nel carteggio: infatti,  se non è sbagliata, dovremmo dedurne che Rufus King aveva in mente già la serie o gran parte di essa oppure l’aveva già scritta e attendeva la pubblicazione di ciascun romanzo: non potremmo infatti altrimenti comprendere come il Nostro parlasse di una serie di dieci romanzi con protagonista Valcour, (per bocca di Benzing) quando a quell’anno, 1933, di romanzi con protagonista il Tenente Valcour, ne erano usciti solo sei; gli altri quattro (Benzing parla di una serie di dieci) sarebbero usciti posteriormente: The Lesser-Antilles Case, 1934 – Profile of a Murder, 1935 – The Case of the Constant God, 1936 – Crime of Violence, 1937; infine, l’undicesimo, Murder Masks Miami, sarebbe uscito nel 1939.[5]  Quello che possiamo evincere è che Benzing volesse proporre alla Bemporad quello che per lui era un affare: Rufus King chiedeva allora solo 800 lire per ognuno dei suoi romanzi (compenso deducibile in caso di forfait, come affermato in altro passo) molto noti oltre oceano: si accontentava di poco o era solo molto modesto? Fatto sta che la Bemporad rifiutò il 12 maggio la proposta: “..Non conosciamo affatto questo autore. D’altronde abbiamo già una riserva di libri di questo genere per le nostre collezioni, fra gli altri tutti i più recenti volumi del celebre autore inglese Oppenheim”.

Allora Benzing rinnovò la proposta con altre argomentazioni: cercò di forzare l’assenso della controparte facendo riferimento al fatto che delle case editrici italiane fossero interessate alla pubblicazione dei romanzi di R.King: “..la Libri X sta per pubblicare Sangue a bordo di uno yacht..”; e il 20 maggio inviò, all’editore, l’edizione americana di Murder in the Willett family, mentre  il 1° giugno fu la volta di Valcour meets murder. La Bemporad rinviò ogni decisione al futuro pur riconoscendo la validità dei romanzi proposti, ma.. non se ne fece nulla , nonostante lo stesso traduttore ricordasse che altri editori erano in contatto e trattativa con gli agenti dello scrittore. In Mondadori, “Delitto sullo yacht” (trad. di Matilde Fanno) uscì nel 1936, e “L’agguato” (tit. orig. Valcour meets murder; trad. di Cesare Giardini), nel 1937; mentre “Delitto in casa Willett” (trad. di Carla Merlo) uscirà solo nel 1975.

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Pollanet chiama: Il Giallo Mondadori risponde!

maggio 10th, 2010

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Cari lettori,

Sabato 15 Maggio, in occasione della 4a edizione dell’ “Appuntamento a mano armata” (l’unico raduno internazionale dedicato al cinema poliziesco italiano), festeggeremo gli 80 anni de “Il Giallo Mondadori”.
Per l’occasione, ripercorrerò insieme a degli amici che ho voluto invitare, la lunga storia della più prestigiosa collana editoriale specializzata in thriller/noir/mistery mai esistita nel nostro paese.
A seguire, un dibattito sulla situazione attuale del thriller italiano.

Appuntamento quindi a Sabato 15 Maggio, ore 16.00 al Terrazzamare di Jesolo.

Dario pm Geraci presenta:

Nero su Giallo: Gli 80 anni del Giallo Mondadori

A seguire:

Gangland boogie 

(a cura di Corrado Artale) con:

Stefano Di Marino
Andrea Carlo Cappi
Stefano Pigozzi
Dario pm Geraci

Per maggiori informazioni sulla manifestazione

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La detective lady secondo Fabio Lotti

aprile 29th, 2010

Buona lettura

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La detective lady nel romanzo poliziesco. Dalle vecchiette terribili alle giovani sfigate

All’inizio volevo scrivere una specie di polpettone con più di cento citazioni. Poi mi sono ricordato della famosa frase di Totò che ogni limite ha una sua pazienza ( per i lettori in questo caso) e allora il polpettone è diventato un semipolpettone. Sempre indigesto, magari, ma almeno più breve.

Mi butto sicuro sulla Introduzione del nostro beniamino Mauro Boncompagni scritta per Le signorine omicidi colpiscono ancora, Gli speciali del Giallo Mondadori 2009, per trovare conforto a qualche mia lettura. In principio erano zitelle. Ovvero “vecchiette terribili”, ovvero “eroine in pericolo”. Niente a che fare con quelle di oggi, ma non anticipiamo. Vediamone qualcuna.

Miss Silver di Patricia Wentworth è una “zitella sferruzzante” sempre china sui lavori a maglia per i vari nipoti. Ex insegnante ed istitutrice, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce, sferruzza e tossisce.  Mentre Miss Marple sorride, lei tossisce ( non so se si è capito) ma all’occorrenza sa tirare fuori un bel sorriso accattivante. Educata, educatissima, vive con le sue vestaglie ornate di pizzo, con le sue pantofole vezzeggiate di perline, tra i suoi adorabili servizi di ceramica, sempre attenta e composta. Difficile, se non impossibile, che alzi la voce, al massimo scuote la testa. Talvolta il ticchettio dei ferri segue il ritmo della conversazione e mi pare di vederla impegnata a passare dall’adagio all’andante mosso. Si concede qualche citazione e qualche massima personale (si sente che ha studiato) Vista da un personaggio “Sembra uscita da una stampa del secolo scorso”.

Altra zitella Hildegarde Withers di Stuart Palmer, alta e rinseccolita, dalla faccia cavallina che ti aspetti un nitrito da un momento all’altro. Letterariamente parlando nasce qualche anno dopo Miss Marple (siamo negli anni trenta) ma non ne sono sicuro e non ho certo voglia di scartabellare tra i miei libri. Controllate voi. Dunque Hildegarde. Intanto è americana e non inglese. E questo è assodato. Insegnante di scuola elementare, tosta, dallo scilinguagnolo sciolto e affilato. Pettegola, insomma. Proprio non ce la fa a stare zitta e vuole mettere bocca dappertutto, dando lezione anche al capo della polizia di un’isola vicino a Manhattam. Ha un amico fidato, suo corteggiatore, (c’è speranza per tutti) nell’ispettore Oscar Piper della polizia di New York che la tiene in alta considerazione (considerazione non ricambiata almeno del tutto se lei pensa che non abbia una particolare intelligenza). Con il suo modo di fare aperto e sfrontato (sempre nei limiti) riesce a carpire i segreti altrui con la sua faccia da cavalla mattonata. Ama disegnare e camminare, vedere, osservare, esplorare. Certo non è una “signorina” sedentaria adatta all’uncinetto come Miss Silver. Per concludere una “vecchia gallina spennacchiata” che mette il naso dappertutto e che risolve i misteri criminosi del suo tempo.

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Pulp corner – Aprile 2010 – Jonathan Latimer

aprile 22nd, 2010

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di Dario pm Geraci

Tutto si potrebbe dire della vita di Jonathan Latimer fuorchè tacciarla di monotonia. Latimer arriva al mondo della letteratura (poliziesca precisamente) dopo anni di cronaca, giornalismo investigativo e correzione di bozze. Scrive discorsi politici, frequenta sporadicamente “The boss”, Al Capone, l’uomo che solo Dillinger riuscì ad eguagliare nell’impresa di ridicolizzare politica e forze dell’ordine statunitensi, Latimer insomma arriva sul foglio bianco “zeppo” di fatti e fattacci da raccontare, la differenza con molti altri suoi colleghi cronisti è semplice: lui SA farlo.
Non solo. Ci prende gusto, scrive dei gioielli di incontrastata bellezza, confeziona storie al cardiopalma nella più pura tradizione hard-boiled. Del pulp-writer veste meravigliosamente i panni, variando all’interno del proprio bagaglio stilistico registro e armonia senza mai abbandonare la strada maestra, una “Long ad winding road” per dirla alla McCartney che descrive impietosamente e ferocemente l’altra America, quella lontana da Las Vegas, lontana da Broadway e dalle luci di Hollywood. Quel paese sporco e pieno di “cattivi” che farà da scenario per i “western metropolitani” di molti autori suoi contemporanei ed epigoni. Latimer, i cui romanzi sono stati regolarmente pubblicati in Italia, accantona nell’ultima fase della sua veriegata carriera l’attività di romanziere per dedicarsi a quella di soggetista e sceneggiatore per diverse produzioni televisive. Tra i suoi lavori ricordiamo con particolare attenzione la collaborazione al serial “Perry Mason” e la stesura dell’episodio “Il terzo proiettile” per la serie “Il Tenente Colombo”.

Vi segnalo due ottimi articoli su Latimer disponibili in rete:

Il primo di John Fraser reperibile sull’ottimo “Misteryfile”

Il secondo di Luca Conti direttamente dal suo sito personale “Last of the independents”

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Hardcover in libreria/2

marzo 19th, 2010

James is back. Torna in libreria uno dei maestri del Noir.

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Leggi il primo capitolo de “Il sangue è randagio! in esclusiva!

Estate del ’68. Dopo gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy, gli Stati Uniti sembrano sul punto di esplodere. Disordini, speculazioni politiche e teorie del complotto scuotono dalle fondamenta la stabilità sociale. Una squadra di sabotatori si prepara a creare disordini durante la convention del partito democratico a Chicago. Le organizzazioni di militanti afroamericani sono sul piede di guerra nel southside di Los Angeles. J. Edgar Hoover, capo dell’FBI, prepara drastiche contromisure. E il destino ha piazzato tre uomini in un punto nevralgico della Storia.
Dwight Holly, laureato a Yale, è l’uomo di fiducia di Hoover, incaricato di fomentare contrasti fra i gruppi del potere nero e ossessionato dalla figura di una comunista ebrea di nome Joan Rosen Klein. Wayne Tedrow, ex poliziotto e trafficante occasionale di droghe, lavora per il miliardario Howard Hawks alla costruzione di una rete di case da gioco nella Repubblica Dominicana. Il giovane Don Crutchfield, guardone e investigatore privato di mezza tacca, coinvolto in cose più grandi di lui.
È un destino crudele e inesorabile a intrecciare le loro vite, trascinate in un vortice troppo violento per poter resistere. Con al centro un unico fulcro attorno a cui tutto ruota: Joan Rosen Klein, la Dea Rossa, autentica femme fatale.
Ellroy attraversa un quadriennio infuocato della storia americana mescolando la crudezza di eventi realmente accaduti alle vicende di personaggi le cui esistenze minime sono la sintesi di un’epoca di corruzione e malaffare. In una progressione da tragedia greca, nessuno scampa a questa dimensione catastrofica: non i militanti radicali, tossici e corrotti, non le loro controparti inviate dal potere, un branco di assassini pervertiti e psicotici accecati dal delirio di onnipotenza.
Terza tappa di un viaggio cominciato con American Tabloid e proseguito con Sei pezzi da mille, Il sangue è randagio è un noir di rara profondità, spaventoso e magnetico, l’aspro ritratto di un mondo che ha perduto le linee di confine tra bene e male, giusto e ingiusto, dove nessuno può reclamare redenzione né tantomeno resurrezione.

James Ellroy è nato nel 1948 a Los Angeles. La sua infanzia è stata segnata prematuramente dall’omicidio della madre. Dopo un’adolescenza difficile e inquieta che gli ha fatto conoscere la prigione, ha iniziato a scrivere quelli che ora sono bestseller in tutto il mondo: Dalia Nera, Il Grande Nulla, L.A. Confidential, White Jazz, American Tabloid, Sei pezzi da mille e la sua autobiografia I miei luoghi oscuri.

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Hardcover in libreria/1

marzo 19th, 2010

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 Splendida edizione con copertina “vintage” per questo capolavoro di Joe Gores

Quando Sam Spade viene coinvolto nel caso del falcone maltese sappiamo cosa aspettarci: corruzione, donne astute e manipolatrici, un groviglio di conflitti irrisolti. Sappiamo che il suo ultimo socio, Archer, era un figlio di puttana; che Spade ha avuto una relazione con sua moglie Iva; che Effie Perine, la sua segretaria, è l’unica figura innocente della sua vita. Ciò che non sappiamo è come Spade sia diventato quello che è. Ora Spade & Archer completa il quadro.
1921. Dopo aver lasciato la Continental, Spade avvia una sua agenzia di investigazioni a San Francisco, e ben presto i clienti bussano alla sua porta. I sette anni successivi lo vedono alle prese con delinquenti da fronte del porto, persone scomparse, morti misteriose, frodi bancarie e contrabbandieri d’oro. Eventi che, in qualche caso, nascondono collegamenti inquietanti. Spade sceglie Miles Archer come suo socio, nonostante gli abbia rubato la ragazza e l’abbia sposata mentre lui era al fronte durante la Prima guerra mondiale. Si ritroverà legato a un delinquente che non ha mai rinunciato a fargliela pagare per aver mandato a monte quello che sarebbe stato il colpo perfetto. E si innamorerà, anche se le cose non andranno per il meglio.
In questo memorabile prequel del Falcone maltese, Joe Gores proietta il lettore nell’atmosfera brumosa e sinistra della San Francisco ai tempi del proibizionismo, delle prime dure lotte sindacali, funestata da gangster incalliti e senza pietà. Spade & Archer è un romanzo che ripropone intatto nella sua ricchezza espressiva un personaggio come Sam Spade – cinico, carismatico, ruvido e coraggioso -, perennemente in bilico sul sottile confine che separa il buio dalla luce, emblema dell’America violenta e amara del disagio urbano; un classico di quello stile hard-boiled di cui Dashiell Hammett è uno dei massimi rappresentanti.

Joe Gores (1931), ex investigatore privato, è autore di altri sedici romanzi, tra cui Hammett, con cui ha vinto il Japan’s Falcon Award. È anche l’unico ad aver vinto tre Edgar Award in tre diverse categorie: il romanzo, il racconto e la commedia televisiva.

Ricordo che Joe Gores è stato pubblicato recentemente all’interno della collana “Segretissimo”.

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