“La Canarina Assassinata”. Il trionfo della deduzione e dell’erudizione di Philo Vance

aprile 22nd, 2013

Nuovo articolo a firma del nostro amico Piero De Palma.

 

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La Canarina assassinata è uno dei più bei Gialli dell’Età d’Oro del romanzo poliziesco.

Quando lo scrisse, Wilard Huntigdon Wright, aveva già pubblicato The Benson Murder Case, 1926 “La strana morte del Signor Benson”, romanzo che aveva ottenuto un buon successo. Ma è senza dubbio proprio con The Canary Murder Case, 1927 “La Canarina assassinata” e poi con The Greene Murder Case, 1928, “La Tragedia di Casa Greene”, che si impose come il più grande autore della sua epoca: due romanzi che fecero scuola.

Antitetici è bene dirlo: così come “La Tragedia di Casa Greene” è una vicenda di morte che si svolge claustrofobicamente in una dimora in cui sono costretti a vivere gli eredi di una fortuna, ed in cui aleggia dal primo all’ultimo istante un’atmosfera greve e plumbea, ne “La Canarina Assassinata”, l’atmosfera è invece frivola e salottiera, molto più leggera, ma al tempo stesso complicata.

I tre romanzi assieme formano una ideale trilogia

Da un certo punto di vista, si può dire, a mio parere, che sia uno dei più grandi romanzi polizieschi che siano mai stati concepiti. Oggi, che le soluzioni vandiniane sono state fatte proprie e poi superate da tanti grandi scrittori a lui successivi, Van Dine sembra essere Pollicino, e a taluni le sue soluzioni fanno ridere. Invece, non si può pensare alla letteratura poliziesca degli anni ’30, senza inchinarsi reverenzialmente dinanzi a Van Dine. Perché senza di lui non ci sarebbero stati Ellery Queen, Charles Daly King, il primo Rex Stout.

E dei romanzi di Van Dine, i due che hanno avuto più influsso sui posteri sono stati proprio The Canary Murder Case e The Greene Murder Case. In particolare The Canary Murder Case, ebbe un effetto dirompente all’epoca: fu in testa per parecchi mesi alle classifiche dei libri più letti.

Julian Symons nella sua opera critica più famosa, Bloody Murder, riportò il giudizio di un altro critico, Howard Haycraft, scrivendo che “ ..his second book, The Canary Murder Case 1927, broke all modern publishing records for detective fiction at the time” (Julian Symons, Bloody Murder, Penguin Books, 1985, pag.101).

Più in là a testimoniare il grandissimo successo riportato da questo romanzo e dal successivo romanzo, che sconvolsero la letteratura poliziesca del tempo, dominata dagli autori britannici, Symons affermava che “It was said that he had lifted the detective story on to the plane of a fine art, and by his own account he was the favorite crime writer of two Presidents” (op. cit. pag. 102).

Ma perché The Canary Murder Case ebbe tutto questo successo? Analizziamo la storia.

Innanzitutto chi è la Canarina? Prendendo a prestito la stessa prosa di Wilard Huntigdon Wright “..Margaret Odell aveva ricevuto il soprannome di Canarina in seguito a una parte sostenuta in un elaborato balletto orni­tologico delle Folies, dove ogni ragazza aveva una gonna che richiamava qualche uccello. A lei era toccato il ruolo della ca­narina; e il suo costume di satin bianco e giallo, insieme alla massa di luminosi capelli biondi e la carnagione bianca e ro­sea, l’avevano distinta agli occhi degli spettatori come una creatura di notevole fascino. Prima che trascorressero 15 giorni, tanto concordi erano stati gli elogi della critica e così regolari gli applausi del pubblico che il Balletto degli uccelli divenne il Balletto della canarina e la signorina Odell fu pro­mossa al rango di quella che caritatevolmente potrebbe esser definita première danseuse, con l’attribuzione di un valzer in assolo e una canzone interpolata appositamente perché desse prova delle sue molteplici grazie e talenti.

Alla chiusura della stagione, la ballerina aveva lasciato le Folies e, durante la successiva e spettacolare carriera nei luo­ghi di ritrovo della vita notturna di Broadway divenne popo­larmente e familiarmente nota come la Canarina. Fu così che, quando la trovarono brutalmente strangolata nel suo apparta­mento, il delitto fu definitivamente denominato: l’omicidio della Canarina” (S.S. Van Dine, The Canary Murder Case,“La Canarina Assassinata”, trad. Pietro Ferrari, Il Giallo del Lunedì, L’Unità/Mondadori, 1992, pag.7).

La Canarina è Margaret Odell, attricetta e soubrette di locali di serie B, di night club, che è poi diventata famosissima in certi ambienti di Broadway. Conosce il suo ruolo e sa quale sia anche il giudizio che le riservano negli ambienti borghesi di cui lei rappresenta il richiamo: nel balletto non fa altro che fare il verso ad un uccello e mostrare le gambe. Ma si illude di poter scalare la società e conquistare un suo posto importante. E’ un po’ lo stesso discorso che fa la puttana di un Bordello di lusso (la prostituta sogna un amore impossibile con un bel cliente che oltre che utilizzarla per il suo piacere, la introduca nel mondo “normale”) il discorso di Margaret Odell, che, finito lo spettacolo, si ritrova nel grigiore della vita i ogni giorno, da cui esce temporaneamente solo nel volgere di uno spettacolo in cui uomini facoltosi in ghette, cilindro e marsina, fanno la coda per vederla , magari dondolarsi su un’altalena, su un trespolo, su cui lei, La Canarina, mostra le gambe.

E’ chiaro quindi che Margaret Odell, come farebbe una qualsiasi mantenuta, cerchi qualcuno che le assicuri, almeno nel suo mondo fatto di lustrini e pailettes, una certa onorabilità e almeno l’illusione di aver scalato quella società che invece non la accetterà mai. E’ la società degli anni ‘venti, in cui la grande crisi economica portò sul lastrico decine di migliaia di persone, ma che favorì anche l’arricchimento maggiore di chi già era ricco.

La Canarina ha molte amicizia maschili e non lo nega: i suoi accompagnatori la sfoggiano come oggi si farebbe con una Ferrari Testarossa, le altre donne la invidiano o ne parlano male, lo immaginiamo, ma lei pensa di poter usare queste amicizie, per i suoi scopi, che sono quelli di far carriera. Ha raccolto le confessioni di chi stava tra le sue gambe, ed un bel giorno decide di far il gran passo: decide di forzare la mano ad uno dei suoi amanti, e metterlo con le spalle contro il muro. E’ facile pensare, e poi lo si saprà, a cosa aspiri La Canarina: non vuol più essere “La Canarina”, ma una signora del Jet-Set, appartenere a quell’ambiente di cui ha conosciuto “tanti validi esponenti”. Solo che non capisce una cosa molto semplice: chi mai sposerebbe una “Canarina”? Ma lei si illude. E come tale resta vittima dei suoi stessi sogni.

Un bel giorno “La Canarina” vien ritrovata morta, assassinata, strangolata.

L’immagine che ne da Van Dine è terribile:

Il capo era rivolto all’indietro, come per una costrizione violenta…i capelli, disciolti, ricadevano dalla nuca sulla spalla nuda come la cascata raggelata di un liquido dorato; aveva perso ogni bellezza; la pelle era esangue, gli occhi vitrei; la bocca era aperta e le labbra convulse. Il collo, sui due lati della cartilagine tiroidea, mostrava orribili lividi scuri. La Canarina indossava un leggero abito da sera di pizzo Chantilly nero sopra ad uno chiffon color crema. Sul bracciolo del divano aveva gettato una cappa di un tessuto dorato, bordata di ermellino…a parte i capelli arruffati, una delle spalline dell’abito era stata strappata e il sottile pizzo del corpetto si era aperto in un lungo squarcio..una scarpetta di satin si era sfilata ed il ginocchio destro era contorto in dentro vero il divano, come se la poveretta avesse cercato di liberarsi dalla soffocante morsa del suo antagonista: Le sue dita erano ancora piegate,senza dubbio come nel momento in cui si era arresa alla morte” (S.S. Van Dine, “La Canarina Assassinata”, trad. Caterina Ciccotti, I Classici del Giallo, Barbera Editore, 2010, pag.22-23).

Dal sopralluogo effettuato dalla polizia emerge che mancano dei gioielli, che invece avrebbero dovuto esserci, secondo quanto afferma la sua domestica: quindi si è portati a identificare l’assassinio, come l’effetto di una rapina, o di un furto in appartamento, finito male (per Odell).

Tuttavia, questo è il giudizio della polizia per bocca del Procuratore Distrettuale di New York, F.X. Markham, che conduce le indagini. Di diverso avviso sarà il giudizio di Philo Vance, amico del Procuratore, osservatore imparziale e di geniali intuizioni, che salverà anche questa volta la Polizia da una figuraccia, e che invece sonderà una strada che nessuno aveva intravisto.

Philo Vance è una evoluzione di Sherlock Holmes, radicale: se eredita da Holmes l’attenzione ai particolari, agli indizi, non è però un applicatore integerrimo di essi. Infatti gli indizi che magari porterebbero a orientare le indagini in un certo verso, devono accordarsi ad una ricostruzione psicologica che in base ad essi spieghi tutti i quid rimasti insoluti. E per far questo, Philo Vance, diversamente da Sherlock Holmes, sonda l’anima e la mente dell’uomo, con l’attenzione che il buon Conan Doyle non aveva contemplato per il suo Sherlock Holmes. Si raffrontano così due diversi ideali: quello umanistico, attento alla psicologia e alle altre arti scaturenti dalla passione e dal gusto (Pittura, Scultura, Musica) di Philo Vance; e quello scientifico, analitico, di Sherlock Holmes.

Tuttavia, Philo Vance, osserva alcuni particolari, e in virtù della sua capacità di vedere al di là del mero indizio, ne dà una spiegazione tale che la visione di un omicidio susseguente ad un tentativo di rapina finisce per crollare miseramente.

Normalmente, quando si parla di questo romanzo, tutti individuano la sottigliezza del ragionamento di Van Dine, nella spiegazione della Camera Chiusa, in effetti “immaginifica”: spiegare non tanto come l’assassino e il testimone siano potuti entrare, quanto come essi siano potuti uscire, visto che il portiere quando va via, spranga sempre dal di dentro il portoncino che porta nel cortile interno al palazzo (l’uscita posteriore) con un chiavistello, in tale maniera che chiunque entri nel palazzo stesso, dopo la sua uscita, debba passare per forza davanti al centralinista, impressiona; e impressionò in quel tempo, moltissimo.

Ma ancor di più impressionò il pubblico dei lettori (e dei critici) l’aver inventato un modo che dilazionasse in avanti nel tempo l’azione delittuosa, cioè dopo che il suo accompagnatore della sera assieme al centralinista l’avessero sentita parlar e rispondere alle domande fatte da loro fuori della porta.

Se tuttavia la soluzione della Camera Chiusa e l’espediente per far apparire accaduto dopo, un omicidio che era stato invece commesso prima, rappresentano i mezzi con cui l’investigatore inchioda l’assassino, e che sono messi in chiaro da chiunque analizzi questo romanzo, pochi, pochissimi o nessuno, hanno esaminato gli altri momenti della deduzione vandiniana.

Secondo me, un altro momento in cui Van Dine impressiona il lettore è quando fa argomentare Vance molto molto sottilmente, sulla posizione relativa al corpo della vittima e sugli strappi subiti dai suoi abiti: se davvero Margaret Odell fosse stata affrontata in un corpo a corpo, immaginando che si sarebbe difesa con tutte le proprie forze, per quale motivo un innocente mazzolino, che le è stato ritrovato in grembo, non sarebbe stato scagliato altrove? Per terra, per esempio? E inoltre se così fosse stato, il collo non sarebbe stato rivolto all’indietro, ma la vittima sarebbe dovuta cadere avanti. Quindi… il delitto non si è consumato così, e si è tentato, con una messinscena, di depistare le indagini: lo strangolamento è avvenuto dal di dietro, quando la vittima non si aspettava che chi le stava dietro la strangolasse, ergo si fidava di lui/lei. Ma ci sono gli strappi del vestito! Altra messinscena: gli strappi sono stati fatti post-mortem per confondere il ragionamento degli investigatori.

Secondo ragionamento molto sottile è quello, concernente la chiave dell’armadio: per quale motivo essa è posta internamente all’armadio, quando comunemente essa invece dovrebbe esser infilata nella serratura esternamente?

C’erano quindi, quella sera, in quella stanza, tre persone: Margaret Odell e due altre persone, di cui una nascosta nell’armadio. Chi è stato l’assassino e chi il testimone? L’assassino ha anche rubato in un secondo tempo, oppure è stato l’altro a rubare? Le due persone presenti nell’appartamento, nei loro diversi ruoli, sono legate ad un altro ragionamento che si fa largo allorché Philo Vance nota come un porta-documenti sia vuoto, e come un portagioie di acciaio sia stato apparentemente forzato con un attizzatoio di ghisa: se davvero ci fosse stato un ladro avrebbe certamente usato uno strumento più idoneo per far saltare il coperchio, piuttosto che usare un attizzatoio. Tanto più che un esperto chiamato da Vance ne corrobora la tesi: che cioè vi son stati due momenti diversi nell’effrazione: quello rozzo con l’attizzatoio, che non ha sortito altri effetti se non di ammaccare il coperchio, e quello altamente professionale, effettuato con uno strumento di acciaio, probabilmente un grimaldello. Perché mai si sarebbe dovuto portare dalla camera vicina un attizzatoio inadeguato a far quello che ha fatto il grimaldello?

In parole povere, Vance postula l’azione in due momenti separati, da parte di due diverse persone. Ecco una primo fatto accertato, di grande importanza: nell’appartamento, quella sera, la sera del sabato, due persone sono state lì, probabilmente in un tempo successivo alla morte della Canarina. Il che non vuol dire necessariamente che entrambi avessero partecipato all’omicidio.

Fatto sta che il secondo ignoto visitatore sarà ucciso e solo dopo la sua morte Vance, individuando l’espediente per ritardare la morte, darà un volto all’assassino. In questo caso l’espediente sarà direttamente messo in relazione all’attività dell’assassino.

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L’ottava moglie di Mister G. (1315)

dicembre 30th, 2012

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l giovane Luke Latimer pensava che Barbablù esistesse soltanto nelle fiabe, prima di essere avvicinato da un investigatore privato. A quanto pare un’anziana signora di Edimburgo lo sta cercando dopo aver scoperto che il suo defunto marito, l’esimio professor Garvie- Brown, era un serial killer, responsabile della morte delle precedenti sette mogli, tutte uccise per impadronirsi dei loro patrimoni. Luke, nipote di una delle vittime, è il solo parente del professore al di fuori della cerchia della sua influente famiglia, e tutto ciò che vuole è restarsene al di fuori il più possibile. Ma quando l’ottava moglie del professore, miracolosamente sopravvissuta alla letale unione, segue la sorte delle altre, dovrà cambiare idea e trasformarsi in detective. Unici indizi a disposizione, il vetro rotto di una finestra e una pallina da golf accanto al cadavere.

Elizabeth Ferrars (1907-1995) è lo pseudonimo di Morna Doris MacTaggart, giallista britannica nata a Rangoon e a lungo considerata l’erede di Agatha Christie. Laureata in giornalismo alla University of London, è stata tra i membri fondatori della Crime Writers’ Association, ha scritto più di settanta romanzi e ha vinto, nel 1981, il Red Herring Award.

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Verso l’ora zero (1312)

dicembre 5th, 2012

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Il delitto perfetto va organizzato con cura. Occorre pianificare in anticipo tutte le mosse che porteranno al risultato finale. L’assassinio di Camilla Tressilian, austera nobildonna uccisa nella sua villa in Cornovaglia, è stato invece organizzato nel modo peggiore. Il killer ha lasciato troppi indizi, e tutti puntano verso Nevile Strange, l’erede universale della vittima. Il sovrintendente Battle è però convinto che quell’omicidio non sia che la prima mossa di un piano astuto per sopprimere un’altra vittima: lo stesso Nevile!

Agatha Christie (1890-1976), creatrice di Hercule Poirot e di Miss Marple, nasce a Torquay, sulla costa inglese, da una famiglia agiata. Durante la Prima guerra mondiale presta servizio come crocerossina e nel 1920 pubblica il suo primo giallo: Poirot a Styles Court. A questo folgorante esordio seguono numerosissimi romanzi, racconti, testi teatrali e radiofonici. Dopo il divorzio dal primo marito, il pilota Archibald Christie, si risposa con l’archeologo Max Mallowan, con il quale intraprende diversi viaggi in Medio Oriente. Nel 1954 vince il Grand Master Award, nel 1955 il New York Drama Critics Circle Award e nel 1971 viene nominata dalla regina Elisabetta Dame dell’impero.

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Isole e treni maledetti

giugno 7th, 2012

Diffidate di questi luoghi e di questi mezzi di trasporto…

 

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Cari ragazzi (formula scontata ma pur sempre efficace per attirare una qualche simpatia tra lettori stagionati) questa non è una ricerca esaustiva e, a dir la verità, non è nemmeno una ricerca (ne ho già fatte fin troppe nella vita) ma un excursus, così un po’ a capriccio come è nel mio costume, riportando in vita pure cose già scritte su alcuni luoghi tipici della letteratura poliziesca, dove sono avvenuti un sacco di morti ammazzati. Anche per mettere in guardia eventuali viaggiatori…

Parto dall’isola. Più precisamente da L’isola della paura di Anthony Berkeley, Mondadori 2011. Piccola, “più o meno quindici ettari di terra quasi pianeggiante” sulle scogliere, tra Madeira e le Bahamas. Qui il sorprendente (come personaggio) Guy Pidgeon, un accademico arricchito, porta una schiera di invitati, tra cui l’altro sorprendente Roger Sheringham, scrittore e investigatore, con lo scopo di smascherare un assassino di un vecchio delitto. E’ chiaro che i personaggi si trovano costretti a rimanere sull’isola, distribuiti in una serie di tende all’aperto, per un qualche motivo che non sto a spiegarvi. Sapere che tra loro c’è un assassino senza conoscerne il nome (Guy lo ha dichiarato espressamente) genera tutta una serie di incredibili reazioni. La vicenda si complica con la storia di un fantasma che di notte sembra ululare a tutto spiano e con l’idea che ci sia qualcuno là fuori che girella furtivo…

Di solito con una fava si prendono due piccioni ma con L’isola dei delitti di Agatha Christie, Hake Talbot e Roy Vickers, Mondadori 2008, con introduzione saporosa del nostro Mauro Boncompagni (che il Signore lo abbia in gloria) se ne prendono addirittura tre: due romanzi ed un racconto. E a poco prezzo.

Inizio da Dieci piccoli indiani della divina Agatha. Un mito. Non sto a farla lunga. Otto persone che non si conoscono fra loro sono invitate a trascorrere l’estate in una villa di Nigger Island (ecco la nostra isola) non lontana dalle coste del Devon in Inghilterra. Qui trovano il maggiordomo e la cuoca ma non il padrone che manca per motivi poco chiari. Sopra il camino delle camere c’è la famosa filastrocca “Dieci poveri negretti…”. Infine una voce registrata su un disco accusa tutti di essere degli assassini impuniti. E da qui inizia l’altrettanto famosa sequela di morti.

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L’isola: “A nord ovest, verso la costa, le rocce piombavano a picco sul mare, con la superficie perfettamente liscia. Sul resto dell’isola, non c’erano alberi e c’era ben poco che potesse servire da riparo”. “Un mondo, forse, dal quale non si poteva tornare indietro” scrive la Christie. Se a questo si aggiunge lo scoppio di una tempesta…

Continuiamo con Terrore nell’isola di Hake Talbot. E anche in questo caso si fa presto perché è un classico ben conosciuto. E dunque c’è Nancy che si sveglia e non si ricorda di niente. O meglio si ricorda di essere nella casa di Frant, il padrone, ma che gli ospiti ed i domestici sono tutti scomparsi. E allora incomincia a cercarli insieme a Rogan Kincaid, una vecchia conoscenza apparsa improvvisamente. Inizio alla grande. Il problema è che Frant è morto dopo una maledizione del fratello Evan. Di schianto, come si dice dalle mie parti. Nascono i dubbi. Morto per la maledizione o avvelenato? E in che modo può essere stato avvelenato? E perché non pensare al suicidio? Ma il corpo del morto al quale è stata tolta la pelle dei polpastrelli è proprio quello di Frant? E perché è in evidente stato di putrefazione? E così di seguito fino allo spappolamento del cervello del lettore.

Sull’isola chiamata Kraken non c’è molto da dire. A parte il fatto che il nome si riferisce all’antica leggenda di un mostro enorme che poteva ingoiare navi per intero e trascinarle nella sua tana (e già questo non tranquillizza affatto). Ha un “profilo bizzarramente roccioso contro la linea bassa della costa, distante meno di mezzo chilometro”. Intanto fuori infuria il solito uragano…

E così si passa al lungo racconto di Roy Vickers L’unico superstite che ricalca un po’ il romanzo dell’Agatha con l’eccezione del naufragio. Sempre su un’isola, si capisce. Chi racconta la storia attraverso un “affidavit” è il prof. William Edward Clovering. Il naufragio è della Marigonda con carico e cinquanta passeggeri provenienti dal Capo di Buona Speranza e diretti a Londra. Si salvano sette uomini su una scialuppa e, come era già capitato al nostro Robinson Crusoe, possono ricavare da vivere per un bel po’ attraverso carico di viveri e attrezzi tratti dalla Marigonda non completamente affondata.

Si salvano per modo di dire che uno dopo l’altro ci lasciano le penne, colpiti in testa da un arnese che può benissimo essere un martello. Angoscia, paura, sospetto. Chi è l’assassino? Uno di loro o un estraneo che si aggira sull’isola?

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Le fatiche di Hercule (1296)

aprile 26th, 2012

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Possibile che ci sia qualcuno capace di compiere imprese simili a quelle di Hercule Poirot? È lui stesso che se lo chiede, quando scopre che un impertinente professore universitario ha avuto l’ardire di paragonare le imprese del mitico Ercole a quelle che lui ha compiuto nell’arco della sua carriera. Poirot, come sempre pronto ad affrontare con piglio qualsiasi situazione, non è convinto che l’Ercole tutto muscoli e potenza selvaggia, dalle maniere barbare e poco galanti, sia paragonabile alla classe, all’astuzia e al fine ragionamento con cui una mente superiore (come la sua, naturalmente) può aver ragione di mostri, bruti e nefandezze di ogni genere. Anche se una somiglianza, seppure vaga, con le imprese del mitico eroe esiste davvero. Ma chi, di questi due campioni, merita la palma di più grande benefattore dell’umanità? Poirot non ha dubbi, naturalmente, ed è per questo che si lancia nella risoluzione di dodici casi che possono essere paragonati, per difficoltà, alle dodici fatiche di Ercole.

Agatha Christie (1890-1976), creatrice di Hercule Poirot e di Miss Marple, nasce a Torquay, sulla costa inglese, da una famiglia agiata. Durante la Prima guerra mondiale presta servizio come crocerossina e nel 1920 pubblica il suo primo giallo: Poirot a Styles Court. A questo folgorante esordio seguono numerosissimi romanzi, racconti, testi teatrali e radiofonici. Dopo il divorzio dal primo marito, il pilota Archibald Christie, si risposa con l’archeologo Max Mallowan, con il quale intraprende diversi viaggi in Medio Oriente. Nel 1954 vince il Grand Master Award, nel 1955 il New York Drama Critics Circle Award e nel 1971 viene nominata dalla regina Elisabetta Dame dell’impero.

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Dissertando di camere chiuse

gennaio 12th, 2012

Torna puntuale, l’appuntamento con “La camera chiusa” la nostra rubrica dedicata al mistery nella quale, questo mese, Piero De Palma ci parla di “The hollow man” dell’impareggiabile John Dickson Carr.

Buona lettura!

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Possibili origini della Locked-Room Lecture in “The Hollow Man”, di John Dickson Carr

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Assumendo come punto di riferimento la Locked-Room Lecture in “The Hollow Man” di Carr, dobbiamo rilevare come una prima dissertazione sulle Camere Chiuse risalga purtuttavia a quasi quarantaquattro anni prima.

Infatti Israel Zangwill nel capitolo IV del suo The Big Bow Mystery (1892), elenca tutta una serie di possibili eventualità atte a spiegare una Camera Chiusa:

“Tra i molti prodotti della fantasia, c’erano non poche soluzioni degne di rilevanza, che però fallirono miseramente, come razzi al posto di stelle cadenti. Una di queste era che, nell’oscurità della nebbia, l’assassino era salito alla finestra della camera da letto, dal marciapiede, per mezzo di una scala. Poi, con un diamante, aveva tagliato via uno dei vetri, riuscendo così ad entrare. Nell’andarsene, aveva rimesso a posto il vetro (o un altro che si era portato dietro), ragione per cui la serratura del­la porta non era stata scassinata. Quando fu ribat­tuto che i vetri erano troppo piccoli, un terzo letto­re rispose che il fatto era irrilevante, perché sareb­be bastato infilare una mano per aprire la finestra, per poi ripetere l’operazione prima di andarsene. Questo edificio di vetro fu fatto crollare da un ve­traio: scrisse che era impossibile fissare un vetro da una parte sola dell’intelaiatura, perché sarebbe ca­duto non appena fosse stato toccato e, in ogni caso, lo stucco umido non sarebbe sfuggito all’investiga­tore. Si avanzò anche l’ipotesi che fosse stato tolto e rimesso un pannello della porta e alla fine al nu­mero 11 di Glover Street era stato attribuito un nu­mero infinito di botole e porte scorrevoli, neanche si fosse trattato di un castello medievale. Un’altra di queste teorie ingegnose sosteneva che l’assassino era rimasto nella stanza per tutto il tempo in cui c’era stata la polizia… nascosto nel guardaroba. Oppure che si era messo dietro la porta quando Grodman l’aveva sfondata e che non era stato no­tato nella confusione generale e perciò era riuscito a fuggire, con l’arma del delitto, nel momento in cui l’ex investigatore e la signora Drabdump stava­no esaminando la chiusura della finestra.

A sostegno non mancavano spiegazioni scientifi­che che facevano capire come l’assassino avesse sprangato e chiuso a chiave la porta dietro di sé. Sarebbero state usate delle potenti calamite fuori della porta per girare la chiave e rimettere la spran­ga all’interno. La fantasia della gente fu popolata da assassini con potenti calamite. Unico difetto di tale ingegnosa ipotesi: l’impossibilità. Un fisiologo tirò in ballo i prestigiatori che inghiottono spade (a causa di una particolare anatomia della gola) e dis­se che forse il defunto aveva inghiottito l’arma do­po essersi tagliato la gola. Questo, però, era troppo da inghiottire persino per il pubblico.

Riguardo al­l’ipotesi che il suicidio fosse stato attuato con un ra­soio o soltanto con la sua lama, o anche con un pez­zo di ferro, che poi era affondato nella ferita, non potè essere accettata neanche per un momento…

Tuttavia, forse, il più brillante di questi lampi di genio fu la lettera scherzosa, ma probabilmente non del tutto, che apparve sul Pell Mell Press:

…Egregio signore, vi ricorderete che quando gli assassini del caso Whitechapel sconvolsero l’opinione pubblica, avevo suggerito che l’as­sassino era il coroner della zona. Fui ignora­to. Il coroner in questione è ancora in libertà. E così l’assassino di Whitechapel. Forse tale coincidenza porterà le autorità a prestarmi più attenzione, questa volta. Il problema sem­brerebbe il seguente. Arthur Constant non può essersi tagliato la gola e non può essersela fatta tagliare da qualcun altro. Ma poiché una di queste circostanze si è verificata, tutto ciò è assolutamente assurdo. E, trattandosi di as­surdità, sono giustificato a non crederci. Giacché tale ovvia assurdità è stata messa in circolazione soprattutto dalla signora Drab-dump e dal signor Grodman, mi sento auto­rizzato a non credergli.

Per farla breve, signo­re, cosa ci garantisce che tutta la storia non sia soltanto frutto di fantasia, inventata dalle due persone che per prime hanno trovato il cor­po? Quali prove abbiamo che non siano state proprio loro ad aver sfondato la porta e rotto le serrature e le spranghe e a richiudere tutte le finestre prima di chiamare la polizia? …L’ipotesi del nostro scrittore non è poi così originale come lui la ritiene. Non ha lui, in fondo, guardato con gli occhiali di coloro che continuarono ad insistere che l’assassino di Whitechapel non era altri che il poliziotto che aveva scoperto il corpo? Qualcuno trova sem­pre il corpo, se si trova.

Redattore capo P.M.P.

(Israel Zangwill, The Big Bow Mystery, “Il Grande Mistero di Bow”, traduz. Leda Armstrong, I Classici del Giallo Mondadori, N.606 del 1990, pagg.48-51).

Come si vede, si può parlare già di una dissertazione, anche se impropria, che comprende varie ipotesi, anche se non si può ancora parlare di conferenza: la conferenza ha infatti un che di cattedratico, e perciò tende a dare sistematicità e organicità alle proprie ragioni. Qui invece la materia è ancora affrontata in maniera ingenua e informale, senza alcun tentativo di classificarla. Tanto più che, se vi sia la volontà di enumerare una serie di possibilità, essa è propria di Zangwill, e la si capta attraverso la lettura delle pagine indicate; non esiste invece alcuna dichiarazione circa l’enumerazione delle possibilità di commettere l’omicidio in una Camera Chiusa, che possa corrispondere in effetti alla volontà di creare una conferenza, né tantomeno viene creata nell’opera una possibilità sostanziale che ciò avvenga, mediante un personaggio del romanzo che, come farà Carr con il Dottor Fell di quarantaquattro anni dopo, illustri una conferenza a ciò dedicata. Nonostante ciò, vengono già gettate delle basi che saranno utilizzate di lì a venire. Quello che poi voglio far notare è che proprio qui, per la prima volta,e non in Le mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux (1907), viene introdotta la possibilità che anche un poliziotto possa essere l’omicida.

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Sipario, l’ultima avventura di Poirot (1287)

dicembre 5th, 2011

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Molti anni sono passati da quando ho incontrato per la prima volta Hercule Poirot. Anche allora è stato a Styles Court, come oggi. Anche allora per una faccenda di omicidi. Eravamo entrambi più giovani e pieni di energia. Vederlo così invecchiato e segnato dalla malattia mi addolora, sebbene l’età non abbia per nulla intaccato la sua mente. Brillante, geniale come sempre nell’affrontare i casi più intricati, gli assassini più diabolici. Qui i delitti sono addirittura cinque. Cinque vittime senza un legame apparente: nessuna serie infernale a collegarle. Ma io so che l’enigma troverà una soluzione, perché lui è Poirot, signore e signori. Il più grande investigatore di tutti i tempi. Mi chiamo Hastings, e questa è la nostra ultima avventura.

Agatha Christie (1890-1976), creatrice di Hercule Poirot e di Miss Marple, nasce a Torquay, sulla costa inglese, da una famiglia agiata. Durante la Prima guerra mondiale presta servizio come crocerossina e nel 1920 pubblica il suo primo giallo: Poirot a Styles Court. A questo folgorante esordio seguono numerosissimi romanzi, racconti, testi teatrali e radiofonici. Dopo il divorzio dal primo marito, il pilota Archibald Christie, si risposa con l’archeologo Max Mallowan, con il quale intraprende diversi viaggi in Medio Oriente. Nel 1954 vince il Grand Master Award, nel 1955 il New York Drama Critics Circle Award e nel 1971 viene nominata dalla regina Elisabetta Dame dell’Impero.

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Assassinio sull’Orient Express (1274)

luglio 7th, 2011

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Il signor Ratchett, un ricco americano dal passato misterioso, viene ucciso a pugnalate sull’Orient Express. Tante, troppe pugnalate. Il colpevole dell’efferato delitto deve per forza nascondersi tra i viaggiatori, ma nessuno di loro sembra avere alcun movente plausibile. Per fortuna sul treno c’è Hercule Poirot, investigatore senza eguali, che con la sua logica impeccabile affronterà il caso forse più intricato della sua carriera e riuscirà a fare emergere la verità.

Agatha Christie (1890-1976), creatrice di Hercule Poirot e di Miss Marple, nasce a Torquay, sulla costa inglese, da una famiglia agiata. Durante la Prima guerra mondiale presta servizio come crocerossina e nel 1920 pubblica il suo primo giallo: Poirot a Styles Court. A questo folgorante esordio seguono numerosissimi romanzi, racconti, testi teatrali e radiofonici. Dopo il divorzio dal primo marito, il pilota Archibald Christie, si risposa con l’archeologo Max Mallowan, con il quale intraprende diversi viaggi in Medio Oriente. Nel 1954 vince il Grand Master Award, nel 1955 il New York Drama Critics Circle Award e nel 1971 viene nominata dalla regina Elisabetta Dame dell’impero.

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Considerazioni generali sul Philo Vance interpretato da Giorgio Albertazzi

maggio 17th, 2011

Cari lettori de “Il Giallo Mondadori”, oggi, sono lieti di presentarVi un lungo e articolato saggio di Pietro De Palma su “Philo Vance”, uno dei simboli del genere a noi tanto caro. Certo di farVi cosa gradita, Vi auguro una buona lettura.

                                                                                                              Dario Geraci

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Nel 1974, La RAI Radiotelevisione Italiana, che un tempo contribuiva alla cultura in Italia creando i più bei sceneggiati e le più belle riduzioni teatrali (talora lo fa ancora), mandò in onda i 3 primi casi di Philo Vance, di S.S. Van Dine (La strana morte del signor Benson, La Canarina assassinata, La fine dei Greene), ridotti per la televisione, affidando il personaggio principale a Giorgio Albertazzi,

Per la TV, Albertazzi aveva gà lavorato e aveva conseguito notevoli risultati, ancor oggi apprezzati (L’Idiota di Dostojevskj, Mr Hyde di Stevenson); il Philo Vance viene ritenuto comunemente un interludio, una produzione minore nell’ambito di quelle interpretate dall’attore: io penso invece che abbia rappresentato una tappa significativa, al pari delle altre produzioni ricordate.

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Lutto in famiglia (1269)

marzo 31st, 2011

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Le dieci e quarantasei di una sera nebbiosa a casa di Simon Barnett, avvocato. A chiamarlo al telefono è suo fratello Oliver, a sua volta avvocato e socio, che gli chiede di raggiungerlo urgentemente in ufficio. Quando Simon arriva, però, Oliver giace cadavere in una pozza di sangue, una rivoltella vicina alla mano destra. Una sola ossessione per Simon: trovare il suo assassino e fare giustizia, a ogni costo. Ma esistono porte che sarebbe meglio lasciare chiuse e segreti che non dovrebbero essere svelati, mai.

D.M. DEVINE (1920-1980), britannico, si laureò nelle università di Glasgow e Londra. Dal 1946 al 1972 lavorò come funzionario amministrativo dell’università di St Andrews, a Fife. Giallista dal 1961, quando il suo primo romanzo, Lutto in famiglia , vinse un importante concorso indetto dalla casa editrice Collins, grazie soprattutto al giudizio molto positivo di Agatha Christie.

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