La semplicissima arte del delitto III

agosto 5th, 2010 by Moderatore

Tra corna, canini in fuori, bambini violentati, mallopponi scandinavi, il caldo boia, il freddo bestia, la pioggia pallosa…

 

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Come dice il proverbio non c’è due senza tre. Un po’ come quei film di successo che al primo ne seguono almeno un paio. Di solito più brutti del precedente. Qui non siamo partiti neppure dal successo e dunque sapete cosa vi aspetta.

Non so se riuscirò ad essere pungente come nel passato. Devo dire la verità. Jonathan, nipotino di poco più di un anno, mi ha chiaramente rimbecillito e dunque ammorbidito. Lo dovreste vedere quando lo porto per i prati a prendere i fiori con le sue manine grassocce, o quando osserva attento e curioso le lunghe litanie di formiche che se ne vanno in qua e là. Ha cominciato da poco a camminare barcollando che sembra cada da un momento all’altro come la torre di Pisa, ma lui continua imperterrito. Se cade davvero una lieve smorfia, un accenno di pianto e poi via a caracollare di nuovo sulle gambe robuste, a battere le mani, a sputacchiare e sbrodolare una lingua tutta sua ancora incomprensibile…

Per essere corretto dico subito che riprendo  e rinforzo anche qualche pezzo scritto per “Corpi freddi” (http://corpifreddi.blogspot.com/)  e “Sugarpulp” (http://www.sugarpulp.it/)  con un caldo invito a frequentarli. Vi ci troverete bene. Un saluto a Enzone e Giacomo, i responsabili dei blog.

Incominciamo. La marea gialla continua. Perfino nei titoli dei quotidiani: “Il mondo è un giallo”, “Il realismo si è tinto di noir”. Per qualcuno, vedi Nicola Villa, solo quella straniera che l’italiana non esiste proprio. Suo  l’articolo, appunto, “Il giallo italiano non esiste” pescato nell’”Angolo nero” della nostra brava Alessandra Buccheri (andate a darci un’occhiata). Villa non la fa tanto lunga, riprendendo un concetto di una certa “giò” che su aNobii aveva lamentato l’inconsistenza e dunque l’inesistenza del giallo italiano sempre ripetitivo e sempre uguale a se stesso. Con i soliti personaggi e le solite trame.

Nel senso, come ho già scritto proprio su questo blog, che non c’è città o sperduto paesino di campagna che non abbia il suo bel commissario o la sua bella commissaria tanto che, prima o poi, mi prefiguravo anche quello di quartiere che venisse ad arrestarmi “per avere ucciso con un colpo ben assestato di ciabatta il ragnetto che pendeva schifosetto nel mio piccolo studio”. Tutti scrivono romanzi polizieschi. Dai più infimi ai più noti e dunque il giallo italiano è ben vivo e vegeto e non c’è bisogno di scomodare Augusto De Angelis quando, negli anni Trenta, si mise in testa di realizzarlo “Io ho voluto e voglio fare un romanzo poliziesco italiano”. Ci riuscì, eccome. Ed ecco le conseguenze…

Aumenta tutto. Aumentano i blog e i siti dedicati alla letteratura poliziesca (positivo); aumentano i concorsi (trovato pure un GialloBirra, niente male in estate) e i premi che te li offrono al bar (appunto) e te li tirano dietro anche ai semafori (occhio a non prenderli in testa se vi sporgete dal finestrino); aumentano le sigle con l’ultima nata post noir o post-noir o postnoir (mettetevi d’accordo!) dal connubio Montanari-Varesani (se non ricordo male) a volte se ne sentisse la mancanza; aumentando gli scrittori e gli pseudoscrittori  (soprattutto questi) aumentano, di conseguenza, le antologie piene zeppe di nomi conosciuti e sconosciuti dove è più facile rispondere alla domanda che si fa sempre più consistente rispetto all’offerta. Dieci? Quindici? Macché, facciamo pure una trentina e il gioco è fatto. Non ce l’ho con le antologie, via, si fa per dire, e pure il sottoscritto ne ha curata una con questi numeri. E farà parte, come autore, di Riso nero, una raccolta di racconti brevi giallo-comici della Delos Books. Dunque figuriamoci se voglio fare lo spiritosetto. E’ che trovare lavoro a tutti non è mica facile. Anche se la sopra citata casa editrice si è data da fare, invitando 365 (trecentosessantacinque!) facitor di parole a scrivere un breve racconto relativo all’erotismo, al sesso e all’eros in tutte le sue sfaccettature. Titolo dell’antologia Racconti erotici per un anno. Tiè! Se un racconto al giorno leva il medico di torno, come sentenzia il nuovo proverbio, l’antologia andrà a ruba.

Però qualche merito a questo boom del giallo va dato, oltre alla sua bellezza intrinseca. Pensiamo un po’ alla geografia, tra l’altro vero tallone di Achille durante il mio excursus scolastico tutto preso come ero dalla storia. Quanti luoghi particolari del nostro paese abbiamo ultimamente conosciuto attraverso il romanzo poliziesco! E a quante altre civiltà ben lontane da noi ci siamo accostati senza l’assillo dello studio! Ricordo le più recenti avventure di Vish Puri nell’India, di Darko Dawson nel Ghana, di Peter Decker nel quartiere ebraico di Los Angeles…Un incontro etnico- culturale- geografico di tutto rispetto. Non parlo, poi, della storia che non finirei più. Solo su Siena sono sbocciati all’improvviso diversi lavori ambientati soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento (non tutti impeccabili, ma insomma…). Può costituire addirittura un efficace antidepressivo secondo una mia modesta, ma non certo velleitaria, interpretazione psicologica (http://www.milanonera.com/?p=2251 ).

Aumentano le recensioni iperboliche. Un po’ me le cerco come succedeva da ragazzo quando ritornavo a casa con qualche livido addosso e subito me ne compariva qualcun altro di stampo familiare. In fin dei conti che cosa me ne importa. Eppure sono fatto così. Vedo qualcosa che non mi torna. Dico la mia, magari in maniera troppo forte, mi becco una reprimenda, mi dispiace, giuro di non incasinarmi più, passa un po’ di tempo e siamo punto e a capo. Nei cromosomi, come si suole dire. Per interesse naturale e interesse pratico giro quasi tutti i giorni fra molti blog (tengo una rubrica a proposito su Thriller Magazine) e leggo una marea di recensioni. Un tripudio di bravi, bene, bis, una sfilza di ottimo ed eccellente da far venire il capogiro, frutto magari istintivo ( speriamo) di simpatie ed amicizie. Elogi sperticati di lavori che, a mio parere, possono ritenersi accettabili e niente di più, talvolta pure buoni, raramente eccezionali. C’è quasi una sorta di innata difesa dell’autore nostrano (e non solo nostrano), come se fosse bisognoso di cura e protezione continua. Posizione legittima, si capisce, e in parte da comprendere anche perché per molto tempo nel nostro paese ha tirato un’aria fortemente esterofila. Ma ora credo che il giallo italiano sia cresciuto e sia forte abbastanza per camminare da solo. Poi, magari, la colpa è del mio metro di giudizio troppo stitico e allora tutto quello che ho detto va a puttana. Pardon a escort (effetto Jonathan).

Si arriva perfino al grottesco, con il lettore (l’autore stesso mascherato?) a sostenere ragionamenti assurdi. Il linguaggio è carente ma rende meglio il contenuto, cioè ”che paradossalmente questo stile decisamente dilettantistico conferisce ancora più realismo ai personaggi investigatori altrettanto dilettanti e improvvisati”. Come a dire che la brutta scrittura si adegua ai brutti personaggi. Quando si dice una ferrea logica…

A volte qualcuno mette pure in dubbio che i libri vengano letti come il nostro Stefano Di Marino il quale, intervistato su Liberidiscrivere, sottolinea a proposito delle recensioni dei suoi lavori, ”Ricordo con piacere quelle in cui ho capito che il recensore aveva letto il romanzo… Sic transit gloria mundi…preferisco le lettere dei lettori”. Non c’è più religione.

 

E’ l’ora del vampiro. E quello del diavolo, dei fantasmi, delle streghe, dei morti viventi. Insomma dell’horror, del gotico e dell’occulto. Entrare nelle librerie peggio che avere stampato sul soffitto della propria camera da letto la faccia di Calderoli e di La Russa o ascoltare la canzone del Principe (banale e già sfruttata ma sono del Toro. Ergo pigro, ma pigro da morire…). Un brivido ci corre lungo la schiena passando tra file di copertine con ali di pipistrello, artigli sanguinanti, teschi paurosi, volti mefistofelici  armati di corna. Un ritorno all’infanzia, all’uomo nero (c’è anche questo) che mi teneva un anno intero e per me era già lunga la settimana da passare con la Befana (brrrrr!!!). Ricordi dolorosi quando da imberbe ragazzetto dovevo passare lungo il corridoio buio che portava al gabinetto, di corsa come un centometrista con la pelle d’oca, ma gonfiata davvero, mica per modo di dire, e la pisciarella pronta a schizzar fuori extra water se non beccavo il pisello al momento giusto. Che palpitazioni! E che pisciate…

C’è di tutto e di più in questa rinnovata linfa creativa. Butto giù qualcosa così a caso che mi viene meglio (sono un incorreggibile disordinato). C’è Mirta-Luna che abita la sfera dei sovramorti e per vivere deve pasteggiare carne umana; Anita ha impressi due marchi (come a dire due nature), quello dei vampiri e quello dei lupi mannari; Julia e Valentina vanno ad abitare a Londra nella casa ereditata dalla zia Elisabeth mai conosciuta, morta a 44 anni che è un fantasma. E ancora, a proposito di carne umana, c’è un demone al centro di un libro la cui eroina innamorata deve sacrificargli parti del proprio corpo attraverso un rito particolare (povere eroine innamorate! E sempre di mascalzoni…); Elena è l’unico licantropo femmina combattuta fra l’amore verso un umano e colui che l’ha trasformata; Sookie Stockhouse è una cameriera capace di leggere nel pensiero e allegra frequentatrice di vampiri. Però dopo un po’ si stanca (ci si stanca anche di loro) e si mette con una tigre mannara che diventa praticamente il suo ragazzo (contenta lei…); Jax è una bella figliola proveniente da un mondo dove impera la magia e un dittatore che vuole il potere. E’ venuta sulla terra per difendere Alex che dovrebbe essere a conoscenza di un “passaggio” segreto fra i due mondi. Occhio agli specchi attraverso i quali possono materializzarsi i nemici (se ci fate caso sono tutte donne); ci sono anche i promessi vampiri (no, non sto scherzando), precisamente Jessica e Lucius, promessi in matrimonio fin dalla nascita. Lei non lo sa ed è una bella sorpresa… Poi abbiamo ragazzetti che incontrano il diavolo, apparizioni perverse, possessioni, esorcismi, epidemie che ti trasformano in zombie e chi più ne ha più ne metta.

Scene angoscianti perfino nella raccolta di dieci racconti di Joe. R. Lansdale Altamente esplosivo, Fanucci 2010, (tradotto dal nostro Luca Conti) dove impera il grottesco e l’assurdo, l’horror con l’atmosfera di attesa e terrore, i fantasmi, i lupi e i vampiri che ti saltano addosso (solo che la differenza sta in un contesto diverso e nel manico).

Si ripescano racconti piuttosto vecchiotti in Nero Natale, Mondadori 2009, di A.A.V.V. a cura di Luca Scarlini. A Natale siamo tutti più bravi, a Natale siamo tutti più buoni. Mica vero. Trattasi di una subdola diceria che si tramanda nel tempo. E spesso il bianco della neve si mischia al rosso del sangue. Basta sfogliare questo splendido libretto per rendercene conto. I nomi degli autori valgono da soli a farlo prezioso: Nathaniel Hawthorne, Amelia B. Edwards, Robert Louis Stevenson, Giovanni Pascoli, Frank L. Baum, Arthur Conan Doyle, Saki, Agatha Christie, Howard Phillips Lovecraft. Con una Prefazione gustosa di Luca Scarlini, tanto per completare il quadro.

Nove autori e nove racconti che esplorano i molteplici lati dell’animo umano ma non manca, ed è questo che ci interessa, l’agguato a Babbo Natale da parte di demoni furiosi perché stufi di vedere bambini felici per i suoi regali (dal loro punto di vista non c’è da dargli torto), l’occulto che porta alla follia, l’ultimo saluto dei lupi alla padrona morente.

Una intera antologia di tredici racconti (notare il numero) Bloody Hell- Storia di demoni e di angeli, di A.A.V.V. a cura di Igor De Amicis e Mauro Smocovich, Demian 2009, è dedicata in larga parte al Male della tradizione, a quello “straniero”, a quello che è dentro ognuno di noi e si trova pure il Cattivo spallato che non ne può più di fare, appunto, il cattivo (un po’ di humour non guasta mai).

E’ l’ora delle magioni di campagna avvelenate da malefici, di ville maledette immerse nelle foreste, di sepolcri che si aprono, di cimiteri che ululano, di morti che non sono poi tanto morti, tra l’altro pure incazzati neri e vendicativi. E’, insomma, lo ripeto ancora una volta (i lettori sono un po’ testoni), l’ora del vampiro che ha fatto la fortuna, per esempio, di Charlaine Harris, la scrittrice americana che ha inventato Southern Vampires, il ciclo di romanzi tutto vene giugulari e denti in fuori.

Anche Sherlock Holmes non è rimasto immune da questa cascata di forze oscure. Vedi Il Grimorio di Baker Street- Le avventure soprannaturali di Sherlock Holmes, a cura di J.R. Campbell e Charles V. Prepolec, Gargoyle Books 2010. Undici racconti apocrifi (il grimorio è un antico libro di magia che raccoglie formule magiche e incantesimi) in cui il Nostro è alle prese con l’irrazionale e il fantastico, ora ad aiutare un investigatore psichico, ora, alla veneranda età di oltre novanta anni, un investigatore che ricorda quelli della hard boyled americana. Libro interessante in quanto “La prospettiva di uno Sherlock Holmes che fronteggia e combatte le forze oscure attrae perché lui non ci crede. Il soprannaturale rimane per lui una favola. I fantasmi non lo riguardano, perché nella sua mente non c’è posto per nulla del genere”. Che Conan Doyle fosse preso in qualche modo dalle spire del soprannaturale lo sappiamo. Ma non aveva mai inserito il Detective per antonomasia in storie di questo genere se non in un contesto gotico come Il Mastino dei Baskerville e Il vampiro del Sussex (credo).

Autori, autrici, case di produzione in perenne fermento, si formano addirittura nuove collane (come quella della Delos Books con le avventure del vampiroso seduttore William Cuyler Throne e non manca, mi pare, anche una collana dedicata alle streghe), si pubblicano nuovi libri e si ristampano vecchi capolavori: “A partire dal 1847, le raccapriccianti avventure di Sir Francis Varney – scheletrico non-morto a metà strada tra il vampiro byroniano di John William Polidori e il Dracula di Bram Stoker – furono pubblicate dall’editore inglese Lloyd a dispense settimanali, attirando per almeno due anni l’interesse di migliaia di persone e raggiungendo la ragguardevole meta di 237 capitoli per 870 pagine redatte in doppia colonna con un corpo di stampa piccolissimo: dimensioni tali (circa 1500 pagine in un normale layout moderno) che hanno fatto sì che un po’ in tutto il mondo Varney the Vampire sia una delle opere più citate del genere, ma meno lette, in ambito vampirico, frenata in ciò da considerazioni di carattere prettamente economico”. Ed ecco sfornato il primo dei tre volumi Varney il vampiro-Il banchetto di sangue di Thomas Preskett Prest e Malcom Rymer, Gargoyle Books 2010, con più di cinquecento pagine (mamma mia!).

La Coniglio Editore attraverso Racconti di fantasmi “propone il meglio del nero e del fantastico- con particolare riguardo alla ghost story–  con traduzioni ineccepibili e con un corredo critico-bibliografico agile ma accurato. Autori famosi o ingiustamente dimenticati, testi “classici” e affascinanti riscoperte si alterneranno nel piano della collana come tasselli per comporre una vera e propria mappa  di questo genere, che riserva ancora stupefacenti sorprese”. E dunque Tarchetti, Zena, Dossi, Capuana, Fogazzaro, Verga, Pirandello eccetera eccetera.

E qui mi vengono in mente letture giovanili appisolate nel corso degli anni: Fosca di Tarchetti, Il bacio di una morta della Invernizio, Il cappello del prete di De Marchi, La Lupa di Verga e mille altre. Lampi di luce, guizzi di scene. La bruttezza micidiale della Fosca, magra da far paura, collo piccolo, testa enorme, capelli neri e lunghissimi, occhi neri e grandi…le tracce della sventurata sepolta viva, in una mano la ciocca dei capelli, l’altra morsicata…il barone che brandisce una leva di ferro, un colpo alla nuca del prete, un altro colpo che rompe la testa come una noce…la macchia rossa dei papaveri che brilla nelle mani della Lupa mentre avanza impavida verso Nanni…

…Oops, scusate. Ritornando a bomba ecco venir fuori libretti leggeri e succosi, con copertine di un bianco immacolato, come La monaca insanguinata di Charles Nodier, a cura di Riccardo Reim, Coniglio 2010. Charles Nodier, dicevo, nato a Besancon nel 1780, animatore di incontri culturali con Hugo, Musset, Vigny, Saint-Beuve, Lamartine e di’o po’o. Autore anche di un libro sul plagio nella letteratura che è stato pubblicato uora uora.

Una monaca coperta da un velo, la veste imbrattata di sangue che appare ogni cinque anni, una cagnetta bianchissima e misteriosa nel cavo di una quercia, una ragazza fiamminga presuntuosa e ricca uccisa dal diavolo, un castello sul lago con relativo fantasma, l’incredulo che si ricrede, e ancora spettri di padri che si rivelano ai figli per riparare vecchi torti o che ritornano per farsi vendicare, il marito assassinato dalla moglie e ritrovato dal fratello, un uomo trasformato in lepre per scontare i peccati (tutte cosine delicate).

Poi il lungo racconto di Remigio Zena La confessione postuma, e siamo nel 1850, durante il periodo della Scapigliatura. Un sogno che sembra vero, un viaggio nebuloso di un prete con suo fratello, l’incontro con una morta che ritrova (almeno così pare) nella realtà.

Per non farla palloccolosa con il secondo libretto che ho sotto mano, dirò che vi si trovano racconti di Ambrose Bierce, l’iconoclasta, il paradossale, il feroce scrittore di short stories dove il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti è sottilissimo e incerto. Tanto incerto che lui stesso sparirà misteriosamente nel Messico (1914) con l’intento di unirsi addirittura ai rivoluzionari di Pancho Villa! Insieme ad un racconto di Edoardo Calandra, uno scapigliato che per il sottoscritto costituisce una vera scoperta (beata ignoranza).

Non è un caso che la Mondadori, sentita l’aria che tira, abbia dato alle stampe per gli Speciali Delitti dall’aldilà di Clayton Rawson, Helen McCloy ed Ellery Queen sui quali abbiamo discusso proprio in questo blog (leggetelo!). Il diavolo riappare all’improvviso in volumi di una certa importanza storica, e in un altro tipo di contesto, come Le orme di Satana di Norman Berrow, Shake edizioni 2010, curato amorevolmente dal nostro Mauro Boncompagni per una collana che vede impegnati anche Giancarlo Carlotti e Igor Longo (basta la parola). In un villaggio inglese vengono commessi un paio di delitti la cui spiegazione possibile sembra rimandare alla presenza del diavolo (abbastanza comune nella letteratura poliziesca. Famoso uno vestito di velluto). Per essere più precisi il problema da risolvere  sono delle orme lasciate sulla neve. Orme di zoccoli ferrati che girano di qua e di là, saltano sulle siepi, scavalcano i muri, salgono sopra i tetti e seguono perfino i due morti ammazzati per scomparire poi nel nulla. Se non è opera dell’essere cornuto…(no, non il solito marito! Seguite, via, per favore…).

Così come il magico-irrazionale, destinato però a cedere alla ragione, si infila un po’ dappertutto. Vedi, per esempio, in Vish Puri e il caso dell’uomo che morì ridendo di Tarquin Hall, Mondadori 2010. Qui abbiamo la fine misteriosa del dottor Suresh Jha, matematico di chiara fama che smaschera e ridicolizza i maghi e i santoni, soprannominato, per questo, l’”Acchiappaguru”. Fine avvenuta al Club delle risate del Rajpath, per opera di una spaventosa dea Kali venuta fuori all’improvviso dopo un boato ed una luce accecante, mentre tutti i presenti (eccetto uno) ridono a crepapelle e non possono muoversi (gradevolissimo). In La forma dell’ombra di Jeffrey Ford, Piemme 2010, l’irrazionale, cioè il fatto che la piccola Mary preveda per certo periodo le mosse di un pericoloso guardone, non viene spiegato per niente. Ma gli esempi sono infiniti, sia nel presente che nel passato.

Dimenticavo gli orchi. Ad una certa età…Ci sono anche questi. A me l’orco ha fatto sempre paura in quanto divoratore di bambini. Soprattutto quando ero bambino. Crescendo sono diventato un po’ più spavaldo, ma non appena veniva fuori per accostamento metaforico “Quello è un orco!” istintivamente tendevo ad allontanarmi. Fidarsi è bene con quel che segue…Dunque pure gli orchi hanno la loro brava parte nel calderone degli orrori. Però qui mi fermo che non ho una competenza particolare.

Per darvi un’idea ancora più chiara del fenomeno spettral-terrorifico esploso, porto l’esempio della Feltrinelli di Siena. Lo spazio dedicato al giallo, inteso in senso lato, posto all’inizio della libreria, è ora occupato da corna e canini sanguinanti. Pistole, veleno e coltelli sono stati relegati in fondo. Sulla sinistra…

E’ l’ora dell’ibridismo, della contaminazione. Giallo e fantascienza ( Sul filo del rasoio), giallo e horror, giallo e fantasy e via dicendo (anche tutti insieme). Non sono contrario alla sperimentazione. Le sperimentazioni fanno bene al progresso. Basta non creare altri mostri oltre a quelli che ci sono già in giro…

E’ l’ora del bambino. Del piccolo, dell’indifeso, maschio o femmina che sia, oggetto di aberrante violenza. In questi ultimi tempi il tema della violenza sui bambini (questa parola, ripeto, include i due sessi) sembra avere attratto un considerevole numero di autori e di case editrici. Se c’è un rapporto tra la violenza nella cruda realtà quotidiana e nella fantasia della letteratura in genere, e in particolare di quella poliziesca, ecco dimostrato il legame. Sembra che letteratura e realtà, o viceversa, vadano di pari passo. A farne le spese gli innocenti in ogni caso (tralascio la violenza sulle donne che è di pari gravità).

Bambini, dicevo, che non solo aumentano la loro presenza nei titoli ma anche raffigurati sulle copertine. Di spalle lungo una strada deserta, di fronte nel bosco, davanti ad una casa. E se non ci sono loro ci sono gli oggetti a ricordarcelo: uno zaino, una bambola, un vestito, una carrozzina. O la presenza imponente e  minacciosa di un adulto.

Bambini che subiscono violenze di tutti i tipi, compresa quella sessuale, da maniaci sconosciuti e ora, sempre più spesso, dagli stessi elementi della famiglia. Dallo zio, dal padre, dalla madre, dal nonno. Con motivazioni disgustose e aberranti, talora pazzesche come quella di un tredicenne costretto a subire le vessazioni di una madre psicopatica solo perché sopravvissuto al fratello gemello. Altri lasciati chiusi in una stanza per farli morire di fame.

Storie di creature vive o creature morte le cui manine scheletriche escono fuori dal terreno (ormai lugubre ritornello) ad evocare una tragica esistenza. E la tortura e il terrore alimentano, da grandi, tortura  e terrore negli altri. A volte il miracolo. Come quel poliziotto drogato, ex bambino abusato che cerca di salvare bambine vittime di abusi sessuali. Un dono del Cielo. Più spesso, come già detto, l’orrendo ciclo che si ripete. O un ritirarsi dalla vita terrena per un abbraccio con l’Eterno (chi non ricorda suor Claudia di Ad occhi chiusi?).

Dal giorno in cui ho scritto l’articolo per “Corpi freddi” ad oggi c’è stato un aumento incredibile di queste storie (ultima copertina che ho sott’occhio ci presenta due scarpette di bimba rosse abbandonate in terra) che spero non diventi (se non è già diventata) una moda discutibile e anche, lasciatemelo dire, parecchio stronzetta .

E’ l’ora della psicanalisi, della regressione, della criptomnesia, dell’ipnotismo e insomma di tutti quegli aggeggi cha hanno a che fare con la mente ed il cervello umano circondati da tutte le parti. Si scava, si sviscera, si riporta alla luce, come tanti speleologi dell’inconscio ( poveri personaggi senza neppure un minimo di privacy!).

E’ l’ora dei mallopponi scandinavi (una vera delizia per Luca Conti…J) che a portarli in giro per leggere ti staccano le braccia (ci si è messo anche Ellroy che non è di quelle parti), roba di tonnellate, lunghi un chilometro e certo che lassù fra il ghiaccio e la neve devono pure fare qualcosa per ingannare il tempo.Tutti simili ci dice Mario Baudino, perché “un modello che ricorda i mobili Ikea. Sono tutti simili, ma non uguali; ripetitivi, ma con piccole differenze da un tipo all’altro. Componibili, economici e robusti, raffinati ma non troppo complicati né come struttura né come design: sono comodi e un poco originali, ma di una originalità di massa. Suggeriscono uno stile di vita informale, non prevedono scelte troppo impegnative: proprio come il thriller che viene dal Nord”. Se non sono uguali per stile e contenuto, lo sono certamente per il peso (li mortacci!). Vedi, però, dove si infila il caso. Baudino parla di Ikea ed il sottoscritto, sfogliando Sangue di mezz’inverno di Mons Kallentoft, Nord 2010, un classico malloppone svedese, in prima pagina trova che nella parete di casa della detective Malin Fors c’è proprio un orologio Ikea…

Dopo questa specie di battuta ho aperto Finché sarà passata la tua ira di Asa Larsson, Marsilio 2010, e mi sono trovato di fronte a Wilma, una morta ammazzata che parla e volteggia da tutte le parti. Un po’ come era successo nel libro precedentemente citato con Bengt Andersson, un povero psicopatico soprannominato “Pallone”, attaccato ad un albero nudo, bruciato e congelato che non la smette, però, di parlare e seguire gli avvenimenti. Insomma, voglio dire, amici scandinavi, datevi una regolata…

E’ l’ora del caldo boia, del freddo bestia e della pioggia pallosa (un po’ di espressioni popolari ci stanno bene). A dire la verità si tratta di una linea stagionale e meteorologica ben presente tra i morti ammazzati. Difficile trovare una temperatura accettabile ed un cielo sereno. Da cercare con il lumicino. Non esistono vie di mezzo, o un caldo asfissiante o un gelo terribile. O una pioggia insistente che tormenta personaggi e lettore dal principio alla fine mischiata, magari, con l’uno e con l’altro. Me ne sono reso conto sin da quando ho cominciato a percorrere gli inquieti viali del giallo una vita fa e la cosa è andata avanti tranquillamente fino ai giorni nostri. Trovare un tempo decente nei romanzi polizieschi è come non pescare una escort o una trans nel letto dei nostri politici. ( per chi vuole saperne di più, no…non sulle escort, via… http://corpifreddi.blogspot.com/2009/12/pensieri-giallotti.html ). Ah, che smemorato, mi dimenticavo della neve, compagna abituale del freddo bestia a far restare tutti rinchiusi in un luogo circoscritto: un treno, una villa, una baita, una semplice casa e non c’è bisogno di citare romanzi memorabili. Prendo gli ultimi due libri che ho proprio qui sul mio tavolo. Dalla seconda di copertina “Un’altra notte, un’altra tormenta di neve. Temperatura: meno trenta”, oppure “Sarà durante una forte nevicata che blocca tutti gli indiziati nella villa…”. E via di seguito…

E’ l’ora del “troppo” anche nel linguaggio.  Lo so, su certi concetti sono pallosetto e ci ritorno spesso sopra (perdonatemi). Se mi accosto ai libri di oggi vedo la mia perduta giovinezza letteraria in buona compagnia. Sembra che usare più parole possibili sia segno di potenza stilistica e di bravura. Parole, parole, parole come in una famosa canzone di Mina. Troppe parole! La bravura sta, semmai, nell’opposto. Nello scegliere, nel togliere, nell’assottigliare, nel decimare (Ovvia!).

Prendiamo le frasettine brevi che vanno tanto di moda. Belline se usate con parsimonia. Danno ritmo e spigliatezza al racconto, ma se sono tante allora diventano pressanti, martellanti. Come sentire un picchiettio continuo in certe parti ombrose ed è un effetto per niente gradevole. Se alle frasettine brevi si aggiungono quelle in corsivo, anch’esse in gran spolvero tra i nostri facitor di trame sanguinolente, allora il picchiettio incomincia a diventare noioso assai. Insopportabile.

Passiamo al linguaggio brillante e ai suoi pericoli. Non sono contro il linguaggio scelto e brillante. Figuriamoci. Mi è sempre piaciuto saltimbeccare (mio conio) tra grappoli di metafore e robine similari che scoppiettano felici come bambini alla giostra. Ma se si esagera allora si cade nella battutina facile, nel fraseggiare stucchevole e nello stucchevole autocompiacimento. O come sono bello/a! o come sono bravo/a! Mamma mia che intelligenza, che grazia, che splendore, che fine dicitore, eccetera, eccetera. Avrei ancora parecchie cose da dire ma vi vedo già parecchio ingrugniti. Fine della lezioncina (non mandate accidenti che i malanni attuali bastano e avanzano).

Dicevo all’inizio di Jonathan, praticamente un torello. Io lo chiamo il “Grosso”, non solo per il fisico (c’è una foto in cui sembra un piccolo Budda, tutto muscoli, però) quanto per una specie di sintesi che sottintende, il grande, il bel bambino. Il Grosso scorrazza come una locomotiva da tutte le parti, guarda, scruta, osserva, butta all’aria. Ma anche lui ha un limite alla resistenza. Allora arriva arrancando come una papera, si attacca ai pantaloni, alza la gambina destra e ti guarda con un mezzo sorrisetto furbetto per essere preso in collo. Se non lo prendi subito si butta in terra con o senza strillo secondo come gli gira (già formato anche nel carattere).

Perché il Grosso? Semplice. Il Grosso mi ha fatto capire, se ancora ce ne fosse bisogno, che quello che leggo e scrivo in fin dei conti…

Buona lettura lo stesso.

 

Fabio Lotti

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12 Responses

  1. Antonino Fazio

    Che dire di fronte a questa esuberante performance di Fabio Lotti? Un pezzo di bravura all’insegna della s(ca)pigliatezza. Molto divertente. Davvero.

  2. Fabio Lotti

    Quando ho scritto in altra parte che gli interventi di Piero vanno bene così per una offerta diversificata del blog lo dicevo seriamente. Nel senso che lui è portato quasi in modo naturale al pezzo erudito ed io a quello più “leggero”. Volevo fargli un complimento ma non so come l’abbia presa. Ti ringrazio per il giudizio.Io cerco proprio di portare un pò di vivacità anche stilistica.

  3. stefano pigozzi

    Il Lotti è sempre un piacere leggerlo, e ti fa anche pensare …
    Un saluto, sor Lotti.
    Stefano.

  4. Bernardo Cicchetti

    Ottimo, Fabio. Divertentissimo e acuto come sempre. :)

  5. f.denard

    interessante articolo sincero nei suoi contenuti

  6. Fabio Lotti

    Ho scritto questo pezzo anche con un certo dolore. Ormai ci conosciamo e posso confessarlo. Quando ho parlato del “troppo” riguardo a certi modi di scrivere. A scuola ero tremendo. Nei compiti una falciatrice di parole. Soprattutto con i verbi, gli aggettivi e i punti esclamativi. Qualche alunno accettava di buon grado (sopportava), qualche altro mugolava di brutto. Ce n’era uno,biondo, con gli occhioni celesti che non ne voleva sapere di togliere le sue parole. Erano sue, gli appartenevano, guai a chi gliele toccava! Era una lotta terribile convincerlo che senza quel verbo o quell’aggettivo il testo sarebbe stato più convincente e leggibile. “E’ un testone, professore!” diceva la sua mamma. Qualche tempo fa, a vent’otto anni, è entrato nel suo capanno da caccia e si è sparato. Al funerale ho incontrato la madre “Era un testone, professore…”. Se n’è andato in cielo con le sue parole ed io mi sento un pò in colpa per avergliele tolte.

  7. Piero

    Il dolore fa parte di noi, del nostro vissuto. E poi..
    Non me la sono presa, non ti preoccupare. Del resto l’ho detto anch’io in altro post: “Poi c’è anche la scelta: se non volete leggere questo, c’è anche roba meno intellettuale e più leggera.
    A ciascuno il suo : Sciascia docet !”.
    Il riferimento a Sciascia, in questo blog, non era affatto casuale.

  8. niki

    Sono un’appassionata ‘divoratrice’ di ‘gialli’ e ho letto volentieri questo articolo, istruttivo e illuminante.
    Andrò ai link segnalati.
    Per un po’ uscirò dalla mia biblioteca del delitto per immergermi nel web.
    Grazie.
    Niki

  9. Fabio Lotti

    Cara Niki
    benvenuta fra noi! Ti ricordo che ci sono anche altri articoli su questo stesso blog.

  10. Barbara - Mrs Teapot - Barbieri

    Che dire, Sir Lotti, senza ripetermi? Sei fantastico! Per non parlare poi della foto, l’hai scelta tu?
    Un forte abbraccio.

    PS posso chiedere a Pachì la tua mail?

  11. il professionista

    cioa Fabio, ben tornato al fronte….

  12. Fabio Lotti

    Dal torneo di scacchi di Cesenatico un grazie a Stefano e risposta affermastiva a Barbara.
    P.S. Torneo di cacca.

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